Thursday 30 August 2018 20:23:44
Giurisprudenza Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 29.8.2018
In linea generale non può configurarsi alcun autonomo “giudicato cautelare” in senso proprio rispetto alla sentenza che definisce il giudizio.
Le ordinanze cautelari, in quanto prive di contenuto definitivamente decisorio, sono infatti insuscettibili di passare in giudicato, analogamente ai provvedimento istruttori, interlocutori o di rinvio al ruolo ordinario (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 10 giugno 2015 n. 2847).
Un provvedimento di sospensione dell'esecuzione dell'atto amministrativo non fa venir meno l'atto sospeso e nemmeno la sua validità, né esercita una funzione ripristinatoria della situazione precedente, ma soltanto impedisce temporaneamente, e con efficacia "ex nunc", la possibilità di portare l'atto ad ulteriore esecuzione e, per questo è inevitabilmente connesso alla conclusione del giudizio.
Il provvedimento cautelare è emanato «con riserva» di accertamento della fondatezza nel merito, onde evitare che la pendenza del giudizio vada a danno dell’attore risultato vittorioso all’esito del giudizio, ed è dunque interinalmente subordinato alla verifica definitiva della fondatezza delle tesi del ricorrente.
Tuttavia gli effetti di carattere sostanziale conseguono solo al passaggio in giudicato della pronuncia di merito favorevole, che è la sola idonea a rimuovere dalla realtà giuridica l'atto con effetti permanenti (arg, ex Consiglio di Stato sez. III 08 giugno 2016 n. 2448).
Peraltro, tale principio del resto è indirettamente confermato dall'art. 92, comma 5, seconda parte c.p.a., che, sia pure al differente fine della definizione della competenza del TAR adito, ha espressamente, escluso la natura di decisione implicita delle ordinanze istruttorie o interlocutorie di cui all'art. 36 comma 1, c.p.a. e quelle che disattendono l'istanza cautelare (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 20 aprile 2016 n. 1554).
Pertanto, se il provvedimento cautelare è, per sua natura, un provvedimento interinale che subisce le sorti del giudizio nel cui ambito è emanato, è evidente che la sua efficacia viene meno:
-- a seguito di una pronuncia di rigetto del giudizio;
-- nel caso di successiva ordinanza di revoca del provvedimento cautelare “res melis perpensa”;
-- per la sopravvenienza di situazioni incompatibili con il mantenimento degli effetti della sosbpensione;
-- in conseguenza di qualunque vicenda processuale abbia effetti estintivi sul processo cautelare o sull’intero giudizio.
Sotto il profilo sistematico, la inconfigurabilità di un “giudicato cautelare” è direttamente dimostrata anche dall'art. 21 septies della legge n. 241 del 1990, il quale sanziona con la nullità solo ed esclusivamente l'atto che viola, o elude il giudicato sulla sentenza e non anche della pronuncia del giudice che non abbia ancora il carattere della definitività come la pronuncia cautelare. Ed in questo senso deve escludersi l’equivalenza tra “giudicato” in senso tecnico ed un inesistente “giudicato cautelare”.
A tale conclusione non osta neppure la considerazione della lett. c) l'art. 114, comma 4, c. proc. amm. per cui, in caso di accoglimento del ricorso, il giudice possa “pronunciare l'inefficacia degli atti emessi in violazione od elusione di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti” Sul piano dell’interpretazione letterale, non a caso, lo stesso c.p.c. utilizza l’espressione per cui il giudice può “… pronunciare l'inefficacia degli atti emessi”,essendo infatti evidente che in tali casi si tratta di ripristinare gli effetti di una ordinanza cautelare alla luce della successiva sentenza conforme.
Sotto il profilo sistematico la dottrina ha avuto modo di sottolineare che il sistema della nullità amministrativa si distingue dall’archetipo di matrice civilistica di cui all’art.1418 c.c. in quanto risulta invertito il rapporto tra la categoria della nullità e quella dell'annullabilità: l’annullabilità per l’illegittimità dell’atto, costituisce la specie generale di invalidità, laddove, in diritto amministrativo, le nullità, con riferimento alle categorie indicate dalla legge, devono essere intese come tassative e residuali ipotesi di invalidità dell'atto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 aprile 2012, n. 1957).
Ciò perché l’esigenza di certezza dell'azione amministrativa mal si concilia con la possibilità che questa possa restare esposta ad impugnative non assoggettate a termini certi di decadenza o prescrizione. Per cui, in considerazione del loro carattere pubblicistico, le norme riguardanti l'azione amministrativa, come tali, sono sempre di stretta interpretazione.
Si deve quindi escludere, in relazione alla ricordata tassatività della espressione dell'art. 21 septies della legge n. 241/1990, che un atto amministrativo adottato in violazione di un'ordinanza cautelare del Giudice amministrativo possa essere dichiarato nullo, in quanto la nullità presuppone un contrasto con sentenze formalmente passate in giudicato, e non semplicemente il contrasto con una decisione cautelare priva dell’efficacia di cosa giudicata (del resto nello stesso senso è orientata la giurisprudenza maggioritari dei TAR: cfr. TAR Umbria, 5 aprile 2017, n. 264; T.A.R. Parma sez. I 12 marzo 2018 n. 75, ecc.)...Per continuare la lettura vai alla sentenza
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