Tuesday 11 November 2025 15:51:04
Giurisprudenza Giustizia e Affari Interni
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VII del 10/11/2025 Pres. Marco Lipari - Est. Daniela Di Carlo
vicenda giunta all’attenzione della Settima Sezione del Consiglio di Stato attiene al capo della sentenza di prime cure in ordine alla liquidazione delle spese di lite al di sotto dei valori minimi individuati dal D.M. n. 55/2014.
In particolare l’appellante espone di aver adito la sede giurisdizionale chiedendo l’accertamento del silenzio – inadempimento del Ministero dell’Istruzione e del Merito sulla domanda di riconoscimento del titolo di specializzazione sul sostegno conseguito all’estero (in Spagna) per l’esercizio della professione nelle scuole di istruzione secondaria di secondo grado. Il Tribunale amministrativo ha accolto integralmente il ricorso e ha dichiarato l’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione, rilevando l’esistenza di un obbligo di provvedere entro un termine di conclusione del procedimento specificamente previsto dalla legge (nella specie, dall’art. 16, commi 2 e 6 del D. Lgs. n. 206/2007) e inutilmente decorso in assenza di una decisione amministrativa espressa.
Per l’effetto, il giudice adito ha ordinato all’Amministrazione resistente di provvedere espressamente sull’istanza presentata entro il termine di 60 giorni dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della sentenza, con nomina del commissario ad acta per il caso di perdurante inottemperanza.
Per quanto qui rileva, in ordine alle spese di lite, il giudice di prime cure in applicazione del principio di soccombenza ha condannato il Ministero intimato al pagamento in favore del ricorrente delle spese processuali, liquidate nella somma di € 750,00 a titolo di compensi professionali, oltre agli accessori di legge e alla refusione del contributo unificato, da distrarre in favore dei difensori antistatari.
Ritenendo tale statuizione ingiusta ed erronea, l’appellante ne ha domandato la riforma.
Il Consiglio di Stato con sentenza depositata in data 10 novembre 2025 ha accolto l’appello evidenziando che “Con il primo motivo di appello è stata censurata la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 2233, c.c comma 2, tenuto conto che il TAR, pur avendo accolto integralmente le domande proposte dal ricorrente, ha liquidato le spese di giudizio in € 750,00, in violazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. n. 55/2014, in tema di Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, come modificato dal D.M. n. 147/2022, con conseguente valorizzazione delle spese del giudizio in favore della parte ricorrente, interamente vittoriosa in primo grado, per un importo inferiore a quello altrimenti determinabile sulla base dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense.
Con il secondo motivo di appello, invece, è stata censurata la violazione e falsa applicazione del D.M. 55/2014: Liquidazione delle spese inferiore ai minimi tariffari, tenuto conto che il TAR avrebbe liquidato le spese di giudizio in un importo inferiore ai minimi tariffari di cui al vigente D.M. n. 55/2014 e, in particolare, in misura inferiore a quanto previsto della tabella n. 21, colonna 4, riferita alle cause di competenza del Tribunale Amministrativo Regionale di valore indeterminabile, come quella oggetto del giudizio definito con la sentenza impugnata, quando, invece, la corretta applicazione dei parametri di cui al DM n. 55/2014 avrebbe condotto ad un compenso complessivo di € 8.852,00 (compenso tabellare valori medi) che, pur considerando le variazioni contemplate dalla disciplina ministeriale, non avrebbe potuto ammontare ad € 750,00, quale somma liquidata dal giudice nella sentenza impugnata.
L’appellante lamenta, quindi, che il giudice di prime cure non abbia tenuto conto in alcun modo dell’attività difensiva prestata, liquidando simbolicamente le spese di lite in una somma ben al di sotto dei minimi tariffari che costituiscono comunque parametro di orientamento per il giudice (il quale, se intende discostarsene, deve motivare la sua decisione).
Infatti, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari presente nel previgente sistema di liquidazione degli onorari professionali, i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le stesse soglie numeriche di riferimento previste dal D.M. n. 55 del 2014, con i relativi aumenti e diminuzioni, costituiscono criteri di orientamento della liquidazione del compenso, individuando, al contempo, la misura economica standard (quella media) del valore della prestazione professionale.
Secondo l’appellante, emergerebbe, dunque, la palese irragionevolezza della liquidazione operata dal giudice di prime cure, che si è limitato ad una valutazione simbolica del compenso, in contrasto con la normativa in materia e del principio della proporzionalità all’importanza dell’opera prestata dal difensore.
L’appellante richiama a supporto del gravame la giurisprudenza della Corte di Cassazione (in particolare, è richiamata la recente sentenza della Cassazione Civile, sez. II, 13 aprile 2023, n. 9815) in tema di liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite in base ai parametri di cui al Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, rubricato Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, articolo 13, comma 6.
I predetti motivi sono entrambi fondati alla luce dei principi affermati dalla pacifica giurisprudenza di questo Consiglio in materia di liquidazione delle spese del giudizio, cui il Collegio intende dare continuità.
A questo proposito, si richiamano, anche ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. b), c.p.a., le recenti sentenze della Sezione nn. 7251, 6935, 6923 e 6924 del 2025 e, con specifico riguardo al contenzioso concernente il silenzio inadempimento serbato dal Ministero sulle istanze di riconoscimento dei titoli professionali, che qui rileva, le sentenze n. 4802 e 4803 del 2025.
Nei ridetti precedenti si è in particolare affermato che: il TAR ha ampi poteri discrezionali in ordine alla statuizione sulle spese e, se del caso, al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, ovvero per escluderla (Cons. Stato, Ad. Plen., 24 maggio 2007, n. 8), tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi (per tutte, si veda Consiglio Stato, VI, 26 aprile 2021 n. 3345 e giurisprudenza ivi richiamata).
Tuttavia, qualora il TAR abbia disposto la condanna al pagamento delle spese, si deve tenere conto del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 (Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della L. 31 dicembre 2012, n. 247) (Consiglio di Stato Sez. IV, 23 novembre 2020, n. 7314; si veda anche Cons. Stato, V, 19 luglio 2023, n. 7078; id., 20 maggio 2024, n. 4457) e, in particolare, di quanto previsto negli artt. 4 e 5 del predetto decreto.
Nel definire la controversia, il giudice procedente è dunque tenuto a regolare le spese del giudizio avendo riguardo ai parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale dettati dal D.M. n. 55/2014, assumendo una decisione idonea ad influire sui rapporti tra le parti processuali, senza incidere sul differente ed autonomo rapporto tra l’avvocato e il cliente (cfr. Cass. civ. Sez. II, ord., 6 novembre 2018, n. 28267; si veda anche, più di recente, Corte di Cassazione, 27 luglio 2023, n. 22761 e Cass., Sez. II, 16 giugno 2024, n. 17613).
In particolare, ai sensi di quanto previsto dall’art. 4, comma 1, DM n. 55/2014 (relativo ai Parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale), nel definire l’importo delle spese del giudizio, ai fini della liquidazione del compenso, occorre valutate le peculiarità del caso concreto, tenuto conto delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate.
Inoltre, la norma prevede: “In ordine alla difficoltà dell’affare si tiene particolare conto dei contrasti giurisprudenziali, e della quantità e del contenuto della corrispondenza che risulta essere stato necessario intrattenere con il cliente e con altri soggetti. Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati fino al 50 per cento, ovvero possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento. Per la fase istruttoria l'aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione di regola fino al 70 per cento”.
L’art. 4, comma 5, del vigente D.M. n. 55/2014 specifica poi che “il compenso è liquidato per fasi”, avuto riguardo alla fase di studio della controversia, a quella introduttiva del giudizio, alla fase istruttoria e a quella decisionale, per la valutazione delle quali il giudice tener conto della complessità della questione oggetto del giudizio di primo grado.
Tali “parametri”, indicati dal comma 1 dell’articolo 4 del citato D.M., operano quindi come fattori di concretizzazione della liquidazione del compenso professionale, che muove da valori medi (indicati nella tabella allegata allo stesso D.M. n. 55 del 2014) su cui poter effettuare, poi, aumenti e diminuzioni secondo determinate percentuali indicate dalla norma.
Come è noto, il sistema delle tariffe professionali è stato abrogato ad opera dell’art. 9, 1° comma, della l. n. 27/2012. Successivamente, con la legge n. 247/2012 si è espressamente affermato che il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale (art. 13, l. 247/2012) e che, quando all’atto dell’incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, il compenso è liquidato dal giudice con riferimento ai parametri stabiliti con decreto del Ministro della giustizia (aggiornati a cadenza periodica ex art. 13, comma 6, l. 247/2012), ossia in base ai parametri previsti dal D.M. n. 55/2014, di recente rivisti e aggiornati dal D.M. 13 agosto 2022 n.147.
Il D.M. n. 55/2014 è stato, quindi, introdotto in un assetto ordinamentale che già contemplava l’abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico (Decreto Legge n. 1 del 2012, articolo 9, convertito, con modificazione, dalla L. n. 27 del 2012).
Pertanto, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari presente nel previgente sistema di liquidazione degli onorari professionali (L. n. 794 del 1942, articolo 24), i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le stesse soglie numeriche di riferimento previste dal Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, con i relativi aumenti e diminuzioni, costituiscono criteri di orientamento della liquidazione del compenso, individuando, al contempo, la misura economica standard (quella media) del valore della prestazione professionale.
Sicché, solo in caso di scostamento apprezzabile dai valori medi della tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014, il giudice è tenuto ad indicare i criteri che hanno guidato la liquidazione del compenso, fermo restando che il superamento dei valori minimi stabiliti in forza delle percentuali di diminuzione incontra il limite dell’art. 2233, comma 2, c.c., il quale preclude di liquidare somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione.
La norma da ultimo richiamata fa difatti salva la libera pattuizione del compenso tra il professionista e la parte che si avvale della prestazione professionale, fermo restando che “la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione” (art. 2233, 2° comma. c.c.).
Il rispetto dei parametri di cui al d.m. n. 55/2014 assicura la proporzione tra la prestazione professionale resa dall’avvocato e il compenso a questi liquidato (negli stessi termini, Cons. Stato, IV, 10 aprile 2024, n. 3270).
A norma dell’art. 2, comma 1, del predetto decreto, infatti, “Il compenso dell’avvocato è proporzionato all’importanza dell’opera”.
Importa, altresì, richiamare l’art. 5, comma 2 del citato decreto, il quale stabilisce che “Nella liquidazione dei compensi a carico del cliente si ha riguardo al valore corrispondente all'entità della domanda. Si ha riguardo al valore effettivo della controversia quando risulta manifestamente diverso da quello presunto anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti”.
La necessità di assumere a base della determinazione del compenso in sede giudiziale la disciplina dettata dal D.M. n. 55/14 non impedisce, tuttavia, all’organo giudicante di valorizzare la particolarità del caso concreto ai fini di una compensazione integrale o parziale delle spese (sul punto, si veda quanto chiarito dalla già citata sentenza del Consiglio di Stato, VI, 3345/2021).
Infatti, la condanna del soccombente al pagamento delle spese del giudizio non risulta avere una portata assoluta ed inderogabile, potendosene profilare la derogabilità – oltre che ex lege, con riguardo al tipo di procedimento e in presenza di elementi che giustifichino la diversificazione dalla regola generale -, anche su iniziativa del giudice del singolo processo, in caso di soccombenza reciproca, oltre che di assoluta novità della questione trattata, di mutamento della giurisprudenza o di altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni.
Del resto, proprio in relazione al processo amministrativo, in cui si valuta la corretta applicazione delle regole che governano l'azione amministrativa, spesso connotate da complessità e “soggette a mutamento nel tempo con effetto sulla graduazione degli interessi dalla stessa coinvolti, alla cui cura è preposto l'organo pubblico chiamato in giudizio” (Consiglio di Stato Sez. IV, 15 ottobre 2020, n. 6244), l’emersione di fattispecie particolari, caratterizzate dalla novità e dalla complessità delle questioni esaminate, è suscettibile di essere valorizzata ai fini della compensazione delle spese del giudizio, totale o anche soltanto parziale (con liquidazione delle spese in tale ultima ipotesi in un importo pure inferiore rispetto a quello altrimenti determinabile sulla base dei parametri di cui al DM n. 55/2014).
Infine, va ribadito che per costante orientamento della giurisprudenza “la sindacabilità in appello della condanna alle spese di lite comminata dal primo giudice, in quanto espressiva della discrezionalità di cui dispone il giudice in ogni fase del processo, è limitata solo all’ipotesi in cui venga modificata la decisione principale, salvo la manifesta abnormità” (ex multis, Cons. Stato, III, 21 ottobre 2015, n. 4808).
9.- Ciò premesso, avuto riguardo al caso all’esame, il TAR, nel regolare le spese del giudizio, ha liquidato, in favore dell’odierna appellante e a carico dell’amministrazione resistente, l’importo di € 750,00 oltre rifusione del contributo unificato e accessori come per legge, ove dovuti.
Tale liquidazione è stata operata, come correttamente rilevato dall’appellante, in violazione dei parametri dettati dal D.M. n. 55/2014, comunque orientanti la discrezionalità del giudice procedente nella determinazione del compenso in sede giudiziale.
Il TAR, infatti, si è limitato a dare atto della necessità di osservare il criterio di soccombenza, senza svolgere argomentazioni da cui desumere una decisione di compensazione parziale delle spese di lite; il che configura un errore inficiante la sentenza gravata, stante la liquidazione delle spese per un importo manifestamente inferiore rispetto a quello determinabile in base ai parametri recati dal D.M. n. 55/2014 e in assenza di ragioni di compensazione parziale enucleate nella pronuncia appellata, pertanto da riformare in parte qua. (…)”
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