Tuesday 24 November 2020 11:58:18

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Accordo tra pubbliche amministrazioni: l’applicabilità dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 24.11.2020

Nella fattispecie giunta all’esame della Sesta Sezione del Consiglio di Stato si controverte in merito ad un accorso concluso tra il Presidente della Regione Lazio (previa approvazione del relativo schema con delibera della giunta regionale n. 123 dell’8.4.2011) e il Sindaco di Marino (con presa d’atto del consiglio comunale con delibera n. 35 del 3.8.11) -e, quindi, tra i rappresentanti di due Pubbliche Amministrazioni-, per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune, volte a garantire un corretto ed equilibrato sviluppo del territorio di riferimento.

Ad avviso del Collegio si è, dunque, in presenza di un accordo tra pubbliche amministrazioni riconducibile al disposto dell’art. 15 L. n. 241 del 1990, soggetto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 15, comma 2, e 11, commi 2 e 3, L. n. 241 del 1990, ove non diversamente previsto, ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili.

Nella ricostruzione del regime giuridico applicabile in subiecta materia, al fine di verificare in che misura i principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti possano ritenersi compatibili con le peculiarità proprie degli accordi tra pubbliche amministrazioni, occorre tenere conto, da un lato, della natura giuridica assunta da tali atti convenzionali, dall’altro, del contenuto precettivo dagli stessi concretamente recato.

Sotto il primo profilo, deve osservarsi che gli accordi de quibus costituiscono atti preordinati al perseguimento di uno scopo comune, tesi ad instaurare una collaborazione tra due o più parti pubbliche, ciascuna nell’ambito della propria sfera di competenza, funzionale allo svolgimento di attività di interesse comune.

In particolare, diversamente da quanto accade in materia negoziale, in cui il contratto rappresenta uno strumento di composizione di un conflitto di interessi tra parti contrapposte -mediante la regolazione di un rapporto giuridico a contenuto patrimoniale-, sottoscrivendo accordi ex art. 15 L. n. 241/90, le Amministrazioni contraenti, poste in posizione equiordinata, tendono a realizzare un partenariato su ambiti di materie di interesse comune, funzionale al miglior svolgimento della pubblica funzione ovvero ad una più efficiente ed economia gestione di servizi pubblici di cui abbiano assunto la titolarità (Consiglio di Stato, sez. V, 3 settembre 2020, n. 5352).

Come precisato da questo Consiglio, “[la] dottrina interna aveva già intuito questa antiteticità tra accordi e contratti, avendo coniato con riguardo ai primi l'espressione contratti "ad oggetto pubblico", ponendone quindi in rilievo la differenza rispetto al contratto privatistico ex art. 1321 cod. civ., del quale contengono solo l'elemento strutturale dato dall'accordo ai sensi del n. 1 della citata disposizione, senza che ad esso si accompagni tuttavia l'ulteriore elemento del carattere patrimoniale del rapporto che con esso si regola.

Come nel contratto, le amministrazioni pubbliche stipulanti partecipano all'accordo ex art. 15 in posizione di equiordinazione, ma non già al fine di comporre un conflitto di interessi di carattere patrimoniale, bensì di coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune. Il quale coordinamento può anche implicare la regolamentazione di profili di carattere economico, ma come necessario riflesso delle attività amministrative che in esso sono interessate.

Nella prospettiva ora accennata deve essere apprezzato il carattere "comune" alle amministrazioni stipulanti dell'interesse pubblico perseguito, che vale a distinguere gli accordi dai contratti.

Pertanto, il predicato in questione può essere soddisfatto solo quando vi sia una "sinergica convergenza" su attività di interesse comune, pur nella diversità del fine pubblico perseguito da ciascuna amministrazione” (Consiglio di Stato, sez. V, 28 marzo 2017, n. 1418; 23 giugno 2014, n. 3130).

La particolare natura giuridica degli accordi tra pubbliche amministrazioni – strumenti giuridici funzionali alla regolazione di un rapporto pubblicistico tra soggetti titolari di interessi comuni – condiziona il regime giuridico concretamente applicabile.

Difatti, da un lato, sembra debba ammettersi la possibilità, per ciascuna Amministrazione, di riesaminare la legittimità o l’opportunità della propria partecipazione al vincolo convenzionale, attraverso l’esercizio dei poteri di autotutela decisoria; dall’altro, l’applicazione dei principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti deve essere subordinata alla compatibilità con la natura pubblicistica di tali strumenti convenzionali.

Avuto riguardo all’ammissibilità dell’autotutela decisoria, si osserva che gli accordi in esame configurano una modalità consensuale di esercizio del pubblico potere, venendo conclusi per il migliore perseguimento del pubblico interesse affidato alla cura delle Amministrazioni contraenti.

La rispondenza al pubblico interesse costituisce, dunque, la causa giustificatrice del partenariato attuato tra le amministrazioni contraenti, sicché una sua carenza originaria ovvero una sua rivalutazione in costanza di rapporto sarebbe idonea a condizionare, rispettivamente, la validità e la perdurante efficacia del vincolo consensuale.

Ciascuna Amministrazione, pertanto, ove ritenga che l’accordo ex art. 15 L. n. 241 del 1990 non sia o non sia più funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico comune sotteso alla pattuizione, potrebbe riesaminare la legittimità o l’opportunità della propria partecipazione all’accordo, agendo in autotutela al fine di sciogliersi dal relativo vincolo consensuale (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 20 giugno 2019, n. 4206, che ha riconosciuto il potere di revoca a fronte di un accordo concluso tra pubbliche Amministrazioni).

Parimenti, avendo riguardo ai principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti, la loro applicazione deve essere valutata tenendo conto della particolare natura giuridica degli accordi in esame, come reso manifesto dalla clausola di compatibilità dettata dal combinato disposto degli artt. 15, comma 2, e 11, comma 2, L. n. 241 del 1990, facendosi questioni di accordi ad oggetto pubblico e non di contratti a contenuto patrimoniale.

Pertanto, difettando una contrapposizione di interessi individuali, suscettibili di realizzazione mediante prestazioni in rapporto di sinallagmaticità, non sembrano applicabili in subiecta materia le disposizioni civilistiche regolanti i contratti a prestazioni corrispettive, tendenti a garantire l’equilibrio genetico e funzionale dello scambio convenuto tra le parti (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 20 giugno 2019, n. 4206, che nega la riconducibilità degli accordi tra pubbliche amministrazioni al sinallagma contrattuale tipico dei contratti a prestazioni corrispettive).

2.4 Il regime giuridico degli accordi tra pubbliche amministrazioni, oltre ad essere condizionato dalla natura pubblicistica dell’oggetto regolato, risente del contenuto dispositivo suscettibile di essere concordato tra le parti, configurandosi sia accordi, prevalentemente, di natura politico istituzionale, necessitanti di successivi atti per il perseguimento degli obiettivi comuni indicati, sia accordi dal contenuto dettagliato, volti a definire i reciproci impegni assunti dalle parti per la realizzazione dell’interesse comune.

Al riguardo, questo Consiglio ha rilevato che “Se il protocollo d’intesa ha un contenuto prevalentemente politico istituzionale all’eventuale mancata attuazione di uno degli impegni assunti non potrà che provvedersi con modalità istituzionali. Infatti, tali protocolli d’intesa non contengono, normalmente, clausole idonee ad assumere rilievo anche sul piano civilistico.

10.2. - Viceversa il mancato adempimento di un impegno assunto in un protocollo d’intesa riguardante la gestione comune di un servizio pubblico può comportare anche conseguenze di natura civilistica.

10.3. - In uno stesso protocollo d’intesa possono poi individuarsi disposizioni più o meno cogenti e, normalmente, gli stessi protocolli d’intesa prevedono le conseguenze per il mancato rispetto di una o più delle clausole contenute nell’accordo sottoscritto” (Consiglio di Stato, sez. III, 24 giugno 2014, n. 3194)

Le conseguenze derivanti dalle condotte assunte da ciascuna parte nell’ambito di un accordo ex art. 15 L. n. 241 del 1990 risentono, dunque, oltre che dalla natura giuridica di siffatti strumenti convenzionali, anche dal contenuto dispositivo all’uopo concordato, in specie avuto riguardo al grado di dettaglio delle clausole convenute e degli impegni reciprocamente assunti dalle parti.

(…) si osserva che l’eccezione di inadempimento, pur rispondendo ad un principio generale civilistico in materia contrattuale - che consente alla parte di sottrarsi, a fronte dell’altrui inadempimento, all’adempimento dell’obbligazione su di sé gravante (inadimplenti non est adimplendum) - risulta operante, come reso palese dall’art. 1460 c.c., per i “contratti con prestazioni corrispettive”, giustificandosi nell’esigenza di mantenere inalterato, in fase esecutiva, il sinallagma contrattuale alla base della pattuizione negoziale (cfr. Cass., Sez. 2, n. 7701 del 1994 e Sez. 3, n. 24899 del 2005).

Come precisato dalla Corte di cassazione, in materia di contratti a prestazioni corrispettive, l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. involge una valutazione di confronto tra i due inadempimenti (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 26334 del 17/10/2019), richiedendo di individuare il comportamento prevalente che abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto, dando causa al giustificato inadempimento dell'altra parte (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3455 del 12/02/2020).

L’accordo ex art. 15 L. n. 241 del 1990, tuttavia, non può essere assimilato ad un contratto a prestazioni corrispettive, non traducendosi in uno scambio tra parti titolari di interessi contrapposti, instaurando, invece, come supra osservato, un rapporto di collaborazione determinato dalla comunanza di interessi pubblici in concreto perseguiti.

Il motivo di appello è, pertanto, infondato, in primo luogo e in maniera dirimente, in quanto incentrato sull’applicazione di una disciplina civilistica propria dei contratti a prestazioni corrispettive, come tale non compatibile con la natura giuridica degli accordi ex art. 15 L. n. 241 del 1990 e, pertanto, ad essi non estendibile.

 In ogni caso, si osserva che il protocollo di intesa non reca un contenuto precettivo puntuale, non definendo specifici obblighi gravanti sulle parti contraenti, bensì delineando finalità programmatiche da attuare in sede amministrativa. Per approfondire continua la lettura della sentenza.

 

Testo del Provvedimento (Contenuto Riservato)

 

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