Sunday 10 January 2021 07:29:19
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 8.1.2021
“la dicatio ad patriam è ravvisabile ogni qualvolta il comportamento del proprietario, pur se non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, ponga volontariamente, con carattere di continuità, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività “uti cives” - “e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato” (Consiglio di Stato, V, 14 febbraio 2012, n. 728) - “indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto” (in termini, Cassazione Civile, II, 13 febbraio 2006, n. 3075).
La dicatio ad patriam, come modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, si perfeziona, quindi, già con l'inizio dell'uso pubblico quando sia verificato il comportamento del proprietario che denoti la volontà di mettere l'area di proprietà privata a disposizione della collettività indifferenziata, e questa sia utilizzata per il soddisfacimento di un interesse comune della collettività (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 21 giugno 2007, n. 3316; Cassazione civile, Sez. I, 16 marzo 2012 n. 4207; Cassazione civile, Sez. II, 21 maggio 2001 n. 6924; id. 13 febbraio 2006 n. 3075)” (T.A.R. Veneto, Venezia, II, 12 marzo 2015, n. 305), consistendo, appunto, nella “destinazione volontaria, definitiva e gratuita, della proprietà immobiliare al servizio della collettività, in assenza di riserve o reazioni” dei proprietari.
Dunque, secondo la giurisprudenza, affinché un’area privata possa ritenersi sottoposta ad una servitù pubblica di passaggio, è necessaria, oltre all’intrinseca idoneità del bene, che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico generale interesse.
Non vi è, invece, uso pubblico qualora il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari dei fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, ovvero da coloro che abbiano occasione di accedervi per esigenze connesse ad una privata utilizzazione (Cass. Civ., II, 23 maggio 1995, n. 5637), oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici (Cons. di Stato, Sez., V, 14 febbraio 2012, n. 728).
In sintesi, dunque, affinché una strada privata possa essere assoggettata ad uso pubblico essa deve essere idonea a soddisfare esigenze di interesse generale.
Pertanto, l’assoggettamento di una via privata alla pubblica utilità richiede un’adeguata motivazione in ordine alla concreta idoneità della strada a soddisfare dette esigenze collettive nonché un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico come, ad esempio, la protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile.
In conclusione, la prova della servitù di uso pubblico di una strada richiede, quindi, oltre all’uso pubblico, un atto pubblico o privato ovvero l’intervenuta usucapione ventennale, fermo restando l’accertamento dell’idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere pubblico (si veda Cons. di Stato, V, 1 dicembre 2003, n. 7831). (…) secondo la giurisprudenza, affinché possa considerarsi esistente una servitù pubblica di passaggio su di una strada realizzata in area privata, ovvero che essa:
a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di persone, e non soltanto da quei soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato;
b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale;
c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della Pubblica amministrazione (cfr. tra le tante Cons. Stato Sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2544).
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