Monday 03 September 2018 10:40:24
Giurisprudenza Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 30.8.2018
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza depositata in data 30 agosto 2018 ha affermato che l’accesso alla documentazione amministrativa è oggetto di un diritto soggettivo di cui il giudice amministrativo conosce in sede di giurisdizione esclusiva, per cui il giudizio proposto, ai sensi dell’art. 116 c. c.p.a. avverso il diniego opposto dalla p.a., ha per oggetto la verifica della spettanza o meno del diritto medesimo, piuttosto che la verifica della sussistenza o meno di vizi di legittimità del provvedimento impugnato (Cons. Stato, Sez. IV, 26 luglio 2012, n. 4261).
Nel caso di specie, l’amministrazione ha comunque correttamente rilevato che «per quanto concerne in particolare le valutazioni espresse dalla Commissione sui candidati promossi, si ricorda altresì che si tratta di documentazione sottratta all’accesso ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. b del Decreto del Ministro degli Affari Esteri n. 604 del 7 settembre 1994».
Secondo la disposizione testé menzionata, «Ai sensi dell'art. 8, comma 5, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352 , in relazione all'esigenza di salvaguardare notizie concernenti la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, gruppi, imprese, associazioni, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici, sono sottratte all'accesso le seguenti categorie di documenti: […] b) rapporti informativi sul personale del Ministero nonché note caratteristiche a qualsiasi titolo compilate sul predetto personale».
La disposizione è tuttora in vigore per effetto della disposizione transitoria di cui all’art. 14, comma 1, del d.P.R. n. 184 del 2006 secondo cui «Il diritto di accesso non può essere negato o differito, se non nei casi previsti dalla legge, nonché in via transitoria in quelli di cui all’articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352, e agli altri atti emanati in base ad esso».
L’art. 8 del d.P.R. n. 352 del 1992 è ancora in vigore non essendo stato ad oggi emanato il regolamento di cui all’art. 24, comma 6, della l. n. 241/90, così come novellata dalla l. n. 15/2005 (cfr. l’art. 15 del d.P.R. n.184 del 2006).
Nel caso di specie, le ragioni sottese al diniego riguardano poi non soltanto la tutela della riservatezza dei colleghi della dottoressa -OMISSIS- ma anche (se non soprattutto) la necessità di salvaguardare la “sicurezza nazionale” e la “correttezza delle relazioni internazionali” di cui all’art. 24, comma 6, della l. n. 241/90 poiché, data la peculiarità del rapporto di impiego in esame, anche nei rapporti informativi relativi al personale diplomatico possono esservi riflessi o richiami a situazioni e contesti che riguardano tali relazioni.
Le stesse ragioni si oppongono anche alla divulgazione dei fascicoli personali dei diplomatici, in cui confluiscono, insieme ai rapporti informativi, tutti gli atti previsti dall’art. 24 del d.P.R. n. 686 del 1957 (cfr. l’art. 2 comma 2, nonché, con specifico riguardo agli atti aventi rilevanza ai fini dell’attività delle commissioni di avanzamento, l’art. 3 del d.P.R. n. 311 del 2003 recante “modalità di tenuta dei fascicoli personali del personale della carriera diplomatica, ai sensi dell'articolo 113 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18”).
Vero è che, come ricordato dall’appellata, il c.d. accesso difensivo prevale anche sulle esigenze di segretezza specificamente tutelate.
Il legislatore ha infatti operato a monte un bilanciamento degli interessi, affermando la cedevolezza delle esigenze connesse alla segretezza, dinanzi a quelle alla difesa degli interessi dell’istante, ove i documenti risultino a tal fine necessari (Cons. Stato, Sez. IV, 3 settembre 2014, n. 4493).
Il tenore letterale e la ratio dell’art. 24, comma 7, legge n. 241/1990 impongono però «un'attenta valutazione — da effettuare caso per caso — circa la stretta funzionalità dell'accesso alla salvaguardia di posizioni soggettive protette, che si assumano lese, con ulteriore salvaguardia, attraverso i limiti così imposti, degli altri interessi coinvolti, talvolta rispondenti a principi di pari rango costituzionale rispetto al diritto di difesa. In tale ottica solo una lettura rigorosa, che escluda la prevalenza acritica di esigenze difensive anche genericamente enunciate, in effetti, appare idonea a sottrarre la medesima norma a dubbi di costituzionalità, per irragionevole sacrificio di interessi protetti di possibile rilevanza costituzionale e comunitaria» (Cons. Stato, Sez. VI, 18 giugno 2015, n. 3122).
Tale strumentalità, nel caso di specie, è stata tuttavia già negata dalla Sezione con la sentenza n. 4838 del 19 ottobre 2017, relativa agli atti afferenti alla procedura di promozione a Consigliere d’Ambasciata, precedente a quella in esame, cui pure ha partecipato la dottoressa -OMISSIS- (Cons. Stato, Sez. IV, 19 ottobre 2017, n. 4838).
Dalle argomentazioni ivi esposte, non vi sono ragioni per discostarsi.
In particolare, la Sezione ha richiamato la peculiarità della procedura di promozione al grado di Consigliere d'Ambasciata.
L'art. 105 del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, prevede che «Per l'avanzamento al grado superiore il funzionario diplomatico, oltre ad aver disimpegnato egregiamente le funzioni del proprio grado, deve possedere i requisiti di carattere, intellettuali e di cultura, di preparazione e di formazione professionale necessari alle nuove funzioni. Per la promozione al grado di consigliere di ambasciata e le nomine ai gradi superiori i predetti requisiti debbono essere posseduti in modo eminente, in relazione alle funzioni di alta responsabilità da esercitare».
Nell’ambito di tale procedura la commissione valuta, in un primo momento, i singoli profili personali e professionali degli aspiranti, onde verificare il possesso degli anzidetti requisiti in modo eminente; e, in un successivo momento, nella fase propriamente comparativa, nomina in ordine di importanza e nei limiti dei posti disponibili nel grado a cui si deve accedere, coloro che, già in possesso di un giudizio di eminenza, presentino una valutazione complessiva globale comparativamente migliore.
Nel caso di specie, per quanto concerne la valutazione “in chiave comparativa” cui si fa riferimento nel verbale n. 5 del 22 luglio 2016, va poi precisato che si tratta di un’espressione usata dalla commissione non già per attestare l’esistenza di una vera e propria comparazione tra i candidati, bensì per evidenziare la differenza che sussiste tra i profili dei funzionari idonei alla promozione e quelli che non hanno ancora raggiunto il livello di eminenza richiesto.
Avuto riguardo alla natura del procedimento in esame, i documenti richiesti dall’odierna appellata e non ostesi dall’amministrazione, non risultano strumentali alla tutela di una posizione giuridica soggettiva agli stessi direttamente collegata poiché ella non ha raggiunto la qualità di “eminenza” che le avrebbe consentito di reclamare, in via successiva, il diritto di accedere ai documenti riguardanti altri aspiranti al fine dell’ottenimento di un’eventuale sua migliore collocazione in graduatoria.
Va ancora soggiunto che la dottoressa -OMISSIS- non ha né impugnato il proprio “medaglione” né comunque allegato l’illogicità o l’irrazionalità della scelta di negarle la promozione.
Sicché in definitiva manca la finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale e non meramente emulativo o potenziale, connesso alla disponibilità dell’atto o del documento del quale si richiede l’accesso (Consiglio di Stato, sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2269).
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