Sunday 09 April 2017 09:24:02

Giurisprudenza  Giustizia e Affari Interni

Diffamazione a mezzo stampa: il risarcimento del danno alla reputazione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza della Corte di Cassazione Sez. I del 5.4.2017

«Nella diffamazione a mezzo stampa, il danno alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non é "in re ipsa", ma richiede che ne sia data prova, anche a mezzo di presunzioni semplici». Lo ha ribadito la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione nella sentenza pubblicata in data 5.4.2017 nella quale ha affermato che, nel caso esaminato, sono state indicate (vicenda svoltasi «in ambiente sociale di provincia», con «pregiudizio dei rapporti sociali» e «sofferenze morali soggettive») ma in questa sede non sono state specificamente censurate. Per approfondire scarica la sentenza.

 

Testo integrale del Provvedimento
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Corte di Cassazione

Civile Sent. Sez. 1   Num. 8807  Anno 2017

Presidente: RAGONESI VITTORIO

Relatore: GENOVESE FRANCESCO ANTONIO

Data pubblicazione: 05/04/2017

***

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso [violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., 115 cod. proc. civ. e dei principi generali in materia di onere della prova; 21 Cost., 51 e 595 cod. pen. in tema di verità (oggettiva e/o putativa) della notizia, in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.] i ricorrenti, premesso che avevano allegato alle proprie difese la sentenza resa dal Tribunale penale n. 15069 del 2005 (dalla quale risultava, a p. 3, il fatto che i querelanti erano imputati del reato di truffa aggravata, nonché della pendenza di altri due procedimenti, uno archiviato davanti alla PR presso la Corte dei conti dell'Abruzzo e l'altro conclusosi con la loro assoluzione davanti al GIP di Vasto) e che gli attori non avrebbero specificamente contestato l'esistenza della informativa della PG a loro carico e la corrispondenza della notizia relativa agli atti d'indagine al suo contenuto, lamentano l'omesso esame del documento depositato e la violazione di legge in considerazione del fatto che, non essendo oggetto di contestazione né l'esistenza del procedimento né dell'informativa di PG che vi aveva dato luogo, essi non erano tenuti a provare l'esistenza del documento (l'informativa di PG) e la corrispondenza della notizia oggetto dell'articolo al contenuto del documento menzionato, in rapporto al principio della verità, anche putativa. 

2.Con il secondo motivo [violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., 115 cod. proc. civ. e dei principi generali in materia di onere della prova; 21 Cost., 51 e 595 cod. pen. in tema di verità (oggettiva e/o putativa) della notizia, in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.] i ricorrenti, premesso che avevano allegato alle proprie difese la sentenza resa dal Tribunale penale n. 15069 del 2005 (dalla quale risultava, a p. 3, il coinvolgimento del Monteferrante nei procedimenti menzionati al § precedente) e che gli attori non avrebbero specificamente contestato l'esistenza della informativa della PG anche a carico del Monteferrante e la corrispondenza della notizia relativa agli atti d'indagine al suo contenuto, lamentano l'omesso esame del documento depositato e la violazione di legge in considerazione del fatto che, non essendo oggetto di contestazione né l'esistenza del procedimento né dell'informativa di PG che vi aveva dato luogo, essi non erano tenuti a provare l'esistenza del documento (l'informativa di PG) e la corrispondenza della notizia oggetto dell'articolo al contenuto del documento menzionato, in rapporto al principio della verità, anche putativa.

3.Con il terzo [violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., 115 cod. proc. civ. e dei principi generali in materia di onere della prova; 21 Cost., 51 e 595 cod. pen. in tema di pubblicazione di una intervista, 2043 cod. civ., in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.] i ricorrenti, premesso che l'articolo conteneva l'intervista al dr. Angelini, manager della struttura al momento della pubblicazione dell'articolo, il quale aveva affermato l'esistenza di irregolarità nella precedente gestione e di avere denunciato i fatti, e che gli attori non avrebbero specificamente contestato l'esistenza dei fatti, riconosciuti dal Tribunale in sede penale, lamentano l'omesso esame dell'intervista e la violazione di legge in rapporto al principio della verità, anche putativa.

4.Con il quarto [Omesso esame di un documento decisivo ai fini del giudizio, ossia la sentenza di Cassazione, in relazione all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ.] i ricorrenti, trascritta la pag. 1 della sentenza penale n. 24041 del 2008 della Corte di cassazione (peraltro depositata agli atti),dove sarebbe stata affermata l'esistenza di irregolarità nella precedente gestione della struttura sanitaria e della denuncia dei fatti, e che gli attori non avrebbero specificamente contestato, lamentano l'omesso esame della pronuncia dalla quale risulterebbe il riconoscimento della verità delle notizie pubblicate.

5.Con il quinto [violazione e falsa applicazione dell'art. 213 cod. proc. civ., 200 cod. proc. pen.; 21 Cost., in tema di acquisizione di atti di un procedimento penale, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ.] i ricorrenti, premesso che la sentenza impugnata aveva ritenuto inammissibile la loro richiesta di ordinare l'esibizione degli atti del procedimento penale svoltosi a carico degli attori, lamentano la violazione dei richiamati dispositivi di legge atteso che, da un lato, essi non avrebbero diritto ad ottenerne copia (non essendo parti di quel giudizio) e, da un altro, anche in ragione del diritto al segreto delle fonti informative, quello dell'esibizione era l'unico mezzo per garantire anche il rispetto del diritto costituzionale al segreto sulle fonti informative.

6.Con il sesto [violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1226 cod. civ., e del comb. disp. degli artt. 2059 e 2043 cod. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ.] i ricorrenti lamentano che sia stata considerata esistente la prova del danno (e dell'entità della sua liquidazione) in difetto della prova e in violazione dei principi giurisprudenziali, al riguardo elaborati. 

7. I primi quattro mezzi, tra di loro strettamente connessi ed analoghi nelle deduzioni, vanno esaminati congiuntamente e dichiarati inammissibili.

7.1. Con essi si lamenta che, a fronte del principio di non contestazione (non avendo le parti attrici messo in dubbio l'esistenza dell'informativa di PG (e la qualità del Monteferrante, ivi considerato come un amministratore di fatto della struttura sanitaria), sia stato ascritto agli odierni ricorrente la mancata produzione e deposito del documento di riferimento, in relazione all'esistenza ed al contenuto del quale non v'erano state contestazioni, come si desumerebbe dalle due sentenze allegate agli atti (quella del Tribunale penale e quella della Cassazione penale), così come si evincerebbe anche dalla intervista comparsa assieme all'articolo censurato.

7.2. I ricorrenti mostrano di fare applicazione indebita del principio di non contestazione che, com'è stato di recente puntualizzato, «riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, né la loro valenza probatoria la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è riservata al giudice» (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12748 del 2016).

7.3. In sostanza, dai documenti evidenziati (non contestati dagli attori, anche in quanto la loro emanazione sia derivata da una informativa di PG) non può trarsi, in alcun modo, la conclusione che il tenore dell'articolo censurato e pubblicato sul quotidiano corrispondesse ai contenuti della informativa della Guardia di Finanza - Nucleo di PT, dal quale era cominciato il processo penale a carico degli attori, conclusosi però a loro favore.

7.4. Richiamare tali documenti, per pervenire al risultato dell'inferenza di conformità tra l'articolo di denuncia e l'informativa di PG è un'operazione impossibile e le censure svolte dai ricorrenti a tali fini, perciò, equivalgono a inammissibili doglianze in ordine alle conclusioni a cui è giunta la Corte territoriale, la quale ha basato il suo giudizio di responsabilità dei ricorrenti proprio in base al fatto materiale del mancato deposito dell'informativa, che si assumeva fonte della cronaca giornalistica, e la cui assenza impediva al Collegio giudicante di raffrontare i contenuti dell'articolo con quelli dell'atto di PG, in modo da pervenire alla conclusione del compimento di una attività scriminata.

7.5. Quest'ultima, come affermato dal giudice a quo, avrebbe potuto trarsi solo dalla produzione del documento più volte menzionato, alla luce del principio di diritto - costituente diritto vivente e che si condivide -, secondo cui «in tema di diritto di cronaca giornalistica, la verità di una notizia, mutuata da un provvedimento giudiziario, sussiste ogniqualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso. È pertanto sufficiente che l'articolo pubblicato corrisponda al contenuto degli atti e provvedimenti della autorità giudiziaria, non potendo richiedersi al giornalista di dimostrare la fondatezza delle decisioni assunte in sede giudiziaria e dovendo, d'altra parte, il criterio della verità della notizia essere riferito agli sviluppi di indagine ed istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell'articolo e non già, secondo quando successivamente accertato in sede giurisdizionale.» (Cass. pen.,Sez. 5, Sentenze: nn. 2842 del 1999; 8935 del 2000; 6924 del 2000; 43382 del 2010).

7.6. Né si può ragionevolmente pensare che la verità putativa, come definibile al momento del resoconto giornalistico, potesse scaturire, dalla sentenza del Tribunale, che conteneva la statuizione di condanna dei due responsabili (il giornalista, autore dell'articolo, ed il direttore responsabile del quotidiano), non certo di loro assoluzione, e da quella della Cassazione, che ha cancellato la pronuncia di assoluzione della Corte d'appello penale (non certo per una diversa diagnosi di colpevolezza) ed statuito l'estinzione del reato per prescrizione: insomma due pronunce che, pur nelle premesse sull'esistenza della informativa della G.d.F., nulla dicono circa il tenore di quella, ma il cui esame è stato correttamente ritenuto indispensabile dalla Corte territoriale per raffrontarne il contenuto con i due articoli ritenuti offensivi.

7.7. Né da un'intervista (peraltro neppure riportata e trascritta, con modalità autosufficienti) può, altrettanto ragionevolmente, pervenirsi a considerazioni surrogatorie di specifiche informazioni che - secondo il diritto vivente richiamato - devono essere esaminate di "prima mano", guardando e comparando tra di loro i due testi (articolo e denuncia di PG), alla ricerca della cd. verità putativa.

7.8. Tanto precisato in ordine ai principi sulla verità putativa e sulla documentazione idonea a fornirne la prova, va esaminato il quinto mezzo di cassazione, l'unico attinente proprio al documento di cui si chiedeva, a ragione come si è detto, la produzione in giudizio.

8. Il quinto motivo lamenta, infatti, il mancato accoglimento della richiesta di esibizione degli atti del processo penale a carico dei due attori (e querelanti), per l'asserita impossibilità dei convenuti di procurarseli e di non rivelare le proprie fonti informative

8.1. Anche tale motivo, però, è inammissibile poiché esso poteva essere suscettibile di scrutinio (e di accoglimento, in caso di mancata motivazione e giustificazione da parte del giudice di merito) solo ove i ricorrenti avessero allegato e dimostrato di aver richiesto all'AG competente il rilascio delle copie degli atti reputati necessari ai fini della prova della scriminante e di non averli ottenuti (per le più varie ragioni ovvero per mancata risposta da parte del magistrato del PM o del giudice competente a rilasciarle), ciò che non è stato neppure speso nel corso di tutto il giudizio e che non è stato neppure allegato dalle parti odierne ricorrenti sicché esso non può essere neppure scrutinato in questa sede (per difetto del suo pre-requisito: la richiesta di accesso agli atti o di copia degli stessi).

9. Il sesto è del pari inammissibile alla luce del principio di diritto secondo cui «nella diffamazione a mezzo stampa, il danno alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non é "in re ipsa", ma richiede che ne sia data prova, anche a mezzo di presunzioni semplici» (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24474 del 2014) che, nel caso esaminato, sono state indicate (vicenda svoltasi «in ambiente sociale di provincia», con «pregiudizio dei rapporti sociali» e «sofferenze morali soggettive») ma in questa sede non sono state specificamente censurate.

10. il ricorso è complessivamente inammissibile e, in conseguenza della sua sostanziale reiezione, le relative spese sono da porre a carico dei soccombenti in solido e liquidate, in favore dei due controricorrenti in solido, come da dispositivo, in uno con la dichiarazione di sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore dei resistenti, in solido, in complessivi C 5.200,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre spese generali forfettarie ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater,del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. I, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso di cui al procedimento n. 10994/15, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della la sezione civile della Corte di cassazione, il 1 febbraio 2017, dai magistrati sopra indicati.

 

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