Monday 21 April 2014 10:04:59

Giurisprudenza  Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali

Compete al Sindaco, quale organo di rappresentanza dell'ente, salvo deroga statutaria, il conferimento della procura alle liti del difensore senza la necessità di preventiva autorizzazione della giunta o del dirigente competente

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 16.4.2014

Nella vicenda in esame il decreto sindacale con il quale sono state disposte la riassunzione del giudizio e la conferma dell’incarico professionale di difesa dell’Ente pone a proprio fondamento l’art. 70, comma 2, dello Statuto comunale che conferisce al Sindaco, con la rappresentanza legale dell’Ente, il potere di promuovere e resistere alle liti ed i correlativi poteri di conciliare, rinunciare, transigere e di conferire la procura alle liti, sentiti facoltativamente la Giunta o il dirigente competente a seconda che si verta in materia di atti di governo o di gestione.La norma statutaria legittima, quindi, la competenza sindacale in materia.Questa conclusione, ad avviso della Quinta Sezione del Consiglio di Stato, è inoltre avvalorata dalla sovraordinata normativa generale, nell’interpretazione comunemente datane dalla Sezione.La posizione della Sezione sul tema è stata ricordata con chiarezza, di recente, dalla decisione 7 febbraio 2012 n. 650, con la quale è stato rilevato che “la decisione di agire e resistere in giudizio ed il conferimento del mandato alle liti competono in via ordinaria e salva deroga statutaria, al rappresentante legale dell'ente, senza bisogno di autorizzazione della giunta o dei dirigente competente ratione materiae (C.d.S., sez. V, 18 marzo 2010, n. 1588; 7 settembre 2007, n. 4721, 16 febbraio 2009, n. 848; sez. VI, 1° ottobre 2008, n. 4744; 9 giugno 2006, n. 3452; Cass. civ. sez. I, 17 maggio 2007, n. 11516), ferma restando tuttavia la possibilità dello statuto (competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio) di prevedere l'autorizzazione della giunta (ovvero di richiedere una preventiva determinazione del dirigente ovvero ancora di postulare l'uno e l'altro intervento) (Cass. SS.UU., 16 giugno 2005, n. 12868).”Poco dopo, questa stessa Sezione con la decisione 11 maggio 2012 n. 2730 ha specificamente disatteso la tesi che vedrebbe attribuito al dirigente ratione materiae il compito di scegliere il legale e, comunque, di autorizzare il conferimento del relativo patrocinio, osservando nell’occasione quanto segue: “La Sezione non ravvisa ragione di discostarsi dall'orientamento interpretativo secondo cui compete al Sindaco o al Presidente della Provincia, ai sensi del D.lgs. n. 267/2000, quale organo di rappresentanza dell'ente, il conferimento della procura alle liti del difensore senza la necessità di alcuna preventiva autorizzazione (Cons. St., Sez. VI, 1° ottobre 2008, n. 4744; Cons. St., Sez. VI, 9 giugno 2006, n. 3452; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 5 dicembre 2006 n. 10402; Cass. civ., Sez. Un., 10 dicembre 2002, n. 17550).” Per approfondire cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale * del 2002, proposto dal Comune di Gravina in Puglia, rappresentato e difeso dall'avv. Giacomo Valla, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza 24; 

contro

 

Capone Pietro e Capone Salvatore, rappresentati e difesi dall'avv. Fabrizio Lofoco, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, viale G. Mazzini 6;

Giorgio Capone, rappresentato e difeso dall'avv. Fabrizio Lofoco, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI, SEZIONE II, n. 1702/2002, resa tra le parti, concernente diniego autorizzazione impianto n. 6 paletti metallici a delimitazione di un’area.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2014 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti gli avvocati Giacomo Valla e Fabrizio Lofoco;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

I signori Pietro e Salvatore Capone proponevano ricorso dinanzi al T.A.R. per la Puglia (il primo agendo in proprio ma anche quale procuratore speciale del secondo) per l’annullamento della nota del Capo Servizio Urbanistica ed Edilizia del Comune di Gravina di Puglia n. prot. 3502/02, che aveva respinto la loro richiesta del 30 gennaio 2001 di essere autorizzati all’impianto di sei paletti metallici collegati tra loro con una catena a delimitazione di un’area urbana di loro proprietà, nonché all’apposizione in sito di un segnale stradale di divieto di transito.

Poiché sulla part.lla n. 2023 dell’area esisteva una ex Chiesa, immobile sottoposto a vincolo storico-artistico, e l’intera area era gravata da vincolo indiretto, la richiesta dei sigg.ri Capone era stata indirizzata in pari tempo anche alla Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici, che peraltro si era limitata a disporre degli accertamenti preliminari con una nota del 19 aprile 2001.

Anche tale atto formava oggetto dell’impugnativa giurisdizionale dei sigg.ri Capone.

Il Comune di Gravina di Puglia resisteva al ricorso, difendendo la legittimità del proprio provvedimento negativo e deducendo l’infondatezza delle doglianze di parte.

All’esito del giudizio il Tribunale adìto, con la sentenza n. 1702/2002 in epigrafe, così statuiva:

- dichiarava inammissibile la domanda diretta all’accertamento del diritto di proprietà dei ricorrenti con facoltà di esercitarlo escludendo ogni altro soggetto, trattandosi di questione esorbitante dalla giurisdizione amministrativa;

- dichiarava improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse l’impugnativa proposta dai medesimi avverso la nota della Soprintendenza del 19 aprile 2001, poiché nelle more del giudizio era sopravvenuto il parere della stessa Amministrazione, espresso in data 22 ottobre 2001 in senso favorevole alla richiesta (pur con una minore altezza dei paletti);

- accoglieva il ricorso, infine, nella parte avversante il provvedimento negativo emesso dal Comune, ritenendo inconsistenti le ragioni che l’Ente aveva addotto nella motivazione del proprio atto.

Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, il T.A.R. disattendeva la tesi del Comune che l’area interessata dovesse essere considerata come pubblica o quantomeno soggetta a servitù di uso pubblico. Il giudicante riteneva che l’allegata servitù non si fosse consolidata, stanti gli atti interruttivi compiuti dai sigg.ri Capone, e che il passaggio pubblico pedonale e/o carrabile nell’area integrasse solo un “mero stato di fatto, non consolidato in posizione giuridicamente tutelabile e dunque non ostativo all’esercizio delle facoltà inerenti il diritto di proprietà.”

Ne seguiva la proposizione da parte del Comune del presente appello avverso la decisione, nella parte in cui questa aveva accolto il ricorso di prime cure.

Con il nuovo gravame l’Amministrazione riprendeva le proprie difese della legittimità del provvedimento annullato, sottoponendo a critica le motivazioni giudiziali con cui le stesse erano state disattese.

Gli originari ricorrenti si costituivano in giudizio in resistenza all’appello deducendone l’infondatezza.

Con ordinanza del 24 settembre 2002 la domanda cautelare proposta dal Comune veniva respinta.

Nelle more del giudizio si verificava il decesso dell’appellato sig. Salvatore Capone, onde con ordinanza del 19 luglio 2013 veniva dichiarata la conseguente interruzione del processo.

Il Comune riassumeva il giudizio con atto avviato a notifica il 3 settembre 2013 e depositato il successivo giorno 24.

Si costituiva allora in giudizio in resistenza all’appello il sig. Giorgio Capone, sia in proprio che quale erede del defunto, che eccepiva l’avvenuta estinzione del giudizio in ragione dell’inammissibilità dell’altrui riassunzione per carenza di jus postulandi, vizi di notifica e tardività dell’iniziativa, oltre a controdedurre ulteriormente alle censure avversarie.

Il Comune, dal canto suo, replicava alle altrui eccezioni ed insisteva nelle proprie critiche avverso la sentenza impugnata, concludendo per l’accoglimento dell’appello.

Alla pubblica udienza del 18 febbraio 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

1 La Sezione deve immediatamente esaminare le eccezioni con le quali è stata contestata la ritualità della riassunzione del processo da parte del Comune, adducendo che in dipendenza dei vizi di tale atto questo giudizio d’appello si sarebbe ormai estinto.

2 La prima deduzione da trattare è quella del preteso difetto di jus postulandi in capo al patrocinante dell’Ente appellante.

Giova premettere che ai fini della riassunzione del giudizio il Sindaco del Comune di Gravina ha confermato il legale già officiato e lo ha munito di un nuovo ed apposito mandato: tanto in esecuzione del proprio decreto n. 47 del 27 maggio 2013, a sua volta assunto sulla base dell’art. 70 dello Statuto comunale.

2a Oppone la difesa di parte appellata che il Sindaco non sarebbe stato competente alla nomina del difensore, in quanto la relativa scelta ricadrebbe tra le attività gestionali di competenza dei dirigenti dell’Amministrazione, e segnatamente del capo dell’ufficio legale.

L’eccezione è priva di pregio.

2b La Sezione deve preliminarmente rilevare, alla stregua di una consolidata giurisprudenza civile, che l’atto di riassunzione del processo interrotto non ha natura di atto introduttivo di un nuovo giudizio: non dà vita, cioè, ad un nuovo processo, diverso ed autonomo dal precedente, ma mira unicamente a far riemergere questo dallo stato di quiescenza in cui versa, rimanendo però in vita in forza dell’originaria domanda giudiziale. Onde il compimento dell’atto di riassunzione non esige il conferimento di una nuova procura ad litem, che del resto non compare tra le componenti dello stesso atto indicate dall’art. 125, n. 2, disp. att. c.p.c. (Cass. civ., Sez. I, n. 14100 del 23 settembre 2003; Sez. II, n. 4045 del 16 aprile 1991; Sez. III, n. 6888 dell’11 agosto 1987).

Da qui l’irrilevanza pratica della supposta illegittimità del nuovo mandato.

2c Fermo questo aspetto, vale però soprattutto osservare, sul merito della questione posta, quanto segue.

Il decreto sindacale con il quale sono state disposte la riassunzione del giudizio e la conferma dell’incarico professionale di difesa dell’Ente pone a proprio fondamento l’art. 70, comma 2, dello Statuto comunale. E la difesa comunale ha fatto notare, senza incontrare obiezioni sul punto, che tale norma statutaria conferisce al Sindaco, con la rappresentanza legale dell’Ente, il potere di promuovere e resistere alle liti ed i correlativi poteri di conciliare, rinunciare, transigere e di conferire la procura alle liti, sentiti facoltativamente la Giunta o il dirigente competente a seconda che si verta in materia di atti di governo o di gestione.

La norma statutaria legittima, quindi, la competenza sindacale in materia.

Questa conclusione è inoltre avvalorata dalla sovraordinata normativa generale, nell’interpretazione comunemente datane dalla Sezione.

La posizione della Sezione sul tema è stata ricordata con chiarezza, di recente, dalla decisione 7 febbraio 2012 n. 650, con la quale è stato rilevato che “la decisione di agire e resistere in giudizio ed il conferimento del mandato alle liti competono in via ordinaria e salva deroga statutaria, al rappresentante legale dell'ente, senza bisogno di autorizzazione della giunta o dei dirigente competente ratione materiae (C.d.S., sez. V, 18 marzo 2010, n. 1588; 7 settembre 2007, n. 4721, 16 febbraio 2009, n. 848; sez. VI, 1° ottobre 2008, n. 4744; 9 giugno 2006, n. 3452; Cass. civ. sez. I, 17 maggio 2007, n. 11516), ferma restando tuttavia la possibilità dello statuto (competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio) di prevedere l'autorizzazione della giunta (ovvero di richiedere una preventiva determinazione del dirigente ovvero ancora di postulare l'uno e l'altro intervento) (Cass. SS.UU., 16 giugno 2005, n. 12868).”

Poco dopo, questa stessa Sezione con la decisione 11 maggio 2012 n. 2730 ha specificamente disatteso la tesi che vedrebbe attribuito al dirigente ratione materiae il compito di scegliere il legale e, comunque, di autorizzare il conferimento del relativo patrocinio, osservando nell’occasione quanto segue: “La Sezione non ravvisa ragione di discostarsi dall'orientamento interpretativo secondo cui compete al Sindaco o al Presidente della Provincia, ai sensi del D.lgs. n. 267/2000, quale organo di rappresentanza dell'ente, il conferimento della procura alle liti del difensore senza la necessità di alcuna preventiva autorizzazione (Cons. St., Sez. VI, 1° ottobre 2008, n. 4744; Cons. St., Sez. VI, 9 giugno 2006, n. 3452; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 5 dicembre 2006 n. 10402; Cass. civ., Sez. Un., 10 dicembre 2002, n. 17550).”

2d Per quanto precede l’eccezione si manifesta infondata.

3 Altra eccezione di parte appellata riguarda la presunta tardività della riassunzione.

3a Il decesso del sig. Salvatore Capone, viene dedotto, era stato reso noto già in data 12 novembre 2012 mediante la produzione in giudizio del relativo certificato di morte: sicché il perentorio termine trimestrale per la riassunzione prescritto dall’art. 80, comma 3, C.P.A., sarebbe scaduto sin dal 12 febbraio 2013.

Viene fatto altresì notare che il Comune aveva avuto contezza dell’evento ben prima dell’udienza pubblica del 25 giugno 2013 in cui lo stesso aveva formato oggetto di formale dichiarazione, tanto è vero che risaliva al precedente 27 maggio, data anteriore a quella di tale dichiarazione, il decreto n. 47 con il quale il Sindaco aveva già disposto la riassunzione del giudizio e la conferma dell’incarico professionale in capo al difensore inizialmente officiato.

E’ infine rappresentato che il Comune, per il fatto di tenere i Registri dello Stato civile, era aborigine a conoscenza dell’intervenuto decesso, risalente al 2 ottobre 2010.

3b Anche questa eccezione è priva di fondamento.

3c In aderenza alla disciplina dettata dall’art. 300 c.p.c. la difesa comunale ha esattamente obiettato:

- che la morte di una parte non determina l’interruzione del giudizio ove l’evento non sia stato dichiarato in udienza dal suo difensore, oppure notificato alle altre parti in causa;

- che, per la stessa ragione, al fine indicato non rileva nemmeno quell’astratta conoscibilità di un decesso, da parte di un Comune, che potrebbe essere fatta risalire alla tenuta dei registri dello Stato civile;

- che il mero deposito presso la Segreteria della Sezione del relativo certificato di morte, in assenza di qualsivoglia forma di avviso, non vale ad integrare una comunicazione dell’evento interruttivo alle altre parti, le quali non hanno alcun onere di verifica periodica del contenuto del fascicolo processuale.

3d Va ricordato, infatti, che, mentre l’art. 79, comma 2, C.P.A. stabilisce che “L’interruzione del processo è disciplinata dalle disposizioni del codice di procedura civile”, l’art. 300 c.p.c.. così richiamato, dal canto suo, recita: “Se alcuno degli eventi previsti nell'articolo precedente si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti. Dal momento di tale dichiarazione o notificazione il processo è interrotto …”.

Della riassunzione del processo interrotto si occupa invece specificamente l’art. 80 C.P.A., che, nel suo ultimo comma, dispone che il processo debba essere riassunto “…a cura della parte più diligente, con apposito atto notificato a tutte le altre parti, nel termine perentorio di novanta giorni dalla conoscenza legale dell’evento interruttivo acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione.”

3e Dal quadro esposto si desume, quindi, che nell'attuale sistema del processo civile ed amministrativo l’interruzione del processo per morte o perdita di capacità processuale della parte costituita non è frutto di un automatismo, ma consegue esclusivamente ad un’apposita dichiarazione fatta dal procuratore della parte stessa (cfr. Corte Cost., 10 aprile 2002, n. 102).

Un eventuale evento interruttivo, cioè, per poter assurgere a rilevanza nel processo deve necessariamente essere rilevato nei modi di cui agli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., la cui disciplina è richiamata dall'art. 79, comma 2, C.P.A., ossia mediante dichiarazione o notificazione dell'evento ad opera del procuratore costituito per la parte colpita dall'evento interruttivo (v. C.d.S., VI, 27 ottobre 2011, n. 5788), forme di comunicazione dell’evento che non ammettono equipollenti: laddove in mancanza di tale dichiarazione o notificazione da parte del difensore della parte colpita il processo prosegue (C.d.S., V, 12 luglio 1996, n. 857; 29 maggio 2000, n. 3090; VI, 10 aprile 2003, n. 1906).

Più ampiamente, la dinamica del meccanismo interruttivo è stata nitidamente illustrata dalla giurisprudenza civile nei seguenti termini.

“ … l'incidenza dell'evento morte di una parte costituita con procuratore, verificatosi durante il giudizio di primo grado o d'impugnazione è regolata dall'art. 300 cod. proc. civ. e, pertanto, essendo indispensabile e insostituibile ai fini di tale incidenza la comunicazione formale dell'evento da eseguirsi dal procuratore della parte deceduta e non avendo rilevanza la conoscenza che dell'evento stesso le altre parti abbiano avuto eventualmente "aliunde", l'effetto interruttivo delprocesso è prodotto da una fattispecie complessa, costituita dal verificarsi dell'evento o dalla dichiarazione in udienza o dalla notificazione fatta dal procuratore alle altre parti. Dichiarazione o notificazione che soltanto il procuratore della parte defunta può discrezionalmente non fare o fare nel momento da lui giudicato più opportuno per provocare l'interruzione del processo, la quale non si verifica in modo automatico come conseguenza diretta ed esclusiva della morte della parte a cui, quindi, deve essere notificato l'atto d'impugnazione, perché considerata ancora in vita nel caso in cui della propria morte il suo procuratore abbia omesso la dichiarazione in udienza o la notificazione alle altre parti” (Cass.civ., II, 5 giugno 1990, n. 5391).

3f In coerenza con le coordinate esposte, la giurisprudenza di questo Consiglio ha avuto già modo di stabilire che ove, come nella specie, il difensore della parte colpita dall’evento interruttivo si sia limitata a depositare in atti una copia del certificato di morte, senza nulla dichiarare ai fini dell'interruzione del processo, non sono con ciò integrati presupposti rilevanti ai fini dell'interruzione ex art. 300 c.p.c., poiché manca una dichiarazione del procuratore costituito o una notificazione dell'evento ai sensi del medesimo articolo (C.d.S., VI, 10 aprile 2003, n. 1906).

Analogamente, con la decisione della Sez. IV n. 199 del 30 marzo 1987 è stato deciso che la comunicazione della morte del ricorrente depositata nella segreteria dell'organo giudicante dal procuratore costituito non è idonea ad integrare l'interruzione del processo prevista e disciplinata dall'art. 300 c.p.c., non essendo stata formulata in uno dei due modi previsti tassativamente dalla legge (dichiarazione in udienza o notifica alle altre parti).

3g Quanto precede è ampiamente sufficiente ad escludere che il mero fatto della produzione in giudizio, in data 12 novembre 2012, del certificato di morte del sig. Salvatore Capone potesse valere a far partire il corso del termine trimestrale prescritto dall’art. 80 C.P.A. ai fini della riassunzione del processo.

Non solo, invero, il fatto della relativa produzione documentale non permetteva di perfezionare la fattispecie di un evento interruttivo ai sensi dell’art. 300 c.p.c., giusta quanto fin qui illustrato; ma il fatto medesimo neppure generava una “conoscenza legale dell’evento” stesso, come invece richiesto dall’art. 80 cit. ai fini dell’avvio della decorrenza del termine perentorio di cui si tratta (“…dalla conoscenza legale dell’evento interruttivo acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione”).

3h Sotto quest’ultimo profilo la difesa comunale ha osservato che, a tutto voler concedere, ci si potrebbe al più attendere che un difensore verifichi il contenuto del fascicolo processuale, per accertare l’eventuale produzione documentale avversaria, in concomitanza con il termine di quaranta giorni prima dell’udienza di trattazione prescritto dall’art. 73 C.P.A. per il deposito in giudizio di documenti (ciò che nel caso concreto aveva effettivamente permesso al legale del Comune di avere contezza del decesso, e di informarne l’Amministrazione prima dell’udienza).

Anche a voler far decorrere, tuttavia, il termine perentorio per la riassunzione ancorandolo ipoteticamente a tale data (nella specie, cadente il 15 maggio 2013), la riassunzione operata dal Comune, tenuto conto della sospensione feriale, risulterebbe comunque tempestiva.

3i Anche l’eccezione di tardività della riassunzione deve dunque essere disattesa.

4 Restano da esaminare le eccezioni che riguardano la ritualità delle notifiche dell’atto comunale di riassunzione.

Tali eccezioni investono due aspetti distinti.

4a Un primo profilo sollevato riguarda le notifiche dell’atto di riassunzione effettuate, a mezzo posta, ai sigg.ri Pietro e Simone Capone.

Queste sarebbero nulle, poiché in entrambi i casi la copia dell’atto giudiziario sarebbe stata consegnata al fratello dei predetti, sig. Capone Giorgio, presso il suo domicilio alla via Ravenna 43. Questi, viene precisato, non conviveva neppure temporaneamente con i fratelli Pietro e Simone; né del resto una prova della detta convivenza temporanea era stata fornita.

4b In proposito la difesa di parte appellante ha tuttavia fondatamente replicato che dai pertinenti avvisi di ricevimento si desumeva che i relativi plichi erano stati consegnati proprio presso i rispettivi domicilii dei destinatari e non già al civico 43 di via Ravenna, come riferito invece ex adverso con asserto che, figurando contraddetto da risultanze documentali che la giurisprudenza reputa assistite da efficacia probatoria privilegiata (Cass.civ., Sez. I, 22 novembre 2006, n. 24852; Sez. II, 22 aprile 2005, n. 8500), non può che essere giudicato recessivo.

Quanto alla circostanza che la consegna del plico sia stata effettuata in entrambi i casi nelle mani del fratello Giorgio, occorre sottolineare che i relativi avvisi di ricevimento, sottoscritti in calce dal consegnatario, definivano il medesimo in entrambi i casi quale “familiare convivente – fratello”.

Ciò posto, correttamente la difesa comunale si è richiamata alla presunzione di convivenza temporanea del familiare nell’abitazione del destinatario, che la giurisprudenza afferma operante per il sol fatto che il familiare si sia trovato nella casa ed abbia preso in consegna l’atto.

La presunzione così invocata potrebbe essere vinta solo dalla prova contraria fornita dall’interessato avente ad oggetto la mancanza di alcuna pur temporanea convivenza. Non solo, però, tale prova contraria non è stata fornita; ma la parte costituita non ha nemmeno escluso che il plico sia pervenuto al destinatario. Onde anche questa eccezione risulta infondata.

4c A conferma dell’inconsistenza dell’eccezione giova riportare l’approfondito quadro della materia recentemente fornito dalla Suprema Corte con la pronuncia della Sez. I, 25 luglio 2013, n. 18085.

E' opportuno riportare, nella parte che qui rileva, la L. n. 892 del 1980, art. 7, commi 1 e 2, che, nel disciplinare le modalità di notificazione a mezzo posta, dispone: L' agente postale consegna il piego nelle mani proprie del destinatario, anche se dichiarato fallito.

Se la consegna non può essere fatta personalmente al destinatario, il piego è consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene l'atto da notificare, a persona di famiglia che conviva anche temporaneamente con lui ovvero addetta alla casa ...".

Tra i due requisiti previsti dalla norma, della quale è stata rimarcata la differenza con il disposto di cui all'art. 139 c.p.c., comma 2 (che si limita ad indicare la consegna ad una persona di famiglia, senza alcun accenno al secondo requisito), la giurisprudenza ha ritenuto sussistente un vincolo presuntivo, del primo rispetto al secondo requisito, ritenendo che la notificazione mediante consegna a persona di famiglia richiede che l'atto da notificare sia consegnato a persona che, pur non avendo uno stabile rapporto di convivenza con il notificando, sia a lui legato da vincolo di parentela, che giustifichi la presunzione di sollecita consegna; presunzione superabile da parte del notificando, che assuma di non avere ricevuto l'atto, con la dimostrazione della presenza occasionale e temporanea del familiare consegnatario (così le pronunce 187/2000, 5671/1997, 7371997).

Ed ancora più chiaramente, la pronuncia 9928/2001 si è espressa nel senso di ritenere che il disposto normativo, che regolamenta la dazione del piego postale a consegnatari qualificati del destinatario assente, "pone certamente l'esigenza che il familiare sia convivente, anche in termini di assoluta temporaneità, con tale espressione intendendosi un minimo di stabilità della presenza del soggetto- familiare nell' abitazione del destinatario, che faccia ritenere certa la sollecita consegna del piego. Ma se tale è la formula adottata, è anche palese che il testo non impone alcuna indicazione, nella formula notificatoria, della convivenza, posto che, come più volte da questa Corte precisato, viene instaurata la presunzione della convivenza temporanea del familiare nella abitazione del destinatario per il solo fatto che detto familiare si sia trovato nella casa ed abbia preso in consegna l'atto (Cass. 1843/98 - 7544/97 - 615/95 - 6100/94 - 2348/94), presunzione certamente superabile da prova contraria fornita dall'interessato (e ad oggetto la carenza di alcuna pur temporanea convivenza) e sulla quale il legislatore ha fondato l'ulteriore presunzione normativa, quella di consegna immediata dell'atto al suo destinatario da parte del ridetto familiare" (Cass. civ., Sez. I, n. 18085/2013; la stessa Suprema Corte poco prima, con la decisione della Sez. III, 26 ottobre 2009, n. 22607, aveva svolto considerazioni analoghe).

4d Le notifiche dell’atto di riassunzione effettuate ai sigg.ri Pietro e Simone Capone risultano pertanto immuni dal vizio testé esaminato.

5 L’eccezione che residua riguarda sotto altro aspetto la notificazione dell’atto di riassunzione fatta al sig. Pietro Capone.

5a Viene ricordato che il suddetto rivestiva in giudizio una duplice qualità, figurandovi costituito tanto in proprio, quale comproprietario dei suoli interessati, quanto, al tempo stesso, nella qualità di procuratore del sig. Salvatore Capone, altro comproprietario.

Tanto premesso, si deduce che la notifica dell’atto comunale di riassunzione era stata operata nei riguardi del sig. Pietro Capone solo nella sua qualità di erede del congiunto Salvatore, e non anche in proprio. E che l’eccepita omissione della notifica al primo in proprio avrebbe determinato l’estinzione del giudizio d’appello ai sensi dell’art. 80, comma 3, C.P.A., stante l’inesistenza di una delle notifiche indispensabili per il perfezionamento della riassunzione.

5b La difesa comunale obietta all’eccezione, in sintesi:

- che l’atto di riassunzione era stato notificato al sig. Pietro Capone sia nel domicilio eletto presso il difensore (relata di notifica n. 1), sia nella sua residenza effettiva di Gravina di Puglia (relata n. 9);

- che, sebbene l’atto gli fosse stato notificato anche presso il domicilio eletto con la specificazione “quale erede”, e non “in proprio”, ciò non avrebbe integrato una ragione di inesistenza della notifica, ma solo una sua eventuale causa di nullità, in quanto: per un verso, la notifica era stata correttamente indirizzata a Capone Pietro nel domicilio eletto, in Roma, presso il suo difensore; per altro verso, l’indicazione della “qualità” del destinatario della notifica non sarebbe essenziale per la produzione degli effetti dell’atto, purché non vi sia incertezza sulla persona cui la notifica è indirizzata;

- che la suddetta causa di nullità doveva ritenersi comunque sanata ai sensi dell’art. 156 c.p.c. attraverso il raggiungimento dello scopo dell’atto, in quanto tanto il sig. Pietro Capone quanto il suo difensore, avendo ricevuto la notificazione dell’atto, ne erano venuti a conoscenza.

5c Osserva la Sezione che la circostanza a base dell’eccezione non è suscettibile di integrare un motivo di inesistenza della notifica ma, al più, solo di nullità della stessa, come tale sanabile mediante rinnovazione senza incorrere in decadenza, ai sensi dell’art. 291 cod.proc.civ..

5d Occorre in primo luogo soffermarsi sul contenuto dell’atto notificato al sig. Pietro Capone.

L’atto esprimeva l’intento del Comune di procedere alla riassunzione integrale del giudizio (eloquente, in tal senso, è la lettura della sua pag. 2). Inoltre, l’intestazione di tale atto attribuiva proprio al sig. Pietro Capone una posizione diversa da quella di tutti gli altri soggetti nei confronti dei quali il processo sarebbe stato riassunto. Egli vi era menzionato per primo, e dopo di lui l’elenco degli altri notificandi era introdotto dalla disgiuntiva “nonché”. Infine, il suo nominativo era seguito dall’indicazione del legale per lui già costituito (il decesso del congiunto aveva infatti comportato la risoluzione della precedente rappresentanza che il legale aveva del soggetto ormai defunto).

Va poi considerato che (solo) il sig. Pietro Capone si è visto indirizzare due notifiche dell’atto di riassunzione, la prima presso il proprio domicilio (alla stregua degli altri coeredi), e la seconda presso il suo legale nel domicilio eletto: duplicità di notifiche corrispondente alla duplicità dei titoli che giustificavano la sua evocazione in giudizio. E va altresì notato che la notifica presso il suo legale nel domicilio eletto non poteva giustificarsi se non con l’intenzione del Comune di evocare il notificatario non solo quale erede, ma anche nella sua preesistente qualità di parte in proprio.

In connessione con tali dati, è da richiamare l’orientamento della giurisprudenza civile incline a riconoscere che in presenza della duplice qualità di parte in proprio e di parte quale erede vi è un unico soggetto sul piano sostanziale, ossia “unicità sia della persona fisica che della parte in senso sostanziale” (Cass. civ., sez. I, 8 settembre 1995, n. 9471; espressione dello stesso indirizzo sono anche sez. I, 23/05/2008, n. 13411; sez. II, 4 febbraio 2003, n. 1613; sez. I, 18 febbraio 2000, n. 1804).

La giurisprudenza, inoltre, è particolarmente restrittiva nel ravvisare gli estremi di una notifica inesistente, e come tale non sanabile. “Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è ragione di discostarsi, l'inesistenza giuridica della notificazione sussiste non solo quando questa manchi del tutto, ma anche quando sia effettuata in modo assolutamente non previsto dal codice di rito e cioè in modo tale da non consentirne l'assunzione nell'atto tipico di notificazione delineato dalla legge, allorquando - per esempio - sia fatta in un luogo diverso da quello previsto dalla legge e che non presenti alcun riferimento o attinenza al destinatario dellanotificazione stessa (C.d.S., sez. VI, 14 novembre 2012, n. 5744), laddove si ricade nella diversa ipotesi di nullità della notificazione (sanabile con la costituzione in giudizio del convenuto o attraverso la sua rinnovazione eseguita spontaneamente o in esecuzione dell'ordine del giudice), quando, pur eseguita mediante consegna a persona o in un luogo diverso da quello stabilito dalla legge, sia comunque ravvisabile un collegamento tra il luogo o la persona cui è stata fatta la consegna dell'atto ed il destinatario della notifica stessa (C.d.S., sez. IV, 3 novembre 2008, n. 5478; Cass. Civ., 25 ottobre 2012, n. 18238; 11 maggio 2005, n. 18238)” (in termini C.d.S., V, 13 settembre 2013, n. 4530; nello stesso senso v. anche VI, 14 novembre 2012, n. 5744).

In definitiva, alla luce di tutti gli elementi illustrati, il vizio costituito dalla menzione in entrambe le relate di notifica della “qualità di erede” del sig. Pietro Capone non può essere considerato alla stregua di un motivo d’inesistenza della relativa notificazione. Questa, che non potrebbe dirsi del tutto omessa, è stata eseguita nel luogo previsto dalla legge e, in sostanza, al soggetto cui era destinata, benché il medesimo sia stato evocato in maniera erronea.

5e Né può essere esclusa l’applicabilità al giudizio amministrativo della regola, risalente all’art. 291 cod.proc.civ., della rinnovabilità della notificazione nulla con esclusione di ogni decadenza.

Come noto, tale articolo stabilisce in termini generali che, “Se il convenuto non si costituisce, e il giudice istruttore rileva un vizio che importi nullità nella notificazione della citazione, fissa all'attore un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza.”

La giurisprudenza amministrativa prevalente non riteneva inizialmente applicabile la norma al giudizio amministrativo. E’ quindi intervenuto l’art. 46, comma 24, della legge 18 giugno 2009, n. 69, a disporre espressamente che il primo comma dell'art. 291 del codice di rito civile si applicava anche nell’ambito della giurisdizione amministrativa.

Il principio così enunciato è stato poi trasfuso nel C.P.A., il cui art. 44, peraltro, al comma 4, pur confermando, in assenza di costituzione della parte invalidamente chiamata in giudizio, la rinnovabilità della notifica nulla, ha ristretto la relativa possibilità all’ipotesi in cui il Giudice ritenga che l’esito della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante (“Nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza”).

La giurisprudenza di questo Consiglio (sez. VI , 30 aprile 2013, n. 2366), tuttavia, ha espresso il condivisibile avviso che la disciplina speciale della nullità della notifica del ricorso introduttivo dettata per il giudizio amministrativo dall'art. 44 comma 4 cit. trovi la sua ratio giustificatrice nella particolare esigenza di conservare l'inoppugnabilità del provvedimento amministrativo non gravato con ricorso ritualmente notificato entro il termine di decadenza, esigenza ritenuta però non ravvisabile nella fattispecie di riassunzione di un processo in origine già ritualmente instaurato, essendo in tal caso la decadenza dal termine d'impugnazione del provvedimento impedita dal ricorso introduttivo.

E’ stato quindi ritenuto che, allorché si tratti della riassunzione di un processo amministrativo tempestivamente promosso, la disciplina processualcivilistica ex artt. 39, 156 e 291 cod. proc.civ. sia normalmente applicabile (VI , n. 2366/2013 cit.). E il Collegio ritiene che questa lettura debba essere condivisa, anche per la sua coerenza con l’esigenza di fondo, sottesa all’art. 39 C.P.A., dell’uniformità, quando possibile, delle discipline processuali.

5f Per quanto esposto, la Sezione, accogliendo per quanto di ragione l’eccezione, deve disporre la rinnovazione della notifica dell’atto di riassunzione del giudizio nei confronti del sig. Pietro Capone in proprio.

Le modalità cui il Comune dovrà attenersi nell’adempimento dell’incombente sono indicate dal seguente dispositivo.

La liquidazione delle spese processuali del giudizio resta riservata alla decisione definitiva

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), interlocutoriamente pronunciando sull'appello in epigrafe, e riservata al definitivo ogni questione, ordina al Comune di Gravina di Puglia di rinnovare la notificazione del proprio atto di riassunzione del giudizio nei confronti del sig. Pietro Capone, nei termini precisati in motivazione.

Assegna per la rinnovazione della notifica il termine perentorio di gg. 30 dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente decisione, e di gg. 15 dall’avvenuta notifica per il susseguente deposito presso la segreteria della Sezione dell’atto notificato.

Fissa per la prosecuzione del giudizio l’udienza pubblica del 25 novembre 2014.

Spese riservate al definitivo

Manda alla segreteria per le comunicazioni di rito alle parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle Camere di consiglio del 18 febbraio 2014 e 17 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Alessandro Pajno, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore

Fabio Franconiero, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/04/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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