Sunday 07 June 2015 17:55:26

Giurisprudenza  Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa

Procedimento disciplinare a carico del dipendente pubblico: gli effetti della sentenza penale irrevocabile e la motivazione per relationem del provvedimento disciplinare

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 5.6.2015

Ai sensi dell’art. 653, co. 1 bis, cod. proc. pen., la sentenza penale irrevocabile di condanna esplica efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale ed all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, con conseguente preclusione di ogni correlativo potere di differente valutazione della rilevanza penale del fatto in questione in sede disciplinare, ma fermo restando che il medesimo fatto va apprezzato nel diverso contesto disciplinare. Al riguardo si osserva che, secondo consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, l'Amministrazione è titolare di un'ampia discrezionalità in ordine alla valutazione dei fatti addebitati al dipendente, circa il convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da infliggere, in considerazione degli interessi pubblici che devono essere tutelati attraverso tale procedimento. In tale quadro, il provvedimento disciplinare sfugge ad un pieno sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, non potendo in nessun caso quest'ultimo sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall'Amministrazione, salvo che le valutazioni siano inficiate da travisamento dei fatti ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente (cfr. Cons. St., sez. III, 2 luglio 2014 n. 3324 nonché, ex multis, sez. IV, 9 maggio 2014 n. 2381)....D’altronde, sotto un aspetto più generale, è ben noto che la motivazione del provvedimento disciplinare non deve contenere una contestazione analitica della tesi difensiva, essendo sufficiente che l'Amministrazione abbia esplicitato, ancorché sinteticamente, l'autonomo percorso valutativo seguito nel corso dell'iter disciplinare svoltosi in contraddittorio con il soggetto interessato, per il resto dovendo ritenersi che il provvedimento sia legittimamente motivato per relationem agli atti ed alla documentazione sottostante (cfr., ad es., Cons. St., sez. V, 21 gennaio 2011 n. 425).

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7487 del 2011, proposto da: 
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Abbamonte e Sergio Turturiello, con domicilio eletto presso lo studio legale Titomanlio-Abbamonte in Roma, via Terenzio n. 7; 

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
Capo della Polizia; 

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CAMPANIA - -OMISSIS-: SEZIONE VI n. -OMISSIS-/2011, resa tra le parti, concernente destituzione dal servizio

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2015 il Cons. Angelica Dell'Utri e uditi per le parti gli avvocati Sergio Turturiello e l'avv. dello Stato Anna Collabolletta;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Con atto inoltrato per le notifiche il 7 settembre 2011 e depositato il 23 seguente il signor -OMISSIS-, già assistente capo della Polizia di Stato, ha appellato la sentenza in forma semplificata 19 maggio 2011 n. -OMISSIS-, non notificata, con la quale il TAR per la Campania, sede di -OMISSIS-, sezione sesta, ha respinto il suo ricorso avverso il decreto in data 11 febbraio 2011 del Capo della Polizia, di destituzione dall’Amministrazione della P.S. ai sensi dell’art. 7, nn. 1, 2 e 3, del d.P.R. n. 737 del 1981 a decorrere dal 3 dicembre 2008, la sottostante deliberazione del Consiglio provinciale di disciplina di -OMISSIS-, la relazione conclusiva del funzionario istruttore e gli atti afferenti al procedimento disciplinare.

Premesso di essere stato sottoposto nel 2008 a procedimento penale, conclusosi con sentenza del 3 giugno 2010 della Corte di cassazione, di condanna ad anni uno, mesi otto di reclusione ed € 500,00 di multa per i reati di cui gli artt. 624 e 625 (concorso in furto con destrezza), col beneficio della sospensione condizionale della pena e senza interdizione accessoria da pubblici uffici, da cui è scaturito il procedimento disciplinare conclusosi col predetto decreto, a sostegno dell’appello ha dedotto:

1.- Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del d.P.R. 737/1981. Eccesso di potere per mancata ponderazione di tutte le componenti della vicenda. Contraddittorietà ed erroneità della motivazione. Totale travisamento di fatti. 

2.- Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione artt. 7, nn. 1, 2 e 3, e 13 del d.P.R. 737/1981. Violazione e falsa applicazione dell’art. 653, comma II, c.p.p.. Violazione art. 3 L. 241/1990 s.m.i.. Violazione del principio di proporzionalità e gradualità della sanzione. Violazione art. 97 Cost..

Il Ministero dell’interno si è costituito in giudizio e con memoria del 9 marzo 2015 ha svolto controdeduzioni. 

L’appello è stato introitato in decisione all’udienza pubblica del 9 aprile 2015.

DIRITTO

1.- Com’è esposto nella narrativa che precede, si controverte della sanzione disciplinare della destituzione irrogata a carico dell’attuale appellante, assistente capo della Polizia di Stato all’epoca in servizio presso il compartimento della Polizia ferroviaria di -OMISSIS-, al termine del procedimento promosso a seguito della sentenza 3 giugno 2010 n. -OMISSIS- della Corte di cassazione, con la quale è stato respinto il ricorso dell’interessato avverso l’impugnata sentenza 10 luglio 2009 n. -OMISSIS- della Corte di appello di Roma.

Con la sentenza di primo grado egli era stato condannato alla pena di anni tre, mesi due di reclusione ed € 600 di multa, con interdizione per anni cinque dai pubblici uffici, per i reati, unificati ex art. 81, di cui agli artt. 110, 628 co. 3 n. 1, 61 n. 9 (capo A: rapina aggravata in concorso) ed agli artt. 110, 445, 61 n. 9 cod. pen. (capo B: spaccio di monete false aggravato in concorso); tale pronuncia è stata riformata in secondo grado mediante qualificazione del delitto di cui al capo A in quello di cui agli artt. 624 (furto), 625 n. 4 (aggravante della commissione del fatto con destrezza) e n. 6 (aggravante della commissione del fatto su bagaglio del viaggiatore), 61 n. 9 (aggravante della commissione del fatto in violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione) cod. pen., con riduzione della pena ad anni uno, mesi otto di reclusione ed € 500,00 di multa, revoca della disposta interdizione dai pubblici uffici e concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

2.- Nella seduta del 14 dicembre 2010 il Consiglio provinciale di disciplina di -OMISSIS- concludeva nel senso di proporre, a maggioranza, la destituzione del dipendente dall’Amministrazione della P.S. con la seguente motivazione: “Comandato in servizio di scorta a bordo di convoglio ferroviario, unitamente ad altre due unità, in occasione di un controllo ad un passeggero di nazionalità cinese, partecipava a titolo di concorso con i due colleghi alle illecite attività in danno del cittadino extracomunitario (…). Denotando mancanza del senso morale e abusando dell’autorità derivante dalla funzione esercitata, poneva in essere atti in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento, arrecando altresì grave pregiudizio al prestigio dell’Amministrazione della P.S.”

Col provvedimento in data 11 febbraio 2011, conforme all’anzidetta proposta del Consiglio provinciale di disciplina ed assunto ai sensi dell’art. 7, nn. 1, 2 e 3 del d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 (atti che rivelino mancanza del senso dell’onore o del senso morale, atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento, grave abuso di autorità o di fiducia), il comportamento del dipendente è stato ritenuto “in spregio dei doveri assunti con il giuramento”, nonché “oltremodo riprovevole ed assolutamente inconciliabile con le funzioni proprie di un operatore di polizia, pregiudizievole per il servizio e tale da rendere incompatibile una sua ulteriore permanenza nella polizia di Stato”, tenuto anche conto del “grave pregiudizio arrecato all’immagine e al decoro dell’Amministrazione”. 

E’ stato peraltro precisato di non poter tener conto del diniego da parte del dipendente delle proprie responsabilità in ordine ai fatti addebitatigli, emerse in modo incontrovertibile dalla sentenza di condanna, passata in giudicato dopo tutti i gradi di giudizio previsti dall’ordinamento.

3.- Ciò premesso in punto di fatto, in linea giuridica si osserva che ai sensi dell’art. 653, co. 1 bis, cod. proc. pen., la sentenza penale irrevocabile di condanna esplica efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale ed all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, con conseguente preclusione di ogni correlativo potere di differente valutazione della rilevanza penale del fatto in questione in sede disciplinare, ma fermo restando che il medesimo fatto va apprezzato nel diverso contesto disciplinare.

Al riguardo si osserva che, secondo consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, l'Amministrazione è titolare di un'ampia discrezionalità in ordine alla valutazione dei fatti addebitati al dipendente, circa il convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da infliggere, in considerazione degli interessi pubblici che devono essere tutelati attraverso tale procedimento. In tale quadro, il provvedimento disciplinare sfugge ad un pieno sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, non potendo in nessun caso quest'ultimo sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall'Amministrazione, salvo che le valutazioni siano inficiate da travisamento dei fatti ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente (cfr. Cons. St., sez. III, 2 luglio 2014 n. 3324 nonché, ex multis, sez. IV, 9 maggio 2014 n. 2381).

4.- Nella specie, le ampie ed esaustive argomentazioni del Consiglio di disciplina in ordine alla specifica gravità nel caso concreto dell’episodio in parola, commesso in servizio, anche in rapporto alle lesione dell’immagine e del decoro dell’Amministrazione, richiamate nel provvedimento di destituzione che a sua volta ne espone di concordanti, non solo non consentono di configurare un difetto di motivazione, ma risultano scevre da ogni vizio di irrazionalità ed incoerenza, con conseguente piena giustificazione della misura espulsiva applicata.

La sanzione deve, pertanto, ritenersi non manifestamente sproporzionata. 

5.-Tanto pure in considerazione degli elementi a favore valutabili a norma dell’invocato art. 13, in ispecie l’occasionalità dell’episodio e l’ottimo stato di servizio, essendo perfettamente logica la loro recessività a fronte della particolare antigiuridicità ed antiteticità della condotta di cui trattasi e delle particolari circostanze in cui si è manifestata (specificamente attinenti alla sfera dell'Amministrazione, originate proprio dalle funzioni esercitate dal dipendente), rispetto non solo semplicemente alle regole disciplinari, ma anche e soprattutto alla stessa essenza dell’ordine e della sicurezza pubblica sociale affidati alla tutela dell’appartenente alla Polizia di Stato.

Del resto, l’Amministrazione si è fatta carico della valutazione di tali elementi. In particolare, nel decreto si ritiene che le circostanze valutabili a favore enunciate dall’art. 13 “dopo attenta disamina di ciascuna di esse” non siano in grado di “sminuire la gravità della condotta addebitata al soggetto, conclamata dagli elementi accertati nell’istruttoria disciplinare ed in sede penale”; conclusione, questa, in perfetta coerenza col ridetto art. 13, il quale richiede di tener conto (senza imporne, ovviamente, la testuale indicazione una per una) di “tutte le circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell'età, della qualifica e dell'anzianità di servizio”, ma prescrive di “sanzionare con maggior rigore le mancanze commesse in servizio o (…) indicanti scarso senso morale”.

6.- Per le considerazioni sin qui svolte risulta evidentemente infondato il primo motivo d’appello, con cui si sostiene che il TAR, il quale avrebbe dato atto dell’inosservanza dell’appena sopra cit. art. 13 (in quanto gli elementi ivi indicati non sarebbero stati neppure menzionati nella deliberazione del Consiglio di disciplina, espressosi solo a maggioranza, e nel decreto finale), ha ritenuto non irrazionale la scelta operata, così avallando l’irrilevanza della violazione del detto, preciso obbligo e sostituendosi all’organo procedente, nonché muovendosi nell’ottica della logicità mentre era stato dedotto un più penetrante profilo relativo alla specifica violazione dello stesso art. 13.

7.- Ma le medesime considerazioni valgono, altresì, a disattendere anche il secondo ed ultimo motivo. 

Giova peraltro ribadire che, come si è visto, da un lato l’Amministrazione non ha affatto tenuto conto unicamente del dato formale discendente dal titolo del reato, applicando in realtà la destituzione di diritto espunta dall’ordinamento, avendo essa invece svolto un’autonoma valutazione del fatto in chiave tipicamente disciplinare; e dall’altro lato, stante il disposto del richiamato art. 653. co. 1 bis, cod. proc. pen, non avrebbe potuto aderire alle argomentazioni del dipendente intese a declinare le proprie responsabilità, né avrebbe potuto procedere ad ulteriori accertamenti al riguardo, dal momento che la condotta contestata era integralmente ed irrefutabilmente desumibile dalla documentazione in atti, onde non ha rilievo la mancata audizione dei correi.

Parimenti irrilevante è poi la mancata menzione della nota del Compartimento di appartenenza dell’incolpato, la quale ben rappresenterebbe la personalità dell’incolpato, connotata da ingenuità ed eccessiva fiducia nei colleghi più anziani e nei superiori, eccessiva fiducia che costituirebbe proprio la ragione del suo coinvolgimento nei fatti di causa. 

Non v’è dubbio, invero, che tale nota sia stata introdotta nel procedimento disciplinare, tanto che l’attuale appellante ne ha ottenuto l’accesso in quella sede, sicché ugualmente non è dubbio che abbia formato oggetto di valutazione nell’ambito del predetta ponderazione di cui al ripetuto art. 13. 

D’altronde, sotto un aspetto più generale, è ben noto che la motivazione del provvedimento disciplinare non deve contenere una contestazione analitica della tesi difensiva, essendo sufficiente che l'Amministrazione abbia esplicitato, ancorché sinteticamente, l'autonomo percorso valutativo seguito nel corso dell'iter disciplinare svoltosi in contraddittorio con il soggetto interessato, per il resto dovendo ritenersi che il provvedimento sia legittimamente motivato per relationem agli atti ed alla documentazione sottostante (cfr., ad es., Cons. St., sez. V, 21 gennaio 2011 n. 425).

8.- In conclusione, l’appello non può che essere respinto.

Come di regola, le spese del grado cedono a carico della parte soccombente e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge il medesimo appello. 

Condanna l’appellante al pagamento, in favore dell’Amministrazione appellata, delle spese del grado che liquida in complessivi € 2.000,00 (duemila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi dell’appellante, manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2015 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Carlo Deodato, Consigliere

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Angelica Dell'Utri, Consigliere, Estensore

Dante D'Alessio, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/06/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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