Monday 21 April 2014 10:25:45

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Piscina prefabbricata: basta la semplice autorizzazione gratuita quando di dimensioni modeste in zona agricola e' pertinenza dell'edificio

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 16.4.2014

La realizzazione di una piscina prefabbricata di dimensioni relativamente modeste in rapporto all'edificio a destinazione residenziale, sito in zona agricola, rientra nell'ambito delle pertinenze, cui fa riferimento l'art. 7, secondo comma, lett. a) del d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito nella L. 25 marzo 1982, n. 94, il quale prevede la realizzabilità delle pertinenze con la semplice autorizzazione gratuita (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13 ottobre 1993, n. 1041). Ciò che rileva, infatti, ai sensi dell’art. 7, secondo comma, lett. a) << opere costituenti pertinenze od impianti tecnici al servizio di edifici già esistenti >>, è che sussista un rapporto pertinenziale tra un edificio preesistente e l'opera da realizzare e tale rapporto sia oggettivo nel senso che la consistenza dell'opera deve essere tale da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio e deve inquadrarsi nei limiti di un rapporto adeguato e non esorbitante rispetto alle esigenze di un effettivo uso normale del soggetto che risiede nell'edificio principale. Nel caso in esame, la piscina prefabbricata, di dimensioni normali, annessa ad un fabbricato ad uso residenziale sito in zona agricola, ha certamente natura obiettiva di pertinenza, e costituisce un manufatto adeguato all'uso effettivo e quotidiano del proprietario dell'immobile principale. Per continuare nella lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale * del 2001, proposto da:

*

contro

Comune di Maratea; 

nei confronti di

*

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Basilicata, Potenza n. 390/2000, resa tra le parti, concernente interventi edilizi in Maratea

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Rosanna Pane in Monti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2014 il Consigliere Doris Durante;

Uditi per le parti gli avvocati Felice Pali e Guglielmo Landolfi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1.- Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata notificato il 2 – 3 gennaio 1986, iscritto al n. 23 del 1986, Rosanna Pane in Monti chiedeva l’annullamento della concessione edilizia n. 56/84, rilasciata dal Sindaco di Maratea in data 12 dicembre 1984 a Pelle Michela e Ginolfi Michele, per la costruzione di una piscina da ubicarsi su lotto limitrofo a quello di proprietà della ricorrente.

Secondo la ricorrente, la concessione edilizia era illegittima per violazione del programma di fabbricazione di Maratea, della l. n. 457 del 1978, della l. n. 10 del 1977 e della l. n. 47 del 1985, in quanto i volumi assentiti (piscina, solarium e vani posti sotto il solarium) supererebbero il limite di edificabilità della zona e il rapporto di copertura, per violazione delle distanze dal confine, nonché per difformità della costruzione rispetto a quanto assentito dall’amministrazione.

Con successivo ricorso notificato il 13 e 14 aprile 1988, * impugnava la concessione edilizia n. 6/1988 rilasciata dal Sindaco di Maratea a * in sanatoria delle opere realizzate in difformità della concessione edilizia n. 56/1984, deducendo violazione dell’art. 13, comma 2 della l. n. 47 del 1985 ed il vizio di eccesso di potere sotto diversi profili, oltre che illegittimità in via derivata.

2.- Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, con sentenza n. 390/2000 del 26 febbraio 2000, riuniti i ricorsi li accoglieva e, per l’effetto, annullava la concessione edilizia n. 56 del 12 dicembre 1984 e la concessione in sanatoria n. 6 del 2 febbraio 1988, con condanna del Comune di Maratea al pagamento delle spese di giudizio liquidate in lire tre milioni.

3.- Pelle Michela e Ginolfi Michele con ricorso in appello notificato il 10 gennaio 2001, impugnavano la suddetta sentenza di cui assumevano l’erroneità per vizio in procedendo, avendo il TAR rigettato l’eccezione di tardività dell’impugnazione della concessione edilizia n. 60 del 1984, e per vizio in iudicando, non essendosi avveduto il giudice di primo grado che la modestia dell’intervento e dei volumi per gli impianti tecnologici non comportava alterazione degli indici di edificabilità, rilevando l’intero intervento piuttosto come una sistemazione complessiva del terreno, come rilevato dal CTU nominato dal Giudice della Corte di Appello di Potenza.

Si costituiva in giudizio * che chiedeva respingersi l’appello con conferma della sentenza di primo grado che richiamava integralmente.

Le parti depositavano memorie difensive e alla pubblica udienza del 28 gennaio 2014, il giudizio è stato assegnato in decisione.

4.- E’ fondata l’eccezione di tardività del ricorso n. 23 del 1986, con il quale * ha chiesto l’annullamento della concessione edilizia n. 56/84.

Risulta che detta concessione edilizia, relativa alla realizzazione di una piscina su lotto limitrofo di proprietà di Pelle Michela e Ginolfi Michele, fu rilasciata dal Sindaco di Maratea in data 12 dicembre 1984.

I lavori furono ultimati nella primavera del 1985 e di ciò era a conoscenza la ricorrente che nell’esposto - denuncia inviato al Pretore di Lauria, affermava che “nella primavera del 1985, i coniugi * completavano nella loro proprietà la costruzione di una piscina parzialmente sopraelevata sulla quota di campagna e circondata da un ampio solarium sotto cui erano stati ricavati ambienti di uso non noto e muniti di porta di accesso e di finestre…”.

Inoltre la ricorrente depositava a corredo dell’esposto - denuncia un’ampia documentazione fotografica dello stato dei luoghi, risalente al tempo in cui i lavori erano in corso.

Esiste dunque certezza, atteso il valore confessorio dell’esposto – denuncia che la ricorrente sicuramente dalla primavera del 1985, ma già in data antecedente, era a conoscenza dell’effettuazione di lavori edilizi nel lotto limitrofo.

E’ principio giurisprudenziale pacifico quello secondo cui ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione del titolo abilitativo rilasciato a terzi, la piena conoscenza dell’atto deve essere ancorata all’ultimazione dei lavori, oppure al momento in cui la costruzione realizzata rivela in modo certo ed in equivoco le essenziali caratteristiche dell’opera per un’eventuale non conformità urbanistico – edilizia della stessa (cfr. per tutte, Cons. Stato, Sez. IV, 23 settembre 2011, n. 5346; 24 gennaio 2013, n. 433; 21 gennaio 2013, n. 322).

Nel caso, la non conformità edilizia risultava sin dall’avvio dei lavori, atteso che la ricorrente ha lamentato la violazione delle NTA con riguardo agli indici edilizi, assumendo che la volumetria edificabile in quel lotto era completamente esaurita, sicché nessun intervento edilizio era più possibile.

La situazione di fatto e la piena conoscenza del momento di ultimazione dei lavori è equivalente, ai fini dell’impugnazione, alla conoscenza della concessione edilizia, non essendo in alcun modo differibile il termine di impugnazione imposto dalla norma processuale a pena di decadenza.

Nemmeno la qualificazione della violazione edilizia come reato permanente o illegittimità permanente influisce sulle regole processuali che stabiliscono termini di decadenza per l’esercizio dell’azione giurisdizionale volta all’annullamento degli atti amministrativi illegittimi.

Peraltro, la previsione abbastanza elastica dell’art. 41 del c.p.a. e prima dell’art. 21 della l. n. 1034 del 1971, che àncora il termine iniziale alla piena conoscenza, consente all’interessato di avvalersi di una dilatazione dei termini, che nel caso erano abbondantemente decorsi al momento della notifica del ricorso.

Erroneamente, quindi, il giudice di primo grado ha respinto l’eccezione di tardività del ricorso, sull’assunto della necessità della piena conoscenza del titolo ai fini della proposizione della domanda giudiziale, mentre la ricorrente era a conoscenza da tempo risalente dell’esecuzione dei lavori nel lotto attiguo.

5.- Fermo tanto, la decisione del TAR impugnata deve ritenersi errata anche nel merito.

E’ indubbio che la realizzazione di una piscina prefabbricata di dimensioni relativamente modeste in rapporto all'edificio a destinazione residenziale, sito in zona agricola, rientra nell'ambito delle pertinenze, cui fa riferimento l'art. 7, secondo comma, lett. a) del d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito nella L. 25 marzo 1982, n. 94, il quale prevede la realizzabilità delle pertinenze con la semplice autorizzazione gratuita (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13 ottobre 1993, n. 1041).

Ciò che rileva, infatti, ai sensi dell’art. 7, secondo comma, lett. a) << opere costituenti pertinenze od impianti tecnici al servizio di edifici già esistenti >>, è che sussista un rapporto pertinenziale tra un edificio preesistente e l'opera da realizzare e tale rapporto sia oggettivo nel senso che la consistenza dell'opera deve essere tale da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio e deve inquadrarsi nei limiti di un rapporto adeguato e non esorbitante rispetto alle esigenze di un effettivo uso normale del soggetto che risiede nell'edificio principale.

Nel caso in esame, la piscina prefabbricata, di dimensioni normali, annessa ad un fabbricato ad uso residenziale sito in zona agricola, ha certamente natura obiettiva di pertinenza, e costituisce un manufatto adeguato all'uso effettivo e quotidiano del proprietario dell'immobile principale.

Tanto risulta, peraltro, dalla relazione dell’ing. Gaeta, c.t.u. nominato dalla Corte di Appello di Potenza nella causa civile intentata da Pane Rosanna in Monti per l’asserita violazione delle distanze.

Nella suddetta relazione si legge “l’intervento edilizio realizzato, stante la destinazione attuale delle opere a piscina con un modestissimo vano tecnologico e solarium, può essere sostanzialmente ritenuto equivalente ad un riempimento di terreno del volume della costruzione emergente dal pregresso andamento del piano di campagna. Con ciò, quindi, esso è assimilabile piuttosto ad una sistemazione complessiva di parte del terreno a quota più elevata di quella naturale preesistente e della restante parte a quota meno elevata, allo scopo di realizzare una superficie orizzontale (a due diversi livelli) pavimentata (solarium) ed una piscina con relativo vano tecnologico all’interno di tale volume artificiale”.

Ciò consente di riconoscere la natura di volumi tecnici dei piccoli locali annessi alla piscina contenenti impianti tecnologici.

In conclusione, può ben affermarsi che l’installazione di una piscina prefabbricata di modeste dimensioni non integra violazione degli indici di copertura che riguardano interventi edilizi, né degli standard, atteso che non aumentano il carico urbanistico della zona, rilevando solo in termini di sistemazione esterna del terreno, e che i vani per impianti tecnologici sono sempre e comunque consentiti.

D’altra parte risulta che l’intervento è stato assentito dal Comune con il nulla osta dell’Autorità preposta alla tutela paesaggistica, per cui non può sostenersi con una qualche fondatezza violazione della disciplina di tutela paesaggistica.

6.- Il ricorso n. 456 del 1988, con il quale è stata impugnata la concessione edilizia in sanatoria rilasciata agli appellanti per difformità dalla concessione edilizia, è del pari infondato.

7.- Con il primo motivo, è dedotta la violazione dell’art. 13 della l. n. 47 del 1985, perché la concessione in sanatoria sarebbe stata rilasciata oltre il termine di 60 giorni dalla presentazione dell’istanza, allorché si era formato il silenzio – rifiuto, senza previamente annullare in autotutela il silenzio – rifiuto.

Orbene, il decorso del termine di cui all’art. 13 della l. n. 47 del 1985, non fa venir meno il potere dell’amministrazione di provvedere in merito all’istanza del privato.

Il silenzio rifiuto è, infatti, una mera fictio iuris avente il diverso fine di consentire all’interessato una sollecita tutela giurisdizionale a mezzo l’impugnazione di un silenzio giuridicamente significativo.

Ne consegue che l’amministrazione attiva può adottare il provvedimento richiesto quand’anche sia decorso il suddetto termine.

8.- Quanto alla censura di mancata acquisizione dei pareri, essa è infondata in fatto, atteso che risultano essere stati acquisiti sia il parere dell’Ufficiale sanitario, che quello della commissione edilizia e il nulla osta per inesistenza di danno ambientale rilasciato dalla Regione Basilicata – Dipartimento assetto del territorio – Ufficio urbanistica e ambiente (atto protocollo 284/86 dell’11 dicembre 1986).

9.- Del pari infondata è la censura di difetto di istruttoria, con cui si assume che l’amministrazione non si sarebbe accorta dell’esistenza di manufatti ulteriori rispetto a quelli assentiti.

Il riferimento è ad alcuni ambienti che risulterebbero dalle fotografie scattate dalla ricorrente nel corso dell’esecuzione dei lavori, dei quali tuttavia non v’è più traccia (invero, la stessa ricorrente parla di ambienti costruiti e poi occultati, mentre parte appellante ne contesta decisamente l’esistenza).

Dal sopralluogo del comandante della locale stazione dei Carabinieri risulta che non sono visibili le aperture di locali posti al di sotto della piscina risultanti dalle fotografie scattate dalla ricorrente Pane Rosanna in Monti, per cui si presume che siano state successivamente murate.

La circostanza su cui è articolata la censura, quindi, non è provata e non può desumersi da essa l’asserito difetto di istruttoria del Comune, il quale ha effettuato le indagini e i sopralluoghi che competono all’amministrazione comunale ed ha acquisito i pareri previsti dalla legge, né risulta che la denuncia all’autorità giudiziaria abbia avuto seguito o abbia appurato illeciti di qualunque natura.

Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto e per l’effetto deve essere riformata la sentenza di primo grado.

Le spese di giudizio possono essere equamente compensate tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto, accoglie l 'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado dichiara irricevibile il ricorso n. 23 del 1986 e respinge il ricorso n. 456 del 1988.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Mario Luigi Torsello, Presidente

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Doris Durante, Consigliere, Estensore

Antonio Bianchi, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/04/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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