Sunday 19 January 2014 20:11:24
Giurisprudenza Giustizia e Affari Interni
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
Costituisce jus receptum secondo cui “la decisione del giudice di merito in materia di spese processuali è censurabile in sede di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge, soltanto quando le spese siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa; non è invece sindacabile, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, l'esercizio del potere discrezionale del giudice di merito sull'opportunità di compensare, in tutto o in parte le spese medesime. Tali principi trovano applicazione non soltanto quando il giudice abbia emesso una pronuncia di merito, ma anche quando egli si sia limitato a dichiarare l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'atto introduttivo del giudizio. Infatti, pure in tali ultimi casi sussiste pur sempre una soccombenza, sia pure virtuale, di colui che ha agito con un atto dichiarato inammissibile o improcedibile che consente al giudice di compensare parzialmente o totalmente le spese, esercitando un suo potere discrezionale che, nel caso specifico considerato, ha come suo unico limite il divieto di condanna della parte vittoriosa e che si traduce in un provvedimento che rimane incensurabile in cassazione purché non illogicamente motivato. (Cassazione civile , sez. lav., 27 dicembre 1999, n. 14576) Detto principio è stato più volte predicato dalla giurisprudenza amministrativa, che ha avuto modo di affermare che la statuizione del primo giudice sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisca espressione di un ampio potere discrezionale, come tale insindacabile in sede di appello, fatta eccezione per l'ipotesi di condanna della parte totalmente vittoriosa, oppure per il caso che la statuizione sia manifestamente irrazionale o si riferisca al pagamento di somme palesemente inadeguate.” (Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2005, n. 7581). Ciò non si è verificato nella fattispecie per cui è causa, laddove semmai il giudice ha modulato nel quantum la condanna inflitta a controparte nella evidente considerazione che v’era stata reciproca soccombenza in relazione a numerosi profili processuali, dal che discende la reiezione anche di questa censura e la conferma in parte qua dell’appellata decisione. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale *del 2013, proposto da:
Astaldi Spain persona del legale rappresentante in carica in proprio e quale Mandataria Ati, Ati-Icla-Impregilo e Costruire Spa, rappresentati e difesi dagli avv. Ennio Magrì, Gerardo Romano Cesareo, con domicilio eletto presso Ennio Magrì in Roma, via Guido D'Arezzo 18;
contro
Nicola Baiano, rappresentato e difeso dagli avv. Orazio Abbamonte, Giuseppe Abbamonte, Giuseppe D'Acunto, con domicilio eletto presso Giuseppe Abbamonte in Roma, via Terenzio, 7 c/o R. Titomanlio;
nei confronti di
Sepsa Spa; Eav-Ente Autonomo Volturno Srl, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Della Corte, con domicilio eletto presso Salvatore Della Corte in Roma, via Vittorio Veneto 169; U.T.G. - Prefettura di Napoli -Ministero degli Interni, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge,;
sul ricorso numero di registro generale 1886 del 2013, proposto da:
Nicola Baiano, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Abbamonte, Giuseppe D'Acunto, con domicilio eletto presso Giuseppe Abbamonte in Roma, via Terenzio N.7;
contro
U.T.G. - Prefettura di Napoli, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge; Astaldi Spa Capogruppo Ati, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Gerardo Romano Cesareo, Ennio Magri', con domicilio eletto presso Ennio Magri' in Roma, via Guido D'Arezzo N.18; Ati - Icla Impregilo e Costruire Spa, Sepsa Spa;
nei confronti di
Ente Autonomo Volturno, , in persona del legale rappresentante rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Della Corte, con domicilio eletto presso Salvatore Della Corte in Roma, via Vittorio Veneto 169;
per la riforma
quanto al ricorso n. 1808 del 2013:
della sentenza del T.a.r. Campania - Napoli: Sezione V n. 00570/2013, resa tra le parti, concernente restituzione aree di proprietà - risarcimento danni - mcp
quanto al ricorso n. 1886 del 2013:
della sentenza del T.a.r. Campania - Napoli: Sezione V n. 00570/2013, resa tra le parti, concernente restituzione aree di proprietà - ris. danni
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Nicola Baiano e di Eav-Ente Autonomo Volturno Srl e di U.T.G. - Prefettura di Napoli -Ministero degli Interni e di U.T.G. - Prefettura di Napoli e di Astaldi Spa Capogruppo Ati e di Ente Autonomo Volturno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2013 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Ambroselli, per delega dell'Avv. Magrì, Romano Cesareo, Abbamonte, Della Corte e l'Avvocato dello Stato Giacobbe;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Campania – sede di Napoli – ha in parte accolto il ricorso di primo grado in riassunzione notificato il 30 ottobre 2008 e depositato il 5 novembre successivo proposto da Baiano Nicola, odierna parte appellante nell’ambito del ricorso n. 1886/2013 volto ad ottenere la restituzione delle aree di sua proprietà di cui alle particelle catastali nn.1349 e 1352 quartiere Pianura Napoli ed il risarcimento del danno patito a causa dell’illegittima occupazione delle stesse.
Il primo giudice ha, nella parte in fatto della gravata decisione n. 570/2013, ricostruito la complessa vicenda giuziaria per cui è causa.
Ha in proposito evidenziato che - il Baiano era proprietario di un complesso immobiliare sito in Napoli, quartiere Pianura, composto da terreni, fabbricati e capannoni riportati nel Catasto Urbano F.10 mapp. da 108 a 117, nonché 125,401, 402 e riportati nel Catasto Terreni dello stesso Comune al F. 91, part.lle 125,487, 529,631,39 e 500 con ingresso da Via Montagna Spaccata confinante con la Ferrovia Circumflegrea.
Detto complesso immobiliare era stato oggetto di due diversi provvedimenti di occupazione temporanea, (con l’ordinanza n.52 del 13.5.1989 il Presidente della Giunta Regionale della Campania quale Commissario Straordinario del Governo, ex lege n.219/81 dispose l’occupazione d’urgenza di alcune zone della proprietà sopra indicata, puntualmente ed analiticamente descritte in quell’atto;
- con decreto 18.4.1997 n.40262/2 Settore C/1^ del Prefetto di Napoli venne disposta l’occupazione di urgenza di parte degli immobili sopra-indicati, a favore della S.p.A. Astaldi in proprio e quale capogruppo di imprese associate).
In seguito, con nota del 20.9.2002, consegnata al Baiano in data 26 settembre 2002, la Sepsa a mezzo del concessionario raggruppamento di imprese aveva proceduto all’offerta delle indennità che però non erano state accettate.
Il Baiano insorse innanzi alla Giunta Speciale per le Espropriazioni presso la Corte d’Appello di Napoli, chiedendo la determinazione dell’indennità:la Giunta Speciale con la sentenza 27/03 del 4.12.2003 decise nel merito solo con riferimento all’ordinanza n.52/89 del Presidente della G.R.C. quale Commissario Straordinario di Governo, mentre declinò la propria competenza in favore dell’A.G.O. relativamente a quella parte di domanda tendente ad ottenere la determinazione delle indennità espropriative delle aree e dei manufatti di proprietà dell’attore, occupati in virtù del Decreto Prefettizio n.402662/2^ settore C/1 del 18.4.1997.
Con ordinanza n.449 del 9.12.1993 del Presidente della G.R.C. quale Commissario Straordinario di Governo, era stato precedentemente revocato il vincolo di espropriazione ed il vincolo di occupazione temporanea sulle particelle n.631 e 529 sottraendo così il terreno alla disponibilità dell’ATI Astaldi.
Nelle more dell’occupazione da parte della SEPSA e della ASTALDI, quest’ultima società frazionò le particelle catastali in quattro diverse particelle, a tale frazionamento seguì la “Variante” approvata dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti con cui si escludeva dal Piano di Lavoro la zona di cui alle particelle 1349 e 1352.
Con il decreto 4096/1° Sett. B del 7.10.2002 il Prefetto di Napoli pronunziaò l’espropriazione per pubblica utilità in danno del Baiano, ma limitatamente alle particelle 1350 e 1351.
Ne conseguiva che le particelle 1349 e 1352 avrebbero dovuto essere restuite al Baiano medesimo (il che non avvenne) e che sia la SEPSA che la Astaldi, entrambe destinatarie degli effetti del richiamato decreto di esproprio versavano in stato di illegittimità nel permanere nella occupazione di zone non espropriate (particelle 1349 e 1352)e non più necessarie ai fini del procedimento ablatorio.
Il Baiano chiese la restituzione dei beni prima occupati e poi dismessi al Tribunale Ordinario di Napoli che dichiarò il proprio difetto di giurisdizione a favore del Giudice Amministrativo sulla restituzione delle aree (trattenendo la causa per la parte relativa alla opposizione alla stima) con decisione confermata dalla SS.UU. della Corte di Cassazione il 4.4.2008 in sede di Regolamento Preventivo di giurisdizione.
Il giudizio venne quindi riassunto innanzi al Tar.
Il Baiano, aveva quindi precisato le proprie conclusioni, che consistevano nella restituzione delle aree di sua proprietà di cui alle particelle catastali nn.1349 e 1352 quartiere Pianura Napoli ed il risarcimento (da determinarsi anche a mezzo di Ctu) del danno patito a causa dell’illegittima occupazione delle stesse, facendo presente che la restituzione conseguiva alla circostanza che - in data 3 gennaio 2005 il Prefetto aveva comunicato ad Astaldi e SEPSA che, dopo il frazionamento in 4 diverse particelle con i numeri 1350,1351 e 1349 e 1352, queste ultime due avrebbero dovuto essere restituite in quanto non più necessarie, con riconsegna immediata al Baiano Nicola.
La mancata restituzione aveva comportato un danno gravissimo all’originario ricorrente, il quale era già titolare del “Programma Integrato in variante al P.R.G.” approvato con Decreto del Presidente della G.R. della Campania del 6 agosto 2001 n.1644 .
Il Tar, dopo avere disposto una articolata ed approfondita consulenza tecnica, seguita da fitto contraddittorio processuale a chiarimento, ha introitato la causa accogliendo in parte il mezzo di primo grado.
Ha in primo luogo disatteso l’eccezione di difetto di giurisdizione quanto al petitum voto ad ottenere la restituzione delle due particelle, oggi accatastate con i numeri 1349 e 1352.
V’era infatti stata spendita del potere amministrativo, in quanto le dette particelle erano state in origine interessate da una legittima procedura ablatoria e solo la successiva mancata ricomprensione di esse nel decreto di esproprio (un fatto sopravvenuto) ne ebbe a determinare l’indebita ritenzione da parte di Astaldi.
Peraltro la Corte regolatrice del conflitto di giurisdizione aveva affertato la spettanza della cognizione della causa al plesso giurisdizionale amministrativo (con ciò confermando la declinatoria del Tribunale Civile di Napoli con sentenza del 13 luglio 2006).
Affermata poi la legittimazione a ricorrere in capo al Baiano (proprietario delle aree asseritamente trattenute indebitamente) e la legittimazione passiva sia di S.E.P.S.A. che di Astaldi, (la prima era stata la beneficiaria del procedimento espropriativo, e la seconda, quale concessionaria dei lavori, era tuttora nel possesso delle aree delle quali si era chiesta la restituzione) ha esaminato in primo luogo il petitum restitutorio.
Quest’ultimo è stato accolto, sulla scorta della considerazione per cui le aree delle quali si chiedeva la restituzione erano originariamente ricomprese nelle particelle 631 e 529.
Ben due procedimenti avevano interessato le richiamate due particelle.
Il primo di essi, rivestiva marginale rilievo nell’odierno procedimento: : esso infatto il primo iniziò con ordinanza n.52 del 13 maggio 1989 del Presidente della Giunta Regionale della Campania, Commissario Straordinario del Governo ex lege n.219/81. Se era vero che con questo provvedimento venne disposta l’occupazione di urgenza delle aree di cui al F.91 del Catasto, particelle 125,487, 529,631,39 e 500 per mq. complessivi 1.610, era altresì rimarchevole che le particelle nn.631 e 529 vennero successivamente restituite al proprietario con l’ordinanza n.449 del 9 dicembre del 1993 del Presidente della Giunta Regionale Campania che revocò il vincolo di espropriazione ed il vincolo di occupazione. Dunque, dal primo procedimento alcun effetto di danno, era scaturito tanto è vero ciò che, nel 2001, con riferimento a quelle aree il Baiano poté persino ideare un Programma Integrato di Intervento che non sarebbe stato praticabile là ove sulle stesse, in fatto o in diritto, fossero stati pendenti vincoli connessi al detto procedimento.
Tuttavia venne incardinato un secondo procedimento che iniziò con decreto del 18 aprile 1997 del Prefetto di Napoli che dispose l’occupazione di urgenza di parte degli immobili sopra indicati a favore della S.p.a. Astaldi.
In data 14 luglio del 1997 venne redatto il verbale di consistenza e di immissione in possesso dei beni riportati in Catasto al foglio 91 particelle 631, 529,500, 487, 582,1062, 107, 108, 109 e 111 per mq. complessivi 2.921.
In costanza dell’occupazione disposta nel corso di detto procedimento Astaldi, quale concessionaria SEPSA – su sollecitazione dello stesso Baiano che contestava l’interferenza della procedura con il già approvato Programma di Intervento Integrato - dispose il frazionamento delle particelle catastali 631 e 529 in quattro diverse particelle, destinando le nn. 1350 e 1351 all’esproprio, ed escludendo dalla procedura ablatoria le particelle nn.1349 e 1352: dopo che era stato disposto il frazionamento, venne approvata una variante con la quale si escludeva dal Piano di Lavoro la zona di cui alle particelle 1349 e 1352.
Senonchè le particelle escluse dall’esproprio non vennero restituite.
Il Tar ha dato atto che dalle difese della Astaldi sul punto, si evnceva una ricostruzione che, senza smentire il dato “storico” nei termini descritti, si sostiene che il frazionamento delle aree, con la suddivisione in quattro particelle e la mancata ricomprensione nell’esproprio delle particelle 1349 e 1352, fu dovuta ad un errore dei consulenti di Astaldi, indotto dalla sollecitazione del Baiano.
Al contrario di quanto fu deciso, quelle aree, lungi dall’essere restituite, avrebbero dovuto essere definitivamente espropriate, costituendo “aree di parcheggio a sostegno della Stazione ferroviaria ‘La Trencia’ ”. Astaldi sostenne anche in corso di giudizio che quelle particelle avevano subìto, oltre tutto, nel corso del tempo, un’irreversibile trasformazione dovuta all’essere stata su di esse impressa destinazione pubblicistica con conseguente verificazione di effetto traslativo nella proprietà pubblica.
Senonchè tali argomenti erano privi di valenza, in quanto con decreto del 7 ottobre del 2002 il Prefetto di Napoli pronunciò l’espropriazione per pubblica utilità in danno del Baiano, ma soltanto limitatamente alle particelle 1350 e 1351, privando di qualunque ragione giuridica e titolo, il possesso, per contro perdurante, da parte della concessionaria, delle particelle 1349 e 1352.
Nel periodo che dal 18 aprile 1997 all’8 ottobre 2002 le particelle erano state dunque occupate legittimamente perché coperte dai decreti di occupazione ma non furono mai espropriate: ne discendeva che la domanda di reintegro era fondata e doveva essere accolta che essa vada pertanto accolta (neppure la concessionaria Astaldi, si opponeva: infatti dopo una prima difesa nella quale aveva sostenuto l’avvenuta irreversibile trasformazione con destinazione pubblicistica, nelle successive memorie aveva sostenuto la possibilità di restituire, appunto, le due particelle e rappresentando la propria disponibilità a consegnarle, tanto che in data 12 novembre 2010 il Baiano, che però aveva rifiutato era stato formalmente invitato a rientrare nel possesso dei beni).
Anche il C.T.U., aveva confermato la praticabilità della restituzione di dette aree.
Il Tar ha pertanto accolto il detto petitum, sebbene dette aree non si trovino più nelle loro originarie dimensione e configurazione.
Da quest’ultima constatazione circa l’avvenuta modifica delle aree, il Tar ha fatto discendere pregnanti conseguenze.
Ha disatteso l’eccezione della Astaldi (secondo cui non andava risarcito il danno da illegittima occupazione, dal momento dell’offerta di restituzione, avvenuta nel novembre del 2010)ritenendo il rifiuto del Baiano fu, in quell’occasione, motivato e legittimo proprio per l’esistenza di dannose trasformazioni subite dal bene, che l’offerente la restituzione non si era impegnato ad eliminare (sulle aree, insistevano dei capannoni che erano stati demoliti proprio in ragione dell’occupazione ed inoltre, seguito dei lavori posti in essere per realizzare la stazione della Circumflegrea, le medesime aree risultavano sbancate di guisa che la condanna alla mera restituzione, in presenza di siffatte trasformazioni subìte dal bene, non sarebbe stata satisfattoria).
In modo complementare alla restituzione, in corrispondenza di questa voce di danno, doveva quindi essere disposta la condanna al risarcimento per equivalente del danno patrimoniale subito dal Baiano
In proposito, il Tar, giovandosi dell’apporto scientifico del consulente tecnico ha pertanto stabilito che ( quanto alla perdita delle volumetrie ivi edificate, consistenti in capannoni abusivi in lamiera) anche tenuto conto che i detti capannoni, in un’ottica di attuazione del Programma Integrato di Intervento sarebbero stati comunque demoliti (questo era previsto nel Programma) all’originario ricorrente spettasse la somma di euro 663.000,00.
Ha in proposito avallato i criteri determinativi del Ctu, che tenevano conto delle possibilità condonistiche dei medesimi, rigettando l’argomento della Sepsa secondo cui, trattandosi di immobili abusivi, nulla avrebbe dovuto essere corrisposto.
Il fatto illecito dell’Amministrazione obbligava al risarcimento di tutti i fatti conseguiti all’ingiusto comportamento, in essi ricomprese anche le conseguenze imprevedibili, (argomentando “a contrario” dagli artt.2056 e 1225 c.c. ).
Ha però stabilito che, su detta cifra, determinata per come si evinceva dalla perizia, all’attualità, trattandosi di debito da risarcimento del danno, e quindi di debito di “valore” -diversamente da quanto opinato dal C.T.U.- non dovevano tuttavia essere calcolati interessi e rivalutazione..
Quanto alla circostanza che sull’area erano intervenuti degli sbancamenti, anche questo integrava danno ingiusto da risarcire.
Ha in proposito richiamato l’elaborato del CTU secondo cui “la quota altimetrica attuale del piano stazione è sottoposta di -3,44 ml. rispetto alla quota prevista per la stazione ferroviaria nel Piano integrato”; il terreno era originariamente posto ad un livello superiore di due metri e che la realizzazione della stazione La Trencia aveva comportato uno sbancamento dell’area di due metri, ed un dislivello di tre mt. e mezzo circa, rispetto all’originario progetto.
Andava condiviso il criterio estimativo adottato in sede di CTU –rapportato ai costi occorrenti (determinati in euro 112.392,56) per porre rimedio all’improvvido sbancamento cagionato all’area–.
Ad analoghe conclusioni è giunto nella determinazione del il risarcimento del danno cagionato al Baiano dall’illegittima occupazione delle aree protrattasi dal 7 ottobre del 2002 alla data di pronuncia della sentenza (non potendosi accogliere l’eccezione che individuava un barrage temporale finale nella offerta di restituzione in data 12 novembre del 2010) condividendo la stima del terreno operata dal Ctu (euro 597.096,04) ed individuando detto importo qual parametro per calcolare l’indennità di occupazione spettante, rapportandola altresì al valore degli affitti medi del periodo in considerazione per beni di egual valore.
La cifra così ottenuta – per consentire l’integrale ristoro del danneggiato – doveva essere secondo l’opinamento del Tar successivamente maggiorata del 50% in ragione dell’accertata illiceità del possesso e della conseguente ingiustizia del danno subìto dal Baiano.
Esaurito detto excursus finalizzato alla pronuncia sulla domanda di restituzione e danni accessori, tecnicamente qualificabile qual “danno emergente”, il Tar si è soffermato sulla ulteriore voce di danno lamentato da parte appellante, e riposante sulla incidenza della indebita occupazione delle aree sulla praticabilità e realizzabilità del Programma Integrato di Intervento.
A tal uopo il Tar ha dovuto ripercorrere le vicissitudini di detto Programma Integrato di Intervento ed interrogarsi sulla natura e tipologia del medesimo: ciò ha fatto nel capo IV della impugnata decisione.
Ivi ha innanzitutto rammentato che tratta vasi di un programma di cui era titolare il Baiano, avente ad oggetto un progetto di riqualificazione urbana in corso di definizione e già approvato, in variante al P.R.G., con Decreto del Presidente della Giunta Regionale della Campania del 6 agosto 2001, n.1644.
Le contrapposte prospettazioni delle parti processuali si erano incentrate sull’estensione e, soprattutto, sul grado di concretezza del detto Programma.
Ciò in quanto, dovendosi interrogare sulla incidenza dell’occupazione abusiva delle particelle sulla mancata realizzazione del Programma medesimo, appariva necessario anzitutto chiarire in cosa quest’ultimo consistesse e la sussistenza del nesso di causalità tra illecito dell’Amministrazione discendente dalla occupazione illegittima delle particelle ed omessa realizzazione del Programma.
Le opposte tesi che si fronteggiavano potevano così essere sintetizzate: ad avviso di Astaldi, il Programma si componeva di interventi tra loro scindibili ed indipendenti; la occupazione aveva interessato le due particelle afferenti alla realizzazione del corpo D.
L’eventuale danno pertanto doveva essere rapportato unicamente alla mancata realizzazione di quest’ultimo e non poteva trasmodare sino a stabilirsi un nesso di causalità impeditivo della realizzazione dell’intero Programma.
In ogni caso – con prospettazione che accompagnava quella prima rappresentata - l’intero Programma non era in concreto realizzabile e quindi, questa asserita voce di danno era del tutto insussistente.
Il Baiano sosteneva invece: che l’intervento di cui al Programma Integrato di Intervento era unitario; perfettamente realizzabile nel breve periodo; l’occupazione illegittima per cui è causa era stato l’unico elemento impeditivo; il danno di doveva rapportare alla mancata realizzazione dell’intero Programma Integrato di Intervento.
Il primo giudice – che ha deciso detto segmento del petitum in parte discostandosi, seppur motivatamente, dagli approdi cui era giunto il consulente tecnico – ha innanzitutto rammentato che, riguardo alla sua struttura, il Programma si componeva di quattro interventi denominati “A”, “B” “C” e “D” riguardanti rispettivamente A: Polivalente con sale cinematografiche punti di ristoro, uffici e parcheggi; B: Studentato; C: polifunzionale con negozi, residenze e parcheggi interrati; D (quello interessante le particelle in questione): piazza con annessi negozi.
L’area indebitamente occupata era interessata dal progetto “D”, ma, ad avviso del Tar i progetti erano evidentemente fra loro coordinati e concatenati e la materiale indisponibilità del terreno aveva impedito qualsivoglia concreta progettualità in proposito.
Nell’incipit di tale segmento motivazionale, pertanto, il Tar ha accolto l’opzione per cui il Programma Integrato poteva dirsi “concatenato”.
Con più specifico riferimento a tale aspetto, infatti, richiamato gli atti del procedimento giurisdizionale n.12023/2004 TAR Campania, conclusosi con sentenza definitiva del 23 gennaio 2007, ed ha affermato che dal medesimo si ricavava la prova, l’unico, tra i quattro interventi programmati, che si trovava in fase procedimentale, era quello del segmento “B” (lo studentato che era anche il più importante). Ne discendeva che si trattava di un programma coordinato, ma non interdipendente, contrariamente a quanto dedotto il che doveva portare a ridurre, già sotto il profilo teorico, la pretesa risarcitoria di parte appellante.
Nel citato procedimento giurisdizionale n.12023/04 era rimasto accertato, peraltro che ostavano problemi giuridico-edilizi per la realizzazione del piano “B” e cioè lo studentato ( tant’è che per un periodo venne disposta la sospensione dell’efficacia della DIA originariamente ottenuta dal richiedente): da ciò discendeva un giudizio di fondatezza in ordine alle circostanze rappresentate da Astaldi in forma di eccezione secondo cui sussistevano ostacoli autonomi, ed indipendenti dall’illegittima attività dell’amministrazione per la concretizzazione dell’iniziativa di riqualificazione in questione.
Sotto altro profilo, il Tar ha rammentato un’altra circostanza: con la sentenza n. 601 del 2007 resa dal medesimo Tar, era stata rigettata la richiesta di risarcimento del danno per la perdita di finanziamenti a fondo perduto già approvati, formulata in modo congiunto da Campanile S.r.L. e dallo stesso Baiano.
Il Tar ha quindi richiamato le conclusioni di cui alla propria ordinanza Collegiale n. 3854/2012 (con ciò discostandosi dalle valutazioni del CTU che, evidentemente ritenendo unico ed inscindibile il Programma di Intervento Integrato predetto aveva fatto riferimento al concetto di “danno comprensoriale”) ribadendone la permanente attualità, ed in sintesi affermando che era risultato processualmente smentito che le due particelle n.1349 e 1352 rientrassero o comunque fossero interessate anche dal progetto B del Piano Integrato (cd. “Studentato”), essendo esclusivamente pertinenti al lotto denominato Intervento “D” (Piazza con annessi negozi); non era stato provato che la mancata realizzazione, neppure del solo studentato “B” (a tacer degli altri interventi), fosse esclusivamente dipesa dagli ostacoli sopravvenuti a causa ed in occasione della illegittima occupazione delle due particelle. Esclusa la sussistenza di un nesso di causalità diretto, il danno andava al più rapportato ll’oggettivo contributo negativo che l’illegittimità dell’azione amministrativa aveva arrecato al progetto.
Una concausalità, quindi, della quale si doveva tenere conto, ed attraverso la quale si “recuperava” la nozione di “danno comprensoriale” quantificata dal Ctu.
Le voci di danno come calcolate dal consulente, si rammenta innanzitutto che esse ammontavano ad euro 6.064.163,93 quale “Incremento dei costi di realizzazione degli interventi” ed ad euro 4.355.122,04 quale “Interessi sul mancato profitto imprenditoriale”.
Detta determinazione – come in larga parte anticipato dal Tar- non poteva essere condivisa in assoluto, in quanto muoveva dall’errato presupposto della diretta causalità “esclusiva” tra occupazione illegittima delle due particelle e mancata realizzazione dell’intero Programma tendendo ad attribuire l’integrale responsabilità della mancata attuazione del programma di intervento al comportamento illegittimo della Astaldi e della Sepsa.
Tali determinazioni quantitative, non condivisibili in via assoluta, potevano unicamente fungere da base di calcolo, sulla quale, in via equitativa, ai sensi dell’art.1226 del c.c. innestare un sub criterio che tenesse conto mercè una ricostruzione prognostica ipotetica, del valore del contributo concorsuale obiettivamente offerto dagli enti intimati all’integrazione degli ostacoli avutisi per realizzare le attività progettate che il proprietario intendeva avviare.
I valori comprensoriali determinati dal Ctu,( euro 6.064.163,93 quale “Incremento dei costi di realizzazione degli interventi” ed euro 4.355.122,04 quale “Interessi sul mancato profitto imprenditoriale”), sono stati pertanto decurtati di ¾ e rispettivamente ridotti ad euro 1.516.040,98 (¼ di euro 6.064.163,93) ed ad euro 1.088.780,51 (¼ di euro 4.355.122,04)
Nel capo V della decisione, il Tar ha scandagliato la ulteriore porzione del petitum risarcitorio, ed ha anzitutto escluso la possibilità di corrisponedere le voci per cc.dd. “Riduzione accessibilità studentato e “Riduzione qualità urbana ed architettonica” :laddove dovesse essere effettuato il ripristino dello status quo ante (o comunque corrisposti dalle intimate il denaro necessario al raggiungimento del predetto risultato) detti danni infatti sarebbero stati evidentemente riassorbiti.
Neppure erano dovuti i costi relativi alla riprogettazione strutturale dello Studentato, in quanto detto intervento intervento non era sia materialmente connesso con gli atti pubblici a vversati.
In ultimo, è stata esclusa la risarcibilità dei danni non patrimoniali per carenza assoluta di prova ( in disparte la considerazione che non era stata indicata la necessaria norma, in base alla quale, ex art.2059 c.c. essi sarebbero stati reclamabili).
Determinato altresì l’importo da corrispondere al Ctu, il Tar ha pronunciato la condanna delle parti intimate alla restituzione dei fondi “de quibus”, ed alla corresponsione della somma complessiva di euro 3.380.213,07 determinata in base alla somma aritmetica delle voci di danno riconosciute stabilendo altresì che le parti avrebbero dovuto raggiungere un accordo per determinare il quantum spettante al Baiano a titolo di illegittima occupazione del fondo, nel periodo dal 7 ottobre 2002 ad oggi, rispettando i criteri dettati in sentenza.
Ricorso n. 1808/2013;
La Società odierna appellante, già resistente rimasta parzialmente soccombente nel giudizio di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha ripercorso anche sotto il profilo cronologico il risalente e prolungato contenzioso intercorso ed innanzitutto prospettato alcune, distinte, questioni pregiudiziali di natura processuale.
In particolare, si è ivi sostenuto, (secondo motivo) che il ricorso in riassunzione contenesse, inammissibilmente, un petitum nuovo e comunque più ampio rispetto a quello contenuto nel mezzo introduttivo del giudizio (proposto innanzi al tribunale Ordinario, che declinò la propria giurisdizione): soltanto nell’atto di riassunzione, infatti (non solo il Baiano aveva quantificato il danno da occupazione, poi divenuta illegittima, di mq 1166 di terreno ma, anche) aveva ipotizzato un danno da omessa realizzazione delle opere di cui al Programma Integrato di Interventi.
Il Tar non si era pronunciato sulla detta eccezione e pertanto, nella forma la sentenza era viziata per omessa petizione ex art. 112 cpc; nel merito dovevano essere dichiarate inammissibili le domande rubricate dalla lett. f alla lett. k del ricorso in riassunzione (o, in subordine quantomeno quelle rubricate dalla lett. h alla lett. k che riguardavano le opere A,B,C, diverse da quelle “D” ubicate nelle particelle occupate illegittimamente ) con esclusione della corresponsione di euro 1.516.040,98 ed euro 1.088.780,51 (euro 2.604.821,49).
Inoltre (censura n. III) la sentenza era errata anche laddove aveva affermato la positiva sussistenza dell’interesse a ricorrere e della legitimatio ad causam in capo al Baiano in riferimento agli asseriti danni arrecati alla realizzabilità/realizzazione delle opere di cui al Programma Integrato di Interventi.
La legittimazione del predetto (in quanto proprietario delle aree) era innegabile con riguardo al petitum restitutorio e risarcitorio in riferimento alle due particelle.
Ma il Baiano non era titolare del Programma Integrato di Interventi: di esso era titolare esclusivo della Campanile Srl; a quest’ultima era stata rilasciata la Dia per il corpo B; il Baiano aveva partecipato al programma unicamente in quanto titolare del compendio immobiliare e non aveva titolo a richiedere il risarcimento.
Dovevano pertanto essere dichiarate inammissibili, per difetto di interesse e legittimazione le domande rubricate dalla lett. f alla lett. k del ricorso in riassunzione (o, in subordine quantomeno quelle rubricate dalla lett. h alla lett. k che riguardavano le opere A,B,C, diverse da quelle “D” ubicate nelle particelle occupate illegittimamente )
Con il quarto motivo Astaldi ha contestato la propria legittimazione passiva e la condanna a restituire il fondo pronunciata nei propri confronti asserento che la stessa non era né nel possesso né nella detenzione del fondo.
L’unica detentrice di chiavi ed aree era la Sepsa Spa (oggi Eav SRL).
Con la connessa censura di cui al quinto motivo la Astaldi ha contestato la propria legittimazione passiva e la condanna inflittale con riguardo al complesso delle domande risarcitorie, facendo presente che, a far data dal luglio 2004 (data di apertura al pubblico della Stazione Trencia), Sepsa era l’unica detentrice delle particelle indebitamente occupate.
Nel merito, con la sesta censura ha contestato la voce risarcitoria positivamente riconosciuta dal Tar e riferita ai capannoni in lamiera demoliti.
Essi erano stati demoliti durante il periodo di legittima occupazione ed erano stati oggetto di espropriazione giusta decreto 4096/1° Sett. B del 7.10.2002 del Prefetto di Napoli comprensivo dei detti manufatti ed era stata stimata l’indennità, ed anche depositata (pendeva giudizio di opposizione alla stima).
Essi erano abusivi; destinati ad essere demoliti giusta previsione del Programma Integrato di Interventi ove realizzato; destinati comunque ad essere demoliti, anche in ipotesi di omessa realizzazione del Programma Integrato di Interventi in quanto non condonabili ed in contrasto con il PRG.
La settima censura è stata dedicata alla critica del IV capo della impugnata decisione nell’ambito del quale ( seppure riducendosi l’importo risarcitorio determinato dal Ctu sull’erroneo presupposto della inscindibilità del Programma Integrato di Interventi e della sua pratica realizzabilità) il Tar aveva liquidato una somme a titolo risarcitorio sull’erroneo presupposto che i progetti erano fra loro coordinati e concatenati e la materiale indisponibilità del terreno aveva impedito qualsivoglia concreta progettualità in proposito.
Il Tar nelle premesse aveva negato che potesse essere risarcito un danno derivante dalla mera coincidenza occasionale della indebita occupazione (di particelle riferibili esclusivamente all’intervento “D” Piazza ed annessi negozi) e della mancata realizzazione dell’intero Programma.
Poi, però, nei fatti, aveva contraddetto la premessa liquidando una somma a titolo equitativo che aveva quale “causale” legittimante proprio la omessa realizzazione dell’intero Programma.
Con ciò obliando che:
a)il Programma costituiva sì un complesso di opere ma esse erano realizzabili anche in maniera parcellizzata e frazionata (come dimostrava che era stata presentata in passato dalla ditta Campanile SRL una Dia per il solo corpo B);
b)quanto al corpo D nessuna Dia era stata presentata perché la Campanile non possedeva le necessarie cubature; analogo ragionamento valeva per i corpi A e C.
c)quanto al corpo B (Studentato) esso non era in nessun modo connesso all’intervento sul corpo D, ed infatti giammai si era provato che l’omesso inizio delle opere di cui alla Dia del 2004 afferente al corpo B fosse dipeso dal protrarsi dell’occupazione sulle due particelle per cui è causa (incidenti solo, soltanto, ed esclusivamente, sull’intervento di cui al corpo D);
Quanto al lucro cessante, lo stesso CTU aveva determinato nel 2009 la data da cui partire: premesso che di esso non v’era alcuna prova, del tutto immotivatamente il Tar lo aveva liquidato a partire dal 2006.
La contraddizione della gravata sentenza era ancor più marcata, però, allorchè la stessa aveva liquidato il danno rapportandolo in termini “concausali” alla omessa realizzazione dell’intero Programma Integrato di Interventi, pur non aveando disconosciuto che v’erano autonomi ostacoli che ne avrebbero impedito la attuazione.
A tutto concedere, il danno da omessa realizzazione dell’intervento avrebbe dovuto afferire al solo corpo D.
La cifra dalla quale aveva preso le mosse il Tar (euro 6.064.163,93 quale “Incremento dei costi di realizzazione degli interventi”) era riferibile all’intero: avrebbe dovuto essere invece rapportata al solo corpo D (il Consulente la aveva quantificata in Euro 95.900,87
Quanto al rilevante danno da interessi sul mancato profitto imprenditoriale la cifra di partenza (euro 4.355.122,04)era stata parimenti calcolata sul copro B: tale statuizione era errata, in quanto, come prima chiarito, detto corpo B non era stato realizzato per cause del tutto indipendenti dalla indebita occupazione delle due particelle afferenti al solo intervento D.
Con la settima doglianza la società appellante ha criticato la reiezione della eccezione secondo cui non andava risarcito il danno da illegittima occupazione, dal momento dell’offerta di restituzione, avvenuta nel novembre del 2010: il primo giudice aveva ritenuto che il rifiuto del Baiano a riprendersi le aree offertegli il 12.11.2012 fu, in quell’occasione, motivato e legittimo: esso, invece, doveva essere qualificato negativamente ex art. 1227 c.II del codice civile e 30 c.III del cpa.
Il Sig Baiano, parte appellata nell’ambito del ricorso 1808/2013 ed appellante principale nel ricorso n. 1886/2013 , in vista della adunanza camerale fissata per la delibazione della istanza di sospensione della esecutività della gravata decisione si è costituita nell’ambito del ricorso 1808/2013 depositando una memoria e chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.
Ha in particolare evidenziato che essa non aveva aderito all’offerta di restituzione dell’area, avvenuta nel novembre del 2010, in quanto il fondo era stato del tutto trasformato e configurato, e sarebbe stato onere dell’Astaldi ridurre in pristino le trasformazioni indebite effettuate, prima di restituirlo.
Ha fatto presente che la contestazione pregiudiziale della propria legittimazione ad agire e del proprio interesse a ricorrere era errata in quanto il Programma di Intervento Integrato era stato presentato dal predetto “in proprio” e quale amministratore unico della Campanile SRL; il ricorso in riassunzione non conteneva alcun ampliamento del petitum: si era chiesta già dall’atto introduttivo del giudizio innanzi al Tribunale Ordinario la restituzione delle particelle ed il risarcimento dei danni provocati dalla protratta mancata restituzione delle particelle 1349 ed 1352 ed aree connesse.
La Astaldi, poi, deteneva ancora le aree, delle quali aveva seppur indebitamente la disponibilità; non si sarebbe giustificata, altrimenti, la offerta di restituzione stragiudiziale.
La responsabilità solidale della Astaldi con Sepsa – anche per il torno di tempo successivo al luglio 2004 – era innegabile, essendo S.E.P.S.A. beneficiaria del procedimento espropriativo, ed Astaldi, quale concessionaria dei lavori.
Ha poi contestato tutte le altre censure di merito, evidenziando che i fabbricati demoliti si trovavano sulle particelle indebitamente occupate e richiamando le argomentazioni già esposte nel mezzo di primo grado e, in parte, ribadite nel proprio appello principale rubricato al n. 1886/2013 quanto alla asserita non causalità dell’illecita condotta dell’amministrazione sulla omessa realizzazione degli interventi di cui al Programma di Intervento Integrato.
Al contrario, numerosi danni arrecati per tabulas al Baiano e riconducibili direttamente alla detta illegittima condotta dell’amministrazione non erano stati risarciti dal Tar (perdita di finanziamenti europei a fondo per; perdita di un rilevante credito d’imposta, etc).
L’ Eav srl (Ente incorporante Sepsa Spa) si è costituita in giudizio depositando un articolato appello incidentale nell’ambito del quale ha sostenuto la “novità” (e quindi inammissibilità) delle domande contenute nell’atto di riassunzione ed il difetto di legittimazione ed interesse del Baiano in termini identici a quelli prospettati da Astaldi nel proprio appello principale.
Ha poi sostenuto (terza censura, punto 3.1.) il proprio difetto di legittimazione passiva, quanto al petitum restitutorio, (eccezione sulla quale il Tar non si era pronunciato, violando l’art. 112 cpc) ex art. 8 del dLgs n. 422/1997.
La Regione era divenuta proprietaria della stazione, mentre unicamente la gestione del servizio restava riservata all’impresa ferroviaria (quale era l’appellante incidentale).
Ne conseguiva che il petitum restitutorio doveva essere rivolto all’Ente proprietario (Regione Campania) in realtà mai evocato in giudizio (all’uopo richiamandosi l’ art. 42 bis del dPR n. 327/2001 in punto di legittimazione all’adozione del provvedimento acquisitivo ed una precedente sentenza del Tar partenopeo, n. 5083/2008).
Il proprio difetto di legittimazione passiva, poi, doveva essere affermato anche quanto al petitum risarcitorio (punto 3.2.) posto che la Sepsa aveva affidato ad Astaldi quale concessionaria dei lavori le attività espropriative, di occupazione, etc.
Ciò implicava che la Sepsa dovesse restare immune dalle pretese risarcitorie, ove imputabili ad errori commessi (ed ammessi) dai tecnici della Astaldi, e parimenti non dovesse essere tenuta in solido alla corresponsione di E. 112.000 per il ripristino delle aree in quanto i lavori erano da imputarsi unicamente alla Concessionaria Ati Astaldi.
Con il quarto motivo (ultima censura di carattere pregiudiziale) si è sostenuta la violazione del principio del ne bis in idem quanto alla domanda di risarcimento per aggravamento dei costi di realizzazione e perdita dei contributi in conto capitale formulata dal Baiano.
La sentenza del Tar regiudicata n. 601/2007 aveva infatti rigettato dette domande proposte anche nei confronti della Sepsa sia dalla Campanile Srl che dal Baiano personalmente.
Il Tar aveva invece riconosciuto il bis in idem soltanto con riguardo alla lamentata perdita dei finanziamenti in conto capitale, ma ciò costituiva un grave errore.
Con l’articolata doglianza di cui al motivo di appello n. 5, sono state avanzate critiche di merito alla statuizione risarcitoria, nella sostanza identiche e sovrapponibili a quelle prospettate dall’Ati Astaldi con il proprio appello principale ed illustrate nella parte a quest’ultimo dedicata
Alla camera di consiglio del 9 aprile 2013 fissata per la delibazione della domanda cautelare di sospensione della esecutività della gravata decisione, la Sezione con ordinanza n. 01294/2013 ha accolto il petitum cautelare sulla scorta delle considerazioni per cui “sia pure nella sommarietà della delibazione cautelare, l’appello, con riferimento alla statuizione contenuta nell’appellata decisione e relativa alla determinazione della somma determinata in euro 112.392,56 per provvedere alle opere conseguenti allo sbancamento dell’area non appare fornito del prescritto fumus, e parimenti non si rinviene alcun decisivo fumus con riferimento alla quantificazione relativa al valore delle aree indebitamente occupate: in relazione a detti due profili l’appello va pertanto respinto
Rilevato che, invece, risulta comprovato il fumus (cfr Cass. civ. Sez. I Sent., 14-12-2007, n. 26260) con riguardo alla voce risarcitoria relativa alla determinazione del danno recato al proprietario a seguito della demolizione delle opere (euro 663.000,00) accoglie l’appello cautelare con riguardo a tale autonoma voce risarcitoria;
rilevato che, per la restante parte relativa al riconoscimento del danno in relazione alla incidenza della indebita occupazione delle due particelle del Signor Baiano sulla praticabilità e realizzabilità del Programma Integrato di Intervento (determinato in sentenza nella misura di euro 1.516.040,98 -¼ di euro 6.064.163,93- sommati ad euro 1.088.780,51 -¼ di euro 4.355.122,04- )considerato che, in disparte ogni valutazione sulla fondatezza nel merito della questione sottoposta, il Collegio ritiene di dover dare prevalente rilievo al danno evidenziato, che si presenta rilevante in senso assoluto ;
considerato che peraltro, stante la fluidità della situazione, appare corretto subordinare la concessione del richiesto provvedimento cautelare alla prestazione, da parte degli appellanti, di adeguata garanzia a tutela delle ragioni di danno della controparte, secondo le seguenti modalità:
- la garanzia, per un importo pari alla metà della somma come in ultimo indicata (euro 1.516.040,98 sommati ad euro 1.088.780,51) sarà fornita tramite contratto autonomo di garanzia, costituito da fideiussione bancaria a prima richiesta scritta da parte dell’appellante Astaldi in favore del beneficiario, ossia della parte appellata Baiano per un valore garantito pari ad €1.302.410 (euro unmilionetrecentomilaquattrocentodieci e con validità fino alla conclusione del procedimento giurisdizionale dinanzi al Consiglio di Stato;
- il contratto di fideiussione bancaria disporrà che l’escussione della garanzia a prima richiesta scritta da parte del beneficiario sia subordinata alla contestuale comunicazione della decisione conclusiva del procedimento giurisdizionale dinanzi al Consiglio di Stato in caso di appello e che l’escussione avvenga nei limiti della somma indicata nella detta decisione conclusiva come quella dovuta a titolo di danni e di rimborso per spese di giustizia;
- l’originale del contratto di fideiussione sarà notificato, unitamente al presente decreto, al soggetto beneficiario, mentre copia del documento stesso sarà versata agli atti di questa Sezione;”.
Tutte le parti processuali hanno depositato memorie e repliche, insistendo nelle rispettive conclusioni.
Alla odierna pubblica udienza del 3 dicembre 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio
Ricorso n. 1886/2013;
L’originario ricorrente di primo grado, rimasto parzialmente soccombente nel giudizio di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha ripercorso il risalente e prolungato contenzioso intercorso ed ha in via generale censurato la sentenza in quanto il Tar non aveva dato rilievo ad una circostanza fattuale rivestente portata dirimente.
Invero, l’incidenza della illegittima permanenza dell’occupazione delle due particelle n.1349 e 1352 sull’intero Piano Integrato nasceva da una circostanza: esse furono escluse dalle aree da espropriare proprio per la interferenza con detto Programma Integrato.
Il Piano integrato prevedeva che la Stazione Trencia fosse realizzata alla quota 0.00 fissata con riferimento al Piano della via Montagna Spaccata.
Inopinatamente, Astaldi realizzò la Stazione Trencia ad una quota di mt. -3,44.
A questo punto, l’area della Piazza antistante alla Stazione venne parimenti sbancata fino a raggiungere la quota di mt.- 3,44 corrispondente.
Ciò rendeva inaccessibile ed impossibile da raggiungere lo Studentato dalla Piazza, senza una scala di collegamento (non prevista, però, dal Piano regolatore che prevedeva invece la quota 0,00 sia per la Piazza di ingresso alla stazione la Trencia che per lo Studentato).
Tale abnorme sbancamento, dovuto all’abbassamento della quota della Stazione implicava la non realizzabilità dello studentato:ed implicava altresì la correttezza della condotta del Baiano che rifiutò l’offerta di restituzione, avvenuta nel novembre del 2010.
Senonchè il Tar (seconda censura) da un canto aveva affermato la necessità di ripristinare lo status quo ante; poi, però aveva disposto la restituzione delle particelle,senza ribadire che la restituzione sarebbe dovuta essere preceduta dalla eliminazione dello sbancamento
Il ripristino della quota e la eliminazione dello sbancamento doveva precedere la restituzione delle aree.
Con la terza censura è stata ribadita la tesi per cui l’omessa restituzione dei suoli era stata la causa della omessa realizzazione del Programma Integrato.
Con nota del Prefetto 3 gennaio 2003 diretta sia ad Astaldi che a Sepsa era stato a queste ingiunto di restituire le dette due particelle, non “coperte” dal decreto di esproprio, in quanto non erano servite alla realizzazione dell’opera pubblica
L’ordine impartito venne tenuto in non cale
Il Tar aveva obliato la circostanza che lo Studentato avrebbe dovuto essere posto alla stessa quota della Stazione (e della Piazza) per far si che attraverso detto collegamento gli studenti raggiungessero la Stazione medesima.
Il tutto a quota 0.00. Improvvidamente abbassata la quota della Stazioen era impossibile la realizzazione di tale “unicum inscindibile”.
Con la quarta censura, si è contestata la misura del risarcimento determinato dal Tar in relazione ai capannoni: si è dato per scontato infatti che gli stessi fossero abusivi, ma non si doveva fornire alcuna prova della loro “regolarità”, in quanto edificati prima del 1967.
Inoltre, erroneamente era stata valorizzata in senso contrario alla posizione del Baiano la pregressa sentenza del Tar n. 12023/2004 incentrata soltanto sulla contestazione della quantificazione degli oneri di urbanizzazione pretesi dal Comune.
Per altro verso, la sentenza (pure richiamata dal primo giudice) n. 601/2007 non aveva mai statuito sulla questione della perdita dei finanziamenti a fondo perduto (motivo di censura, questo, che era rimasto assorbito e sul quale non si era formato alcun giudicato e che, di conseguenza, non avrebbe potuto condurre ad una declaratoria di bis in idem).
Il Baiano, peraltro, aspirava ancora a potere realizzare le opere del Programma, previa, riconduzione della Stazione all’area 0.00 prevista.
Con il quinto motivo di censura sono state criticate alcune partite statuizioni del Tar in ordine alle “poste” risarcitorie.
Quanto al danno da “improvvida demolizione” dei capannoni, la quantificazione resa dal Tar era errata (“su detta cifra, determinata per come si evince dalla perizia, all’attualità, trattandosi di debito da risarcimento del danno, e quindi di debito di “valore” diversamente da quanto opinato dal C.T.U. non vanno tuttavia calcolati interessi e rivalutazione..”).
Il Tar non si era avveduto che la cifra di euro 663.000,00 era stata determinata dal CTU all’ 8.10.2002 (data di cessazione della occupazione legittima): essa doveva essere integrata da interessi e rivalutazione.
Quanto (lett. B)alla quantificazione della somma per rimediare allo sbancamento, parimenti essa doveva essere integrata da interessi e rivalutazione.
Interessi e rivalutazione erano dovuti anche per le voci “ Incremento dei costi di realizzazione degli interventi” ed “Interessi sul mancato profitto imprenditoriale”.
In ordine a queste ultime, tuttavia, nei termini riconosciuti dal Tar, l’appellante ha proposto una serrata critica, in quanto erroneamente era stato decurtato l’importo quantificato dal concludente tecnico, posto che il Programma era inscindibile e ne era stata resa impossibile la realizzazione unicamente a cagione della illegittima condotta di indebita occupazione delle particelle (e coevo sbancamento dell’area).
Con la sesta censura si è chiesto venisse disposto il risarcimento per l’avvenuta perdita dei finanziamenti a fondo perduto per ben tre volte erogati a parte appellante (la decadenza discendeva dal mancato avvio dei lavori del Piano Integrato di cui si era dimostrata la riconducibilità alla permanenza della illegittima occupazione delle due particelle) e (motivo n.7) per la impossibilità di giovarsi dei due crediti di imposta riconosciuti all’impugnante (pari ad E 1.700.000 ciascuno).
Il Tar poi (ottavo motivo di ricorso, pag 12 lett. i del mezzo di primo grado) non si era pronunciato sul danno da “mancato godimento” dell’immobile (voce di natura morale e psicologica da tenere distinta da quella patrimoniale che dava causa all’attribuzione della indennità di occupazione) e (censura n. 9) su quella del “mancato profillo dell’ imprenditore” (sul quale pure, l’elaborato del Ctu si era soffermato, a pagg. 195 e segg. punto 4.4.4.).
Tali omissioni di pronuncia, ex art. 112 cpc, dimostravano vieppiù l’erroneità del percorso logico seguito dal Tar, né alcuna preclusione al riconoscimento di tali voci poteva discendere dalla decisione del Tar n. 601/2007 che,semmai, dimostrava quanti ostacoli la Astaldi avesse frapposto alla realizzazione del Piano Integrato.
Con la undicesima censura è stato criticato il quomodo del criterio equitativo applicato dal Tar; la decurtazione di tre quarti appariva immotivata, ingiustificata, e mai Astaldi aveva offerto alcun elemento di prova che potesse giustificarla.
In ultimo, (motivo n. 12) si è sostenuta la liquidabilità del danno morale, ingiustamente pretermesso dal Tar e si è evidenziata (censura n. 13) la erroneità della gravata decisione laddove aveva liquidato le spese in favore del Baiano quantificandole nell’importo risibile di € 5000.
Tutte le parti processuali hanno depositato memorie e repliche, insistendo nelle rispettive conclusioni.
Alla odierna pubblica udienza del 3 dicembre 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.I suindicati appelli devono essere riuniti trovandosi al cospetto di impugnazioni proposte avverso la stessa sentenza.
Deve rilevarsi in via assolutamente preliminare che la documentale circostanza dell’avvenuta restituzione delle aree al Baiano in prossimità della odierna udienza pubblica ed il versamento della somma di € 112.392,56 non hanno provocato alcuna improcedibilità delle domande prospettate nell’odierno grado di giudizio e men che meno alcuna sopravvenuta carenza di interesse alla decisione dell’appello.
1.1.Ritiene il Collegio in primo luogo di esaminare – e risolvere – le questioni di carattere pregiudiziale ed in via assolutamente primaria di disporre l’estromissione dal presente giudizio del Ministero dell’Interno – siccome richiesto dalla difesa erariale- ma anche della Prefettura- Ufficio Territoriale del Governo di Napoli.
Invero nessuna domanda è stata spiegata da alcuna parte processuale nei confronti del primo o della seconda ; la Prefettura emise soltanto il provvedimento con il quale si perimetrava l’espropriazione e si escludevano da detto procedimento le particelle per cui è causa (provvedimento rimasto incontestato da parte di alcuno): esse vanno estromesse dal presente giudizio.
1.1.1. Ciò posto si premette – quanto alle questioni pregiudiziali proposte - che in numerose di esse è stato anche denunciato il vizio di omessa petizione ex art. 112 cpc. Pur potendo il Collegio concordare con taluna di dette segnalazioni, si ritiene di evidenziare che le stesse non possono produrre effetto pratico utile per le appellanti (id est: comportare la regressione del procedimento al primo grado) in ossequio al tradizionale orientamento secondo cui l'omessa pronuncia su una o più censure proposte col ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo tale da comportare l'annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado, ma solo un vizio dell'impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo del merito della causa.( ex aliis Consiglio Stato , sez. IV, 19 giugno 2007, n. 3289: oggi, vedasi art. 105 del cpa)
2.Passando all’esame delle dette eccezioni, si sostiene nell’appello principale proposto dall’Ati Astaldi ed in quello incidentale proposto da Eav srl (Ente incorporante Sepsa Spa) la “novità” (e quindi inammissibilità) delle domande risarcitorie contenute nell’atto di riassunzione in quanto diverse e “nuove” rispetto a quelle contenute nell’atto di citazione innanzi al Tribunale Ordinario di Napoli (ove giammai si era prospettata la interferenza negativa dell’occupazione delle particelle con l’intero Programma Integrato).
Il Collegio non concorda con tale tesi: nessun allargamento rispetto alle pregresse domande può riscontrarsi quanto, invece, una più dettagliata specificazione e perimetrazione.
Si rammenta in proposito che la preclusione stabilita dall'art. 394, terzo comma, cod. proc. civ. con riguardo al procedimento in sede di rinvio, è quella di prendere conclusioni diverse da quelle prese nel processo in cui fu pronunciata la sentenza cassata.
Ciò non è certamente riscontrabile nel caso di specie, posto che innanzi al Giudice ordinario venne richiesto il risarcimento di tutti i danni cagionati dall’indebita omessa restituzione delle aree (il che implica la reiezione della censura) e di converso si evidenzia che sulla questione del possibile “allargamento”
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