Saturday 13 September 2014 19:54:29

Normativa  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

QUESITO: il Comune chiede di sapere se immobili difformi dai titoli abilitativi rilasciati negli anni '60 e '70 possano essere considerati legittimi in considerazione del successivo rilascio del certificato di agibilità e dell'epoca risalente di edificazione.

Parere del Prof. Avv. Enrico Michetti

QUESITO: il Comune chiede di sapere se immobili difformi da titoli abilitativi rilasciati negli anni '60 e '70 possano essere considerati legittimi in considerazione del successivo rilascio del certificato di agibilità e dell'epoca risalente di edificazione. RISPOSTA: Con riferimento al quesito proposto afferente la legittimità di immobili ai quali è stato rilasciato il certificato di agibilità nonostante si tratti di opere realizzati in difformità dalle licenze edilizie risalenti agli anni '60 - '70 ed in alcuni casi in carenza di nulla osta paesaggistico giova evidenziare quanto segue. Il permesso di costruire ed il certificato di agibilità, sono collegati a presupposti diversi e danno vita a conseguenze non sovrapponibili. Il certificato di agibilità ha, infatti, la funzione di accertare che l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti (come espressamente recita l’art. 24 del Testo unico dell’edilizia D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), mentre il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo edilizio. Corollario di tali premesse è che - come affermato dal Consiglio di Stato, Sez. V sentenza del 13.3.2014, n. 1220 - (http://www.gazzettaamministrativa.it/opencms/opencms/_gazzetta_amministrativa/_permalink_news.html?resId=cf7b19e0-b837-11e3-84ee-5b005dcc639c) i diversi piani ben possano convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie normative, sia in quella patologica di una loro divergenza. In tal senso la giurisprudenza non ha mancato di rilevare l’irrilevanza del rilascio del certificato di agibilità come fatto ostativo al potere di reprimere abusi edilizi (Consiglio di Stato, sez. V, 3 febbraio 1992 n. 87) oppure in senso opposto in cui si è affermata l’illegittimità del diniego della agibilità motivato unicamente con la difformità dell’immobile dal progetto approvato (id. 6 luglio 1979 n. 479). Si segnala, peraltro, anche sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 16.10.2013, n. 5025 pubblicata in Gazzetta Amministrativa del 20.10.2013(http://www.gazzettaamministrativa.it/opencms/opencms/_gazzetta_amministrativa/_permalink_news.html?resId=6cca4bf9-395f-11e3-81ad-5b005dcc639c) nella quale si afferma espressamente che "il rilascio del certificato di agibilità, lungi dall’essere subordinato all’accertamento dei soli requisiti igienico-sanitari, presuppone altresì la conformità urbanistica ed edilizia dell’opera.." Da quanto sopra esposto consegue evidente come non possa attribuirsi valore di sanatoria implicita al successivo rilascio del certificato di agibilità nel quale fosse rappresentato l’immobile difforme, se il titolo aveva per oggetto opere diverse da quelle difformi. Di qui l'impossibilità di qualificare tali immobili in termini di legittimità sulla base del solo presupposto dell'avvenuto rilascio del certificato di agibilità. Tale conclusione, peraltro, resta invariata anche ove si considerasse l'elemento temporale della risalente epoca di realizzazione. Sul punto risolutiva in senso ostativo ad una sopravvenuta implicita sanatoria delle difformità per decorso del tempo e' la giurisprudenza formatasi in materia di doppia conformità (art. 36 DPR 380/2001). Sulla base di tale principio la giurisprudenza (TAR Veneto n. 1077/2003) non ha mancato di rilevare come risulta non decisivo che all’epoca di realizzazione delle opere le modifiche rispetto al progetto fossero irrilevanti. L’accertamento di conformità di cui all’art. 36 del Dpr n. 380/2001 richiede, infatti, che sia soddisfatto il requisito della c.d. doppia conformità che, a sua volta, presuppone che l’opera sia conforme alla disciplina vigente in due differenti momenti storici: quello in cui l’opera era stata realizzata e, ancora, quello relativo al momento in cui viene presentata la domanda di sanatoria. L’intento del legislatore è stato quello di circoscrivere gli effetti “sananti”, al fine di regolarizzare quelle opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il previo rilascio del titolo, ma che risultano conformi, nella sostanza, alla disciplina urbanistica applicabile per l’area su cui sorgono (in questo senso T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 03-12-2010, n. 1931). Un costante orientamento giurisprudenziale (per tutti si veda T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 02-09-2010, n. 1887 e T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 12-10-2012, n. 751) ha sancito, infatti, che “in tema di violazioni inerenti la normativa edilizia, il permesso in sanatoria è un provvedimento tipico disciplinato, in maniera specifica, dall’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001. Siffatta rigida tipicità risulta ostativa rispetto ad una possibile estensione di tale potere al di fuori dei presupposti, inerenti alla necessità della doppia conformità (alla normativa vigente al momento della realizzazione ed a quella di presentazione dell’istanza), come dettati dalla citata norma di riferimento. Non sono ammessi, in altri termini, spazi residui che consentano di affermare la sopravvivenza della cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale” o “impropria”, ….”. E’ allora del tutto evidente che nell’accertamento di conformità regolato dall’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 il Comune è chiamato a svolgere una valutazione da rapportare ad un assetto di interessi prefigurato dalla citata disciplina, con la conseguenza che la verifica dei presupposti sopra precisati assume una connotazione eminentemente oggettiva e vincolata, priva pertanto di appezzamenti discrezionali. L'Amministrazione Comunale, inoltre, richiede altresì parere in ordine alla "validità del titolo edilizio emesso in carenza del dovuto parere paesaggistico". L’art.159 del D.Lgs. 22.1.2004 n. 421, in via transitoria sino al 31 dicembre 2009 e, da quella data in via definitiva, l’art.146 del medesimo decreto legislativo, prevedono che “l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio” e l’art.159 specifica espressamente che “i lavori non possono essere iniziati in difetto di essa”. Di qui consegue che l’autorizzazione paesaggistica non può essere intesa quale mero presupposto di legittimità del titolo legittimante l’edificazione, connotandosi piuttosto per una sua autonomia strutturale e funzionale rispetto al permesso di costruire. Al riguardo il Consiglio di Stato ha più volte affermato che: “l'autonomia strutturale dei due procedimenti, non consente di considerare la procedura per il rilascio del nulla osta quale "presupposto necessario" del procedimento per il rilascio della concessione edilizia, neppure nell'ipotesi di opere da realizzarsi su aree vincolate come bellezze di insieme “(C.d.S., sez. V, 11.3.1995, n. 376; C.d.S. Sez. VI, 19 giugno 2001 , n. 3242). Da quanto sopra deriva che non sussiste un nesso di antecedenza necessaria tra il rilascio del nulla osta ambientale e la conclusione del procedimento di rilascio del permesso di costruire trattandosi di due procedimenti distinti, ed entrambi necessari per l’avvio dei lavori edilizi. Di guisa che, in risposta al quesito formulato, il titolo edilizio e' valido anche in carenza del dovuto parere paesaggistico, ma si palesa sostanzialmente inefficace in quanto l'inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di ambedue i titoli. La mancanza di un’autorizzazione paesaggistica, infatti, rende non eseguibile le opere e ben giustifica, in caso di loro realizzazione, provvedimenti inibitori, e sanzionatorio – ripristinatori, quale un’ordinanza di riduzione in pristino (cfr TAR Campania Napoli, sez. VIII, 5 giugno 2012 n. 2652). Più volte la giurisprudenza amministrativa ha affermato che la concessione edilizia può essere rilasciata anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica, fermo restando che è inefficace, e i lavori non possono essere iniziati, finché non interviene il nulla osta paesaggistico. La giurisprudenza è inoltre costante nel ritenere che l'inizio dei lavori è subordinato all'adozione di entrambi i provvedimenti. (in termini v. Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 2005, n. 2073; Cons. Stato, sez. V, 11 marzo 1995, n. 376; Cons. Stato, sez. V, 1 febbraio 1990, n. 61; Cons. Stato, sez. II, 10 settembre 1997, n. 468; Consiglio di Stato sez. VI n. 547 del 10.02.2006 ). La garanzia, quindi, che il territorio non venga compromesso da interventi assentiti con permesso di costruire ma privi di nulla osta paesaggistico, è data dall'impossibilità giuridica di intraprendere i lavori prima dell'acquisizione del necessario nulla osta paesaggistico. Quanto ad eventuali censure circa la violazioni delle legittime aspettative che oggi la parte privata potrebbe addurre in relazione all'aver edificato sulla base dell’avvenuto rilascio del permesso di costruire negli anni '60 e/o '70 e sull’avvenuta ultimazione dell’opera, la giurisprudenza sopra richiamata ha più volte evidenziato come "il suo effetto non può essere quello di consentire la realizzazione di opere in assenza di autorizzazione paesaggistica, come non può essere quello di considerare invalidi atti inibitori e sanzionatori fondati sull’assenza di quest’ultima, trattandosi di atti dovuti in base a legge." La violazione dell’affidamento ingenerato non è difatti sostenibile in presenza di attività vincolata dove all’amministrazione non è concessa discrezionalità amministrativa in ordine all’an delle sanzioni previste per la violazione della normativa di tutela ambientale. Ma v'è di più. Anche la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, sia in sede penale (Corte di Cassazione, Sez. III Penale sentenza 11.5.2010 n. 563) e come verrà in seguito chiarito anche in sede civile, non ha mancato di evidenziare come "l'autorizzazione paesaggistica nelle zone vincolate costituisce condizione di efficacia del titolo abilitativo edilizio nel senso che esso diviene efficace solo dopo l'autorizzazione predetta. Da ciò consegue che non è consentito iniziare i lavori prima della conclusione dell'intero procedimento configurandosi nel caso contrario sia il reato urbanistico che quello paesaggistico (cfr ex plurimis Cass. sez III n. 22824 del 2003).". Anche la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione con sentenza del 7.4.2006, n. 8244 ha rilevato che ove l'area per la quale si è conseguito il titolo alla trasformazione edilizia, sia interessata da altri tipi di vincoli, a tutela di diversi interessi, e tra questi viene in considerazione il vincolo paesaggistico, in via generale, non conferisce al bene una condizione di intangibilità, ma richiede, a sua volta, un provvedimento abilitativo che dipende dall'accertamento di non-incompatibilità della prospettata attività di trasformazione, rispetto all'interesse pubblico tutelato. Aggiunge la Suprema Corte che in presenza del vincolo estetico-culturale, l'esercizio dell'attività costruttiva presuppone non solo la concessione edilizia, di competenza dell'autorità preposta al controllo delle costruzioni, ma anche il nulla-osta paesaggistico, rimesso, nel corso del tempo e dell'evoluzione del concetto di tutela dei valori culturali e ambientali, alla valutazione dell'autorità statale, e successivamente, in via dì delega o, da ultimo, in virtù di vero e proprio conferimento di funzioni, dell'autorità regionale, e infine alla stessa autorità comunale per delega della regione. La necessità di un doppio titolo abilitativo osta, pertanto, ad una qualificazione dello ius aedificandi come facoltà acquisita per effetto del rilascio della concessione edilizia, ove difetti l'autorizzazione paesaggistica. L'autonomia dei due titoli, in nome della quale il giudice amministrativo può affermare che il mancato rilascio del nullaosta non legittima il Sindaco al ritiro della concessione edilizia, non toglie che l'inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di ambedue i titoli. Alla luce di tutto quanto sopra esposto - ed in risposta all'ultimo quesito formulato in ordine al regime sanzionatorio applicabile - nonostante la giurisprudenza ritenga superflua la comunicazione di avvio del procedimento laddove si tratti di atti vincolati per i quali l’apporto della parte privata sarebbe comunque ininfluente ai fini dell’adozione del provvedimento definitivo – è comunque auspicabile, nel caso di specie ed in considerazione del lungo lasso di tempo decorso dal rilascio del titolo abilitativo che l'amministrazione comunale prima di procedere ad adottare provvedimenti sanzionatorio – ripristinatori, quale appunto un’ordinanza di riduzione in pristino delle opere difformi, proceda a notificare alle parti private apposita comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 Legge n. 241/90 di verifica della conformità urbanisti-co-edilizia delle opere realizzate rispetto al permesso di costruire a suo tempo rilasciato, consentendo per tal via l'apertura del contraddittorio con la parte privata onde assicurare che, attraverso una completa ed esaustiva istruttoria, venga correttamente e legittimamente tutelato il preminente interesse pubblico alla tutela del proprio territorio comunale.

 

Testo integrale del Provvedimento
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