Sunday 02 February 2014 10:00:26

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Il concetto di "Porto": nella nozione di "demanialità" non vanno ricomprese anche opere ed interventi ulteriori relativi all'industrializzazione di talune aree soltanto contigue al porto ed a questo funzionalmente collegate.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI

La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame non ha condiviso l'impostazione estensiva proposta dall'Amministrazione statale (Agenzia del Demanio), la quale ha inteso ricomprendere nel concetto di "porto" anche le aree idonee a soddisfare interessi connessi con l'industria, il commercio e il turismo, in quanto tali riconducibili al novero di "pubblici usi del mare". Al riguardo si osserva che, se " per un verso " è vero che la giurisprudenza degli anni più recenti sembra talvolta ammettere una nozione è per così dire è "funzionale" del concetto di demanialità (fino a ricomprendervi i beni comunque funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività è così: Cass., Sez. Un. 14 febbraio 2011, n. 3665 -), per altro verso non può essere condivisa una lettura è per così dire "olistica della nozione di demanialità, tale da ricomprendere anche opere e compendi (quali quelli all'origine dei fatti di causa) i quali non afferiscono le opere portuali in senso proprio, bensì (secondo una prospettiva evidentemente diversa) l'industrializzazione di un'area contigua al porto inteso in senso proprio. Del resto, anche a voler aderire a una nozione estensiva del novero dei "pubblici usi del mare", a tale lettura non può essere riconosciuta una latitudine tale da ricomprendervi anche opere ed interventi ulteriori e diversi, quali quelli relativi all'industrializzazione di talune aree soltanto contigue al porto e a questo funzionalmente collegate. Del resto, pur essendo evidente l'interesse pubblico allo sviluppo industriale di alcune aree, ciò non giustifica l'indifferenziata ascrizione delle opere e dei compendi a ciò deputati alla nozione di demanialità, in particolare laddove " come nel caso di specie " la normativa in tema di aree di sviluppo industriale consentiva la realizzazione dei interventi attraverso l'iniziativa dei privati cui le aree oggetto di espropriazione sarebbero state trasferite dal soggetto a tanto deputato.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale ***del 2012, proposto dalla società Cincotta Group s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Asciano, Giovanni M. Lauro, Anna Ingianni e Cecilia Savona, con domicilio eletto presso Francesco Asciano in Roma, via G.Bazzoni, 1; 

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero Infrastrutture e Trasporti - Opere Pubbliche Lazio Abruzzo Sardegna, Ministero Infrastrutture e Trasporti Direzione Marittima Cagliari, Ministero Infrastrutture e Trasporti - Capitaneria di Porto di Cagliari, Ministero Infrastrutture e Trasporti - Consiglio Superiore Lavori Pubblici, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Agenzia del Demanio Filiale Sardegna Sede di Cagliari, Autorità Portuale di Cagliari, Agenzia del Demanio, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

nei confronti di

 

Ma Grendi dal 1828 S.p.a.;

Nuova Saci Società a responsabilità limitata in liquidazione;

Fradelloni Raffaele e Figli S.p.a.;

Assessorato della difesa dell'ambiente della Regione autonoma della Sardegna, Assessorato degli Enti locali, finanze e urbanistica della Regione della Sardegna;

Comune di Capoterra;

Assessorato dell'Industria della Regione autonoma - Servizio politiche per le Imprese;

Comune di Uta;

Comune di Elmas;

Comune di Sestu;

Camera di Commercio Industria Artigianato ed Agricoltura di Cagliari;

Antonio Granara, Mauro Cois, Sisinnio Fadda, Francesca Nocera, Elio Melis e Gianfranco Piu;

Assemblea Generale del Consorzio Industriale Provinciale di Cagliari, Collegio dei Revisori dei Conti Consorzio Industriale Provinciale di Cagliari, Collegio dei Liquidatori del Consorzio Area Sviluppo Industriale di Cagliari;

Comune di Cagliari, rappresentato e difeso dall'avvocato Carla Curreli, con domicilio eletto presso Viviana Callini in Roma, via Archimede, n. 10;

Cacip-Consorzio Industriale Provinciale di Cagliari, rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Ranieri, Guido Manca Bitti e Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, V. Principessa Clotilde 4;

 



sul ricorso numero di registro generale 6817 del 2012, proposto dal CACIP - Consorzio Industriale Provinciale di Cagliari, rappresentato e difeso dagli avv.ocatiAngelo Clarizia, Massimo Ranieri e Guido Manca Bitti, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2

contro

 

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Direzione Marittima di Cagliari, Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lazio Sardegna e Abruzzo, Capitaneria di Porto di Cagliari, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Agenzia del Demanio Filiale Sardegna-Cagliari, Autorità Portuale di Cagliari, Consiglio Superiore dei LL.PP., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Regione Autonoma Sardegna, rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandra Camba e Tiziana Ledda, con domicilio eletto presso Ufficio di rappresentanza della Regione Autonoma della Sardegna in Roma, via Lucullo 24;

Assessorato della Difesa dell’ambiente della Regione Autonoma della Sardegna; Assessorato degli Enti Locali, Finanze Urbanistica della Regione Autonoma della Sardegna;

 

 

nei confronti di

 

Comune di Cagliari, rappresentato e difeso dall'avvocato Carla Curreli, con domicilio eletto presso Viviana Callini in Roma, via Archimede, N. 10;

Comune di Sarroch;

Comune di Capoterra;

Comune di Uta;

Camera di Commercio di Cagliari;

Comune di Assemini;

Comune di Sestu;

Comune di Elmas;

Benedetto Ballero;

Nuova Saci S.r.l. in Liquidazione;

Fradelloni Raffaele e Figli S.p.a.;

Collegio dei Liquidatori del Consorzio dell’Area di Svilupo Industriale di Cagliari, Collegio dei Revisori dei conti del Consorzio Industriale della Provincia di Cagliari;

Serci Oscar, Nocera Francesca, Piu Gianfranco, Melis Elio, Granara Antonio, Cois Mauro e Fadda Sisinnio;

Federazione Italiana Consorzi ed Enti Industrializzati(Ficei);

Assessorato Industria Regione Autonoma Sardegna;

Provincia di Cagliari, rappresentata e difesa dagli avvocati Massimo Ranieri e Paolo Sestu, con domicilio eletto presso Massimo Ranieri in Roma, via dei Tre Orologi N. 10/E;

Ma Grendi dal 1828 S.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati Riccardo Salvini e Paola Cairoli, con domicilio eletto presso Riccardo Salvini in Roma, via Nizza, 53;

Cincotta Group S.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Asciano, Giovanni M.Lauro, Anna Ingianni e Cecilia Savona, con domicilio eletto presso Francesco Asciano in Roma, via Giunio Bazzoni, n. 1

 

 

per la riforma, in entrambi i ricorsi, della sentenza del t.a.r. della sardegna, sezione i, 8 marzo 2012, n. 267

 

 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministero dell'Economia e delle Finanze, dell’Agenzia del Demanio, dell’Autorità portuale di Cagliari, della Regione autonoma della Sardegna, della Provincia di Cagliari, del Comune di Cagliari, del CACIP - Consorzio Industriale Provinciale di Cagliari;della società Ma Grendi dal 1828 S.p.a. e della società Cincotta Group S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2013 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati l’avvocato dello Stato Bonomo, l’avvocato Asciano, l’avvocato Lauro, l’avvocato Clarizia, l’avvocato Murgia per delega dell’avvocato Camba, l’avvocato Cairoli e l’avvocato Ranieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

 

 

FATTO

Gli aspetti fattuali della presente vicenda contenziosa vengono descritti nei termini che seguono nell’ambito dell’impugnata sentenza n. 267 del 2012.

Con due ricorsi proposti dinanzi al T.A.R. della Sardegna (R.G. n. 140/2011 e R.G. n. 337/2011) e successivi motivi aggiunti, il Consorzio Industriale Provinciale di Cagliari - CACIP (già Consorzio per l’area di sviluppo industriale di Cagliari - CASIC) chiedeva l'annullamento del verbale di delimitazione del demanio marittimo in data 24 giugno 2010, concernente aree distinte in catasto ai fogli 15, 16 e 24 del Comune Censuario di Cagliari, redatto dalla commissione di delimitazione della Capitaneria di Porto di Cagliari; nonché, del decreto n. 3525 del 22 febbraio 2011, con il quale il Direttore Marittimo di Cagliari aveva approvato il verbale di delimitazione di cui trattasi, nonché degli atti con gli stessi connessi.

Il CACIP premetteva al riguardo che i terreni interessati dalla delimitazione erano stati oggetto di espropriazione da parte del CASIC (Consorzio Area Sviluppo Industriale di Cagliari), cui era subentrato il CACIP, sulla base di apposita convenzione stipulata il 7 febbraio 1974 con la Cassa per il Mezzogiorno, in cui si prevedeva, per un verso, l'affidamento alla società SIACA s.p.a. della progettazione delle opere necessarie per l'attuazione del primo lotto funzionale del Porto Industriale di Cagliari, denominato come Progetto Speciale n. 1; per altro verso, l'art. 8 della convenzione affidava al CASIC lo svolgimento delle procedure di espropriazione delle aree necessarie per l'attuazione del progetto, disponendo, altresì, che i terreni così acquisiti fossero «intestati al Ministero della Marina Mercantile per le opere di competenza del demanio marittimo» ed al CASIC «le altre aree occupate dalle opere».

La delimitazione tra i due ambiti (demanio marittimo, da un lato, e aree private, dall’altro), secondo il Consorzio ricorrente, era stata già effettuata dall’Autorità marittima con verbale del 20 gennaio 2003, oltre che con i precedenti verbali del 18 luglio 1997, n. 199/97, del 3 giugno 1999, n. 207/99, del 9 gennaio 2001. In forza di tali attività di delimitazione, le aree aventi carattere demaniale sono state, ad avviso del Consorzio ricorrente, acquisite dal demanio marittimo; mentre per le altre aree è stata confermata la piena proprietà in favore del CASIC (ora CACIP) in forza del citato art. 8 della convenzione-quadro e dei corrispondenti atti espropriativi, con apposita trascrizione in suo favore nei registri immobiliari. Alcune di tali aree sono state poi cedute dal CACIP a privati.

Tuttavia, con il verbale impugnato in primo grado la delimitazione così stabilita era stata modificata, includendo tra le aree demaniali anche aree di proprietà del Consorzio ricorrente, nonché le aree cedute dal CACIP ai privati.

Delineata, in tal senso, la lesività degli atti impugnati, a sostegno della domanda di annullamento il Consorzio ricorrente deduceva articolate censure, incentrate sulla violazione dell'art. 32 del codice della navigazione, dell’art. 58 del regolamento del cod nav., degli articoli 4 e 5 del regio decreto n. 3095 del 1885, degli articoli 7, 8 e 9 ss. della legge n. 241/90, della legge n. 84/1994, dell’art. 12 della legge n. 1150/1942, del T.U. n. 218/1978, dell’art. 822 del codice civile in relazione agli articoli 28 ss. del cod. nav., nonché su diversi profili di eccesso di potere.

Si costituivano in giudizio le amministrazioni statali intimate, le quali spiegavano ricorso incidentale con il quale proponevano altresì domanda riconvenzionale nei confronti della ricorrente in via principale.

Con la sentenza in epigrafe il TAR per la Sardegna ha così deciso:

- in primo luogo, ha dichiarato la sussistenza della giurisdizione del Giudice amministrativo;

- ha respinto i ricorsi incidentali proposti dalle amministrazioni statali per la parte in cui si contestava in radice al legittimazione ad agire e la rappresentanza ad processum del CACIP e si obiettava la stessa invalidità degli atti costituitivi del Consorzio;

- ha respinto il ricorso proposto in via principale dal CACIP (confermando la natura effettivamente demaniale delle aree in contestazione e, prima ancora, l’insussistenza in capo al CASIC/CACIP di un titolo legittimante all’acquisizione delle aree per cui è causa alla luce delle previsioni dell’articolo 8 della convenzione-quadro del 1974 e del pertinente quadro normativo);

- ha accolto la domanda riconvenzionale proposta dalle amministrazioni statali in ordine alla lamentata inadempienza del CASIC/CACIP rispetto all’obbligo di ritrasferire le aree sulla base di quanto dedotto in convenzione e ha conseguentemente condannato il consorzio ricorrente in primo grado a restituire le aree in parola.

La sentenza in parola è stata impugnata in sede di appello dalla società Cincotta Group s.rl. (la quale si era resa acquirente di parte del compendio all’origine dei fatti di causa nel corso del 2008). La società appellante ha affidato il proprio appello a numerosi motivi di doglianza.

La medesima sentenza è stata altresì impugnata in appello dal Consorzio CASIC/CACIP il quale ne ha a propria volta chiesto l’integrale riforma, articolando un unico, complesso motivo (‘Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 28, 29 e 32 del codice della navigazione e dell’articolo 822 cod. civ. – Violazione e falsa applicazione degli articoli 144 e seguenti del T.U. delle leggi sul Mezzogiorno approvato con d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1253 e poi sostituito con d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 (articoli 47 e segg.) – Violazione dei canoni ermeneutici di cui agli articoli 1362 e segg. del cod. civ. – Violazione degli articoli 7 e segg. della l. 241 del 1990 – Violazione dell’articolo 5 della l. 84 del 1994 – Eccesso di potere sotto più profili – Motivazione illogica e insufficiente in riferimento alle censure dedotte’).

In entrambi i giudizi si sono costituiti il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dell’Economia e delle finanze e l’Autorità portuale di Cagliari i quali hanno proposto appello incidentale e hanno comunque riproposto le eccezioni e le difese non esaminate e/o ritenute assorbite dalla decisione di primo grado.

Giova qui osservare che, in corso di causa, la Difesa erariale ha espressamente rinunziato ai motivi di appello incidentale sollevati avverso i capi della sentenza da 15 a 18, relativi – in particolare -: a) alla presunta nullità degli atti costitutivi del Consorzio, alla luce delle previsioni della legge regionale 25 luglio 2008, n. 10; b) al difetto di legittimazione ad agire e di rappresentanza ad processum in capo al medesimo Consorzio.

Si è costituita la Regione autonoma della Sardegna la quale ha concluso nel senso della reiezione degli appelli.

Si è costituita la Provincia di Cagliari la quale ha concluso nel senso della declaratoria di inammissibilità o dell’infondatezza dell’appello incidentale proposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dall’Autorità portuale di Cagliari, dall’Agenzia del Demanio e dal Ministero dell’economia e delle finanze.

Si è altresì costituito il Comune di Cagliari al fine di resistere, “per quanto lesivo dei propri interessi” al ricorso principale.

Alla pubblica udienza del 3 dicembre 2013 il ricorso in epigrafe è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in l’appello n. 6733/2012, proposto da una società che si era resa acquirente di un vasto compendio nell’ambito del Porto canale di Cagliari avverso la sentenza del T.A.R. della Sardegna con cui è stato respinto il ricorso proposto dal suo dante causa (Consorzio Industriale Provinciale di Cagliari – CASIC, in seguito: CACIP) avverso gli atti con cui le Autorità marittime hanno accertato, a seguito di una rinnovata valutazione, che il compendio in questione ricade per intero in area demaniale e che, quindi, non poteva essere oggetto possibile di alienazione a terzi.

Giunge altresì alla decisione del Collegio il ricorso in appello avverso la medesima sentenza n. 6817/2012 proposto dal Consorzio che aveva proceduto alla vendita del compendio per cui è causa.

2. In primo luogo il Collegio ritiene di dover disporre la riunione degli appelli in epigrafe, avendo essi ad oggetto la medesima sentenza (articolo 96 del cod. proc. amm.).

3. La prima questione che il Collegio ritiene di affrontare concerne l’ammissibilità del ricorso in appello proposto dalla soc. Cincotta Group, recante il n. 6733/2012.

L’ammissibilità di tale ricorso in appello è stata contestata sotto svariati profili dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dall’Autorità portuale di Cagliari, dall’Agenzia del Demanio e dal Ministero dell’economia e delle finanze.

3.1. Ad avviso del Collegio, almeno una delle richiamate eccezioni di inammissibilità risulta fondata.

Ci si riferisce, in particolare, al motivo (sviluppato, in particolare, con la memoria in data 31 gennaio 2013, pag. 4 e seguenti) con cui si è sottolineato che la Cincotta Group s.r.l., pur avendo potuto spiegare un intervento adesivo alle posizioni del CASIC/CACIP nell’ambito dei ricorsi di primo grado numm. 140/2011 e 337/2011, sia rimasta inerte (non costituendosi in tale giudizio, del quale – pure – aveva avuto rituale conoscenza per essere stata evocata in giudizio dallo stesso CASIC/CACIP).

Al riguardo, le amministrazioni appellanti eccepiscono l’inammissibilità dei motivi di appello proposti direttamente in grado di appello dalla soc. Cincotta Group la quale aveva deciso di non costituirsi nel primo grado di giudizio, avendo – altresì – deciso di non interporre gravame avverso la sentenza del T.A.R. della Sardegna n. 1031/2011 con cui era stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso proposto dalla stessa Cincotta Group s.r.l. avverso il verbale di delimitazione in data 24 giugno 2010 e il successivo provvedimento del Direttore dell’Agenzia del Demanio in data 3 dicembre 2010.

3.2. L’eccezione di inammissibilità è fondata alla luce delle circostanze dinanzi evidenziate e in considerazione della previsione di cui al comma 1 dell’articolo 102 del cod. proc. amm. (rubricato ‘Legittimazione a proporre appello’), secondo cui “possono proporre appello le parti fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado”.

La giurisprudenza di questo Consiglio ha avuto modo di osservare che, già sotto il profilo testuale, la disposizione da ultimo richiamata sembri precludere la possibilità perfino per il litisconsorte pretermesso in primo grado di proporre autonomamente un appello, non potendo questi rientrare fra i soggetti nei cui confronti la decisione di primo grado è stata assunta (Cons. Stato, VI, 8 ottobre 2013, n. 4956).

La disposizione codicistica da ultimo richiamata sembra, quindi, aver determinato il superamento del pregresso orientamento (invero, formatosi nell'assenza di una disposizione normativa così chiara come quella di cui all'articolo 102 del cod. proc. amm.) il quale aveva – al contrario - ampliato il novero dei soggetti legittimati alla proposizione dell’appello, includendovi inter alia il controinteressato - parte necessaria del giudizio di primo grado - non evocato in giudizio, nonché i controinteressati sopravvenuti e i c.d. controinteressati in senso sostanziale (ossia, i soggetti che, pur non essendo agevolmente individuabili sulla base del provvedimento impugnato in primo grado, risultino nondimeno titolari di una posizione giuridica autonoma di interesse alla conservazione del provvedimento impugnato).

Di tanto si rinviene conferma nella relazione illustrativa al codice del processo amministrativo, ove si legge che il legislatore delegato ha inteso riconoscere la legittimazione all'appello soltanto alle parti in senso formale del giudizio di primo grado.

Ma se ciò è vero, a tanto maggior ragione la legittimazione alla proposizione dell’appello dovrà essere negata a un soggetto il quale – al pari della Cincotta Group s.r.l. – avrebbe rivestito nel primo grado di giudizio la veste di mero soggetto co-interessato (essendo portatore di un interesse del medesimo segno di quello del CASIC/CACIP) e che, in quanto tale, non era parte necessaria del processo (nel quale, oltretutto, aveva deciso di non intervenire).

Sotto tale aspetto, è appena il caso di richiamare il consolidato orientamento il quale ammette, sì, la legittimazione per il co-interessato alla proposizione dell’appello, ma solo laddove questi sia stato parte nel giudizio di primo grado (in particolare, impugnando a propria volta l’atto per sé lesivo).

3.3. Pertanto, deve essere dichiarato inammissibile il ricorso in appello della Cincotta Group s.r.l. in quanto proposto da un soggetto co-interessato che non rivestiva la qualifica di parte del processo.

4. Restano conseguentemente assorbite le ulteriori eccezioni processuali e di rito sollevate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dall’Autorità portuale di Cagliari, dall’Agenzia del Demanio e dal Ministero dell’economia e delle finanze in relazione alla posizione della Cincotta Group con il ricorso incidentale proposto nel giudizio n. 6733/2012 e con le successive memorie.

5. Ai limitati fini che qui rilevano, il Collegio ritiene comunque di esaminare (e confutare) il motivo con cui la Cincotta Group ha lamentato la mancata declinatoria di giurisdizione da parte dei Giudici di primo grado (numerosi di tali argomenti sono stati ripresi in sede di memoria dalla Regione autonoma della Sardegna, la quale ha concluso a propria volta nel senso dell’insussistenza della giurisdizione dell’adito Giudice amministrativo).

Al riguardo la Cincotta Group s.r.l. ha osservato che il T.A.R. avrebbe erroneamente omesso di dichiarare la giurisdizione del G.O. nonostante che lo stesso Tribunale amministrativo avesse già declinato la propria giurisdizione in relazione alla complessiva vicenda di causa con la sentenza n. 1031/2011, ormai passata in cosa giudicata (si tratta della sentenza con cui è stato definito il ricorso n. 169/2011 proposto in primo grado dall’odierna appellante principale e avente ad oggetto gli atti di delimitazione del demanio marittimo del 2010).

In particolare, con la sentenza in questione il T.A.R. della Sardegna ha ritenuto sussistere la giurisdizione del G.O. in base all’orientamento secondo cui spetta a quel Giudice pronunciarsi in ordine ai procedimenti di delimitazione delle aree demaniali marittime ai sensi dell’articolo 32 cod. nav., trattandosi di attività in tutto assimilabili a quelle tipiche dell’azione di regolamento di confini di cui all’articolo 950 cod. civ.

Al riguardo la società appellante osserva che la motivazione con cui i primi Giudici hanno ritenuto sussistere la propria giurisdizione non risulterebbe persuasiva (la sentenza in epigrafe ha affermato la giurisdizione esclusiva del G.A. venendo nel caso di specie in rilievo una controversia relativa formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni ai sensi dell’articolo 133, comma 1, sub a), 2) del cod. proc. amm. – in tal modo essendo qualificabile la convenzione del 7 febbraio 1974 -).

Ad ogni modo, la sentenza in epigrafe risulterebbe viziata per violazione del giudicato.

Ma i primi Giudici avrebbero erroneamente omesso di declinare la propria giurisdizione anche sotto un ulteriore aspetto (pagina 22 e seg. del ricorso in appello).

In particolare, essi avrebbero erroneamente affermato che la giurisdizione del G.A. nella vicenda in esame si giustificasse nonostante il fatto che la pretesa sostanziale vantata dal Consorzio si atteggiasse quale rivendica delle aree per cui è causa, traendo fondamento dall’articolo 8 della convenzione del 7 febbraio 1974.

Anche sotto questo aspetto, infatti, i primi Giudici avrebbero dovuto fare applicazione dell’orientamento giurisprudenziale che riconosce al G.O. la giurisdizione in ordine alle controversie inerenti le operazioni di delimitazione del demanio marittimo ai sensi dell’articolo 32 del cod. nav.

Né a conclusioni diverse potrebbe giungersi in relazione al fatto che la richiamata rei vindicatio troverebbe la propria scaturigine nella previsione di cui all’articolo 8 della più volte richiamata convenzione.

5.1. Il motivo dinanzi sinteticamente richiamato è infondato, dovendosi nel caso di specie confermare la sussistenza della giurisdizione del Giudice amministrativo.

5.1.1. Al riguardo, i primi Giudici hanno correttamente impostato la questione di giurisdizione affermando che l’ubi consistam logico-sistematico per l’impostazione di tale questione vada individuato nel se la convenzione-quadro del 1974 – richiamata in premessa – costituisse o meno un titolo idoneo perché il CASIC/CACIP potesse vantare la titolarità delle aree oggetto di espropriazione (scil.: con esclusione delle aree che per definizione non potevano costituire oggetto di procedure espropriative in quanto dotate del carattere della demanialità – ma sul punto si tornerà nel prosieguo -).

Pertanto, del tutto correttamente i primi Giudici hanno ritenuto che nel caso in esame sussistesse un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo alla luce dell’articolo 133, comma 1, lettera a), n. 2) del cod. proc. amm. (che, come è noto, riserva all’esclusiva giurisdizione del G.A. “formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni” - ambito, quest’ultimo, cui è pacificamente da ricondurre la convenzione del febbraio 1974 -).

5.1.2. Una conferma indiretta della correttezza dell’impostazione dinanzi richiamata si rinviene nella sentenza della sesta sezione di questo Consiglio di Stato, 17 luglio 2006, n. 4578 (sentenza che, è bene sottolinearlo, è stata confermata proprio in relazione al punto di giurisdizione dalla sentenza delle SS.UU. 29 aprile 2009, n. 9950).

La sentenza di questo Consiglio da ultimo richiamata ha statuito su una questione per molti aspetti coincidente con quella all’origine del presente giudizio (in quel caso si faceva questione dell’impugnativa proposta dal CASIC/CACIP avverso gli atti con cui l’Autorità portuale di Cagliari aveva ingiunto al Consorzio di pagare una cospicua somma a titolo di indennizzo per l’occupazione sine titulo di aree asseritamente demaniali).

Ebbene, con la richiamata sentenza n. 4578/2006 questo Consiglio ha ritenuto che, ai fini di giurisdizione:

- non rilevasse la presunta riconducibilità della controversia a quelle aventi ad oggetto “indennità, canoni ed altri corrispettivi”e neppure il fatto che la medesima controversia avesse quale oggetto indiretto e mediato la controversa qualificazione del carattere demaniale o meno delle aree in contestazione

- ma che, al contrario, fosse determinante il fatto che la controversia in parola avesse ad oggetto “l’individuazione della portata e degli effetti di accordi convenzionali con la pubblica amministrazione rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo” (pacifica essendo la riconducibilità della convenzione in data 7 febbraio 1974 al novero dei cc.dd. accordi sostitutivi di cui all’articolo 11 della l. 7 agosto 1990, n. 241).

E una volta chiarito che la giurisdizione in ordine alla pretesa sostanziale dedotta nel presente giudizio spettasse al Giudice amministrativo, ne consegue che restino parimenti attratte al medesimo ambito di giurisdizione le questioni relative all’esatta individuazione e delimitazione: i) delle aree oggetto di possibile espropriazione nell’ambito delle attività costituenti oggetto della convenzione; ii) delle aree demaniali potenzialmente interessate dalle medesime attività (ma sottratte per definizione dalle attività ablatorie).

In entrambi i casi, infatti, si trattava di stabilire fino a che punto si estendesse il titolo vantato dal CASIC/CACIP sulle aree potenzialmente oggetto delle richiamate attività ablatorie. Si tratta pur sempre, del resto, di questioni relative a diritti che possono essere conosciute dal G.A. con ampiezza di poteri cognitivi nell’ambito delle materie di giurisdizione esclusiva (e, segnatamente, attraverso l’esperimento di una tipica azione di accertamento).

Né a conclusioni diverse da quelle appena rassegnate può giungersi in considerazione dell’ulteriore motivo di appello con cui si è sottolineata la valenza della sentenza del T.A.R. della Sardegna n. 1031/2011 (in giudicato), resa su una vicenda certamente connessa con quella che qui rileva (in quel caso, la società Cincotta Group aveva impugnato il verbale di delimitazione del 24 giugno 2010 e il successivo provvedimento del 3 dicembre 2010 con cui il Direttore marittimo di Cagliari aveva respinto le deduzioni di parte proposte nell’ambito del procedimento di delimitazione).

Sotto questo aspetto, il Collegio si limita a richiamare il consolidato orientamento – condiviso da questo Consiglio di Stato e dalle Sezioni unite della cassazione - secondo cui la giurisdizione non può essere influenzata da ragioni di connessione (sul punto, ex plurimis: Cons. Stato, V, 14 maggio 2013, n. 2607; id., VI, 15 novembre 2011, n. 6041; id., VI, 23 giugno 2006, n. 3981).

5.2. Deve, pertanto, essere confermata la sussistenza della giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo affermata dai primi Giudici.

6. Nel merito, il ricorso in appello proposto dal CACIP è meritevole di accoglimento nei termini che seguono.

7. Ai fini della corretta impostazione del thema decidendum il Collegio ritiene dapprima di richiamare il quadro normativo rilevante ai fini della presente decisione e successivamente le pertinenti situazioni in fatto. Successivamente, si esamineranno in modo partito le statuizioni dei primi Giudici e si esamineranno i motivi di appello principale ed incidentale.

7.1. Dal punto di vista dell’inquadramento normativo, si segnalano le seguenti disposizioni:

- la legge 29 luglio 1957, n. 634 (recante ‘Provvedimenti per il Mezzogiorno’) all’articolo 21 stabiliva che, allo scopo di favorire nuove iniziative industriali di cui fosse prevista la concentrazione in una determinata zona, i competenti soggetti pubblici avrebbero potuto costituirsi in Consorzi “col compito di eseguire, sviluppare e gestire le opere di attrezzatura della zona (…)”. Il medesimo articolo 21 chiariva, poi, che in tali ipotesi “il Consorzio può promuovere, con le medesime norme, la espropriazione di immobili, oltre che ai fini dell’attrezzatura della zona, anche allo scopo di rivenderli o cederli in locazione per l’impianto di nuovi stabilimenti industriali e di pertinenze connesse (…)”;

- il d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523 (c.d. ‘Testo unico delle leggi sul Mezzogiorno’), agli articoli 144 e 145 stabiliva che i Consorzi ASI “vengono formati per adottare, ai fini di promozione dell’industrializzazione, il piano regolatore di idonee zone, per costruire in proprio le necessarie infrastrutture e per scegliere, quanto all’impianto delle industrie, fra l’espropriazione in proprio favore delle aree, seguita da vendita o locazione alle singole imprese, e l’espropriazione diretta a favore di queste ultime”. E, nel caso in esame, il CASIC aveva effettivamente adottato un piano territoriale consortile (al quale gli enti territoriali interessati avevano dovuto adeguare la rispettiva pianificazione generale) il quale individuava quale strumento di sviluppo delle attività industriali nell’area la realizzazione di un porto industriale;

- lo stesso testo unico, agli articoli 140 e 150 consentiva ai Consorzi ASI di costruire e gestire anche le infrastrutture portuali, mentre l’articolo 149 ammetteva che tali infrastrutture potessero essere realizzate anche dalla Cassa per il Mezzogiorno, la quale era altresì legittimata a farle costruire, a proprie spese, da diversi organi e enti (fra cui – appunto – i consorzi ASI);

- la legge n. 853 del 1971, all’articolo 2 aveva previsto la realizzazione di ‘Progetti speciali’ (come quello all’origine dei fatti di causa), definiti come “[progetti] di carattere intersettoriale o di natura interregionale [i quali] hanno per oggetto la realizzazione di grandi infrastrutture generali o volte a facilitare lo sviluppo delle attività produttive e, in particolare, la localizzazione di quelle industriali”;

- il successivo d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 (Testo unico sugli interventi nel Mezzogiorno), nel ribadire la possibilità di adottare progetti speciali comprensivi dell’esecuzione “di infrastrutture, anche per la localizzazione industriale”, prevedeva altresì (articolo 138, comma 4) che “per la realizzazione dei progetti speciali la Cassa per il Mezzogiorno può affidare, sulla base di convenzioni all’uopo stipulate, anche in forma unitaria, la progettazione e l’esecuzione delle opere”.

7.2. Venendo ora all’individuazione dei fatti rilevanti ai fini del decidere (e fermo restando quanto richiamato in narrativa), si osserva quanto segue:

- in data 4 agosto 1972 il CIPE approvò il Progetto speciale per la realizzazione del primo lotto funzionale del porto industriale di Cagliari (‘Progetto speciale n. 1’);

- il 28 dicembre 1972 il CASIC (Consorzio per l’area di sviluppo industriale di Cagliari, istituito con d.P.R. 14 novembre 1961, n. 1410), d’intesa con la Regione autonoma per la Sardegna, istituiva la SIACA s.p.a., incaricata di progettare ed eseguire le opere previste dal ‘Progetto speciale n. 1’;

- in data 7 febbraio 1974 la Cassa per il Mezzogiorno, il CASIC e la SIACA s.p.a. sottoscrivevano una convenzione-quadro (più volte richiamata negli atti di causa) avente ad oggetto – appunto – “la progettazione e la esecuzione del primo lotto funzionale del Porto industriale di Cagliari costituente il progetto speciale n. 1”. Ai sensi di tale convenzione, la CASMEZ affidava alla SIACA la progettazione di massima ed esecutiva delle opere necessarie per la realizzazione del progetto.

Ai sensi dell’articolo 8 di tale convenzione, il CACIP era stato designato a svolgere “le operazioni occorrenti per le espropriazioni, riscatti di concessioni demaniali preesistenti con l’utilizzazione dei fondi che saranno forniti ed assunti a proprio carico dalla CASSA (…) avvalendosi delle disposizioni di cui all’art. 147 del T.U. sulle leggi sul Mezzogiorno, approvato con d.P.R. 30.6.1967, n. 1523”. Il medesimo articolo 8 stabiliva, poi, che “i sedimi così acquisiti dovranno essere intestati al Ministero della Marina Mercantile per le opere di competenza del demanio marittimo e al Consorzio ASI di Cagliari le altre aree occupate dalle opere”;

- con successivo atto stipulato in data 23 dicembre 1981 dalla CASMEZ, dalla soc. SIACA e dal CASIC (atto denominato ‘Convenzione esecutiva’) si era stabilito –inter alia - di affidare alla SIACA s.p.a. la realizzazione delle opere relative al primo lotto funzionale del Porto industriale di Cagliari;

- in data 18 maggio 1989, a seguito della soppressione della Cassa per il Mezzogiorno (cui era subentrata l’AGENSUD), tale agenzia stipulava con il CACIP un ‘Atto di trasferimento’ con cui si prevedeva che tutte le opere già realizzate dalla SIACA s.p.a. fossero trasferite al CASIC sul quale gravava l’obbligo di completarle. Ai fini che qui rilevano, l’atto di trasferimento prevedeva che “le aree demaniali marittime, a suo tempo consegnate dalla competente Amministrazione statale alla Cassa per il Mezzogiorno e da quest’ultima messe a disposizione della soc. SIACA per la realizzazione delle opere di completamento del I lotto funzionale del porto industriale (…) a cura del CASIC saranno riconsegnate, dopo l’approvazione del collaudo delle opere, all’Amministrazione marittima con tutte le opere che vi sono state eseguite, le quali resteranno acquisite al demanio pubblico marittimo

- in data 8 agosto 1995 e 13 febbraio 1997 venivano stipulati – rispettivamente -: a) un accordo di programma fra i diversi soggetti pubblici interessati all’attuazione del Piano regionale dei trasporti approvato nel luglio del 1995 e b) un atto aggiuntivo al medesimo accordo di programma il quale prevedeva –inter alia – la “istituzione e realizzazione di un’area industriale per attività industriali ed affini connesse ai traffici marittimi così come indicata nella planimetria allegata (…)”. La planimetria in questione, in effetti, distingueva fra: i) le aree stricto sensu portuali; ii) le ulteriori aree destinate ad attività industriali affini, annesse ed interconnesse alle operazioni portuali;

- in data 18 luglio 1997 la competente commissione di delimitazione redigeva il primo verbale di delimitazione delle aree demaniali marittime rientranti nell’ambito del porto industriale (verbale approvato dal Direttore marittimo di Cagliari il 18 luglio 1997), di cui il CACIP effettuava contestualmente la riconsegna all’Autorità portuale (si trattava, secondo quanto si legge nel medesimo verbale, delle aree già a suo tempo concesse in uso alla CASMEZ con verbali del 18 novembre 1974 e 10 maggio 1976 e in seguito concesse al CASIC);

- in data 3 giugno 1999 la commissione di delimitazione redigeva il secondo verbale di delimitazione(approvato dal Direttore marittimo di Cagliari il successivo 19 luglio), che il CACIP provvedeva contestualmente a riconsegnare all’Autorità portuale;

- in data 9 gennaio 2001 la commissione di delimitazione redigeva il terzo verbale di delimitazione(approvato dal Direttore marittimo di Cagliari il successivo 5 febbraio), che il CACIP – ancora una volta - provvedeva contestualmente a riconsegnare all’Autorità portuale;

- in data 26 novembre 2001 l’Autorità portuale di Cagliari chiedeva alla commissione di effettuare una quarta delimitazione delle aree ancora demaniali o comunque ritenute necessarie e funzionali alle attività portuali. Tuttavia, con verbale in data 20-23 gennaio 2013 la commissione dichiarava la richiesta ‘improcedibile’ rilevando che le aree che non avevano ancora costituito oggetto di ritrasferimento apparissero prive del carattere di demanialità marittima idonea a giustificarne l’ascrizione fra le categorie di cui all’articolo 28 cod. nav.;

- in data 20 marzo 2003 il competente dirigente generale del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti chiedeva nuovamente che si procedesse all’individuazione delle aree “anche di quelle che al momento siano intestate a terzi, che risultano necessarie funzionali e quindi pertinenziali al porto, indipendentemente dalla loro utilizzazione attuale, e che sono quindi destinate ad assumere il carattere della demanialità marittima, al fine di attivare la successiva procedura di acquisizione tra i beni del Demanio dello Stato (…)”;

- in data 31 marzo 2005, quindi, la commissione di delimitazione si pronunciava nuovamente e confermava quali aree avrebbero essere comprese fra quelle portuali;

- nel giugno del 2007, tuttavia, si procedeva nuovamente all’avvio della procedura di delimitazione, che si concludeva con gli atti impugnati in primo grado (e, in particolare, con il verbale di delimitazione del 24 giugno 2010) con cui si concludeva nel senso del carattere demaniale di vasti compendi inclusi in ben cinque aree, per un totale di circa 130 ettari (molte delle aree in questione, peraltro, erano state medio tempore alienate dal CASIC/CACIP a terzi, come nel caso della Cincotta Group s.r.l.).

7.3. Ebbene, tale essendo il pertinente quadro normativo e fattuale, i primi Giudici hanno respinto sia il ricorso principale proposto dal CASIC/CACIP, sia il ricorso incidentale proposto dalle amministrazioni dinanzi richiamate sulla base di un iter logico i cui tratti salienti possono essere così sintetizzati.

In primo luogo, il T.A.R. ha esaminato (e respinto) i motivi del ricorso incidentale di primo grado con cui si era eccepito il difetto di legittimazione ad agire e di rappresentanza ad processum in capo al CACIP, per essere quest’ultimo stato costituito con atti irrituali ed invalidi ai sensi della pertinente normativa regionale (legge regionale 25 luglio 2008, n. 10).

Per le medesime ragioni il T.A.R. ha respinto i motivi di appello incidentale con cui si era dedotta l’invalidità derivata degli atti posti in essere dal CACIP nel corso delle vicende di causa per la mancata, valida costituzione del Consorzio stesso.

In secondo luogo, i primi Giudici hanno esaminato (e respinto) la tesi del Consorzio ricorrente principale in primo grado secondo cui l’articolo 8 della convenzione in data 7 febbraio 1974 fosse da intendere nel senso che il richiamo alla nozione di ‘intestazione’ ivi contenuto stesse a indicare il trasferimento in favore del consorzio – quale mero delegato allo svolgimento delle procedure di espropriazione - (e non dell’amministrazione statale – autorità espropriante -) del diritto di proprietà su una parte delle aree espropriate per la realizzazione delle opere del porto canale di Cagliari (scil.: il riferimento era unicamente rivolto alle aree private e non anche a quelle originariamente demaniali, in quanto non passibili di attività ablatorie di sorta).

Sotto tale aspetto, i primi Giudici hanno osservato:

- che, sulla base della pertinente normativa, il CASIC/CACIP rivestiva, nell’ambito delle richiamate attività espropriative, il ruolo di mero delegato allo svolgimento delle procedure di espropriazione sulla base di un rapporto di delegazione intersoggettiva con l’Autorità statale espropriante, la quale avrebbe dovuto essere individuata quale beneficiario finale delle attività compiute, vedendosi riconoscere la titolarità del compendio oggetto di esproprio;

- che, quindi, per effetto del perfezionamento delle richiamate attività, la titolarità delle aree private oggetto di espropriazione non avrebbe potuto essere riconosciuta al CASIC/CACIP (come preteso dal Consorzio), bensì all’amministrazione statale (i.e.: al Ministero della marina mercantile sia per le opere del demanio marittimo, sia per le “altre aree occupate dalle opere”);

- che la pretesa attribuzione della titolarità delle aree in favore del CASIC/CACIP non si poteva fondare sulla retribuzione, in funzione corrispettiva, degli obblighi assunti dal Consorzio per lo svolgimento delle procedure espropriative. Ciò in quanto la medesima convenzione del 1974, in altro punto, prevedeva il riconoscimento di un corrispettivo in favore del Consorzio a fronte di tale impegno;

- che la medesima attribuzione della titolarità delle aree in favore del Consorzio neppure potesse trovare giustificazione in vista della possibile attribuzione in suo favore della gestione delle opere, una volta realizzate;

- che, in definitiva, la richiamata pretesa non potesse essere condivisa in quanto essa si sarebbe tradotta in un atto traslativo gratuito atipico, a ben vedere privo di un’effettiva giustificazione sotto il profilo causale e, in quanto tale, inconfigurabile sotto il profilo giuridico.

In terzo luogo (e dopo aver respinto la fondatezza della pretesa sostanziale del Consorzio a vedersi riconoscere la titolarità delle aree per cui è causa) il T.A.R. ha affrontato – e respinto – i motivi con cui il CACIP aveva dedotto vizi di natura formale del processo di delimitazione.

In particolare, il T.A.R.:

- ha respinto il motivo di ricorso con cui si era contestata la sussistenza dei presupposti per procedere alla riapertura del procedimento di delimitazione di cui all’articolo 32 cod. nav. Sotto tale aspetto, i primi Giudici hanno ritenuto che l’impugnato verbale di delimitazione del 24 giugno 2010 motivasse in modo adeguato in ordine alle condizioni di ‘obiettiva incertezza’ che giustificavano la richiamata riapertura;

- ha respinto i motivi di ricorso con cui si era lamentata la violazione delle garanzie partecipative di cui alla l. 7 agosto 1990, n. 241;

- ha, in definitiva, respinto tutti i motivi di ricorso che, direttamente o indirettamente, si fondavano sull’interpretazione dell’articolo 8 della convenzione del 1974 proposta dal Consorzio appellante.

In quarto luogo, il T.A.R. ha accolto la domanda riconvenzionale formulata dalle amministrazioni erariali in sede di ricorso incidentale e, per l’effetto, ha ordinato al CASIC/CACIP di ottemperare all’obbligo – ritenuto ancora inadempiuto – di riconsegnare sia le aree demaniali detenute per effetto della concessione stipulata il 20 luglio 1989 con la Capitaneria di porto di Cagliari, sia le aree acquisite per effetto della più volte richiamata convenzione quadro del 1974.

Al riguardo il T.A.R. si è limitato ad osservare che la domanda riconvenzionale dovesse essere accolta “quale logica conseguenza della accertata insussistenza, in capo al CACIP, di un diritto di proprietà delle aree oggetto della delimitazione per cui è controversia”, con conseguente condanna del consorzio all’adempimento degli obblighi restitutori.

8. Una volta operata la necessaria ricostruzione dei termini giuridici, sistematici e fattuali della questione, si può passare alla disamina dei motivi di appello formulati dal CASIC/CACIP che, come si è anticipato in precedenza, sono meritevoli di accoglimento.

8.1. In via preliminare, tuttavia, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalle Amministrazioni appellanti, le quali hanno osservato che l’atto di appello principale risulterebbe violativo del requisito di specificità dei motivi (art. 101 cod. proc. amm.), “[non essendo] agevolmente collegabile il parametro normativo che si ritiene violato dalla sentenza con la successiva distinta articolazione della censura che di tale vizio della sentenza dovrebbe essere l’esplicazione”.

8.1.1. Il motivo in questione (invero, a sua volta formulato in modo piuttosto generico e con affermazioni sostanzialmente di principio) non può essere condiviso, dovendosi piuttosto osservare che il Consorzio appellante principale – pur nella complessità della vicenda di causa – abbia ottemperato all’onere di articolare con un sufficiente grado di chiarezza e specificazione motivi di appello idonei a confutare la complessiva attendibilità dell’argomentazione logico-giuridica sottesa al decisum di primo grado. Né sembrano sussistere adeguati elementi atti a suffragare la tesi delle Amministrazioni statali secondo cui in sede di appello il CACIP avrebbe surrettiziamente introdotto nuovi motivi di impugnativa avverso gli atti già impugnati in primo grado.

8.2. Venendo al merito della questione, risulta in primo luogo meritevole di accoglimento il motivo di ricorso con cui si è sottolineata la vera e propria forzatura sistematica che caratterizza l’atto di delimitazione del 24 giugno 2010 (e, prima di esso, il presupposto parere reso dall’Agenzia del Demanio ai sensi dell’articolo 32 cod. nav.), le cui ragioni giustificatrici sono state sostanzialmente recepite dai primi Giudici.

Ed infatti, il principale dei provvedimenti impugnati in primo grado (i.e.: il richiamato atto di delimitazione) è giunto ad affermare la demanialità dei vasti compendi dinanzi descritti (in particolare, di quelli ‘intestati’ in via diretta al CACIP) in base a un argomento che solo in parte – e in via sostanzialmente indiretta – muove dalla considerazione delle caratteristiche oggettive ed intrinseche dei beni della cui demanialità si discute, mentre per una parte essenziale muove piuttosto dal dato (per così dire: ‘formale ed estrinseco’) della – ritenuta – titolarità pubblica dei beni in questione.

L’argomento in questione (sostanzialmente trasfuso nella sentenza impugnata e da questa avallato) può essere così sintetizzato:

- siccome il CASIC/CACIP non avrebbe comunque potuto attribuire a sé stesso la titolarità delle aree oggetto di espropriazione (poiché in questo caso si sarebbe verificata una inammissibile forma di attribuzione a-causale del relativo diritto reale);

- allora, la medesima titolarità (anche alla luce dell’articolo 8 della convenzione del 1974) non avrebbe potuto che essere attribuita all’Autorità statale beneficiaria dell’espropriazione (al tempo: Ministero della marina mercantile);

- ora, una volta chiarito che l’intestazione dei richiamati beni non poteva che essere ricondotta al Ministero della marina mercantile (autorità beneficiaria dell’espropriazione), a tali beni sarebbe comunque da riconoscere la qualificazione di beni demaniali, dovendosi accedere a una nozione di demanialità intesa – per così dire – ‘in senso ampio’, in quanto collegata “alla concezione dinamica delle modalità di utilizzazione tipiche dei porti”.

8.3. L’impostazione logico-sistematica dinanzi richiamata nei suoi tratti salienti (e che accomuna tanto i provvedimenti impugnati in primo grado, quanto la stessa sentenza in epigrafe) non può essere condivisa.

Ed infatti, l’impostazione in questione:

- piuttosto che prendere le mosse dall’accertamento del necessario prius logico della questione (la sussistenza o meno dei caratteri intrinseci tipici della demanialità in relazione ai beni oggetto dell’atto di delimitazione del 24 giugno 2010)

- ha, invece, preso le mosse da un dato (quello relativo alla possibilità per il CACIP di intestare a sé medesimo talune aree oggetto di espropriazione) il quale non solo è stato fondato su presupposti giuridici non condivisibili (come fra breve si esporrà), ma che non poteva di per sé fornire elementi dirimenti per risolvere la questione – per così dire: ‘preliminare ed assorbente’ – relativa alla sussistenza o meno dei richiamati caratteri di demanialità.

Al contrario, sembra che l’Autorità statale (e in seguito i primi Giudici) abbiano operato una sorta di inversione logico-sistematica dei termini essenziali della questione, annettendo rilievo preliminare e assorbente al dato relativo alla possibilità per il CACIP di vedersi attribuire taluni beni (in ipotesi, di natura non demaniale) e che solo dopo aver fornito risposta negativa a tale quesito abbiano cercato una sorta di giustificazione ex post per affermare comunque la sussistenza del richiamato carattere di demanialità.

8.4. Ad avviso del Collegio, invece, la corretta impostazione logico-concettuale della complessiva vicenda impone di rispondere dapprima al quesito se i beni interessati dall’atto di delimitazione impugnati in primo grado possedessero i caratteri intrinseci della demanialità e solo successivamente (e in caso di risposta negativa al primo quesito) consentono di domandarsi se il CACIP potesse vedersi intestare taluni dei beni in parola.

8.5. Ebbene, prendendo le mosse dalla prima delle richiamate questioni, il Collegio ritiene che prevalenti ragioni sistematiche e fattuali deponessero nel senso di escludere il carattere della demanialità in capo ai beni immobili interessati dall’atto di delimitazione del 24 giugno 2010 (e che, comunque, l’Autorità statale non avesse dimostrato in modo adeguato la sussistenza dei richiamati caratteri).

Al riguardo si osserva:

- che la stragrande maggioranza (rectius: la totalità) dei beni demaniali ab origine afferenti il realizzato porto industriale di Cagliari era stata già individuata attraverso i tre verbali di delimitazione del 18 luglio 1997, 3 giugno 1999 e 9 gennaio 2001, ritualmente approvati dal competente Direttore marittimo. Contestualmente alla predisposizione ed approvazione dei richiamati atti di delimitazione, le relative aree erano state già state debitamente restituite dal CACIP alle competenti Autorità statali, conformemente alle previsioni dell’atto di trasferimento del maggio 1989 (il quale, come si è anticipato in premessa, aveva attribuito al CASIC il compito: i) di prendere in carico le aree demaniali marittime a suo tempo consegnate dall’Amministrazione statale alla CASMEZ; ii) di completare le opere del primo lotto funzionale del Progetto speciale n. 1 e iii) di riconsegnare le opere completate e collaudate all’Amministrazione marittima con tutte le opere medio tempore eseguite, “le quali resteranno acquisite al demanio pubblico marittimo”. Già sotto tale profilo, vi sono ragioni sistematiche e di contesto che inducono a ritenere il carattere esaustivo della richiamata delimitazione, ragione per cui non è dato ipotizzare che a seguito delle (tre) operazioni di delimitazione potessero residuare ulteriori aree fra quelle originariamente demaniali che fossero sfuggite alle operazioni di delimitazione e che, quindi, fossero indebitamente state sottratte ai richiamati obblighi di consegna;

- che il carattere esaustivo delle richiamate operazioni di delimitazione è confermato dall’operato della commissione di delimitazione la quale, richiesta dall’Autorità portuale di Cagliari nel novembre del 2001 di valutare la demanialità delle aree ulteriori e diverse rispetto a quelle già interessate dalle operazioni di delimitazione (si trattava di terreni originariamente non demaniali e di quelli espropriati dal CASIC) aveva concluso nel senso della inammissibilità della richiesta. E la commissione aveva in quel caso motivato la propria determinazione sulla base di argomenti sostanziali, rilevando che i compendi in questione “all’attualità non appaiono rivestire i caratteri della demanialità marittima che ne consentano un inserimento in una delle categorie individuate dall’art. 23 del codice della navigazione. Sulle stesse, al momento, non risultano edificate opere e tanto meno sono utilizzate a scopi marittimi”;

- che i beni oggetto del quarto atto di delimitazione non afferivano alle opere portuali intese in senso – per così dire – ‘tradizionale’ (ossia, alla nozione di porto cui fa riferimento la previsione dell’articolo 28 del cod. nav. – in tema di individuazione del demanio necessario -, comprendente il tratto di mare chiuso che, per la sua particolare natura fisica, è idoneo al rifugio, all’ancoraggio e all’attracco delle imbarcazioni provenienti dall’alto mare – in tal senso: Cons. Stato, VI, 27 marzo 2003, n. 1601 -);

- che, al contrario, le opere e i compendi interessati dal quarto atto di delimitazione coincidevano nei fatti con quelle espropriate dal CACIP al fine di realizzare (nell’ambito delle previsioni del piano territoriale consortile a suo tempo predisposto) le imprese e le industrie necessarie per lo sviluppo dell’hinterlandportuale;

- che le richiamate opere e compendi, lungi dall’afferire alla nozione – per così dire – ‘naturalistica’ di porto (che è quella originariamente presa in considerazione dall’articolo 822 del cod. civ. e dall’articolo 28 del cod. nav.) sembravano – piuttosto – riferibili al complesso di attività finalizzate all’industrializzazione delle zone limitrofe al porto (ossia a un novero di attività che non solo rientravano di certo fra le competenze istituzionali del Consorzio ASI, ma che non conoscevano altresì rilevanti punti di intersezione con la disciplina in tema di demanio necessario di cui alle richiamate disposizioni codicistiche – in tal senso, testualmente, l’atto di trasferimento del 18 maggio 1989 -);

- che sembra sussistere una sorta di ‘continuum’ sistematico fra: a) il progetto speciale dell’agosto 1972 (il quale prevedeva la realizzazione: a1) del porto – in quanto tale, ontologicamente demaniale e a2) di un ulteriore insieme di opere necessarie a favorire lo sviluppo industriale della zona); b) la convenzione del febbraio 1974 (la quale prevedeva la distinzione fra: b1) i sedimi portuali, da intestare al Ministero della marina mercantile e b2) “le altre aree occupate dalle opere”, da intestare al CACIP); c) l’atto di trasferimento del 1989 il quale, a sua volta distingueva fra: c1) le aree demaniali marittime a suo tempo consegnate alla soc. SIACA – che avrebbero necessariamente dovuto essere riconsegnate all’Autorità statale e c2) l’ulteriore insieme delle opere comunque connesse allo sviluppo industriale dell’area nel suo complesso). Ebbene, la sussistenza di evidenti profili di continuità fra i richiamati atti persuade il Collegio del fatto che, sin dalla sua fase genetica, il progetto speciale per la realizzazione del primo lotto funzionale del porto industriale di Cagliari non si esaurisse nella realizzazione di opere strictosensu ‘portuali’, ma che ricomprendesse anche un ulteriore novero di opere ed interventi finalizzati piuttosto al complessivo sviluppo industriale dell’area, senza che ciò comportasse una attrazione – per così dire – in senso ‘organico’ nell’ambito dell’infrastruttura portuale in quanto tale. Si intende con ciò dire che altra cosa è l’esistenza (auspicabile) di profili di collegamento logistico e funzionale fra l’infrastruttura portuale in senso proprio e le aree di sviluppo industriale ad essa contigue, mentre ben altra cosa è la configurazione – qui, non sussistente – di una sorta di unicum organico al quale riconoscere in modo indistinto la qualificazione di ‘porto’ e – in via mediata – il carattere di demanialità di cui all’articolo 822 cod. civ. e di cui all’art. 28, cod. nav.;

- che non può, quindi, essere condivisa l’impostazione estensiva proposta dall’Amministrazione statale (Agenzia del Demanio), la quale ha inteso ricomprendere nel concetto di ‘porto’ anche le aree idonee a soddisfare interessi connessi con l’industria, il commercio e il turismo, in quanto tali riconducib

 

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