Sunday 10 November 2013 19:06:24

Giurisprudenza  Giustizia e Affari Interni

La regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento si applica anche alle azioni risarcitorie proposte prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

La Sesta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza in esame ha ribadito i principi sanciti dall’Adunanza plenaria con la sentenza 23 marzo 2011, n. 3. In tale occasione si è affermato che l’articolo 30, comma 3 del codice del processo amministrativo, nel prevedere che in sede di determinazione del risarcimento, “il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”, pur non evocando in modo esplicito il disposto dell’art. 1227, comma 2, del codice civile, afferma che l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. Di qui la rilevanza sostanziale, sul versante prettamente causale, dell’omessa o tardiva impugnazione come fatto che preclude la risarcibilità di danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde evitare la consolidazione di effetti dannosi. Al riguardo, l’Adunanza plenaria ha chiarito che la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione e degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento (da ultimo sancita dall’articolo 30, comma 3, del codice del processo amministrativo), risulta ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di una interpretazione evolutiva del capoverso dell’articolo 1227 c.c. Pertanto, la regola in questione risulta applicabile anche alle azioni risarcitorie che (al pari di quella in oggetto) siano state proposte prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, essendo espressione, sul piano teleologico, del più generale principio di correttezza nei rapporti bilaterali, mirando a prevenire comportamenti opportunistici che intendano trarre occasione di lucro da situazioni che hanno leso in modo marginale gli interessi dei destinatari tanto da non averli indotti ad attivarsi in modo adeguato onde prevenire o controllare l’evolversi degli eventi.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale ***** del 2012, proposto dalla società Lucana Trasporti S.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Anello, Roberto Salvati e Marcello Macaluso, con domicilio eletto presso Pietro Anello in Roma, via Po, n. 102 

contro

 

Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Consorzio per lo sviluppo industriale della Provincia di Potenza

 

per la riforma della sentenza del t.a.r. della basilicata, sezione i, n. 434/2011

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2013 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Maiolo per delega dell’avvocato Anello e l’avvocato dello Stato Volpe

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

 

 

FATTO

La società Lucana Trasporti s.r.l. riferisce di avere ottenuto in assegnazione dal Consorzio ASI della Provincia di Potenza un lotto della superficie complessiva di 38mila mq. circa, intendendo realizzare su una parte di tale lotto un ‘polo logistico’ volto ad ottimizzare le proprie attività sociali.

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per la Basilicata e recante il n. 337/2010, la società appellante aveva rappresentato:

- che con D.M. n. 468 del 18 settembre 2001 era stato incluso, nell’ambito del programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale, il Sito di Interesse Nazionale “Tito”, per il quale era stato previsto un intervento di bonifica nell’area industriale “ex Liquichimica”;

- che con delibera n. 100 del 15 aprile 2003 l’ASI- Consorzio Sviluppo Industriale della Provincia di Potenza aveva assegnato alla società ricorrente un lotto di mq. 38.000 circa, contraddistinto in catasto al foglio terreni con il mappale n.25 comprensivo di parte della p.lla n.252 e poi 250, 248, 254, 42 (parte), 40 (parte), 43 (parte), 44 (parte), 294 (parte), 94 (parte), 87, 198 (parte), 197 (parte), 179 (parte), 190 (parte), 189 (parte), 297, 308, 296, 299, 300, 138, 180, 200 e di parte della stradina comunale;

- che il lotto in questione comprendeva un’area sulla quale già prima dell’assegnazione si trovavano scorie di altoforno, accumulate in passato da terzi e la cui rimozione era prevista nel citato D.M. n. 468 del 2001;

- che in sede di assegnazione l’ASI, proprietaria dell’intero sito assegnato, condizionava l’assegnazione alla recinzione – da parte della società appellata - della porzione di sito sulla quale insistevano le scorie di altoforno, in attesa che la stessa ASI provvedesse allo smaltimento e subordinando alla realizzazione della bonifica ad opera dell’ASI l’intervento edilizio su tale area, progettato dalla società istante (realizzazione di un polo logistico, con capannone e piazzale, con relativa recinzione, da destinare al magazzinaggio e alla movimentazione merci ed eventualmente al deposito di mezzi di trasporto);

- che dal verbale di consegna del lotto e dalla planimetria risulterebbe che l’area interessata da scorie di altoforno era stata delimitata con i picchetti da P16 a P32 e che la ricorrente si impegnava a recintare (impegno in seguito soddisfatto);

- che il lotto sarebbe diviso in due parti distinte e separate materialmente da un canale di scolo di acque pubbliche dal quale emergerebbe che l’area inquinata dalle scorie si trovi al di qua del canale, mentre l’area oggetto di caratterizzazione si troverebbe invece al di là dello stesso. Inoltre l’area su cui si trovano le scorie sarebbe posta a valle rispetto alla porzione di area sottoposta al piano di caratterizzazione, di modo che fra l’area inquinata (sita a m.746,39) e l’area per la quale la ricorrente chiede lo svincolo, vi sarebbe un dislivello di circa 8 metri;

- che, al fine di iniziare i lavori la ricorrente, in ossequio al regolamento di cui al d.m. 25 ottobre 1999 n. 471 (‘Regolamento recante criteri, procedure e modalita' per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni’), già nel 2005 eseguiva la caratterizzazione del lotto assegnatole dall’ASI, escludendo la parte di terreno sulla quale si trovavano i rifiuti lasciati dal consorzio corrispondenti all’area che l’ASI si era impegnata a bonificare;

- che in sede di conferenza di servizi decisoria del 26 aprile 2005, veniva approvato il piano di caratterizzazione dell’area assegnata alla Lucana Trasporti di mq. 30.000 circa, “non comprendente la parte interessata da accumulo di scorie da altoforno in quanto in tale area” vi sarebbe un procedimento a carico del Consorzio Sviluppo Industriale della Provincia di Potenza, subordinando lo svincolo della sola porzione di area interessata dal piano di caratterizzazione (mq.30.000) alla

condizione che: -i risultati delle indagini di dettaglio dei suoli fossero validati almeno per il 10 per cento, da parte dell’ARPAB; -il riuso dei suoli non incidesse sulla successiva ed eventuale bonifica della falda;

- che, in ottemperanza alle richieste formulate in sede di conferenza di servizi, il 9 gennaio 2006, la società ricorrente e l’ARPAB trasmettevano al Ministero, che li acquisiva, copia dei risultati delle indagini di dettaglio relative solo all’area di mq. 30.000 suindicata, con esclusione di quella su cui insistevano le scorie di altoforno;

- che i risultati delle analisi effettuate dalla ricorrente non evidenziavano contaminazione del suolo e del sottosuolo in valori superiori a quelli di concentrazione limite fissati dalle norme mentre, per quanto riguarda le acque di falda, le indagini di caratterizzazione realizzate dalla Lucana Trasporti evidenziavano il superamento dei limiti previsti dalla normativa vigente per alcune sostanze, ragione per cui si proponeva la chiusura con sigilli dei piezometri risultati contaminati;

- che a questo punto della vicenda l’ARPA Basilicata, con relazione trasmessa al Ministero il 19 aprile 2006 validava i risultati contenuti nel piano di caratterizzazione della Lucana Trasporti e, con riferimento alle acque di falda, rappresentava che dai certificati analitici risultava che nell’area assegnata alla ricorrente l’unico parametro recante concentrazioni superiori ai limiti massimi ammissibili nelle acque era il manganese in uno solo dei pozzi presenti sul sito;

- che la società ricorrente inviava al Ministero in data 8 maggio 2006 una prima richiesta di svincolo mentre nel frattempo il CNR recapitava il 27 giugno 2006 al Ministero la relazione sulle concentrazioni di ferro e manganese presenti nelle aree in questione rilevando che i valori erano superiori ai limiti ma evidenziando la circostanza che ciò dipendeva dalla geomorfologia del terreno avente sedimenti con alto contenuto di tali sostanze;

- che inoltre, poiché a seguito dell’ottemperanza da parte della ricorrente alle prescrizioni della conferenza del 26 aprile 2005, si era proceduto ad impiegare terreno vegetale non inquinato per riempire il terreno al fine del livellamento del sito già caratterizzato per la realizzazione del centro logistico, la polizia provinciale di Potenza, “per via di un equivoco”, sequestrava una vasta area assegnata alla ricorrente estesa circa per 20.000 mq (comprensiva della zona con scorie di altoforno) ritenendo erroneamente che si stesse creando una discarica abusiva. Comunque, il successivo 11 ottobre 2006 il p.m. competente ordinava il dissequestro parziale dell’area;

- che il 17 luglio 2006 un sopralluogo ministeriale rilevava sull’area caratterizzata la presenza di materiale da reinterro non contaminato e, sull’area estranea alla richiesta di svincolo, la presenza di cumuli di rifiuti. Nella medesima occasione emergeva, altresì, che i piezometri risultavano aperti (verosimilmente, a causa di intrusioni di estranei rese possibili dall’assenza di recinzioni). Di conseguenza la ricorrente reiterava al Ministero la richiesta di svincolo dell’area;

- che nella conferenza di servizi decisoria del 15 febbraio 2007 il Ministero, alla luce delle difformità delle informazioni acquisite sui luoghi, subordinava la restituzione dei suoli agli usi legittimi ad una serie di condizioni e cioè che la ricorrente: i) fornisse la documentazione necessaria ad attestare l’entità delle attività di movimentazione del terreno e le caratteristiche dei nuovi apporti di terreno svolte dopo l’approvazione del piano di caratterizzazione; ii) presentasse una planimetria dettagliata dell’area specificando le particelle oggetto di svincolo, la parte occupata dal cumulo di rifiuti. Si chiedeva infine che l’ARPA Basilicata verificasse che gli apporti non avessero modificato la caratterizzazione di suoli e acque e che le attività non pregiudicassero la successiva bonifica della falda acquifera;

- il 4 maggio 2007 veniva effettuato un secondo sopralluogo da cui sarebbe emerso: i) che l’area di cui si richiedeva lo svincolo era effettivamente delimitata; ii) che non vi erano rifiuti a vista, nonché iii) che era stata prodotta la planimetria catastale dell’area;

- che in data 8 agosto 2007 l’ARPA Basilicata trasmetteva al Ministero i risultati delle analisi sui campioni prelevati, dai quali emergeva che i valori erano al di sotto dei limiti di concentrazione soglia di contaminazione nel suolo e nel sottosuolo;

- che il 24 settembre 2007 la ricorrente trasmetteva gli elaborati richiesti durante i sopralluoghi e il 15 novembre 2007 e che, con relazione di servizio acquisita dal Ministero, la Provincia comunicava i risultati del proprio sopralluogo fra cui in particolare l’assenza di contaminazione in riferimento ai valori limite delle concentrazioni soglia di contaminazione riferiti ai siti ad uso commerciale e industriale, nonché la documentazione tecnica attestante il mancato superamento dei valori fissati dalle norme in materia di bonifiche per suoli industriali;

- che pertanto, il 30 novembre 2007, la ricorrente chiedeva di nuovo lo svincolo del lotto in questione ma che - dapprima con conferenza istruttoria e dipoi con la conferenza decisoria del 22 dicembre 2008, si disponeva che la restituzione agli usi legittimi della porzione di area individuata nel foglio 25 per una superficie complessiva di mq. 10.029 circa, restava subordinata al recepimento di una serie di prescrizioni;

- che in data 4 marzo 2009 veniva inoltrata una nuova richiesta di svincolo evidenziando che nell’ultima conferenza non si era tenuto conto delle risultanze degli esami comprovanti la provenienza certificata del terreno depositato sul sito da svincolare né tanto meno i risultati delle analisi effettuate dall’ARPA Basilicata, escludenti la contaminazione;

- che, cionondimeno, anche nella successiva conferenza decisoria del 29 aprile 2010, benché la Provincia avesse pure reso i chiarimenti richiesti, l’amministrazione reiterava il proprio atteggiamento sfavorevole dato che il successivo 7 giugno 2010 veniva notificato all’istante l’atto impugnato in primo grado, con il quale si disponeva lo svincolo delle aree individuate nel verbale di conferenza del 22 dicembre 2008 ma subordinando il tutto a una serie di condizioni puramente ripetitive di quelle precedenti.

A questo punto della vicenda, la società appellante agiva in giudizio proponendo dinanzi al TAR della Basilicata il ricorso n. 337/2010, definito con la sentenza oggi appellata.

Con la sentenza in questione, il Tribunale amministrativo adito

- ha dichiarato irricevibile il ricorso in quanto proposto avverso gli atti conclusivi delle conferenze di servizi del 2005 del 2007 e del 2008;

- ha accolto il ricorso in relazione agli atti conclusivi della conferenza di servizi decisoria del 29 aprile 2010, ma limitatamente alla prescrizione/condizione sub b) (si tratta della prescrizione relativa all’obbligo, in capo alla società appellante, di provvedere a rimuovere i rifiuti dall’area contaminata – obbligo che, al contrario, ricadeva in capo all’ASI -);

- ha respinto o dichiarato improcedibili le censure mosse avverso le ulteriori prescrizioni stabilite all’esito della conferenza di servizi decisoria del 29 aprile 2010 (si tratta delle prescrizioni sub a), b), d), e));

- ha respinto la domanda risarcitoria proposta dalla Lucana Trasporti s.r.l.

La sentenza in questione è stata impugnata in sede di appello dalla società Lucana Trasporti, la quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:

1) Illegittimità e/o erroneità della sentenza impugnata per illogicità della motivazione – Errore nei presupposti di fatto. I primi Giudici avrebbero erroneamente affermato che le diverse (quattro) conferenze di servizi susseguitesi fra il 2006 e il 2010 avessero concluso diverse “fasi di attività” e che avessero preso in considerazione “elementi istruttori non meramente ripetitivi ma nuovi in funzione dell’evolversi del quadro di conoscenze che le indagini effettuate dalla Lucana Trasporti e dalle altre autorità apportavano nella sede istituzionale competente”.

Quindi, erroneamente i primi Giudici avrebbero valutato in modo autonomo le prescrizioni contenute nelle determinazioni conclusive della più recente conferenza di servizi (aprile-maggio 2010), come se tali determinazioni avessero ad oggetto fatti e circostanze nuove, in quanto tali autonomamente valutabili.

Al contrario, risulta in atti che già nel novembre del 2007 (data di acquisizione da parte del Ministero appellato della relazione di servizio prodotta dalla provincia di Potenza all’esito del sopralluogo svolto in loco il 4 maggio 2007), gli Organi ministeriali disponessero degli atti necessari per concludere nel senso dell’insussistenza in loco di valori di concentrazione di sostanze inquinanti superiori rispetto a quelli vigenti in relazione ai suoli ad uso industriale e commerciale.

Quindi, già dal novembre 2007 il Ministero disponeva di tutti gli atti e le informazioni che, ove adeguatamente apprezzate, avrebbero consentito di disporre lo svincolo dell’area senza imporre ulteriori (e ultronee) prescrizioni.

2) Illegittimità e/o erroneità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli articoli 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater della l. 241 del 1990 – Carenza di motivazione e difetto dei presupposti.

I primi Giudici avrebbero omesso di considerare che gli atti e i comportamenti tenuti dal Ministero appellato (e concretatisi nella prosecuzione sine die di ben quattro conferenze di servizi aventi il medesimo oggetto e coinvolgenti i medesimi soggetti) si ponessero in contrasto con la ratio stessa di concentrazione che caratterizza l’istituto della conferenza di servizi in quanto tale.

Del resto, risulta in atti (anche alla luce di quanto rilevato in ordine al precedente motivo di ricorso) che il Ministero appellato disponesse già dal novembre del 2007 di tutti gli elementi necessari e sufficienti per disporre il richiesto svincolo dell’area, ragione per cui non vi sarebbe stata alcuna necessità (secondo una logica di non aggravamento del procedimento) di protrarre la definizione della vicenda sino al 2010-2011, in assenza di effettive, ulteriori esigenze istruttorie.

3) Illegittimità e/o erroneità della sentenza impugnata per illogicità della motivazione e difetto dei presupposti. I primi Giudici (che, pure, correttamente hanno dichiarato l’illegittimità della prescrizione sub b) imposta all’esito della conferenza di servizi decisoria del 29 aprile 2010) avrebbero invece errato nel respingere o dichiarare improcedibili i motivi di ricorso proposti avverso le ulteriori prescrizioni (sub a), c), d) ed e)).

Ciò in quanto anche le prescrizioni in parola risultavano affette da rilevanti profili di illegittimità soprattutto per avere reiterato il contenuto delle prescrizioni imposte al’esito delle precedenti conferenze di servizi e/o per avere imposto in capo alla società appellante rilevanti e ingiustificati oneri di bonifica a fronte di episodi di inquinamento che non le erano in alcun modo addebitabili.

4) Illegittimità e/o erroneità della sentenza impugnata nella misura in cui respinge l’istanza risarcitoria. I primi Giudici avrebbero erroneamente respinto l’istanza risarcitoria proposta dalla società appellante, omettendo di considerare che sussistessero invero tutti i presupposti e le condizioni per accordare il richiesto risarcimento, a fronte di un’attività caratterizzata da colpevole ritardo nell’attribuzione di un’utilità (lo svincolo nell’area) che già nel novembre 2007 poteva essere attribuita alla società appellante, non sussistendo alcuna valida ragione in contrario.

Pertanto la società appellante chiede che, in riforma della sentenza in epigrafe, le venga riconosciuto il ristoro del danno patrimoniale patito nell’ambito dell’intera vicenda.

La misura del danno dovrebbe essere non inferiore a euro 6.002.397,55, cifra – quest’ultima – computata tenendo conto, fra l’altro:

- del contributo in conto impianti (di importo pari a circa 800mila euro) dapprima riconosciuto alla società appellante dal Ministero dello sviluppo economico ai sensi della l. 19 dicembre 1992, n. 488 e in seguito revocato per la mancata ultimazione del programma nei termini;

- della somma di circa euro 34mila, spesa per procedere alla caratterizzazione del terreno per cui è causa;

- della somma di circa euro 1,958 milioni, pari al calo del fatturato verificatosi nel corso del periodo 2006-2009 per effetto della mancata realizzazione del progettato polo logistico e per le ulteriori vicende connesse ai fatti di causa;

- della somma di circa 3,180 milioni, pari al mancato utile conseguente all’impossibilità di assumere alcune importanti commesso a causa dell’illegittimo protrarsi del provvedimento di svincolo.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e la società Agecontrol s.p.a. i quali hanno concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Alla pubblica udienza del 12 luglio 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da una società attiva nel settore dei trasporti avverso la sentenza del T.A.R. della Basilicata con cui è stato accolto – ma solo in parte, e con esclusione dei profili risarcitori - il ricorso proposto avverso gli atti con cui il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva tardivamente disposto lo svincolo di un’area - inclusa nel novero dei siti inquinati di interesse nazionale - che la società appellante aveva deciso di destinare a ‘polo logistico’ per la propria attività.

2. L’appello è infondato.

3. Il primo motivo di appello (meglio descritto in narrativa), con cui si è lamentato che i primi Giudici avrebbero erroneamente affermato che le quattro conferenze di servizi susseguitesi fra il 2006 e il 2010 avessero concluso diverse “fasi di attività” e che avessero preso in considerazione “elementi istruttori non meramente ripetitivi ma nuovi in funzione dell’evolversi del quadro di conoscenze che le indagini effettuate dalla Lucana Trasporti e dalle altre autorità apportavano nella sede istituzionale competente”, non può trovare accoglimento.

3.1. In particolare, non può trovare accoglimento il motivo di appello con cui si è lamentato che la parte essenziale delle prescrizioni imposte all’esito della conferenza di servizi decisoria del maggio 2010 fosse reiterativa delle prescrizioni già imposte all’esito di precedenti conferenze di servizi e che fosse chiaro ormai dal novembre del 2007 che la maggior parte delle condizioni da ultimo imposte fossero ormai state da gran tempo soddisfatte.

Al riguardo si osserva che dall’esame delle (cinque) prescrizioni impugnate in primo grado emerge che solo alcune di esse potrebbero – in astratto – essere fatte coincidere con prescrizioni già imposte all’esito delle precedenti conferenze di servizi e, a dire della società appellante, già puntualmente soddisfatte (ci si riferisce, in particolare, alla prima di tali prescrizioni – rubricata sub a) – relativa alla conferma, da parte dell’ARPA Basilicata e della Provincia di Potenza, della non necessità in futuro di procedere ad ulteriori analisi sui suoli e sulle acque di falda).

Al contrario, per ciò che riguarda altre di tali prescrizioni, si trattava di richieste di impegno che non potevano dirsi già soddisfatte per il passato, imponendo comportamenti conformativi per il futuro (ci si riferisce, in particolare, all’impegno sub c) – “la Lucana Trasporti avvii il monitoraggio puntuale della falda con cadenza bimestrale, per i successivi 6 mesi, nelle more della definizione dei valori di fondo” - e all’impegno sub d) – “le attività che la Lucana Trasporti effettuerà sull’area non dovranno pregiudicare la successiva, eventuale bonifica della falda”).

Oltretutto, dall’esame del contenuto della relazione di servizio fatta pervenire dalla Provincia di Potenza al Ministero appellato nel novembre del 2007 non emerge – contrariamente a quanto rappresentato dalla società appellante – la piena ed integrale identità di contenuti fra quanto rappresentato in sede di relazione e quanto in seguito prescritto nell’aprile-maggio del 2010 al fine dello svincolo dell’area.

3.2. Il motivo in questione non può, quindi, trovare accoglimento.

4. Il secondo motivo di ricorso (con il quale – reiterando un motivo già proposto in primo grado – si è chiesto di accertare l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione appellata la quale, attraverso l’adozione di provvedimenti di ‘svincolo subordinato’, avrebbe prorogato sine die la durata del procedimento amministrativo finalizzato allo svincolo dell’area) non può trovare accoglimento.

Si osserva in primo luogo al riguardo che non è del tutto chiaro quale sia l’interesse diretto ed attuale della società appellante a coltivare il richiamato motivo di ricorso al fine di sentir dichiarare l’illegittimità, per ragioni di ordine procedimentale, di un provvedimento comunque in via di principio a sé favorevole (la decisione di svincolo dell’area dell’aprile-giugno 2010, subordinata al rispetto di talune condizioni).

Ed infatti, anche a seguito dell’eventuale annullamento delle determinazioni in tal modo adottate, la società appellante non potrebbe comunque ottenere l’utilità sperata (i.e.: lo svincolo dell’area – peraltro medio tempore ottenuto nel marzo del 2011 -), ma paradossalmente otterrebbe un effetto contrario ai propri interessi, cagionando una sorta di retrocessione dell’iter del procedimento il quale dovrebbe essere ri-avviato, con evidenti conseguenze pregiudizievoli proprio in danno della società appellante che lamenta di aver ritratto un pregiudizio dal protrarsi dell’iter procedimentale.

A ben vedere, quindi, il motivo di ricorso che qui viene esaminato sembra piuttosto finalizzato a persuadere questo Giudice di appello circa l’esistenza di profili di non corretto svolgimento del procedimento i quali rileverebbero non tanto in relazione agli esiti finali della serie procedimentale (che, comunque, è stata favorevole alla società appellante), bensì in relazione alla proposta azione per ‘danno da ritardo’ da parte dell’amministrazione.

Pertanto, le ragioni poste a fondamento di questa parte del ricorso in appello (che non possono trovare autonomo accoglimento ai fini dell’annullamento degli atti impugnati in primo grado) saranno nuovamente esaminate in relazione agli esiti della proposta domanda risarcitoria.

5. Il terzo motivo di ricorso (con cui si è lamentato che i primi Giudici abbiano rilevato l’illegittimità della sola condizione allo svincolo rubricata sub b), e non si siano avveduti dei numerosi profili di illegittimità che caratterizzavano anche le altre prescrizioni imposte) non può trovare accoglimento.

5.1. Per quanto riguarda in particolare la condizione sub a) (con la quale si richiedeva che “ARPAB e Provincia di Potenza confermino la non necessità di procedere ad ulteriori analisi sui suoli e sulle acque di falda”), del tutto correttamente i primi Giudici hanno rilevato che non sussistesse uno specifico interesse al’ulteriore coltivazione di tale motivo, atteso che – nelle more del giudizio – le amministrazioni in questione avevano proceduto ad eseguire la prescrizione prevista.

Anche sotto tale aspetto, non risulta con evidenza l’interesse dell’appellante ad insistere sulla declaratoria di illegittimità di una condizione medio tempore soddisfatta, se non nell’ottica (sulla quale si tornerà fra breve) di affermare che l’imposizione in se di siffatta prescrizione avrebbe determinato un ritardo nella definizione della procedura, di per sé pregiudizievole per l’appellante.

Ma, anche in questo caso, si tratta di un profilo che può essere esaminato nell’ambito della disamina relativa alla domanda risarcitoria (alla quale qui si fa espresso rinvio).

5.2. Per quanto riguarda la condizione sub c) (“la Lucana Trasporti avvii il monitoraggio puntuale della falda con cadenza bimestrale, per i successivi 6 mesi, nelle more della definizione dei valori di fondo”) non può condividersi la tesi della società appellante secondo cui tale prescrizione/condizione presentasse un carattere “eccessivo e ridondante”.

Al riguardo, è evidente la carenza di interesse dell’appellante alla coltivazione del motivo di appello in questione, atteso che la prescrizione qui contestata ha ad oggetto un’attività alla quale – per espressa ammissione della società appellante – “la Lucana Traspori non si è mai sottratta” (ricorso in appello, pag. 29).

Né rinviene un fondamento negli atti di causa la deduzione dell’appellante (pag. 29 e seguente dell’atto di appello) secondo cui dalla prescrizione in questione deriverebbe in suo danno l’obbligo di accollarsi gli oneri conseguenti alle attività di bonifica del lotto.

Al riguardo ci si limita ad osservare che dal tenore letterale della richiamata prescrizione/condizione semplicemente l’obbligo in parola non emerge.

5.3. Per quanto riguarda, poi, le condizioni sub d) (secondo cui “le attività che la Lucana Trasporti effettuerà sull’area non dovranno pregiudicare la successiva, eventuale bonifica della falda”) e sub e) (secondo cui “[occorre attestare] che i lavori da effettuare non interessino le acque sotterranee”), si osserva che l’illegittimità di tali prescrizioni non possa ex se derivare dal carattere sostanzialmente reiterativo di quanto in esse contenuto rispetto agli atti conclusivi di precedenti conferenze di servizi (atti, peraltro, mai impugnati dalla società appellante).

Ed infatti, per quanto concerne il contenuto oggettivo di tali prescrizioni/condizioni, si osserva che non appare illegittimo il fatto in sè di avere imposto che, in sede di realizzazione del progetto di interesse della società appellante, si adottassero accorgimenti atti ad evitare qualunque pregiudizio per la bonifica della falda e per l’integrità delle acque sotterranee.

Si tratta, a ben vedere, di prescrizioni e condizioni evidentemente ispirate da un generale quanto comprensibile principio di precauzione e il cui contento non sembra eccedere quanto ragionevolmente esigibile al fine di tutelare in modo adeguato i valori ambientali oggetto di tutela.

Ancora una volta, quindi, la censura nella presente sede riproposta sembra piuttosto finalizzata a lamentare una sorta di ingiustificato aggravio procedimentale il quale rileverebbe ai fini risarcitori.

Pertanto, anche in questo caso, il motivo in parola dovrà essere più compiutamente esaminato in una con la disamina relativa alla domanda risarcitoria nella presente sede riproposta.

6. La domanda risarcitoria (che è stata meglio descritta in premessa e alla quale si è più volte fatto cenno nell’ambito della disamina dei motivi di ricorso sin qui scrutinati) non può trovare accoglimento.

6.1. Al riguardo appare dirimente l’osservazione (già fatta propria da primi Giudici) secondo cui la società appellante lamenti – a ben vedere – la ritrazione di un danno derivante dalla tardiva attribuzione di un’utilità - lo svincolo dell’area – (si tratterebbe di un ritardo i cui elementi determinativi si sarebbero realizzati nel corso di un lungo periodo di tempo - 2006-2010 -).

Ciò viene confermato dall’esame dei motivi di appello in relazione ai quali (per le ragioni dinanzi descritte) sembra che la società appellante lamenti piuttosto la ritrazione di un danno il quale costituirebbe l’esito della sommatoria di una serie di incongruità procedimentali stratificatesi nel corso dell’intera vicenda.

Tuttavia (e si tratta di una notazione dirimente ai fini della presente decisione) la società appellante non ha impugnato gli esiti delle tre conferenze di servizi decisorie susseguitesi nel periodo dal 2006 al 2009, risolvendosi solo nel 2010 ad insorgere avverso gli esiti del quarto procedimento per conferenza di servizi che si era comunque concluso con una decisione a sé in via di principio favorevole.

E il comportamento tenuto dalla società appellante nel corso della vicenda di causa (anche ai fini della più corretta e tempestiva tutela dei propri diritti) non può che sortire conseguenze precise anche in relazione agli esiti della domanda risarcitoria.

6.2. Al riguardo il Collegio ritiene di limitarsi a richiamare quanto affermato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio con la sentenza 23 marzo 2011, n. 3.

In tale occasione si è affermato che l’articolo 30, comma 3 del codice del processo amministrativo, nel prevedere che in sede di determinazione del risarcimento, “il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”, pur non evocando in modo esplicito il disposto dell’art. 1227, comma 2, del codice civile, afferma che l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza.

Di qui la rilevanza sostanziale, sul versante prettamente causale, dell’omessa o tardiva impugnazione come fatto che preclude la risarcibilità di danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde evitare la consolidazione di effetti dannosi.

Al riguardo, l’Adunanza plenaria ha chiarito che la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione e degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento (da ultimo sancita dall’articolo 30, comma 3, del codice del processo amministrativo), risulta ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di una interpretazione evolutiva del capoverso dell’articolo 1227 c.c.

Pertanto, la regola in questione risulta applicabile anche alle azioni risarcitorie che (al pari di quella in oggetto) siano state proposte prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, essendo espressione, sul piano teleologico, del più generale principio di correttezza nei rapporti bilaterali, mirando a prevenire comportamenti opportunistici che intendano trarre occasione di lucro da situazioni che hanno leso in modo marginale gli interessi dei destinatari tanto da non averli indotti ad attivarsi in modo adeguato onde prevenire o controllare l’evolversi degli eventi.

6.3. Ebbene, riconducendo i princìpi appena richiamati alle peculiarità del caso di specie si osserva:

- che, alla luce di quanto dinanzi esposto in ordine ai singoli motivi di appello, la società appellante sembra in primo luogo lamentare l’ingiustificata protrazione (e per ben quattro volte) di una vicenda procedimentale la quale avrebbe potuto concludersi all’esito della prima conferenza di servizi. Ma se ciò è vero, sarebbe stato onere della società appellante insorgere in sede giudiziaria già la prima volta in cui (nella sua tesi) la conferenza di servizi si era conclusa imponendole prescrizioni già evincibili dagli atti delle precedenti conferenze di servizi;

- che la tesi secondo cui la tempestiva attivazione in sede giurisdizionale avrebbe potuto indurre a un diverso esito dell’intera vicenda risulta – sia pure, indirettamente - confermato dalla circostanza per cui, all’indomani della proposizione del ricorso di primo grado, l’amministrazione appellata si sia infine risolta a riconoscere (e senza ulteriori vincoli o prescrizioni) il richiesto svincolo dell’area (ci si riferisce agli esiti della conferenza di servizi decisoria del 31 marzo 2011).

6.4. Le osservazioni sin qui svolte risultano di per sé sufficienti a concludere nel senso del rigetto della domanda risarcitoria nella presente sede riproposta.

Ma il Collegio ritiene che la sentenza in epigrafe sia altresì meritevole di puntuale conferma laddove – nell’ottica di un’azione volta al ristoro di un presunto ‘danno da ritardo’ – ha comunque concluso nel senso dell’insussistenza di elementi atti a ritenere la sussistenza di un ritardo colpevole da parte dell’amministrazione nella gestione della complessiva vicenda.

In particolare, i primi Giudici hanno correttamente ritenuto che, a partire dal momento della presentazione del piano di caratterizzazione dell’area in poi, le attività svolte dai diversi soggetti pubblici coinvolti si sono adeguate, per quanto riguarda la durata del procedimento “alla tipologia di problematiche emerse, al grado di complessità delle stesse che via via emergevano nella fase attuativa della caratterizzazione da parte della ricorrente sotto il controllo dell’Amministrazione e sulle modalità di intervento adottate”.

Si è condivisibilmente osservato al riguardo (e con deduzione la cui correttezza non risulta revocata in dubbio dal contenuto dell’atto di appello):

- che, per ciò che riguarda la questione della potenziale contaminazione delle acque di falda, l’Amministrazione appellata ha dedicato alla questione uno spatium comunque commisurato all’importanza della questione e alle cautele rese necessarie dalla gravità della pregressa contaminazione (non realizzando, in particolare, attività palesemente defatiganti o meramente dilatorie);

- che, per ciò che riguarda gli esiti del piano di caratterizzazione e delle ulteriori attività volontariamente poste in essere da parte della società appellante, non appare irragionevole, né incongruo il tempo resosi necessario per procedere alle necessarie analisi dei suoli. Anche in questo caso, quindi, la durata – oggettivamente cospicua - della complessiva fattispecie non sembra denotare indici rivelatori di quella volontà meramente dilatoria su cui ha insistito la società appellante nel corso del giudizio di appello;

- che neppure sembra ascrivibile a ritardi o inadempienze dell’amministrazione appellata l’ulteriore dilazione nella definizione della vicenda derivante da vicende ulteriori fra cui il sequestro, nel luglio 2006, da parte della Polizia Provinciale di Potenza di un’area di 20mila mq. di proprietà della ricorrente, caratterizzati dalla presenza di rifiuti di vario genere, da recenti movimentazioni di terreno, apporti di materiale di diversa provenienza e da cumuli di rifiuti sparsi non dichiarati dalla ricorrente nell’ambito del piano di caratterizzazione;

- che ulteriori eventi susseguitisi nel corso della complessa vicenda avevano a propria volta inciso sulla durata complessiva della stessa, senza che fossero individuabili profili di colpevole ritardo addebitabili all’amministrazione appellata (ci si riferisce – fra le altre –:i) alla questione del rinvenimento dei piezometri aperti, nonché ii) all’approfondimento istruttorio volto ad accertare l’entità delle movimentazioni di terreno realizzate nell’area di pertinenza dell’appellante e le caratteristiche dei nuovi apporti di terreno effettuati dopo l’approvazione del piano di caratterizzazione).

7. Per le ragioni dinanzi illustrate l’appello in epigrafe deve essere respinto.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Stefano Baccarini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Vito Carella, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/11/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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