Tuesday 11 August 2015 10:18:08

Giurisprudenza  Giustizia e Affari Interni

Revocazione: i tre requisiti necessari per dimostrare "l'abbaglio dei sensi" del giudice

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 7.8.2015 n. 3895

L’art. 106 cod. proc. amm. stabilisce che «le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile». La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che l’istituto della revocazione è un rimedio eccezionale che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio (tra le altre, Cons. Stato, sez. VI, 18 marzo 2014, n. 1334). In particolare, avendo riguardo a quanto rileva in questa sede, l’art. 395, comma 1, numero 4, cod. proc. civ. prescrive che la revocazione è ammissibile «se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa», specificando che «vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare». La giurisprudenza amministrativa ritiene costantemente che per aversi errore di fatto revocatorio e conseguente «abbaglio dei sensi» del giudice devono sussistere, contestualmente, tre requisiti: a) attinenza dell’errore ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; b) «pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale» di atti ritualmente prodotti nel giudizio, «la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere esistente un fatto documentalmente escluso o inesistente un fatto documentalmente provato»; c) valenza decisiva dell’errore sulla decisione essendo necessario che vi sia «un rapporto di causalità tra l’erronea supposizione e la pronuncia stessa» (tra le altre, Consiglio di Stato, sez. IV, 24 gennaio 2011, n. 503). Devono, invece, ritenersi vizi logici e dunque errori di diritto quelli consistenti nell’erronea interpretazione e valutazione dei fatti» e, più in generale, delle risultanze processuali (Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2010, n. 7599; id., sez. VI, 5 settembre 2011, n. 4987). In definitiva, «mentre l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al significato letterale» esso non ricorre, tra l’altro, «nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali», che può dare luogo «se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione» (Cons. Stato, Ad. plen., 10 gennaio 2013, n. 1).

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

N. 03895/2015REG.PROV.COLL.

N. 03786/2014 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3786 del 2014, proposto da: 
Omissis

contro

Comune di Firenze, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Sansoni e Annalisa Minucci, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Lepore in Roma, via Polibio, 15; Direttore della direzione urbanistica servizio edilizia privata del Comune di Firenze; 

nei confronti di

Omissis

per la revocazione

della sentenza 24 marzo 2014, n. 1413 della Sesta sezione del Consiglio di Stato. 

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Firenze e di Fulvio Ferlito;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2015 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Antonio Stancanelli, Giuseppe Stancanelli, Ciliutti, per delega dell’avvocato Minucci, Benussi e Falorni. 

 

 

FATTO e DIRITTO

1.– La società *ha proposto ricorso per revocazione della sentenza 24 marzo 2014, n. 1413, della Sesta sezione del Consiglio di Stato.

2.– La questione controversa ha riguardato due dichiarazioni di inizio lavori (d.i.a.) presentati dalla società in data 4 luglio 2005 e 11 agosto 2006 relative a lavori di ristrutturazione con sopraelevazione di un capannone.

Il Comune di Firenze, con ordinanza 9 novembre 2011, ha dichiarato inefficaci le suddette dichiarazioni in ragione dell’assenza del titolo abilitativo dell’immobile cui esse si riferivano. 

La società ha contestato prima innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana e poi innanzi al Consiglio di Stato la legittimità di tale ordinanza, rilevando, tra l’altro, la violazione dei limiti all’esercizio del potere di autotutela previsti dall’art. 19 della legge 7 agosto 1990 n. 241, avuto riguardo, in particolare, al lungo tempo trascorso tra la presentazione della d.i.a. e l’adozione del contestato provvedimento.

3.– La Sesta Sezione, con la citata sentenza n. 1413 del 2013, confermando sul punto la sentenza 9 novembre 2012, n. 1807, del Tribunale amministrativo, ha rigettato il ricorso proposto dalla società avverso la suddetta ordinanza. In particolare, in tale sentenza si è affermato che «la incompletezza o l’erroneità in fatto» della dichiarazione dei progettisti in ordine alla non incidenza delle opere da realizzare su un manufatto abusivo, costituisce causa di «nullità del titolo abilitativo in questione» anche in assenza di dolo del professionista incaricato. Da qui l’irrilevanza del tempo della contestazione di cui si è tenuto conto unicamente ai fini della statuizione sulle spese del giudizio. 

4.– La società ha proposto ricorso per revocazione prospettando i motivi indicati nei successivi punti.

5.– Si sono costituiti in giudizio il Comune e il controinteressato, avv. Ferlito, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

6.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 4 giugno 2014.

7.– Il ricorso è inammissibile.

8.– L’art. 106 cod. proc. amm. stabilisce che «le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile».

La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che l’istituto della revocazione è un rimedio eccezionale che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio (tra le altre, Cons. Stato, sez. VI, 18 marzo 2014, n. 1334).

In particolare, avendo riguardo a quanto rileva in questa sede, l’art. 395, comma 1, numero 4, cod. proc. civ. prescrive che la revocazione è ammissibile «se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa», specificando che «vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».

La giurisprudenza amministrativa ritiene costantemente che per aversi errore di fatto revocatorio e conseguente «abbaglio dei sensi» del giudice devono sussistere, contestualmente, tre requisiti: a) attinenza dell’errore ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; b) «pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale» di atti ritualmente prodotti nel giudizio, «la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere esistente un fatto documentalmente escluso o inesistente un fatto documentalmente provato»; c) valenza decisiva dell’errore sulla decisione essendo necessario che vi sia «un rapporto di causalità tra l’erronea supposizione e la pronuncia stessa» (tra le altre, Consiglio di Stato, sez. IV, 24 gennaio 2011, n. 503).

Devono, invece, ritenersi vizi logici e dunque errori di diritto quelli consistenti nell’erronea interpretazione e valutazione dei fatti» e, più in generale, delle risultanze processuali (Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2010, n. 7599; id., sez. VI, 5 settembre 2011, n. 4987).

In definitiva, «mentre l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al significato letterale» esso non ricorre, tra l’altro, «nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali», che può dare luogo «se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione» (Cons. Stato, Ad. plen., 10 gennaio 2013, n. 1).

9.– La ricorrente, con un primo motivo, ha dedotto l’errore di fatto in cui sarebbe incorso il giudice d’appello in quanto «la sentenza non ha valutato un aspetto essenziale e cioè che le attestazioni dei progettisti erano state rese sottoscrivendo un modulo predisposto dal Comune» e che in tale modulo era contenuta la seguente formula «lo stato di legittimità dell’immobile oggetto dei lavori è stato accertato sulla base delle dichiarazioni dei proprietari e dai dati desumibili dagli archivi consultabili attraverso la rete civica del Comune». Alla luce di tale dichiarazione sarebbe stato «un abbaglio dei sensi» avere ritenuto, nella sentenza impugnata, la dichiarazione dei progettisti viziata da «incompletezza ed erroneità». 

Il motivo è inammissibile.

La questione posta è stata infatti un punto controverso su cui il Collegio si è pronunciato.

La ricorrente, in più parti del ricorso, ammette espressamente che si trattasse di un punto controverso (si veda pag. 16). In particolare, si è rilevato come la questione relativa al contenuto della dichiarazione dei progettisti fosse stata «sollevata in primo grado nella memoria per la camera di consiglio del 23 febbraio 2012 dall’avv. Ferlito sia pure in termini sfumati e ripresa dalla difesa del Comune nella memoria per l’udienza pubblica (trattando del terzo motivo)», specificando che «i ricorrenti l’hanno subito contestata, sempre in primo grado, nella memoria di replica (pag. 3) e hanno reiterato la contestazione, in appello, nella memoria difensiva (pagg. 14-15), in quanto il Comune aveva insistito nell’affermare la responsabilità dei progettisti per la camera di consiglio, ripetendo ciò nella memoria di replica, nella quale, peraltro, si ammette che la dichiarazione era stata effettuata su un modulo comunale».

Su tale punto controverso la sentenza si è dunque, con evidenza obiettiva, espressamente pronunciata. Dopo avere rilevato la incompletezza o l’erroneità in fatto della relazione ha aggiunto, nell’esaminare le «ulteriori ragioni difensive rappresentate», come fosse infondata la seconda ragione addotta «in quanto riferita alle modalità previste per documentare l’esistenza, o meno, del titolo abilitativo degli immobili di remota realizzazione (comunque senza che dette modalità possano coprire l’effettiva mancanza del titolo, ove positivamente accertata come nel caso di specie)».

In definitiva, la questione relativa alle concrete modalità di accertamento della legittimità dell’immobile da parte dei progettisti ha costituito un punto controverso in relazione al quale il Collegio si è espressamente pronunciato. Non sussiste, pertanto, uno dei requisiti, sopra indicati, perché il ricorso per revocazione possa considerarsi ammissibile.

10.– Con un secondo motivo si deduce l’omessa valutazione da parte del Collegio dell’elemento temporale e, in particolare, della circostanza che le due d.i.a. sono del 2005 e del 2006 e che i dubbi sulla legittimità edilizia dell’immobile sono stati sollevati solo nel 2010. 

Il motivo è inammissibile.

Il Collegio, una volta qualificate come nulle le d.i.a. presentate, ha ritenuto non rilevante la questione del tempo trascorso. Tale questione è stata, infatti, considerata rilevante soltanto ai fini della determinazione delle spese. 

Non si è avuto, pertanto, alcun errore di fatto, risolvendosi il motivo in esame nella contestazione di un eventuale errore di diritto consistente nel non avere ritenuto rilevante il tempo trascorso anche in presenza di una dia nulla.

11.– La ricorrente, in ragione del principio di soccombenza, è condannata al pagamento delle spese processuali che si determinano in euro 4.000,00, oltre gli accessori previsti legge, di cui 2.000,00 in favore del Comune e 2.000,00 del controinteressato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:

a) dichiara inammissibile il ricorso per revocazione proposto con l’atto indicato in epigrafe; 

b) condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che si determinano in euro 4.000,00, oltre gli accessori previsti dalla legge, di cui 2.000,00 in favore del Comune e 2.000,00 del controinteressato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2015 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore

Marco Buricelli, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/08/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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