Sunday 22 February 2015 09:11:59

Giurisprudenza  Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali

Processo amministrativo: il giudice dell'impugnazione non può rilevare d'ufficio il difetto di giurisdizione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 21.1.2015

L'articolo 9 del codice del processo amministrativo non consente più al giudice dell'appello di rilevare d'ufficio il difetto di giurisdizione, dal momento che è onere della parte interessata sollevare la questione con apposito motivo d'appello, avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione, con la conseguente irrilevanza della eccezione formulata con una memoria. Ciò in quanto, in difetto di uno specifico motivo di appello, risulta evidente l'acquiescenza della parte interessata a sollevare la carenza di giurisdizione. La giurisprudenza di questo Consiglio, da cui non vi è motivo per discostarsi, (ex multis,Sezione VI, 15 dicembre 2010, n. 8925) ha precisato, del resto, come nei processi in corso alla data di entrata in vigore del codice, operi immediatamente la regola richiamata secondo cui il giudice dell'impugnazione non possa rilevare il difetto di giurisdizione se non sia stato eccepito dalla parte nell'appello. Ha, altresì, precisato contestualmente che debba escludersi che il giudice possa dichiarare inammissibile un'eccezione che, rispetto alla normativa in vigore al momento della sua proposizione, risultava ritualmente proposta, coerentemente con il principio del “tempus regit actum”. Ciò considerando che, prima dell'entrata in vigore del codice, l'eccezione di difetto di giurisdizione poteva riproporsi in appello anche con semplice memoria.Se ne deduce che per gli appelli in corso alla data di entrata in vigore del codice, il citato articolo 9 del codice, consente, in applicazione del richiamato principio del “tempus regit actum” che il motivo riguardante il difetto di giurisdizione già sollevato in primo grado, possa introdursi con memoria successiva alla proposizione dell'appello, senza che possa farsi questione di giudicato interno implicito sulla questione di giurisdizione trattata, seppure tacitamente, dal giudice di primo grado (in tal senso, Sezione III, 13 marzo 2012, n. 1415 e Sezione VI, 23 aprile 2012, n. 2390, secondo cui la questione del giudicato interno implicito era già immanente nel sistema quanto meno a far data dalla sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 9 ottobre 2008, n. 24883 che ha affermato il principio per cui la decisione di merito contiene anche un'implicita statuizione sulla giurisdizione idonea a passare in giudicato se non viene specificamente impugnata).Da qui, per il giudice dell'appello, di fronte a un giudicato implicito sulla giurisdizione, l’impossibilità di un esame della relativa eccezione senza che venga fatto valere uno specifico motivo di appello (così, Cass. SS. UU.. 8 febbraio 2010, n. 2715).

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7215 del 2007, proposto da: 
Macchione Gino, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Esposito e Giacomo Dominijanni, con domicilio eletto presso Mario Esposito in Roma, via Lattanzio, n.66; 

contro

Ministero della Pubblica Istruzione, in persona del Ministro pro-tempore; Ufficio scolastico regionale per la Calabria, Uffici scolastici provinciali di Catanzaro e Reggio Calabria, Centro Servizi amministrativi Catanzaro, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n.12; Rotundo Antonio; 

per la riforma

della sentenza n. 790 del TAR Calabria – Catanzaro,(Sezione Seconda), dell'11 giugno 2007, resa tra le parti;

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2014, il Cons. Carlo Mosca e uditi per le parti l’avvocato Sanino per delega dell’avvocato Esposito, e l’avvocato dello Stato Garofoli.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

1. L'originario ricorrente, attuale appellante, aveva partecipato al concorso per titoli indetto per l'anno scolastico 2004-2005 dall'Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria per l'aggiornamento e l'integrazione delle graduatorie permanenti provinciali relative all'area A, profilo collaboratore scolastico. Inserito nelle graduatorie definitive del personale non docente in posizione utile per la sottoscrizione del contratto di lavoro e poi escluso dalla procedura di aggiornamento e integrazione delle stesse graduatorie, in quanto sfornito dei requisiti di servizio per l'accesso al predetto profilo, aveva impugnato tale esclusione davanti al TAR Calabria che, con sentenza n. 2449 del 15 dicembre 2005, aveva accolto il gravame, salvi restando gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione.

Avendo il Centro Servizi Amministrativi di Catanzaro adottato un successivo decreto con cui lo dichiarava decaduto per dichiarazione non veritiera, escludendolo dagli elenchi provinciali per il conferimento delle supplenze al personale ATA e contestualmente pure dal concorso in precedenza citato per difetto del requisito del servizio, ritenendo quello svolto come prestazione di fatto e non di diritto, l’originario ricorrente impugnava quest'ultimo decreto di esclusione del 27 gennaio 2006 davanti allo stesso TAR Calabria deducendo plurime censure.

2. Il giudice di primo grado, con la sentenza impugnata, respingeva il gravame, rilevando che:

a. il provvedimento impugnato era sorretto da più argomentazioni giuridiche tese ad evidenziare il contestuale esercizio del potere di autotutela e del potere di dichiarare la decadenza ai sensi dell'articolo 75 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445;

b. il ricorrente aveva conseguito incarichi annuali a seguito di una illegittima inclusione negli elenchi di cui al D.M. n. 75/2001 perché, in presenza di una dichiarazione di aver prestato servizio per almeno 30 giorni in una scuola statale con rapporto di lavoro dipendente con lo Stato o con gli enti locali, dagli atti risultava che detto servizio fosse stato prestato in progetti per lavori socialmente utili, servizio che non poteva in alcun modo configurarsi come rapporto di lavoro dipendente;

c. non sussisteva la violazione dell'articolo 7 della legge n. 241/90 e dei principi in materia di partecipazione procedimentale, avendo l'Amministrazione inviato la comunicazione di avvio del procedimento relativamente alla decadenza ai sensi degli articoli 75 e 76 del D.P.R. n. 445/2000, comunicazione idonea a rendere partecipe il ricorrente dell'oggetto del procedimento avviato e così permettergli di esercitare le facoltà di cui all'articolo 10, della legge n. 241/90;

d. dinanzi alle doglianze del ricorrente circa la non mendacità della sua dichiarazione avendola accompagnata da una certificazione del Comune di Nocera Ticinese, anche a volerla considerare fondata, essa era comunque inammissibile, poiché non idonea a scalfire la validità del provvedimento impugnato basato su una pluralità di ragioni tutte ugualmente idonee a sorreggere la parte dispositiva per cui l'eventuale illegittimità di una di esse non poteva essere sufficiente ad inficiare il provvedimento stesso. Il servizio prestato dal ricorrente, alla luce di quanto stabilito dall'art. 1, comma 2 del D.M. n. 75/2001, mancava, infatti, dei requisiti ivi richiesti, trattandosi di un lavoro in attuazione di progetti di pubblica utilità che non aveva determinato l'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato e ciò non poteva consentire al ricorrente di essere ammesso a partecipare alla procedura per l'inclusione negli elenchi provinciali per le supplenze di cui al citato D.M. n. 75/2001. Né poteva esserlo il servizio comunque prestato dal ricorrente per 24 mesi, in quanto disimpegnato sulla base di un’illegittima inclusione negli elenchi provinciali delle supplenze di cui al D.M. n. 75/2001, da cui con il decreto impugnato il ricorrente era stato depennato;

e. non sussisteva la violazione della vigente normativa in materia di annullamento in autotutela degli atti amministrativi, eccepita per l'assenza di un interesse pubblico prevalente su quello privato e considerando il lungo lasso di tempo trascorso dalla adozione della graduatoria in cui il ricorrente era stato già inserito dal 2001. Ciò, in quanto l'atto impugnato soppesa, in maniera congrua e appropriata, l'interesse pubblico specifico all'esclusione del ricorrente dalla graduatoria con il contrapposto interesse al mantenimento della posizione nella stessa graduatoria. Nè l'intervento in autotutela richiede una diffusa motivazione in ordine alle ragioni di interesse pubblico al ritiro dei provvedimenti, essendo l'interesse in re ipsa. Circa il fattore temporale e il termine ragionevole cui il legislatore subordina l'esercizio dell’autotutela, nella specie la grave situazione di illegittimità ha giustificato la compressione della posizione del ricorrente in presenza di altri soggetti con la legittima aspettativa all'inserimento nelle graduatorie che, dato il loro carattere permanente, sono sottoposte a continue procedure di aggiornamento e revisione, rendendo così recessivo il fattore temporale rispetto all'interesse pubblico al mantenimento in posizione utile solo di coloro che godono di legittimo titolo.

3. Con l'appello in epigrafe, lo stesso originario ricorrente impugnava la detta sentenza:

a. perchè in contraddizione con l'orientamento espresso dallo stesso Tribunale amministrativo nella fase cautelare con l'accoglimento della domanda di sospensiva, nonché con la precedente propria sentenza del 15 dicembre 2005;

b. perchè erronea relativamente alla violazione della legge n. 241/90, essendo stato l'oggetto del procedimento indicato in modo generico, insufficiente e parziale, non risultando così correttamente instaurato il contraddittorio, non ricorrendo peraltro nella specie particolari esigenze di celerità del procedimento legittimanti l'omissione, né trattandosi di atto vincolato. Ciò ha impedito il perfezionamento del contraddittorio e al ricorrente di difendersi adeguatamente, in particolare sulla assoluta carenza dei presupposti per la declaratoria della decadenza dalle graduatorie del D.M. n. 75/2001 assunta a presupposto per la esclusione delle graduatorie permanenti, nonchè sulla carenza dei presupposti dell'autotutela in questione;

c. perchè contiene un macroscopico travisamento del provvedimento impugnato e un'interpretazione di esso contraria alle evidenze letterali e illogica. Sia nella motivazione sia nel dispositivo, la decadenza dal beneficio della iscrizione negli elenchi provinciali di collaboratore scolastico è l'antecedente necessario della successiva esclusione, in via di autotutela, dalle graduatorie permanenti. Ma l'insussistenza della mendacità riconosciuta dal provvedimento cautelare dello stesso Tribunale doveva condurre all'annullamento del provvedimento impugnato con la conseguente caducazione dell'esclusione del ricorrente, odierno appellante, in via di autotutela, dalle graduatorie permanenti per l'immissione di ruolo;

d. perchè l'autodichiarazione dell'originario ricorrente non era per nulla mendace e l'Amministrazione non è stata tratta in inganno. Anzi, quest'ultima avrebbe dovuto, se riteneva non idoneo il servizio, rigettare immediatamente la domanda proposta, mentre invece ha inizialmente inserito e poi mantenuto per anni il ricorrente nella graduatoria del D.M. n.75/2001.

La sentenza quindi, erroneamente, non ha ravvisato che il provvedimento impugnato era affetto da contraddittorietà, illogicità e ingiustizia, e da un evidente sviamento della finalità istituzionali, avendo l'Amministrazione adottato un provvedimento di decadenza previsto per altre finalità e in presenza di presupposti di fatto e di diritto diversi da quelli della vicenda in questione, in quanto non poteva più esercitare l'autotutela;

e. perchè contraddittoria e paradossale allorchè si è spinta ad ipotizzare la fondatezza della censura sulla non mendacità della dichiarazione dell'originario ricorrente e poi non ne è tratto le dovute conclusioni, essendo l'illegittimità della decadenza motivo per la caducazione della esclusione dalla graduatoria permanente ex art. 554 del d. lgs. n. 297/94;

f. perchè non ha esaminato i motivi di ricorso concernenti il rilevato eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità e ingiustizia manifesta, erroneità e difetto dei presupposti e di istruttoria, sviamento di potere, violazione dell'art. 21 septies della legge n. 241/90 e del D.M. n. 75/2001;

g. perchè ha ritenuto che la natura del provvedimento riguardante graduatorie ed elenchi sottoposti a continue procedure di aggiornamento e revisione non renderebbe necessario motivare diffusamente in ordine alle ragioni di interesse pubblico al ritiro dei provvedimenti, essendo detto interesse in re ipsa e ha ritenuto che il tempo dell'esercizio del potere di rimozione dell'atto non sarebbe irragionevole. Ciò non è invece accettabile, stante la previsione contenuta nell'art. 21 nonies della legge n. 291/90 che esige la sussistenza delle ragioni di interesse pubblico di cui il provvedimento deve adeguatamente dare conto ed esige che l'autotutela sia esercitata entro un termine ragionevole, tenendo conto degli interessi dei destinatari. Il giudice di primo grado ha fornito risposte generiche, insoddisfacenti e insufficienti, citando frammenti della motivazione del provvedimento impugnato;

h. perchè difetta nella motivazione, essendo falso e comunque erroneo il presupposto, poiché le graduatorie permanenti non sono più impugnabili da eventuali aventi interesse, in relazione al pregresso accesso alle graduatorie di soggetti, avvenuto da anni e consolidato per scadenza del termine di decadenza per il ricorso e comunque la graduatoria aggiornata potrebbe essere impugnata soltanto in ordine al punteggio attribuito in aggiornamento, come del resto la stessa graduatoria di primo inserimento sarebbe inammissibile in relazione alla presunta carenza di titoli di accesso nell'aspirante controinteressato, non essendo state oggetto di ricorso e pertanto divenute definitive e inoppugnabili. Conseguentemente, l'interesse pubblico prevalente non può risiedere nell'esigenza di prevenire un contenzioso tecnicamente ormai inammissibile e quindi, sotto tale profilo, la motivazione dell'atto è assolutamente inadeguata e lo è la stessa motivazione della sentenza, non essendo sufficiente la mera esigenza del ripristino della legalità;

i. perchè superficiale nella valutazione della compressione della posizione del ricorrente, compressione ritenuta legittima, nonostante il rilievo del tempo trascorso e l'affidamento generato;

l. perchè ha eluso il giudicato della precedente sentenza dello stesso Tribunale, citata nel ricorso e riguardante il ricorrente, avendo l’Amministrazione in effetti reiterato un provvedimento con i medesimi vizi, già ritenuti tali dalla sentenza n. 2449/2005 pronunciata sul primo gravame, che aveva evidenziato la contraddittorietà tra l'autotutela della esclusione dalle graduatorie permanenti dell'art. 554 del d. lgs. n. 297/94 e l'annesso esercizio del necessario presupposto dell'autotutela consistente nell'esclusione dalla graduatoria di cui al D.M. n. 75/2001.

 

 

Con memoria del 17 settembre 2014, la parte appellante ha, alla luce di quanto statuito dalla Corte di Cassazione e dall'Adunanza plenaria di questo Consiglio sulla giurisdizione del giudice ordinario in merito alle questioni del tipo di quelle esaminate con il presente appello, chiesto di dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, a ciò non ostando l'articolo 9 del codice del processo amministrativo in quanto, al momento della proposizione dell'appello, nel 2007, non era ancora vigente il codice e valeva, viceversa, la regola secondo cui il difetto di giurisdizione era rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento. In via subordinata, ha poi invocato l’applicazione dell'articolo 37 dello stesso codice, con rimessione in termini relativamente al chiesto difetto di giurisdizione, per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto. Ciò allo scopo di evitare, secondo l'appellante, che sulla medesima controversia si abbiano pronunce in tutto o in parte discordanti. Nella circostanza, è stato poi ribadito, nel merito della vicenda, che non essendo sussistenti i presupposti della decadenza per mancanza di dichiarazione mendace, il giudice avrebbe dovuto limitarsi ad annullare il provvedimento impugnato senza attribuirgli il nomen di autotutela in annullamento. Il TAR ha così trasformato il provvedimento impugnato in un atto di integrale annullamento in autotutela e fondato, quanto all'esclusione dalle graduatorie, su presupposti motivazionali non enunciati dall'Amministrazione, alla quale il giudice di primo grado si è sostituito illegittimamente.

Secondo la parte appellante, il primo giudice avrebbe, quindi, dovuto annullare il provvedimento di decadenza, e rimettere all'Amministrazione le successive determinazioni, fermo restando, in ogni caso, l'intempestività dell'atto di annullamento in autotutela, in relazione dell'articolo 21 nonies della legge n. 241/90. 

DIRITTO

1. L'appello non merita accoglimento.

Preliminarmente, con riguardo ai profili attinenti alla carenza di giurisdizione, ritenendo la parte appellante devoluta al giudice ordinario la cognizione della fattispecie, profili sollevati con la richiamata memoria del 17 settembre 2014, non notificata alla controparte costituita, questo Collegio ritiene necessario evidenziare che l'articolo 9 del codice del processo amministrativo non consente più al giudice dell'appello di rilevare d'ufficio il difetto di giurisdizione, dal momento che è onere della parte interessata sollevare la questione con apposito motivo d'appello, avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione, con la conseguente irrilevanza della eccezione formulata con una memoria. Ciò in quanto, in difetto di uno specifico motivo di appello, risulta evidente l'acquiescenza della parte interessata a sollevare la carenza di giurisdizione. La giurisprudenza di questo Consiglio, da cui non vi è motivo per discostarsi, (ex multis,Sezione VI, 15 dicembre 2010, n. 8925) ha precisato, del resto, come nei processi in corso alla data di entrata in vigore del codice, operi immediatamente la regola richiamata secondo cui il giudice dell'impugnazione non possa rilevare il difetto di giurisdizione se non sia stato eccepito dalla parte nell'appello. Ha, altresì, precisato contestualmente che debba escludersi che il giudice possa dichiarare inammissibile un'eccezione che, rispetto alla normativa in vigore al momento della sua proposizione, risultava ritualmente proposta, coerentemente con il principio del “tempus regit actum”. Ciò considerando che, prima dell'entrata in vigore del codice, l'eccezione di difetto di giurisdizione poteva riproporsi in appello anche con semplice memoria. 

Se ne deduce che per gli appelli in corso alla data di entrata in vigore del codice, il citato articolo 9 del codice, consente, in applicazione del richiamato principio del “tempus regit actum” che il motivo riguardante il difetto di giurisdizione già sollevato in primo grado, possa introdursi con memoria successiva alla proposizione dell'appello, senza che possa farsi questione di giudicato interno implicito sulla questione di giurisdizione trattata, seppure tacitamente, dal giudice di primo grado (in tal senso, Sezione III, 13 marzo 2012, n. 1415 e Sezione VI, 23 aprile 2012, n. 2390, secondo cui la questione del giudicato interno implicito era già immanente nel sistema quanto meno a far data dalla sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 9 ottobre 2008, n. 24883 che ha affermato il principio per cui la decisione di merito contiene anche un'implicita statuizione sulla giurisdizione idonea a passare in giudicato se non viene specificamente impugnata).

Da qui, per il giudice dell'appello, di fronte a un giudicato implicito sulla giurisdizione, l’impossibilità di un esame della relativa eccezione senza che venga fatto valere uno specifico motivo di appello (così, Cass. SS. UU.. 8 febbraio 2010, n. 2715).

Nella specie, l'originario ricorrente, avendo lui scelto il giudice in primo grado, non aveva sollevato l'eccezione di difetto di giurisdizione, né quest’ultima era stata rilevata dal giudice, né aveva proposto l’eccezione nell'appello del 31 agosto 2007, neppure con successiva memoria che ben avrebbe potuto presentare prima della entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo. Essendo, invece, la memoria stata presentata il 17 settembre 2014, a quella data non poteva più proporsi il difetto di giurisdizione con quel mezzo, per lo stesso principio del tempus regit actum, con conseguente inammissibilità di quanto eccepito in proposito dalla parte appellante.

Nella specie, poi, come osservato da questa Sezione (sentenza 18 marzo 2013, n. 1315), consentire alla parte che ha scelto in primo grado il giudice, di eccepire nel contesto dell'appello, a seconda dell'esito del giudizio di primo grado, di contestare la giurisdizione significherebbe avvallare un vero e proprio abuso del diritto, e piegare la strumentalità delle forme e il connesso ambito dell'azione a fini diversi da quelli per i quali sono riconosciuti dall'ordinamento, non diversamente da quanto accadeva per il regolamento preventivo di giurisdizione di cui all'art. 367 cod. proc. civ., prima che la legge 26 novembre 1990, n. 353 sopprimesse, al fine di evitarne un uso distorto e dilatorio, l'obbligo di sospensione del giudizio per effetto della sola presentazione del ricorso.

Significherebbe, in ultima analisi, consentire un uso delle facoltà processuali in contrasto con i principi di correttezza e affidamento che modulano il diritto di azione e significherebbe, in caso di domanda proposta a giudice carente di giurisdizione, non rilevata d'ufficio, attribuire alla parte la facoltà di ricusare la giurisdizione a suo tempo prescelta, in ragione della successiva convenienza.

Per quanto poi detto innanzi, relativamente alla giurisdizione del giudice ordinario su questioni concernenti l'inserimento in graduatoria preordinato all'assunzione di soggetti in possesso di requisiti predeterminati, come nella specie, non sussistono i presupposti previsti dall'articolo 37 del codice del processo amministrativo per disporre la rimessione in termini per errore scusabile, richiesta dalla parte appellante, non ravvisandosi neppure i gravi impedimenti di fatto.

2. Circa il merito della controversia, il coordinatore del Centro Servizi Amministrativi per l'area di Catanzaro, con il provvedimento impugnato prot. n. 1758/P del 27 gennaio 2006, come si evince dal dispositivo dell’atto, ha escluso l’originario ricorrente dal concorso in questione per difetto del requisito del servizio, non potendo ritenersi utile il servizio illegittimamente prestato, da considerarsi come prestazione di fatto e non di diritto e come tale non idoneo a dare luogo a punteggio alcuno, né costituire presupposto per il successivo inserimento nelle graduatorie provinciali o d'istituto.

Dalle premesse del provvedimento impugnato si evince chiaramente il dato oggettivo dell'assenza di un periodo di servizio pregresso utile ad integrare il requisito richiesto, essendo stato il servizio prestato in progetti per lavori socialmente utili, servizio che quindi non può configurarsi come rapporto di lavoro dipendente con lo Stato e con gli Enti locali. Dallo stesso provvedimento si evince ancora che l’originario ricorrente e attuale appellante è stato incluso nella graduatoria permanente per il profilo professionale di collaboratore scolastico, avendo maturato illegittimamente il requisito dei 24 mesi di servizio utile richiesto e che lo stesso era a conoscenza della non valutabilità del servizio, essendo stato già escluso dalle graduatorie compilate per l'anno 2002-2003 per difetto del requisito di servizio.

Come del resto recentemente sottolineato da questa Sezione in una vicenda analoga (sentenza 8 marzo 2012, n. 1315), il decreto impugnato, anche a volerlo considerare come provvedimento di autotutela secondo l'assunto dell'appellante, non può ritenersi viziato da difetto di motivazione per mancata indicazione delle ragioni di interesse pubblico a sostegno dell’ esclusione.

Il Coordinatore del Centro Servizi Amministrativo per l'area di Catanzaro era tenuto ad accertare il possesso dei requisiti necessari ai fini dell'ammissione al concorso in questione, sicchè il ricorrente originario non poteva invocare alcun consolidamento nella propria sfera in relazione ai periodi di servizio effettuati, in mancanza dei necessari presupposti. Ciò in quanto il servizio illegittimamente prestato dal ricorrente, attuale appellante, non poteva determinare, in capo al medesimo, il formarsi di posizioni insuscettibili di essere incise dall'Amministrazione scolastica, poiché il principio di legalità impone in ogni momento l'adeguamento al quadro normativo vigente, anche in mancanza di un affidamento meritevole di giuridica considerazione.

Il provvedimento impugnato, a prescindere dalla sua precisa qualificazione, sancisce la decadenza automatica dai benefici conseguiti, prevista direttamente dalla legge, in quanto l'art. 75 D.P.R. n. 445 del 2000 prevede specificamente che, ferme le sanzioni penali, qualora dal controllo emerga la non veridicità del contenuto delle dichiarazioni sostitutive, il dichiarante decada dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione oggettivamente non veritiera, in considerazione dell'esito dell'accertamento effettuato, a prescindere dalla buona fede o dall'intenzione effettiva del dichiarante.

E comunque, posto che l’atto sia di autotutela, esso risulta legittimo, poiché adottato in base alla premessa di fatto relativa ad un servizio espletato senza il possesso dei necessari requisiti, in presenza dell'interesse pubblico al ripristino della legalità, interesse valutato, come chiaramente si evince dalle premesse del decreto impugnato, come diretto a formare graduatorie corrette a tutela degli altri soggetti interessati alla utile posizione in graduatoria, e in ogni caso pregiudicati dall'inserimento di soggetti privi di necessari requisiti.

Ciò detto, tutti i motivi di appello risultano privi di pregio, dal momento che:

a. la prima sommaria delibazione propria della fase cautelare esige che ogni vicenda sia più adeguatamente approfondita in sede di cognizione piena ed esauriente, il cui esito può discostarsi da quanto deciso in sede cautelare, senza che per questo possa parlarsi di contraddizione, né nella specifica vicenda questo Collegio ritiene che la sentenza impugnata si ponga in contrasto con la precedente sentenza n. 2449 del 15 dicembre 2005, con cui lo stesso TAR Calabria ha annullato il decreto n. 1770/1/p del 3 ottobre 2005 per contraddittorietà e insufficienza della motivazione facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione la quale ha, infatti, adottato il successivo atto impugnato su cui si è pronunciata la sentenza del TAR appellata con il presente ricorso;

b. la comunicazione di avviso del procedimento, come evidenziato correttamente nella sentenza impugnata, era tale da consentire il perfezionamento del contraddittorio e permettere all'interessato di esercitare le facoltà a lui riconosciute dall'articolo 10 della legge n. 241/90;

c. la sentenza impugnata non contiene un macroscopico travisamento del provvedimento impugnato e un'interpretazione di esso contraria alle evidenze letterali e illogica. Il giudice di primo grado ha puntualmente ripercorso l'iter logico-giuridico del provvedimento impugnato dall'originario ricorrente davanti al TAR Calabria e ha verificato che il ricorrente non poteva essere ammesso in quanto il servizio prestato mancava dei requisiti necessari, come peraltro riconosciuto dal medesimo ricorrente, essendo l'attività prestata ai sensi dell'art. 4, comma 1 del d. lgs. n. 81/2000 non idonea all'instaurazione di alcun rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, motivo per cui non poteva essere comunque ammesso a partecipare alla procedura per l'inclusione negli elenchi provinciali per le supplenze di cui al D.M. n. 75/2001 con la conseguenza dell'impossibilità di valutare il servizio dopo l'illegittimo inserimento negli elenchi ai fini dell'inclusione nelle graduatorie provinciali permanenti. L'Amministrazione ha così operato legittimamente;

d. l'Amministrazione ha proceduto, come ugualmente emerge dalla premesse del provvedimento impugnato, ad un controllo generalizzato dalle domande prodotte ai sensi del D.M. n. 75/2001, anche in fase di formazione delle graduatorie permanenti di cui all'art. 554 del d. lgs. n. 297/94, a seguito di numerosi esposti, richieste di accesso a documenti e acquisizione di atti da parte dell'Autorità giudiziaria ed ha accertato la mancanza dei requisiti previsti, a prescindere dall'irregolare dichiarazione effettuata dall’originario ricorrente sul servizio. Nella circostanza, il primo giudice ha quindi ritenuto il provvedimento privo dei vizi eccepiti dall'odierno appellante e legittimo il comportamento dell'Amministrazione;

e. l'Amministrazione ha operato correttamente e non in maniera contraddittoria poiché ha deciso di escludere l'attuale appellante dagli elenchi provinciali per il conferimento delle supplenze e dalla graduatoria, ex art. 554 del d. lgs. n. 297/94 per mancanza dei requisiti richiesti, accertata obiettivamente, mancanza che ha prodotto pure la decadenza dei benefici conseguiti in base alla dichiarazione risultata non veritiera ai sensi dell'articolo 75 del D.P.R. n. 445/2000;

f. dalla puntuale motivazione della sentenza impugnata è dato desumere l’accurato esame di tutti i motivi di ricorso e la legittima valutazione del primo giudice sulla assenza dei vizi di eccesso di potere e di altra natura eccepiti dall'originario ricorrente;

g. il giudice di prime cure ha ravvisato nel provvedimento impugnato una puntuale motivazione in ordine alle ragioni di interesse pubblico e con riguardo al profilo del tempo trascorso, evidenziando nella sentenza la presenza incontrovertibile dell'avvenuta ponderazione dei contrastanti interessi e soffermandosi sul fattore temporale e sulla ragionevolezza del termine per l'esercizio del potere di autotutela, ragionevolezza da collegare alla rilevanza degli interessi pubblici e privati coinvolti da tale esercizio. Il fattore temporale è stato così ritenuto recessivo rispetto all'interesse pubblico al mantenimento in posizione utile solo di coloro che godono di legittimo titolo;

h. la questione del rispetto della legalità non è rapportabile all'esigenza di prevenire il contenzioso, ma come affermato nello stesso provvedimento impugnato, è invece legata alla esigenza di assicurare la formazione corretta delle graduatorie. Il mantenimento di situazioni di illegittime inclusioni pregiudica, infatti, la correttezza dell'azione amministrativa. Ciò anche a prescindere dai risvolti connessi all'eventuale contenzioso, che non può costituire l'unico motivo per l'Amministrazione ad agire nel rispetto della normativa vigente, visto che la permanenza nelle graduatorie di soggetti con posizioni irregolari costituisce un vulnus pure per l'Amministrazione che deve essere garante della legalità. Il presupposto da cui si è mossa l'Amministrazione non è quindi erroneo e la motivazione riscontrata dal primo giudice risulta adeguata;

i. per quanto detto innanzi, non si ravvisa superficialità nella valutazione della posizione dell'originario ricorrente e attuale appellante, anche con riguardo all'ipotizzato generato affidamento, dal momento che espressamente nelle premesse del provvedimento impugnato si fa riferimento alla circostanza che il ricorrente fosse già a conoscenza della non valutabilità del servizio prestato, essendo stato già escluso dalle graduatorie compilate per l'anno 2002/2003 per difetto del requisito del servizio;

l. non vi è stata alcuna elusione della precedente sentenza dello stesso TAR, il cui rispetto da parte dell'Amministrazione è stato ben valutato dal giudice di prime cure che, alla luce anche di quanto innanzi illustrato, ha correttamente ritenuto legittima l'azione dell'Amministrazione nell'adozione del provvedimento impugnato, esente dalle censure eccepite dall'originario ricorrente. Peraltro, il contenuto della censura risulta generico e formulato insistendo su vizi già eccepiti nelle precedenti censure ritenute prive di pregio.

3. In conclusione, l'appello va respinto.

La natura delle questioni dedotte offre sufficienti elementi per ritenere congrua la compensazione, tra le parti, delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe (n. 7215 del 2007) lo respinge. 

Spese compensate. 

Ordina che la sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 21 ottobre 2014, con l'intervento dei magistrati:

 

 

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Carlo Mosca, Consigliere, Estensore

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/01/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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