Sunday 08 December 2013 07:52:51

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Abusivismo edilizio: la presentazione dell'istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, successivamente all'impugnazione dell'ordine di demolizione determina l'improcedibilità dell'impugnazione per sopravvenuta carenza di interesse

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

Stabilisce l’art. 36 del dPR n. 380/2001 che “ In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. (66) Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16. Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata.”. L’incidenza processuale dell’avvenuta presentazione della domanda suddetta è senza dubbio quella esattamente colta dal Tar. Invero sia la giurisprudenza di primo grado (ex multis, T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, 18-01-2013, n. 48) che quella di questo Consiglio di Stato (tra le tante Cons. Stato Sez. IV, 12-05-2010, n. 2844) affermano, condivisibilmente, che “in tema di abusivismo edilizio la presentazione dell'istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, successivamente all'impugnazione dell'ordine di demolizione produce l'effetto di rendere improcedibile l'impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse” . La ratio di tale portata effettuale è ovvia: il riesame dell'abusività dell'opera provocato dall'istanza di sanatoria determina la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, di accoglimento o di rigetto che vale comunque a rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'originario ricorso. Nel giudizio in esame ad avviso di parte appellante tuttavia la pronuncia del Tar sarebbe errata in quanto se è vero che la domanda di accertamento di conformità renderebbe improcedibile il gravame proposto avverso l’ordinanza di demolizione, essa, tuttavia, non produrrebbe analoghi effetti laddove fossero stati impugnati (come nel caso di specie) gli atti reiettivi di precedenti istanze in conseguenza delle quali fosse stato eventualmente emesso il provvedimento sanzionatorio. La censura è stata ritenuta dal Consiglio di Stato del tutto priva di fondamento. Essa – muovendo dal dato statistico riposante nella circostanza per cui nella stragrande maggioranza dei casi la nuova domanda di accertamento di conformità volta ad ottenere la concessione in sanatoria sopravviene alla già proposta impugnazione di un pregresso provvedimento sanzionatorio- inverte completamente la sequenza accertativa degli illeciti edilizi e fraintende la ratio delle affermazioni giurisprudenziali in punto di declaratoria di improcedibilità della pregressa impugnazione. Evidenzia il Collegio che l’ordinanza impositiva dell’obbligo di demolizione costituisce l’atto conclusivo della complessa sequenza procedimentale accertativa della avvenuta commissione di un illecito edilizio (ex multis: TA.R. Puglia Bari Sez. III, 26-02-2013, n. 275 in punto di qualificazione quale “atto vincolato, dell' ordinanza medesima, che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; e che non può ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva”). La caducazione di questa (non per vizi propri ed a quest’ultima specificamente riferibili ma per insussistenza delle condizioni per pronunciare definitivamente la abusività dell’opera) implica effetto demolitorio anche sugli atti ad essa sottesi. L’avvenuta presentazione di una (nuova) domanda di condono implica l’ improcedibilità del pregresso gravame perché sollecita/impone all’Amministrazione una nuova complessa pronuncia sull’intero assetto di interessi determinatosi: ciò costituisce nuova manifestazione volitiva/determinativa integralmente sostitutiva della precedente. Ciò implica quindi la improcedibilità del mezzo in passato proposto avverso l’atto sanzionatorio, ma anche di quello volto ad aggredire la manifestazione provvedimentale sottesa a monte dell’atto sanzionatorio. Argomentare diversamente peraltro, implicherebbe una conseguenza paradossale: posto che il numero delle domande di sanatoria presentabili dall’asserito contravventore è in via teorica illimitato, si obbligherebbe volta per volta l’Amministrazione a pronunciarsi ripetutamente sulla medesima fattispecie e rimarrebbe pendente un contenzioso riferibile agli atti di diniego in passato via via emanati pur a fronte di una nuova manifestazione provvedimentale (seppur facente riferimento alla medesima emergenza fattuale). Il che certamente si pone in conflitto con la logica, prima che con i principi processuali amministrativi che costituiscono ormai jus receptum secondo i quali “l'intervenuta emanazione, da parte della P.A., di un provvedimento idoneo a ridefinire l'assetto degli interessi in gioco e tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza, sebbene il nuovo atto risulti eventualmente privo di effetto satisfattivo per il ricorrente.”(ex multis, si veda T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 22-05-2013, n. 478, Cons. Stato Sez. IV, 21-02-2013, n. 1070). Essa certamente non pregiudica sul piano processuale il richiedente, che può, ove lo ritenga, riproporre tutti gli originari motivi di censura proposti avverso atti precedenti alla presentazione dell’istanza, avverso il sopravvenuto diniego (il che non è però avvenuto nel caso di specie). Ma la eventualità che l’atto denegatorio superveniens non venga gravato, ovvero, che venga gravato proponendo soltanto alcune censure, non incide sulla portata effettuale estintiva del processo pendente proposto avverso gli atti originariamente gravati.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale **** del 2010, proposto da:

Immobil Sud S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Orazio Abbamonte, Andrea Di Lieto, con domicilio eletto presso O Studio Titomanlio in Roma, via Terenzio, 7;

 

contro

Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Dardo, Antonio Andreottola, Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, Eleonora Carpentieri, Annalisa Cuomo, Bruno Crimaldi, Anna Ivana Furnari, Giacomo Pizza, Bruno Ricci, Gabriele Romano, Giuseppe Tarallo, Anna Pulcini, Fabio Maria Ferrari, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della CAMPANIA – Sede di NAPOLI - SEZIONE IV n. 16439/2010, resa tra le parti, concernente DINIEGO PERMESSO DI COSTRUIRE IN SANATORIA

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2013 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Di Lieto e Accattatis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (corredato da motivi aggiunti) era stato chiesto dalla società odierna appellante Immobilsud l’annullamento del provvedimento dirigenziale n. 259 del 10 giugno 2009 del Servizio Antiabusivismo del Comune di Napoli, con cui era stato denegato il permesso di costruire a sanatoria per il complesso immobiliare sito in via Galileo Ferraris n. 159, di cui all’istanza assunta al protocollo comunale con il numero 46725 del 31 marzo 1995, del provvedimento dirigenziale n. 770 del 13 luglio 2009 del Servizio gestione del territorio del Comune di Napoli, recante l’annullamento dei titoli abilitativi formatisi in seguito alle dichiarazioni di inizio attività numero 7\06, 32\06, 47\06, 89\06, 109\06, 8\07, 14\07 relative a parti di tale complesso immobiliare, della nota n. prot. 2936 del 14 agosto 2009, recante la sospensione e la revoca della licenza di esercizio ricettivo per l’immobile in questione nonché (con motivi aggiunti)della determinazione dirigenziale prot. n. 3792 del 18 novembre 2009, recante il rigetto dell’istanza di accertamento di conformità edilizia per le opere suddette.

Erano state prospettate plurime doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere.

Il Tribunale amministrativo regionale ha innanzitutto rammentato -anche sotto il profilo cronologico - quale fosse stato l’iter infraprocedimentale, e lo stato del contenzioso in passato proposto dall’odierna appellante.

Ha in proposito rimarcato che l’odierna appellante Immobil Sud s.r.l. era proprietaria del complesso immobiliare sito a Napoli, via Galileo Ferraris n. 159, attualmente adibito ad albergo, esteso 1.843 metri quadrati ed avente un’altezza pari a 38 metri circa distribuiti attualmente su di undici piani fuori terra, che nella sua originaria consistenza era stato assentito con licenza edilizia n. 115 del 22 maggio 1992.

Il compendio rientrava nel perimetro dei siti inquinati d’interesse nazionale dell’area orientale di Napoli, di cui all’ordinanza del Commissario Straordinario per l’emergenza rifiuti del 29 dicembre 1999, ed era ubicato, secondo la Variante generale al Piano regolatore della città (approvata con delibera del Presidente della Giunta regionale della Campania n. 323\2004) nella zona G “insediamenti urbani integrati” – sub-ambito 12a “Gianturco FS”, di cui all’art. 138 delle relative norme tecniche di attuazione.

L’efficacia del citato provvedimento ampliativo era stata sospesa con provvedimento n. 1490\1993 dal Comune, che aveva riscontrato l’esecuzione di opere in difformità dal titolo.

La dante causa dell’attuale proprietaria, in data 31 marzo 1995, aveva allora presentato al Comune di Napoli una domanda di condono edilizio recante il numero di protocollo 46725, relativa ad un “edificio con destinazione ad uffici e laboratori di software per la telecomunicazione”, e, intendendo avvalersi della facoltà di cui all’art. 35 comma XIII L. 47\1985, aveva completato le opere, realizzando altresì i pilastri che avrebbero dovuto fungere da sostegno al dodicesimo piano.

Nel corso dell’anno 1996 il Comune aveva disposto la sospensione e la demolizione delle opere con atti che furono impugnati dall’interessata davanti al TAR; quest’ultimo, con la sentenza 7516\1997, si era pronunciato nel senso della legittimità degli atti impugnati laddove avevano dichiarato l’abusività –e la conseguente soggezione alla sanzione della demolizione- del dodicesimo piano.

In data 8 febbraio 2005 l’attuale proprietaria aveva inoltrato al Comune una richiesta di variante in corso d’opera; l’Amministrazione, con determinazione dirigenziale n. 2197 del 13 settembre 2005, aveva nuovamente disposto la sospensione dei lavori per avere riscontrato difformità dal progetto presentato, nonché per l’insufficiente misura del contributo concessorio versato dall’istante.

La società ricorrente aveva poi presentato altra richiesta di variante in corso d’opera il 9 settembre 2005, che aveva lo scopo di mutare la destinazione d’uso del complesso da centro direzionale-uffici ad attività ricettiva, ma vi aveva rinunciato in data 29 settembre 2006.

Con provvedimento dirigenziale n. 11680\2006 del 4 dicembre 2006 l’Ufficio condono del Comune aveva comunicato all’interessata l’accoglibilità della domanda di sanatoria da cui era scaturito anche il provvedimento impugnato con ricorso principale; in quell’occasione l’Amministrazione aveva precisato che:

- era possibile rilasciare il permesso di costruire a sanatoria per il compendio immobiliare come rappresentato nei progetti di completamento allegati all’istanza dell’otto febbraio 2005;

- non erano, invece, condonabili le opere realizzate in difformità rispetto a tale progetto, già oggetto di determinazione dirigenziale di sospensione dei lavori n. 87\05;

- il rilascio del titolo a sanatoria era subordinato all’eliminazione di dette difformità (ed alla relativa asseverazione) entro 60 giorni dalla notifica dell’atto;

- la Società avrebbe dovuto versare la somma di euro 292.699,94 a titolo di conguaglio degli oneri concessori.

Tale provvedimento –comportante un sostanziale arresto procedimentale nell’iter di rilascio del provvedimento di condono- era stato impugnato dalla Immobil Sud s.r.l. davanti al TAR con ricorso n. 2000\2007; la ricorrente aveva altresì impugnato, con ricorso n. 6664\05, l’ordine di sospensione dei lavori n. 87\05, la comunicazione dell’impossibilità di istruire la richiesta di variante (nota prot. 2317\05) e l’ordine di demolizione delle opere costruite per la realizzazione del dodicesimo piano (prot. 2476\05).

Con sentenza n. 7705\07 il Tar aveva in parte rigettato, e per il resto dichiarato inammissibile ed improcedibile per quanto di ragione, il ricorso n. 6664\05, ed aveva rigettato altresì il ricorso n. 2000\2007.

Il primo giudice ha poi posto in luce che, con il ricorso principale deciso con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione la Immobil Sud s.r.l. aveva impugnato i provvedimenti, con i quali il Comune:

- aveva denegato il permesso di costruire a sanatoria per il complesso immobiliare sito in via Galileo Ferraris n. 159, di cui all’istanza assunta al protocollo comunale con il numero 46725 del 31 marzo 1995 (provvedimento dirigenziale n. 259 del 10 giugno 2009 del Servizio antiabusivismo edilizio);

aveva annullato dei titoli abilitativi formatisi in seguito alle dichiarazioni di inizio attività numero 7\06, 32\06, 47\06, 89\06, 109\06, 8\07, 14\07 relative a parti di tale complesso immobiliare (provvedimento dirigenziale n. 770 del 13 luglio 2009 del Servizio gestione del territorio);

aveva disposto la sospensione e la revoca della licenza di esercizio ricettivo per l’immobile in questione (nota n. prot. 2936 del 14 agosto 2009 del Servizio polizia amministrativa).

Senonché, il 27 ottobre 2009, (giorno precedente alla data in cui era fissata la camera di consiglio per la discussione della istanza cautelare proposta nel giudizio di prime cure), la Immobil Sud aveva presentato al Comune un’istanza di accertamento di conformità edilizia ai sensi dell’art. 36 DPR 380\2001 “dell’immobile sito in Napoli alla via Galileo Ferraris n. 159”, depositandone copia in giudizio.

Ciò aveva determinato la conseguenza per cui con ordinanza n. 2428\2009 l’istanza cautelare era stata accolta proprio in considerazione dei profili di danno evidenziati dalla originaria ricorrente (cessazione dell’attività alberghiera) in uno alla pendenza dell’istanza di accertamento di conformità.

Quest’ultima istanza, tuttavia, era stata respinta dal Comune con la determinazione dirigenziale prot. n. 3792 del 19 novembre 2009, motivata sulla scorta delle considerazioni per cui ci si trovava al cospetto dell’intervenuto annullamento dei titoli ottenuti dalla originaria ricorrente a seguito della presentazione delle dd.i.a. l’immobile rientrava nell’ambito applicativo degli articoli 54 e 138 della citata variante di piano, che subordinava ogni intervento all’approvazione di uno strumento urbanistico di secondo livello, ed in cui erano consentiti interventi sino al restauro e risanamento conservativo.

Inoltre, era stato rilevato che l’appellante non aveva attivato gli interventi relativi al piano di caratterizzazione ed alla messa in sicurezza e bonifica ambientale dell’area di cui era proprietaria.

Posto che con ricorso per motivi aggiunti l’Immobil Sud aveva impugnato tale nuova determinazione negativa ( deducendo contro di essa la violazione e la falsa applicazione dell’art. 10 bis L. 241\1990 e l’eccesso di potere per violazione del giusto procedimento e per difetto d’istruttoria), ne discendeva la improcedibilità del ricorso principale.

Ciò in ragione della considerazione per cui, l’interesse processuale alla decisione del ricorso principale, riguardava provvedimenti (diniego di condono, annullamento di dd.i.a. e, in via derivata dall’asserita illegittimità dei primi due, preannunciate sospensione e revoca di licenza per l’esercizio di attività ricettiva) la cui portata risultava superata dall’istanza di accertamento di conformità dell’intero compendio avanzata successivamente dalla società, nonché, ancora più significativamente, dalla determinazione negativa assunta dal Comune su tale istanza, e, dunque, sulla condizione edilizia del cespite.

L’interesse processuale, pertanto, si concentrava sul provvedimento con cui il Comune, in data 19 novembre 2009, aveva dichiarata “improcedibile” l’istanza di accertamento di conformità presentata il 27 ottobre 2009 dall’interessata: quest’ultimo era stato avversato unicamente con riguardo all’asserita violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241\1990.

Il Tar ha quindi scrutinato detto unico motivo di censura, e l’ha respinto nel merito, in quanto non rispondeva al vero l’affermazione per cui il Comune aveva omesso di precisare la natura delle carenze documentali rilevata dall’Amministrazione in quanto la nota impugnata faceva presente che “nulla si rinviene negli atti allegati in merito all’attivazione da parte del richiedente, in qualità di proprietario e gestore, dell’area, delle relative procedure autorizzative per il piano di caratterizzazione e per gli eventuali interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale dei siti di cui trattasi”.

Seguiva l’esplicazione dei motivi (peraltro ben noti alla appellante) per cui detto piano era necessario, incentrati essenzialmente sul fatto che l’immobile si trovava in un sito inquinato ai sensi della più volte citata ordinanza commissariale del 1999: la circostanza della mancata attivazione delle procedure di caratterizzazione, peraltro, risultava confermata dalla nota dell’ARPAC del 21 dicembre 2009 in atti, indirizzata alla originaria ricorrente, che espressamente affermava. che sull’area in questione “dovrà essere svolta l’attività di caratterizzazione”.

Per altro verso, il Tar, aderendo ad una corrente giurisprudenziale sostanzialistica, ha fatto presente che la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento non avrebbe potuto arricchire il patrimonio conoscitivo della appellante sì da permetterle una fattiva partecipazione procedimentale, dal che ha fatto discendere la reiezione nel merito del ricorso per motivi aggiunti.

Avverso la sentenza in epigrafe la originaria ricorrente di primo grado ha proposto un articolato appello evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica ed errata, soprattutto ed in primo luogo avuto riguardo alla statuizione di improcedibilità attingente il ricorso principale di primo grado.

Essa ha in proposito ripercorso, anche sotto il profilo cronologico, il risalente contenzioso che aveva visto essa stessa (e, in passato, la propria dante causa) confrontarsi con l’amministrazione comunale ed ha anche rammentato l’esito per se stessa favorevole del procedimento penale incoato per l’immobile di che trattasi.

La statuizione di improcedibilità doveva essere rimossa, ad avviso dell’appellante perché era ben vero, infatti, che essa aveva proposto in data 27 ottobre 2009 istanza di accertamento di conformità edilizia ex art. 36 del dPR n. 380/2001; era però altresì vero che con il mezzo principale era stato chiesto l’accertamento dell’intervenuto silenzio-assenso sulla domanda di condono, il che avrebbe comportato per l’appellante una maggiore utilità rispetto all’eventuale positiva delibazione della domanda di accertamento di conformità edilizia ex art. 36 del dPR n. 380/2001 presentata in data 27 ottobre 2009.

Il Tar peraltro ben sapeva che detta domanda era stata giudicata improcedibile, di guisa che non avrebbe potuto omettere di esaminare nel merito le censure dell’odierna appellante avverso gli atti preesistenti.

Tra detti atti gravati, in ogni caso, vi era anche l’atto n. 2936/2009 di sospensione e revoca della licenza di esercizio dell’attività alberghiera, certamente non “assorbito” dall’avvenuta presentazione della domanda di accertamento di conformità edilizia del 27 ottobre 2009.

Nell’ipotizzare l’annullamento con rinvio al primo giudice della sentenza gravata, l’appellante ha poi cautelativamente riprodotto i motivi del mezzo di primo grado dichiarato improcedibile dal Tar, ed ha altresì gravato la statuizione reiettiva dell’originario ricorso per motivi aggiunti in quanto apodittica ed errata.

L’appellata amministrazione comunale di Napoli ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del gravame.

.Alla camera di consiglio del 10 gennaio 2012 fissata per la delibazione della domanda cautelare di sospensione della esecutività della gravata decisione, la Sezione con ordinanza n. 22/2012 ha respinto il petitum cautelare alla stregua della considerazione per cui “come anche chiarito dalle parti in sede di discussione orale, l’unico profilo di cautela prospettato ( che riposa nella circostanza della avvenuta emissione della ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale dell’immobile per cui è causa) non è in grado di apportare alcun danno irreparabile, in quanto non è prevista la demolizione dell’immobile ( ed è di là da venire ogni determinazione in ordine alla eventuale adibizione del sito a fini di pubblico rilievo); rilevato, sotto altro profilo che i motivi di censura prospettati non appaiono forniti del prescritto fumus.

Alla odierna pubblica udienza del 5 novembre 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

 

 

1.L’appello è infondato e va pertanto respinto.

1.1.Esso contiene numerose affermazioni potenzialmente idonee ad introdurre elementi di confusione, di guisa che ritiene il Collegio di chiarire brevemente i principii cui si atterrà nella decisione della controversia.

2.Va premesso a tale proposito che è certamente errata (e perciò inaccoglibile) la tesi prospettata in via ipotetica ed eventuale volta a sostenere che, in ipotesi di accoglimento dell’appello avverso la statuizione di improcedibilità, questo giudice d’appello dovrebbe annullare la sentenza con rinvio al primo giudice. Il Collegio infatti fa presente che per risalente quanto consolidata giurisprudenza (la cui persistente validità è oggi ribadita dalla prescrizione di cui all’art. 104 cpa) all’erronea declaratoria della improcedibilità od inammissibilità dell’impugnazione non seguirebbe l’annullamento con rinvio della appellata decisione, non ricorrendo l’ipotesi di “difetto di procedura o vizio di forma” di cui all’art. 35 della legge n. 1034/1971 (si veda, ex multis, sul punto Consiglio di Stato , sez. V, 23 aprile 1998, n. 474).

Se anche la principale richiesta dell’appellante venisse accolta, quindi, questo giudice dovrebbe decidere nel merito l’intera controversia (“anche nell'ipotesi — non ricorrente nel caso di specie — in cui il giudice di primo grado abbia dichiarato erroneamente l'improcedibilità del ricorso — la conseguenza non potrebbe essere l'annullamento con rinvio, precluso, ai sensi dell'art. 105 c.p.a., per le erronee dichiarazioni di improcedibilità.”Consiglio Stato , sez. VI, 23 febbraio 2011 , n. 1127).

2.1.Ma, proprio nell’affrontare detto preliminare snodo dell’appello, se ne rileva la intrinseca infondatezza.

Invero l’appellante aveva gravato in primo grado, tra l’altro, il provvedimento dirigenziale n. 259 del 10 giugno 2009 del Servizio Antiabusivismo del Comune di Napoli, con cui era stato denegato il permesso di costruire a sanatoria per il complesso immobiliare sito in via Galileo Ferraris n. 159, di cui all’istanza assunta al protocollo comunale con il numero 46725 del 31 marzo 1995 e contestualmente era stata ingiunta la demolizione delle opere, nonché il provvedimento dirigenziale n. 770 del 13 luglio 2009 del Servizio gestione del territorio del Comune di Napoli, recante l’annullamento dei titoli abilitativi formatisi in seguito alle dichiarazioni di inizio attività numero 7\06, 32\06, 47\06, 89\06, 109\06, 8\07, 14\07 relative a parti di tale complesso immobiliare.

Successivamente ebbe a presentare istanza di conformità delle dette opere.

Stabilisce l’art. 36 del dPR n. 380/2001 che “ In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. (66)

Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16. Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso.

Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata.”.

L’incidenza processuale dell’avvenuta presentazione della domanda suddetta è senza dubbio quella esattamente colta dal Tar.

Invero sia la giurisprudenza di primo grado (ex multis, T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, 18-01-2013, n. 48) che quella di questo Consiglio di Stato (tra le tante Cons. Stato Sez. IV, 12-05-2010, n. 2844) affermano, condivisibilmente, che “in tema di abusivismo edilizio la presentazione dell'istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, successivamente all'impugnazione dell'ordine di demolizione produce l'effetto di rendere improcedibile l'impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse” .

La ratio di tale portata effettuale è ovvia: il riesame dell'abusività dell'opera provocato dall'istanza di sanatoria determina la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, di accoglimento o di rigetto che vale comunque a rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'originario ricorso.

Ad avviso di parte appellante tuttavia la pronuncia del Tar sarebbe errata in quanto se è vero che la domanda di accertamento di conformità renderebbe improcedibile il gravame proposto avverso l’ordinanza di demolizione, essa, tuttavia, non produrrebbe analoghi effetti laddove fossero stati impugnati (come nel caso di specie) gli atti reiettivi di precedenti istanze in conseguenza delle quali fosse stato eventualmente emesso il provvedimento sanzionatorio.

2.2.La censura è del tutto priva di fondamento. Essa – muovendo dal dato statistico riposante nella circostanza per cui nella stragrande maggioranza dei casi la nuova domanda di accertamento di conformità volta ad ottenere la concessione in sanatoria sopravviene alla già proposta impugnazione di un pregresso provvedimento sanzionatorio- inverte completamente la sequenza accertativa degli illeciti edilizi e fraintende la ratio delle affermazioni giurisprudenziali in punto di declaratoria di improcedibilità della pregressa impugnazione.

Invero è appena il caso di rammentare che l’ordinanza impositiva dell’obbligo di demolizione costituisce l’atto conclusivo della complessa sequenza procedimentale accertativa della avvenuta commissione di un illecito edilizio (ex multis: TA.R. Puglia Bari Sez. III, 26-02-2013, n. 275 in punto di qualificazione quale “atto vincolato, dell' ordinanza medesima, che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; e che non può ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva”).

La caducazione di questa (non per vizi propri ed a quest’ultima specificamente riferibili ma per insussistenza delle condizioni per pronunciare definitivamente la abusività dell’opera) implica effetto demolitorio anche sugli atti ad essa sottesi.

L’avvenuta presentazione di una (nuova) domanda di condono implica l’ improcedibilità del pregresso gravame perché sollecita/impone all’Amministrazione una nuova complessa pronuncia sull’intero assetto di interessi determinatosi: ciò costituisce nuova manifestazione volitiva/determinativa integralmente sostitutiva della precedente.

Ciò implica quindi la improcedibilità del mezzo in passato proposto avverso l’atto sanzionatorio, ma anche di quello volto ad aggredire la manifestazione provvedimentale sottesa a monte dell’atto sanzionatorio.

Argomentare diversamente peraltro, implicherebbe una conseguenza paradossale: posto che il numero delle domande di sanatoria presentabili dall’asserito contravventore è in via teorica illimitato, si obbligherebbe volta per volta l’Amministrazione a pronunciarsi ripetutamente sulla medesima fattispecie e rimarrebbe pendente un contenzioso riferibile agli atti di diniego in passato via via emanati pur a fronte di una nuova manifestazione provvedimentale (seppur facente riferimento alla medesima emergenza fattuale).

Il che certamente si pone in conflitto con la logica, prima che con i principi processuali amministrativi che costituiscono ormai jus receptum secondo i quali “l'intervenuta emanazione, da parte della P.A., di un provvedimento idoneo a ridefinire l'assetto degli interessi in gioco e tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza, sebbene il nuovo atto risulti eventualmente privo di effetto satisfattivo per il ricorrente.”(ex multis, si veda T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 22-05-2013, n. 478, Cons. Stato Sez. IV, 21-02-2013, n. 1070).

Essa certamente non pregiudica sul piano processuale il richiedente, che può, ove lo ritenga, riproporre tutti gli originari motivi di censura proposti avverso atti precedenti alla presentazione dell’istanza, avverso il sopravvenuto diniego (il che non è però avvenuto nel caso di specie).

Ma la eventualità che l’atto denegatorio superveniens non venga gravato, ovvero, che venga gravato proponendo soltanto alcune censure, non incide sulla portata effettuale estintiva del processo pendente proposto avverso gli atti originariamente gravati.

L’appello, in parte qua è del tutto infondato: è ciò si rileva plasticamente, peraltro, dalla circostanza che le motivazioni del nuovo diniego in larga parte coincidono con quelle degli atti originariamente gravati.

V’è quindi stata una nuova delibazione, sia pure conducente allo stesso risultato già ab origine avversato, che sarebbe stato onere di parte appellante, ove lo avesse ritenuto, gravare integralmente e per tutti i motivi originari.

La circostanza che ciò non sia avvenuto non avrebbe potuto comportare una inammissibile attività di supplenza del Tar a cagione del “simultaneus processus” : di ciò ben si dovrebbe rendere conto parte appellante che, infatti, aveva proposto la domanda ex art. 36 proprio (27 ottobre 2009) il giorno precedente alla data in cui era fissata la camera di consiglio per la discussione della istanza cautelare, (il che aveva comportato l’accoglimento del petitum cautelare con ordinanza n. 2428\2009 proprio, tra l’altro, per la pendenza dell’istanza di accertamento di conformità).

Il primo versante dell’appello è del tutto infondato, e da ciò consegue che la statuizione di improcedibilità del mezzo principale di primo grado va integralmente confermata, nel merito, comunque, dovendosi evidenziare che risulta processualmente accertata, per tabulas, la non condonabilità del dodicesimo piano, in quanto costituente statuizione definitiva (sentenza 7516\1997) la circostanza che l’appellante non si conformò, demolendo l’ulteriore struttura, alle prescrizioni dell’amministrazione, la circostanza che il manufatto insiste su sito inquinato di interesse nazionale.

3.Per puro spirito di completezza, si evidenzia altresì che l’originario ricorrente, nell’ambito del mezzo di primo grado, aveva altresì gravato la nota n. prot. 2936 del 14 agosto 2009, recante l’avviso dell’avvio della sospensione e la revoca della licenza di esercizio ricettivo per l’immobile in questione.

In via teorica, detto provvedimento resterebbe al di fuori della portata della improcedibilità come sopra delineata: senonchè trattavasi di un mero preavviso di avvio del procedimento; la causale dello stesso era consequenziale al diniego di condono; gli stessi motivi di appello prospettati deducevano esclusivamente il vizio di invalidità derivata.

Ne consegue che, dichiarata l’improcedibilità degli atti presupposti, analoga conseguenza era prospettabile avverso l’atto derivato, ed, in ogni caso, il mezzo proposto avverso detto ultimo atto sarebbe stato inammissibile “ in proprio”, in armonia con il risalente quanto consolidato orientamento secondo il quale (tra le tante T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, 02-02-2006, n. 1433,) “ l'impugnativa non è data avverso atti meramente endoprocedimentali ed interni, quale l'avviso di avvio del procedimento, mancando una lesione attuale, concreta ed effettiva della sfera giuridica del privato interessato. Ed invero esso costituisce un atto meramente propedeutico e strumentale rispetto alla determinazione finale dell'amministrazione, volto a favorire la partecipazione del privato, e dunque privo di natura provvedimentale.”

La sentenza del Tar, in parte qua, va integralmente confermata.

3. Senza alcun recesso rispetto a quanto finora rappresentato, non intende tuttavia il Collegio sottrarsi alla disamina del merito delle doglianze avanzate da parte appellante (parte B dell’appello).

Il Collegio non ritiene – proprio per quanto si chiarirà di seguito in punto di cronologia degli accadimenti - che vi siano i presupposti per la predicabilità al caso di specie di quella giurisprudenza (Cons. Stato Sez. IV, 11-03-2013, n. 1464) secondo la quale “in considerazione della diversità di presupposti normativi di ciascuno dei condoni edilizi che si sono succeduti negli ultimi decenni, l'aver esperito negativamente una prima procedura di sanatoria non comporta ex se l'impossibilità di avvalersi di quelle successive. Ne discende che l'interesse che sorregge l'impugnazione giurisdizionale di ciascun diniego di sanatoria è autonomo e indipendente da quello alla base delle altre impugnative; semmai, l'eventuale accertata accoglibilità della prima istanza di condono potrà riverberarsi, in termini di improcedibilità dell'impugnazione per sopravvenuta carenza di interesse, sulle impugnazioni dei dinieghi successivamente ottenuti.

Invero nel caso di specie non si pone neppure tale problematica perché una sola è la domanda di condono sulla quale l’Amministrazione si doveva pronunciare, ex lege 724/1994, ed in ordine alla quale v’è un accertamento regiudicato in base al quale sarebbero astrattamente condonabili le opere sino all’undicesimo piano e non anche quelle del dodicesimo piano in quanto non rientranti nel barrage temporale della legge predetta.

1.Ciò premesso il primo motivo di appello è in parte infondato ed in parte anche inammissibile, in quanto reitera argomentazioni già delibate dal Tar nell’ambito del procedimento culminato nella sentenza n. 7705/07 che, sebbene non regiudicata, non è mai stata sospesa (pende in appello il procedimento n. Rg.9323/2007 e quello n. 9445/2007 ex art. 404 cpc promosso da un terzo).

Invero l’intero primo motivo di censura – che ad avviso del Collegio è dimostrativo di quale sia il reale interesse di parte appellante nella controversia – si fonda sulla asserita ammissibilità del progetto di completamento presentato – in variante al precedente dell’8 febbraio 2005 – in data 9 settembre 2005 ed avente ad oggetto la pretesa di mutare la destinazione d’uso dell’immobile, da uffici ad alberghiera.

In disparte la circostanza che in data 25.2.2002 la odierna appellante aveva sottoscritto un atto unilaterale d’obbligo verso l’Amministrazione intimata, con cui si era impegnata a rimuovere le opere realizzate al dodicesimo piano e non ritenute sanabili dal Comune (circostanza quest’ultima, come prima riferito prima costituente acquisizione definitiva a seguito della sentenza del Tar Campania n. 392/97 che aveva affermato la legittimità delle opere di completamento solo limitatamente agli undici livelli originariamente esistenti e oggetto della predetta domanda di condono edilizio, peraltro non ancora esitata, e non anche relativamente al dodicesimo piano, non ultimato alla data del 1.3.1993 e dunque non completabile) al fine di poter completare la realizzazione dell’edificio fino all’undicesimo piano; ed in disparte la considerazione che in data 10.12.2004 la stessa società aveva presentato domanda di condono edilizio ex lege n. 326/2003 per le opere eseguite al dodicesimo livello ma che tale istanza veniva successivamente rinunciata nell’aprile 2005, occorre focalizzare l’attenzione sulla tesi che supporta il primo motivo di censura, fondata sulla circostanza che essa “avrebbe avuto diritto a sanare gli undici piani mutandone la destinazione da Uffici in albergo”, rassegna il Collegio alcune considerazioni.

L’atto impeditivo del mutamento d’uso (e non l’unico, peraltro) risultava già gravato nell’ambito del ricorso n. n. 6664/2005 con motivi aggiunti depositati il 19.10.2005 laddove si era censurato il provvedimento n. 2317 del 3.10.2005 che comunicava che l’istanza di variante in corso d’opera del 9.9.2005 non poteva essere istruita.

Su tale aspetto della controversia, conseguentemente, si è direttamente pronunciata la detta sentenza del Tar n. 7705/07 che ha espressamente rilevato” l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, dei motivi aggiunti del 19.10.2005 spiegati dalla società ricorrente avverso la nota n. 2137 del 3.10.2005, con cui il Comune di Napoli comunicava che la richiesta della Immobil Sud del 9.9.2005, di variante in corso d’opera dei lavori di completamento dell’immobile de quo, non poteva essere istruita in difetto del presupposto essenziale dell’avvenuto rilascio del permesso di costruire ex art. 22 del d.p.r. n. 380/2001”.

Vale la pena di riportare per esteso la parte motiva immediatamente successiva a questa finora trascritta.

Il Tar ha accertato, infatti, che “in data 29.9.2006 la suddetta istanza era stata oggetto di successiva rinuncia da parte della società predetta, la quale in tal modo dimostrava di non aver più interesse all’accoglimento della stessa così come alla definizione del contenzioso avente ad oggetto la suddetta nota, essendo venuto meno nell’odierna deducente l’interesse alla definizione dei suddetti motivi aggiunti. Difatti, a seguito della presentazione della rinuncia, come veniva meno il diritto della ricorrente alla pronuncia sulla istanza di variante, correlativamente si elideva il suo interesse alla definizione in parte qua del ricorso in epigrafe, in quanto avente ad oggetto il provvedimento di rigetto di una istanza ormai rinunziata e dunque non più produttiva per l’Amministrazione dell’obbligo di provvedere.

In relazione ai suddetti motivi aggiunti, dunque, ritenuto che, allo stato, sia venuto meno l’interesse della ricorrente alla trattazione e alla decisione nel merito, il Collegio non può che prenderne atto e dichiarare l’improcedibilità dei motivi aggiunti del 19.10.2005 per sopravvenuta carenza di interesse, essendo venuta meno una condizione dell’azione necessaria per la decisione del gravame.”.

Il primo motivo d’appello sostanzialmente “dimentica” il tenore di questa decisione, (non a caso mai oggetto di riferimento, neppure indiretto) e ripropone la tesi del proprio “diritto” ad una favorevole decisione su una istanza che una sentenza esecutiva del Tar ha dichiarato espressamente improcedibile in quanto rinunciata.

La violazione del bis in idem è palmare, ed il motivo, prima che infondato, è inammissibile.

3.2 Analoga sorte va riservata al secondo motivo di censura, per il vero prospettato in forma anche perplessa, laddove prima ci si duole della circostanza dell’omesso riconoscimento dell’avvenuta formazione del silenzio-assenso sul condono, e poi si ipotizza la non sussistenza dei presupposti per esercizio dei poteri di autotutela.

Giova chiarire – stante la molteplicità, come si è visto, di domande di sanatoria presentate e successivamente ritirate – che l’appellante si riferisce alla domanda “originaria” del 1995.

Se così è, tale tesi rievoca addirittura circostanze già fatte oggetto di pronuncia del Tar con sentenza n. 392/97 che aveva affermato la legittimità delle opere di completamento solo limitatamente agli undici livelli originariamente esistenti e oggetto della predetta domanda di condono edilizio, peraltro non ancora esitata, e non anche relativamente al dodicesimo piano, non ultimato alla data del 1.3.1993 e dunque non completabile.

Il solo fatto che la detta domanda riguardasse anche il dodicesimo piano, e che quest’ultima sia stata respinta, priva di ogni valenza il costrutto appellatorio che, nuovamente, reitera considerazioni già sottoposte a scrutinio in altre decisioni (si veda pag 3 dell’appello, dove si da contezza del fatto che la domanda del 31.3.1995 presentata dalla dante causa dell’appellante riguardava anche il dodicesimo piano; che tale domanda fu integrata il 31 luglio 1995 ed era sempre comprensiva del 12 ° piano; che seguirono due istanze di completamento (7.12.1995 e 15.3.1996) che esse furono respinte e che sopravvenne poi la sentenza n. 392/1997 del Tar.

Sfugge francamente al Collegio come si sarebbe potuto formare il silenzio assenso sulla originaria domanda di condono, ma sfugge anche la rilevanza delle ulteriori “ipotesi” di formazione del silenzio assenso rappresentate dall’appellante nel secondo motivo, laddove si consideri che l’appellante ebbe a gravare espressamente la disposizione dirigenziale n. 11680/06 che richiedeva documentazione integrativa alla pratica di condono n. 15931/95: sostenere che - a fronte della plurima, reiterata, presentazione di istanze di completamento, modifica funzionale, etc, in parte diverse per oggetto e funzione, in larga parte successivamente rinunciate e successivamente riprodotte- le integrazioni documentali richieste non valessero ad impedire il formarsi di qualsivoglia provvedimento “per silentium” (e legittimassero, a loro volta, soltanto eventuali atti di ritiro, questi ultimi non “giustificabili” avuto riguardo al paradigma normativo dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 appare, francamente, tesi tanto ardita quanto temeraria e certamente inaccoglibile.

3.3.Tali affermazioni sono ex se, isolatamente considerate, idonee a sorreggere il provvedimento di diniego di condono, dal che discende la improcedibilità per carenza di interesse, dal quinto motivo di appello incentrato sulla illegittimità della motivazione del provvedimento n. 259/2009 facente richiamo all’omesso versamento degli oneri concessori: il Collegio non ritiene, infatti, di doversi discostare dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale “ove l'atto impugnato (provvedimento o sentenza) sia legittimamente fondato su una ragione di per sé sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall'autorità emanante a rigetto della sua istanza.” -Consiglio Stato , sez. VI, 31 marzo 2011 , n. 1981-; “laddove una determinazione amministrativa di segno negativo si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall'annullamento.”-Consiglio Stato , sez. VI, 29 marzo 2011 , n. 1897-.

E’ evidente che l’accoglimento di detta censura nessuna utilità, in ogni caso, potrebbe arrecare all’appellante dal che consegue la improcedibilità della doglianza.

3.4 Così esaurita la disamina delle doglianze articolate avverso il provvedimento di diniego espresso di condono n. 295/2009 (che vanno pertanto respinte anche nel merito) restano da esplorare le censure articolate dall’appellante avverso il provvedimento n. 770 che ha annullato alcune Dia presentate da parte appellante tra il 2006 ed il 2007 (terzo e quarto motivo di appello).

3.4.1. L’appello è formulato in termini che si possono prestare ad equivoci, in punto di individuazione delle Dia che si ritiene siano state annullate ingiustamente, e pertanto ritiene il Collegio di sgombrare immediatamente il campo da ogni possibile fraintendimento, facendo presente che certamente non v’è luogo ad alcuna pronuncia di questo Collegio, con riferimento alla Dia n. 89/2006 in relazione al cambio di destinazione d’uso in quanto sulla stessa si è espressamente pronunciato il Tar, nella più volte richiamata decisione n. 7705/07 in termini troncanti.

Richiamandosi quindi le considerazioni poste a sostegno della reiezione del secondo motivo di appello avente oggetto analogo, non può che riportarsi la motivazione resa dal Tar, laddove si è affermato che “come si evince dalla nota comunale n. 421 del 24.11.2006, allegata al provvedimento impugnato, le modifiche già richieste dalla società con la denuncia di inizio attività sostanziavano un intervento di ristrutturazione edilizia, con mutamento di destinazione d’uso e incremento di volume e superficie lorda di pavimento, non eseguibile in d.i.a bensì necessitante un nuovo titolo abilitativi; e pur tuttavia l’intervento prospettato sarebbe risultato incompatibile con gli strumenti urbanistici vigenti , essendo l’area in questione classificata dalla variante generale al P.r.g. come zona G – insediamenti urbani integrati, disciplinata dagli artt. 54 e 138 e, a mente di quest’ultimo, l’attività edilizia è subordinata “all’approvazione di un piano urbanistico esecutivo, a meno dei casi previsti dai commi 6, 7 e 9 dello stesso, tra cui non rientra la fattispecie in esame, per la quale, ai sensi del comma 4 dell’art. 2 della citata variante generale sono consentiti interventi fino al risanamento conservativo”.

La richiesta di variante, rispetto al progetto condonabile, prevedeva infatti “1) la modifica della distribuzione interna e realizzazione di servizi igienici per ogni stanza, diversamente dal progetto di completamento che prevede servizi comuni ad ogni piano; su tale punto si ritiene che, ancorché si dichiari la destinazione ad uffici, la nuova distribuzione interna configuri una destinazione d’uso nell’edificio di tipo ricettivo; 2) trasferimento all’esterno del parcheggio ubicato nella zona pilotis a piano terra e chiusura della stessa con conseguente incremento di volume e superficie lorda di pavimento; 3) modifica di tutti i prospetti; 4) installazione, su metà del solaio di copertura, di piscine con funzione di riserva idrica contornate ai bordi superiori da un impalcato in legno e trasformazione dell’altra metà in terrazzo pavimentato.”

Di fronte alla chiara rappresentazione degli aspetti urbanistici della vicenda in tutte le sue implicazioni, come risultano sia dalla nota n. 4221/06 che dal provvedimento successivo n. 11680/06 che ad essa fa riferimento, emergono con evidenza le violazioni commesse dalla società ricorrente, quali il mutamento di destinazione d’uso, l’aumento di volumetria e la natura dell’incisivo intervento sopra descritto, sicuramente non assentibile in d.i.a., violazioni le quali costituiscono pertanto altrettante ragioni impeditive al rilascio del titolo abilitativo, così come ritenuto nell’atto impugnato, che dunque legittimamente escludeva l’assentibilità delle opere previste nella richiesta di variante, precisando che il permesso di costruire potesse essere rilasciato per le opere abusive richieste a condono e oggetto della prima variante dell’8.2.2005. “.

Sin qui la sentenza del Tar: la detta Dia, quindi, è certamente insindacabile nell’ambito di questo giudizio se non violando il principio del ne bis in idem processuale.

3.4.2. Ciò premesso il quarto motivo è tanto generico, quanto sfornito di prova e deve essere certamente disatteso, in quanto fondata sull’indimostrato presupposto della impossibilità della riduzione in pristino.

3.4.3 Quanto alla terza censura, invece, attingente i punti 4,5,6,7,10 e 12 è sufficiente rammentare il consolidato orientamento – pienamente condiviso dal Collegio – secondo il quale (Cass. pen. Sez. III Sent., 02-12-2008, n. 1810 rv. 242269)”in tema di edilizia, il regime di denuncia di inizio attività (DIA) non è applicabile a lavori da eseguirsi su manufatti originariamente abusivi che non risultino oggetto di condono edilizio o di sanatoria, atteso che gli interventi ulteriori su immobili abusivi ripetono le caratteristiche di illegittimità dall'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente.”

In sintesi: l’immobile era abusivo; il “diritto a condono” (condono mai rilasciato, comunque) investiva soltanto alcune parti di esso (id est: l’intero, salvo il dodicesimo piano). Nel momento in cui l’appellante eseguiva le opere di cui alle dia annullate, a tutti gli effetti l’immobile non era stato sanato: egli non avrebbe potuto utilizzare il veicolo della dia per eseguire le opere.

Detto orientamento trova piena convergenza nella giurisprudenza amministrativa: “non possono essere destinatari dei provvedimenti di assenso al regime della d.i.a. manufatti abusivi che non siano stati sanati o condonati, in quanto gli interventi ulteriori - sia pure riconducibili a manutenzione straordinaria, restauro e/o risanamento conservativo oppure ristrutturazione - ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera cui ineriscono strutturalmente” (ex aliis Cons. Stato Sez. V, 16-04-2013, n. 2102).

Anche detta doglianza va disattesa (ex aliis: T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, 14-09-2012, n. 7799

“le ulteriori opere eseguite dopo la presentazione dell'istanza di condono edilizio, ancorché interne o di non grande entità, devono dirsi abusive e in prosecuzione dell'illecita pregressa attività edilizia, e ciò essendo mancata l'attivazione per esse del procedimento per il completamento previsto dall'art. 35 L. 47/1985. In ogni caso, come recentemente ribadito in giurisprudenza -Tar Napoli, n. 1891 del 2012- "le ulteriori opere eseguite dopo la presentazione dell'istanza di condono, ancorché interne o di non grande entità, devono dirsi abusive e in prosecuzione dell'illecita pregressa attività edilizia, e ciò essendo mancata l'attivazione per esse del procedimento per il completamento previsto dall'art. 35 L. n. 47 del 1985".)

4.Possono adesso essere esaminate le riproposte censure avversanti la determinazione dirigenziale prot. n. 3792 del 18 novembre 2009, recante il rigetto dell’istanza di accertamento di conformità edilizia per le opere insistenti nel complesso immobiliare sito in via Galileo Ferraris n. 159.

Detto provvedimento è motivato con il riferimento ad una pluralità di emergenze processuali.

Ivi si fa riferimento, infatti, all’ intervenuto annullamento dei titoli ottenuti dalla originaria ricorrente a seguito della presentazione delle dd.i.a.; alla circostanza che il detto immobile rientrava nell’ambito applicativo degli articoli 54 e 138 della citata variante di piano, che subordinava ogni intervento all’approvazione di uno strumento urbanistico di secondo livello, ed in cui erano consentiti interventi sino al restauro e risanamento conservativo e, inoltre, alla circostanza che l’originaria istante non aveva attivato gli interventi relativi al piano di caratterizzazione ed alla messa in sicurezza e bonifica ambientale dell’area di cui era proprietaria.

Nel premettere che l’appellante non ha contestato alcuna di dette emergenze motivazionali sotto il profilo dello storico verificarsi delle medesime, rileva il Collegio che la censura relativa all’omesso invio del preavviso di rigetto ed al supposto “dovere di soccorso” dell’Amministrazione a fronte delle carenze documentali riscontrate, avrebbe potuto avere una teorica possibilità di accoglimento allorché (come equivocamente rappresentato da parte appellante) si fosse trattato di una carenza documentale riferibile a documenti effettivamente esistenti, comprovanti una attività realmente esperita dall’interessata.

Allorché invece, come nel caso di specie, ciò che manca è la documentazione afferente ad un intervento in realtà mai espletato dall’appellante e che l’appellante neppure nell’odierno grado di giudizio ha mai documentato e provato di avere posto in essere, risulta del tutto inaccoglibile la censura perché giammai, anche laddove all’appellante fosse stato inoltrato il prescritto preavviso, essa avrebbe potuto colmare la lacuna riscontrata: lacuna che è si documentale, ma nel senso di omessa produzione di un documento rappresentativo di un’attività effettivamente posta in essere.

Laddove invece manchi l’attività pregressa (cioè il proprium di ciò che la documentazione avrebbe dovuto rappresentare) è evidente che il provvedimento de quo assume portata “vincolata” (si veda l’art. 21 octies della legge n. 241/1990) nel senso che giammai esso avrebbe potuto essere diverso.

Anche tale caposaldo dell’appello va pertanto respinto.

5. In conclusione, con le precisazioni e le integrazioni motivazionali sinora rese, la sentenza del Tar merita piena conferma e l’appello deve essere disatteso, così come doveva essere respinto anche nel merito il mezzo di primo grado.

6. Le spese processuali seguono la soccombenza e pertanto l’appellante deve essere condannato al pagamento delle medesime in favore di parte appellata, in misura che appare congruo quantificare, avuto riguardo alla natura della controversia, in Euro cinquemila (€ 5000/00) oltre accessori di legge, se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali nella misura di Euro cinquemila (€ 5000/00), oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Giorgio Giaccardi, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Francesca Quadri, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/11/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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