Monday 31 March 2014 15:06:19

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

D.I.A.: si applica la giurisprudenza formatasi in tema di ricorso contro un permesso di costruire anche per il caso di terzo che intenda opporsi all’esecuzione di lavori eseguiti tramite d.i.a.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

Per l’evidente analogia della situazione sostanziale, la posizione del terzo che intenda opporsi all’esecuzione di lavori eseguiti tramite d.i.a. è del tutto assimilabile a quella di chi impugni un permesso di costruire, in quanto anch’egli ha l’onere di contestare, nei termini di legge, un’autorizzazione (generalmente implicita) di natura provvedimentale (secondo la ricostruzione della normativa fatta da Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3742 e poi da ad. plen., n. 15 del 2011, cit.). Là dove non sussista una differenza specifica, vale dunque la giurisprudenza formatasi in tema di ricorso contro un permesso di costruire. A questo proposito, che la regola sancita dall’art. 31, nono comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (secondo cui “chiunque può prendere visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto e ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione”) non abbia inteso introdurre una forma di azione popolare, è affermazione troppo consolidata da non richiedere il sostegno di specifici precedenti. Secondo una giurisprudenza costante, la norma riconosce una posizione qualificata e differenziata solo in favore dei proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una situazione di "stabile collegamento" con la stessa. Tale situazione di fatto, nella specie, non è contestata, poiché - al di là delle questioni circa la proprietà, il possesso, la cessione e la retrocessione di specifiche particelle - è indubbio che entrambi i varchi in oggetto (quello preesistente e quello di nuova apertura) insistano sul medesimo tratto di strada. D’altronde, pure a voler seguire quell’orientamento più restrittivo che, anche al fine di evitare una proliferazione incontrollata di ricorsi non fondati effettivamente sulla tutela di un interesse qualificato, ritiene la vicinitas condizione necessaria ma da sola non sufficiente a fondare la legittimazione e l’interesse al ricorso (Cons. Stato, sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4924, citata dagli appellanti), nella fattispecie non manca una simile posizione differenziata in capo agli appellati, i quali, certamente titolari del diritto di accesso carrabile, negano, sulla base dell’interpretazione che danno della disciplina comunale in materia, che analogo diritto possa essere attribuito ex novo ad altri soggetti, anche al fine di evitare – come scrive correttamente il T.A.R. – “l’utilizzo indiscriminato della strada” e di garantire “la pubblica incolumità in quanto posta a servizio del letto alluvionale”.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale* del 2013, proposto da:

Laura Calisi, Maria Cannito, Francesco Cannito, Anna Cannito, rappresentati e difesi dall'avv. Giovanni Vittorio Nardelli, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

 

contro

Rosa Ciavarella, Ciro Ciavarella, Saverio Ciavarella, rappresentati e difesi dall'avv. Pietro D'Egidio, con domicilio eletto presso Ivo Mazzone in Roma, via Sicilia 253;

nei confronti di

Comune di Rutigliano, rappresentato e difeso dall'avv. Roberta Valente, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2; Responsabile pro tempore dell’Area lavori pubblici ed urbanistica del Comune di Rutigliano, non costituito; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE III n. 01570/2012, resa tra le parti, concernente denuncia di inizio attività per lavori di apertura di un vano di accesso carrabile

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Rosa Ciavarella e di Ciro Ciavarella e di Comune di Rutigliano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2014 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli Avv. Giovanni Vittorio Nardelli, Pietro D'Egidio e Giacomo Valla su delega dell’Avv. Roberta Valente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

I signori Rosa e Ciro Ciavarella sono proprietari di un suolo nel territorio del Comune di Rutigliano, al quale si accede mediante un tratto carrabile che inizia in via Cellamare ed è destinato anche all’accesso al confinante letto alluvionale.

Essi hanno impugnato la denuncia di inizio di attività n. 65/08, presentata il 24 aprile 2008 dalla vicina signora Laura Calisi, in qualità di usufruttuaria, per lavori di apertura di un vano di accesso carrabile al retrostante immobile ubicato sempre in via Cellamare e in seguito, con motivi aggiunti, l’ordinanza comunale n. 117 del 3 ottobre 2008, recante la revoca dell’ordinanza n. 74 del 5 maggio 2008, che aveva disposto la sospensione dei lavori concernenti la d.i.a. impugnata.

Con sentenza 30 luglio 2012 il T.A.R. per la Puglia, sez. III, dato atto della rinunzia al ricorso introduttivo e dichiaratolo improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, ha accolto il ricorso per motivi aggiunti, annullando la ricordata ordinanza n. 117 del 2008. Il Tribunale regionale ha ritenuto che – con le deliberazioni della Giunta comunale n. 231 del 18 dicembre 2007 e del Consiglio comunale n. 68 del 26 novembre 2008 – l’Amministrazione si sarebbe autovincolata a non consentire, nell’area, l’apertura di nuovi passi carrabili in aggiunta a quelli esistenti, sicché il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per contrasto con le precedenti determinazioni.

I signori Laura Calisi, Maria Cannino, Francesco Cannino e Anna Cannino (questi ultimi attuali proprietari dell’area e donatari del diritto di usufrutto in origine spettante alla signora Calisi) hanno interposto appello contro la sentenza.

Gli appellanti ricostruiscono la complessa vicenda. Questa, iniziatasi con una d.i.a. presentata dalla signora Calisi nel 2006, avrebbe visto svolgersi anche un giudizio civile, conclusosi con provvedimenti ormai definitivi di rigetto dell’azione possessoria intentata dai signori Ciavarella.

Ciò premesso, gli appellanti contestano la sentenza sotto tre profili.

1. Il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere superata, per effetto della revoca dell’ordinanza di sospensione dei lavori, l’eccezione di inammissibilità per intervenuta acquiescenza a seguito della mancata impugnazione della d.i.a. n. 254/06 del 15 dicembre 2006, identica a quella del 2008. A seguito di una non corretta applicazione della tecnica dell’assorbimento, a torto il Tribunale avrebbe considerato l’eccezione riferita al solo ricorso introduttivo, oggetto di rinunzia, e non anche ai motivi aggiunti, anche se l’avvenuta acquiescenza avrebbe dovuto comunque essere verificata d’ufficio. La circostanza che il Comune abbia attivato i propri poteri di autotutela sulla scorta delle osservazioni dei signori Ciavarella, adottando l’ordinanza di sospensione dei lavori, non sarebbe sufficiente a restituire agli appellati la possibilità di contestare in giudizio opere ormai definitivamente assentite.

2. Egualmente errata sarebbe la sentenza impugnata là dove ha rigettato l’eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione e di interesse del ricorso principale e di quello per motivi aggiunti. Il criterio della “vicinitas” sarebbe insufficiente; mancherebbe la prova concreta del danno specifico prodotto dagli atti impugnati alla sfera giuridica degli appellanti. Infatti: la strada interessata sarebbe stata sempre nella disponibilità del pubblico; l’accesso carrabile contestato si affaccerebbe su una porzione di suolo del cui possesso gli appellati si sarebbero privati da tempo, delimitando la propria area di interesse con l’apposizione di una ringhiera metallica; al momento della proposizione del ricorso gli appellanti non sarebbero stati né proprietari né possessori del suolo ubicato dinanzi al passo carrabile, avendo già ceduto al Comune la proprietà dei suoli, la successiva restituzione di parte dei quali (la particella n. 2128) essendo irrilevante, in quanto sopravvenuta all’instaurazione del giudizio; per quanto la strada sia a servizio del letto alluvionale, non vi sarebbe alcun rischio di dissesto idrogeologico, come dimostrerebbe la circostanza che il tratto di suolo in questione sarebbe comunque adoperato dai signori Ciavarella per il transito carrabile; come anche attesterebbero le premesse dell’ordinanza di revoca impugnata, l’apertura del varco non produrrebbe nessuna alterazione degli assetti urbanistici ed edilizi.

3. Nel merito, il Tribunale regionale avrebbe erroneamente valorizzato la deliberazione n. 68 del 2008, invero successiva alla d.i.a. e all’ordinanza di revoca impugnate, mentre la precedente deliberazione n. 231 del 2007 non escluderebbe affatto la possibile apertura di nuovi passi carrabili. In definitiva, non vi sarebbe alcun contrasto fra le deliberazioni richiamate, che si limiterebbero a garantire la conservazione degli accessi alle proprietà già di essi dotate, e i provvedimenti contestati.

I signori Ciavarella si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello.

1. L’eccezione di inammissibilità del ricorso per acquiescenza non potrebbe essere riproposta in quanto esclusivamente rivolta al ricorso introduttivo. Di quest’ultimo, con statuizione non impugnata e quindi passata in giudicato il T.A.R. ha dichiarato (non l’assorbimento, ma) l’improcedibilità - così correttamente adeguandosi all’orientamento dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (29 luglio 2011, n. 15) - per avere l‘Amministrazione adottato il provvedimento di diniego, satisfattorio dell’interesse del ricorrente. L’impugnativa della revoca dell’ordinanza di sospensione avrebbe inevitabili ripercussioni sulla d.i.a., perché l’annullamento di tale atto comporterebbe la riviviscenza del precedente provvedimento revocato. L’eccezione sarebbe comunque infondata nel merito, dato che gli appellati non avrebbero mai avuto conoscenza della d.i.a. del 2006, non essendo iniziati i lavori relativi; d’altronde la d.i.a. del 2008 non potrebbe ritenersi solo confermativa della precedente, avendo l’Amministrazione svolto al riguardo una nuova, seppur viziata istruttoria, conclusasi con un esplicito provvedimento di assenso (l’ordinanza di revoca del precedente provvedimento di sospensione del lavori).

2. Sussisterebbero l’interesse e la legittimazione ad agire, non solo alla luce dell’incontestabile criterio della vicinitas, ma anche per la posizione differenziata degli originari ricorrenti, in quanto - con le deliberazioni richiamate dal T.A.R. - l’Amministrazione avrebbe limitato gli accessi carrabili alla strada al solo personale addetto e alle proprietà già titolari del diritto.

3.Nel merito, il Tribunale regionale avrebbe correttamente fondato la propria decisione sulle delibere richiamate. La delibera di Giunta sarebbe sì anteriore agli atti impugnati, ma la successiva delibera consiliare ne costituirebbe solo una specificazione del contenuto. Sarebbe irrilevante la questione della proprietà dei suoli su cui si affaccia il varco, posto che questo interesserebbe essenzialmente la particella 2127, di proprietà comunale, e solo marginalmente la particella 2128, retrocessa ai signori Ciavarella.

Resiste all’appello anche il Comune di Rutigliano.

Con ordinanza n. 25 del 3 giugno 2013 il Comune, dando esecuzione alla sentenza di primo grado, ha ordinato la chiusura dell’accesso carrabile e il ripristino dello stato dei luoghi. Gli appellanti hanno dunque hanno chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, formulando una domanda cautelare che la Sezione ha accolto con ordinanza 31 luglio 2013, n. 3071.

In vista dell’udienza di discussione della causa, le parti hanno depositato memorie.

Il Comune contesta la ricostruzione che il T.A.R. fa delle proprie deliberazioni. Già nel 1999 l’Amministrazione avrebbe inteso garantire l’accesso ai suoli a tutti i proprietari della zona; la successiva delibera di Giunta n. 231 del 2007 si porrebbe nel solco di tale indirizzo.

Gli appellanti osservano che le controparti sarebbero state da tempo a conoscenza della d.i.a. del 2006, depositata nel giudizio di fronte all’A.G.O. sin nel 2007, come allegato alla comparsa di costituzione e risposta all’azione possessoria esperita dalle controparti: da ciò l’inammissibilità del ricorso in ragione dell’acquiescenza prestata. Nel merito, l’unica delibera comunale rilevante perché antecedente agli atti impugnati (e cioè quella adottata dalla Giunta il 18 dicembre 2007) non potrebbe interpretarsi come fonte di un divieto di accordare a nuovi soggetti l’apertura di passi carrabili.

Gli appellati rinnovano le proprie difese.

All’udienza pubblica dell’11 febbraio 2014, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare, occorre esaminare le eccezioni proposte dagli appellanti contro il ricorso di primo grado, che il T.A.R. non avrebbe preso in esame (intervenuta acquiescenza) o erroneamente rigettato (difetto di legittimazione e di interesse ad agire).

Tali eccezioni non sono fondate.

2. Quanto alla prima, al di là della replica di segno processuale opposta dagli appellati (in relazione alla mancata impugnazione del capo della sentenza relativo alla declaratoria di improcedibilità del ricorso introduttivo, contro il quale solo sarebbe stata formulata l’eccezione), cui segue una controreplica degli appellanti, appare indubbio che d.i.a. del 2006 e d.i.a. del 2008 sono atti distinti nei tempi e nelle modalità (solo la seconda appare accompagnata da una relazione tecnica asseverata), volti a comunicare l’intenzione del privato di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge (per adoperare le parole di Cons. Stato, ad. plen., 29 luglio 2011, n. 15, par. 6). D’altronde, è più che dubbio che il concetto di “atto meramente confermativo”, elaborato dalla giurisprudenza per atti provvedimentali, possa essere meccanicamente applicato anche ad atti di autonomia privata, quali sono quelli in questione.

3. Neppure ha pregio la seconda delle eccezioni richiamate.

Per l’evidente analogia della situazione sostanziale, la posizione del terzo che intenda opporsi all’esecuzione di lavori eseguiti tramite d.i.a. è del tutto assimilabile a quella di chi impugni un permesso di costruire, in quanto anch’egli ha l’onere di contestare, nei termini di legge, un’autorizzazione (generalmente implicita) di natura provvedimentale (secondo la ricostruzione della normativa fatta da Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3742 e poi da ad. plen., n. 15 del 2011, cit.).

Là dove non sussista una differenza specifica, vale dunque la giurisprudenza formatasi in tema di ricorso contro un permesso di costruire.

4. A questo proposito, che la regola sancita dall’art. 31, nono comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (secondo cui “chiunque può prendere visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto e ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione”) non abbia inteso introdurre una forma di azione popolare, è affermazione troppo consolidata da non richiedere il sostegno di specifici precedenti.

Secondo una giurisprudenza costante, la norma riconosce una posizione qualificata e differenziata solo in favore dei proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una situazione di "stabile collegamento" con la stessa. Tale situazione di fatto, nella specie, non è contestata, poiché - al di là delle questioni circa la proprietà, il possesso, la cessione e la retrocessione di specifiche particelle - è indubbio che entrambi i varchi in oggetto (quello preesistente e quello di nuova apertura) insistano sul medesimo tratto di strada.

5. D’altronde, pure a voler seguire quell’orientamento più restrittivo che, anche al fine di evitare una proliferazione incontrollata di ricorsi non fondati effettivamente sulla tutela di un interesse qualificato, ritiene la vicinitas condizione necessaria ma da sola non sufficiente a fondare la legittimazione e l’interesse al ricorso (Cons. Stato, sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4924, citata dagli appellanti), nella fattispecie non manca una simile posizione differenziata in capo agli appellati, i quali, certamente titolari del diritto di accesso carrabile, negano, sulla base dell’interpretazione che danno della disciplina comunale in materia, che analogo diritto possa essere attribuito ex novo ad altri soggetti, anche al fine di evitare – come scrive correttamente il T.A.R. – “l’utilizzo indiscriminato della strada” e di garantire “la pubblica incolumità in quanto posta a servizio del letto alluvionale”.

6. La normativa urbanistica comunale è esposta, in termini sintetici ma molto chiari, nelle premesse dell’ordinanza di revoca impugnata.

Si legge dunque che:

• il piano particolareggiato vigente è quello approvato con delibera del Commissario straordinario n. 230 del 15 giugno 1999;

• le planimetrie allegate assegnano alla strada contestata la destinazione di “area pubblica di scorrimento carrabile per la manutenzione del letto alluvionale e accesso alle proprietà”;

• il parere dell’ufficio tecnico comunale, del pari allegato, nel esprimersi in senso contrario su una delle osservazioni formulate dai signori Ciavarella, osserva che il piano garantisce l’accesso ai suoli di proprietà di questi ultimi; che tale garanzia non sia in via esclusiva, è affermazione dell’ordinanza impugnata (posta cautamente fra parentesi), che non trova riscontro testuale;

• la delibera di Giunta n. 231 del 2007, recante l’approvazione del progetto esecutivo delle opere di urbanizzazione primarie nel piano particolareggiato di via Cellamare, dà atto che il progetto garantisce, come deve garantire, l’accesso carrabile dalla strada alle proprietà già dotate di tale accesso.

Su tali premesse, gli appellanti e il Comune sostengono che nulla impedirebbe l’apertura di altri varchi. Fondandosi su un atto successivo (la delibera consiliare n. 68 del 2008, recante specificazione della destinazione d’uso delle aree pubbliche inserite nel piano di via Cellamare), la sentenza del T.A.R. sarebbe da riformare.

7. La tesi non ha pregio.

Appare invece evidente che l’area è destinata a fine pubblico (la manutenzione del letto alluvionale), cosicché - proprio alla luce del pubblico interesse a limitare l’accesso dei privati nell’area medesima - gli accessi carrabili devono intendersi limitati a quelli preesistenti e non suscettibile di ampliamenti successivi.

In questo senso, la delibera n. 68 del 2008 – nella parte in cui richiama la destinazione d’uso già impressa e chiarisce che l’accesso pedonale e carrabile all’area è limitato al personale delegato dal Comune per la manutenzione e alle sole proprietà dotate di accesso alla data di approvazione del piano – non reca una regola nuova, ma rende esplicito ciò che già doveva intendersi vigente secondo una corretta lettura della normativa urbanistica.

Dal tutto correttamente, dunque, in T.A.R. ha basato anche su tale ultima delibera la propria decisione.

Nelle aree ad alta probabilità di inondazione, d’altra parte, l’art. 9, comma 1, lett. e) delle N.T.A. consente “gli interventi di sistemazione e manutenzione di superfici scoperte di edifici esistenti (rampe, muretti, recinzioni, opere a verde e simili)”. Tale non è l’apertura di un vano di accesso carrabile, come a torto ritiene invece il provvedimento impugnato.

8. Dalle considerazioni che precedono, discende che l’appello è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza di primo grado.

Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

Tuttavia, considerata la complessità della vicenda, le spese di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa fra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Giorgio Giaccardi, Presidente

Sandro Aureli, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/03/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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