Sunday 22 February 2015 21:41:38

Giurisprudenza  Giustizia e Affari Interni

Il Giudice può disattendere le risultanze della CTU

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez.VI del 9.2.2015

Secondo il consolidato principio, nel nostro ordinamento vige il principio del ‘iudex peritus peritorum’, in virtù del quale è consentito al Giudice di merito valutare la complessiva attendibilità delle conclusioni peritali e, se del caso, disattenderne le sottese argomentazioni tecniche laddove queste risultino intimamente contraddittorie (sul punto –ex plurimis -: Cass. Civ., I, 22 novembre 2010, n. 23592; id., III, 11 giugno 2009, n. 13530; id., III, 18 novembre 1997, n. 11440).

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5384 del 2009, proposto dal Comune di Rimini, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall'avvocato Maria Assunta Fontemaggi, con domicilio eletto presso Maria Teresa Barbantini in Roma, Via Caio Mario, 7

contro

Kastavrot s.a.s. di Moscatelli Mario & c., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Benedetto Graziosi, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria, 2

nei confronti di

Immobiliare Serpieri s.a.s. di Mussoni Roberto & c., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Antonino Morello, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, Lungotevere Michelangelo, 9; 
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro, legale rappresentante, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12



sul ricorso numero di registro generale 5891 del 2009, proposto dalla società Kastavrot di Moscatelli Mario & C. s.a.s., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Benedetto Graziosi, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria, 2 

contro

Comune di Rimini, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall'avvocato Maria Assunta Fontemaggi, con domicilio eletto presso Maria Teresa Barbantini in Roma, Via Caio Mario, 7; 
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro, legale rappresentante, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12

nei confronti di

Immobiliare Serpieri s.a.s. di Mussoni Roberto & c., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Antonino Morello, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, Lungotevere Michelangelo, 9; 
Fondazione Giovanni Maria Fabbri 

per la riforma, in entrambi i ricorsi, della sentenza del T.A.R. dell’Emilia-Romagna, Sezione I, n. 376/2009

 

 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della società Kastavrot s.a.s. di Moscatelli Mario & c., della Immobiliare Serpieri s.a.s. di Mussoni Roberto & c., del Ministero per i beni e le attività culturali e del Comune di Rimini;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2014 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Barbantini per delega dell’avvocato Fontemaggi, l’avvocato Graziosi e l’avvocato dello Stato Cristina Gerardis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

 

 

FATTO

Il Comune di Rimini (appellante nel ricorso n. 5384/2009) riferisce che con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. dell’Emilia Romagna e recante il n. 1251/2006 la società Kastavrot s.a.s., premesso di essere proprietaria di un immobile nel Comune di Rimini, prospiciente la via Serpieri (immobile censito in NCEU al fg. 74, mapp. 4775, sub. 1574 – recte: 1573 -), aveva impugnato una serie di atti aventi ad oggetto alcuni interventi edilizi realizzati su un immobile adiacente di proprietà della società Immobiliare Serpieri s.a.s..

In particolare:

- con il ricorso principale la società Kastavrot s.a.s. aveva impugnato i nulla osta nn. 8470, 8471 e 8479 in data 7 luglio 2006 con i quali la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna aveva espresso parere favorevole in ordine alla compatibilità degli abusi edilizi compiuti dalla società controinteressata sull’immobile di sua proprietà, soggetto a vincolo indiretto imposto con D.M. 17 dicembre 1991 a tutela del Tempio Malatestiano di Rimini;

- con i motivi aggiunti notificati il 19 febbraio 2007 e depositati il 12 marzo 2007 aveva impugnato le concessioni in sanatoria rilasciate in favore dell’odierna appellata in data 21 dicembre 2006 dall'Ufficio condono del Comune di Rimini nonché la delibera del consiglio comunale di Rimini 15 febbraio 2001 n. 23, con la quale si era disposto di alienare alla medesima appellata i mappali 4775 e 4776 e gli immobili su di essi insistenti. Aveva altresì chiesto dichiararsi la nullità del rogito per notar Ecuba del 18 maggio 2001, con il quale il Comune di Rimini aveva alienato alla Società Immobiliare Serpieri i mappali 4775 e 4776 e gli immobili su di essi insistenti;

- con ulteriore atto per motivi aggiunti notificato il 30 marzo 2007 e depositato il 12 aprile 2007 aveva chiesto il risarcimento del danno patito in conseguenza delle lamentate illegittimità, in misura comunque non superiore a Euro 520.000,00, oltre rivalutazione ed interessi dal giorno del dovuto al saldo effettivo.

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo adito, in parziale accoglimento del ricorso così provvedeva: a) respingeva il ricorso principale; b) accoglieva il primo ricorso per motivi aggiunti e – per l’effetto – annullava le concessioni in sanatoria del 21 dicembre 2006; c) respingeva la domanda risarcitoria.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dal Comune di Rimini (ricorso n. 5384/2009) il quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:

1) Eccesso di potere per falso [pre]supposto di fatto e violazione degli artt. 7 e 8 della l. 28 febbraio 1985, n. 47; art. 1 della l. 46 del 1988 e art. 23 della l.r. 31 del 2002 – Insufficiente e contraddittoria motivazione – Istruttoria carente e insufficiente;

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 40 della l. 47 del 1985 e dell’art. 39 della l. 724 del 1994.

Si è costituito in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali il quale ha concluso nel senso dell’accoglimento dell’appello.

Si è altresì costituita in giudizio la società Serpieri Immobiliare s.a.s. la quale ha a propria volta concluso nel senso dell’accoglimento dell’appello. 

Si è inoltre costituita in giudizio la società Kastavrot s.a.s. (ricorrente vittoriosa in primo grado) la quale ha chiesto la reiezione dell’appello principale e ha proposto appello incidentale con il quale ha chiesto la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui (pur accogliendo il primo ricorso per motivi aggiunti) ha tuttavia respinto i motivi del ricorso di primo grado 1, 2, 3 e 7.

Al riguardo l’appellante incidentale ha lamentato:

- Violazione dell’art. 32 della l. 47 del 1985 – Erronea percezione dei fatti e difetto di motivazione;

- Violazione dell’art. 32, quinto comma della l. 47 del 1985 e dei principi generali di tipicità degli atti della pubblica amministrazione.

Con distinto ricorso in appello n. 5891/2009 la società Kastavrot s.a.s. ha altresì chiesto la riforma della sentenza n. 376/2009 per la parte in cui ha respinto l’istanza risarcitoria proposta in primo grado.

Al riguardo l’appellante ha proposto i seguenti motivi di ricorso:

1) Violazione dei principi generali in tema di colpa nell’illecito commesso dalla Pubblica Amministrazione – Erronea valutazione dei fatti;

2) Violazione dell’art. 92 c.p.c. (ingiusta compensazione delle spese di lite).

Nel ricorso in appello n. 5891/2009 si è costituita in giudizio la società Serpieri Immobiliare s.a.s. la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Detta società ha altresì proposto appello incidentale con cui ha chiesto la riforma della sentenza n. 376/2009 in relazione ai capi con cui i primi Giudici, in accoglimento delle censure proposte con i primi motivi aggiunti del ricorso di primo grado, hanno disposto l’annullamento delle concessioni in sanatoria in data 21 dicembre 2006.

A tal fine la Immobiliare Serpieri s.a.s. ha proposto i seguenti motivi di impugnativa:

1) Violazione degli artt. 31 e 32 della l. 27 agosto 1942, n. 1150 (alternativamente, dell’articolo 4 della l. 28 gennaio 1977, n. 10) e degli artt. 14 e 29 della l.r. 21 ottobre 2004, n. 23 ed errata applicazione dell’art. 8 della l. 28 febbraio 1985, n. 47 e dell’art. 32 del d.P.R. 380 del 2001 – Violazione dei princìpi generali in tema di illeciti edilizi;

2) Violazione dell’art. 44 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 nel testo vigente e difetto di istruttoria - Motivazione errata e difettosa per errore nei presupposti di fatto e per errata valutazione di essi.

Con due distinte ordinanze rese all’esito della camera di consiglio del 14 luglio 2009 questo Consiglio di Stato ha respinto

- sia l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza in epigrafe proposta dal Comune di Rimini nell’ambito del ricorso in appello n. 5384/2009 (ordinanza n. 3632/2009);

- sia l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della medesima sentenza proposta dalla società Kastavrot s.a.s. nell’ambito del ricorso in appello n. 5891/2009 (ordinanza n. 3645/2009).

Con ordinanza n. 51/2013 (resa all’esito della pubblica udienza del 21 dicembre 2012) questo Consiglio ha disposto una verificazione volta ad accertare alcune circostanze di fatto rilevanti ai fini del decidere (art. 66, co. 1 cod. proc. amm.) e ha disposto che alla verificazione provvedesse il Dirigente dell’Assessorato alla programmazione territoriale, politiche abitative e riqualificazione urbana della Regione Emilia-Romagna. 

Con nota a firma del Direttore Generale della Regione Emilia-Romagna in data 19 aprile 2013 è stata tuttavia rappresentata l’impossibilità di procedere alla disposta verificazione in quanto i competenti uffici regionali “non dispongono di strutture dotate di attrezzature e strumentazioni adeguati allo svolgimento dei richiamati compiti di verificazione”.

Con ordinanza n. 3520/2013 (resa all’esito della pubblica udienza del 25 giugno 2013) questo Consiglio, preso atto dell’impossibilità manifestata dalla Regione Emilia-Romagna di svolgere la disposta verificazione, nominava un C.T.U. nella persona del Prof. Francesco Ubertini dell’Università degli Studi di Bologna.

Con l’ordinanza in questione, ai sensi dell’articolo 67 cod. proc. amm. il Collegio individuava i quesiti (invero riproduttivi di quelli già oggetto della disposta verificazione) e determinava la tempistica e le modalità di esperimento della consulenza tecnica d’ufficio.

Fra i mesi di luglio e settembre 2013 il consulente nominato svolgeva le operazioni richieste.

In data 24 ottobre 2013 il CTU nominato versava in atti la propria relazione.

Le parti costituite depositavano ulteriori memorie e osservazioni.

Alla pubblica udienza del 18 dicembre 2014 i ricorsi in epigrafe sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello n. 5384/2009 proposto dal Comune di Rimini avverso la sentenza del T.A.R. dell’Emilia-Romagna n.376/2009 con cui è stato accolto in parte il ricorso proposto dalla società Kastavrot s.a.s. e, per l’effetto, sono state annullate le concessioni in sanatoria rilasciate dal Comune di Rimini nel dicembre 2006 in favore della società Immobiliare Serpieri s.a.s. per alcuni interventi su un immobile di sua proprietà soggetto a vincolo c.d. ‘indiretto’ a tutela del Tempio Malatestiano di Rimini (decreto ministeriale 17 dicembre 1991).

Giunge, altresì, alla decisione del Collegio il ricorso in appello n. 5891/2009 proposto avverso la medesima sentenza dalla ricorrente in primo grado società Kastavrot s.a.s., la quale ne ha chiesto la riforma per la parte in cui è stata respinta la domanda risarcitoria articolata in primo grado.

2. In primo luogo deve essere disposta la riunione dei due ricorsi in epigrafe sussistendo evidenti ragioni di connessione di carattere soggettivo e oggettivo (nonché, per avere tali ricorsi ad oggetto l’impugnativa avverso la medesima sentenza – art. 96, comma 1 del c.p.a. -).

3. Con il primo motivo del ricorso principale n. 5384/2009, il Comune di Rimini lamenta che i primi Giudici abbiano erroneamente accolto gli argomenti (articolati con il primo ricorso per motivi aggiunti articolato in primo grado) con cui la società Kastavrot aveva chiesto l’annullamento dei (tre) provvedimenti di sanatoria del 21 dicembre 2006 per violazione dell’articolo 32 della l. 47 del 1985 in relazione all’articolo 39 della l. 724 del 1994.

3.1. L’iter logico-giuridico seguito dai primi Giudici (e puntualmente criticato dal Comune di Rimini può essere così sinteticamente descritto):

- l’edificio Serpieri (per come in concreto realizzato sul fg. 74, p.lle 3135, 4775 e 4776) risultava realizzato in totale difformità ovvero con variazioni essenziali rispetto all’originaria licenza edilizia dell’11 aprile 1946 e rinnovata il 15 novembre 1951. Tale ontologica diversità era confermata da un complesso di indici relativi all’aspetto architettonico, al profilo tipologico e a quello planovolumetrico;

- “in particolare l’edificio realizzato presentava ictu oculi, rispetto al fabbricato licenziato, una disomogeneità e una diversa dislocazione delle aperture, un aumento di altezza (quantificato nell’11%) cui si collega un fronte sulla via Serpieri più corto e uno sviluppo verso l’interno per effetto della costruzione di un fabbricato accessorio ad uso magazzino” (pag. 10 della sentenza impugnata);

- trattandosi di immobile interamente abusivo (in quanto realizzato in totale difformità ovvero con variazioni essenziali rispetto all’originario titolo abilitativo), l’istanza di condono ai sensi dell’articolo 39 della l. 734 del 1994 doveva essere presentata in relazione all’intero immobile e non poteva essere proposta in relazione alle singole unità (tre) che lo compongono. Il frazionamento dell’istanza in tal modo realizzato celava l’intento di scomporre l’abuso in una pluralità di singoli abusi minori, probabilmente al fine di aggirare il limite massimo della volumetria condonabile ai sensi del comma 1 dell’articolo 39 della l. 724, cit.

3.2. Ebbene, come anticipato in narrativa, il Collegio ha ritenuto dirimente ai fini del decidere l’accertamento in ordine alle ritenute (e contestate) totali difformità e variazioni essenziali e ha pertanto demandato a un C.T.U. il compito di accertare: 

1) se, in base allo stato di fatto riscontrabile e verificabile in loco, nonché in relazione alle ulteriori circostanze nel caso di specie rilevanti, possa essere confermata l’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza del T.A.R. dell’Emilia-Romagna n. 376/2009, secondo cui l’edificio assentito in relazione al Catasto Fabbricati del Comune di Rimini – Foglio 74, mappale 1574 (anche in relazione ai subalterni 6, 7 e 8) con licenza edilizia n. 14/1946 (Immobile ‘Serpieri’) e quello in concreto realizzato nel corso degli anni sull’area in questione costituiscano “organismi edilizi tra loro radicalmente diversi sia per quanto riguarda l’aspetto architettonico, che per quel che riguarda il profilo tipologico che quello plani volumetrico”;

2) se, in base allo stato di fatto riscontrabile e verificabile in loco, nonché in relazione alle ulteriori circostanze nel caso di specie rilevanti, possa essere confermata l’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza del T.A.R. dell’Emilia-Romagna n. 376/2009, secondo cui l’edificio in concreto realizzato comporti un aumento di altezza nella misura dell’11% circa rispetto a quanto inizialmente previsto (in caso di aumento di altezza di diversa entità, si chiede comunque di determinarla in concreto);

3) se, in base allo stato di fatto e alle ulteriori circostanze dinanzi richiamate, possa affermarsi che l’edificio in concreto realizzato nel corso degli anni recasse variazioni essenziali rispetto alla licenza n. 14/1946 e se possa affermarsi che la presentazione di distinte domande di condono in relazione a ciascuna delle (tre) unità immobiliari in cui si compone l’immobile fosse compatibile con la pertinente disciplina in materia di condono edilizio anche per ciò che riguarda la cubatura complessiva dell’immobile.

3.3. All’esito delle operazioni peritali, il consulente tecnico nominato ha rassegnato le seguenti conclusioni:

1) nel complesso, non sono stati ravvisati elementi sufficientemente significativi da poter far ritenere che il fabbricato in concreto realizzato nel corso degli anni e quello assentito con licenza del 1946 costituiscano organismi edilizi fra loro radicalmente diversi, né per quanto riguarda l’aspetto architettonico, né per quanto riguarda il profilo tipologico e quello plani volumetrico;

2) in base allo stato di fatto riscontrabile e verificato in loco, non si può affermare che l’edificio in concreto realizzato comporti un aumento di altezza nella misura dell’11% circa rispetto a quanto inizialmente previsto. Al contrario, l’altezza dell’edificio misurata in loco coincide con buona approssimazione con quella inizialmente prevista;

3) il corpo di fabbrica principale, dichiarato abitabile nel 1951, è da ritenersi conforme alla licenza edilizia del 1946 per la parte realizzata. Il magazzino realizzato negli anni ’60 è da ritenersi variazione essenziale secondo la normativa in vigore all’epoca delle richieste di condono. La risposta a questa prima parte del quesito va contestualizzata anche con riferimento alla risposta alle osservazioni dei consulenti di parte”.

Ebbene, esaminato l’elaborato peritale, nonché il materiale e le argomentazioni a supporto il Collegio ritiene complessivamente attendibili le relative conclusioni e ritiene, pertanto, che esse possano validamente essere poste a supporto della presente decisione.

Tanto, alla luce del consolidato – e qui condiviso – principio secondo cui nel nostro ordinamento vige il principio del ‘iudex peritus peritorum’, in virtù del quale è consentito al Giudice di merito valutare la complessiva attendibilità delle conclusioni peritali e, se del caso, disattenderne le sottese argomentazioni tecniche laddove queste risultino intimamente contraddittorie (sul punto –ex plurimis -: Cass. Civ., I, 22 novembre 2010, n. 23592; id., III, 11 giugno 2009, n. 13530; id., III, 18 novembre 1997, n. 11440).

Ebbene, per le ragioni che fra breve si esporranno (e nonostante le critiche sul punto articolate dalla difesa della società Kastavrot) le conclusioni cui è giunto il C.T.U. risultano nel complesso esenti dai profili di erroneità e inattendibilità che potrebbero indurre a non tenerne conto ai fini del decidere.

3.4. Si sono indicati in precedenza gli elementi che avevano indotto i primi Giudici a ritenere che l’edificio Serpieri e quello a suo tempo assentito costituissero “organismi edilizi tra loro radicalmente diversi sia per quanto riguarda l’aspetto architettonico, che per quel che riguarda il profilo tipologico che quello planivolumetrico”.

La sentenza appellata aveva a tal fine ritenuto dirimenti:

a) la ‘disomogeneità’ e la diversa dislocazione delle aperture;

b) l’aumento di altezza del fabbricato realizzato rispetto a quello assentito nella misura dell’11 per cento circa;

c) la riduzione del fronte sulla via Serpieri e il diverso sviluppo verso l’interno per effetto della realizzazione di un fabbricato accessorio ad uso magazzino.

3.5. Ebbene, l’elaborato peritale ha esaminato in modo pertinente e con iter logico esente da vizi ciascuno dei tre richiamati aspetti.

3.5.1. Il primo aspetto esaminato è quello relativo alla diversità tipologica dell’immobile realizzato rispetto a quello assentito e alla diversa distribuzione delle aperture sula facciata principale aggettante sulla via Serpieri.

Al riguardo, la C.T.U. ha rilevato (con deduzioni adeguatamente fondate sulla documentazione in atti) che le principali differenze fra l’edificio assentito nel 1946 e quello in concreto realizzato (nel 1947) consistevano:

i) in un livello qualitativamente inferiore delle finiture esterne (facciata intonacata al posto dell’ornato in pietra viva con modanature sul cornicine di cui al progetto del 1946). Si tratta di una differenza che, pur incidendo sulla qualità complessiva del fabbricato (qualificandolo come uno di quegli “edifici moderni di mediocre aspetto sorti negli anni del dopoguerra” di cui è menzione nell’ambito della relazione al decreto ministeriale impositivo del vincolo indiretto sull’area) non risulta ex se idonea a qualificarlo come un vero e proprio aliud rispetto all’edificio a suo tempo assentito;

ii) nella mancata realizzazione di un’ala del fabbricato (il quale presentava, nello sviluppo di progetto, un andamento sostanzialmente pentagonale, mentre nella sua concreta configurazione si è sviluppato con andamento ‘ad elle’ – edificio principale -, ovvero con foggia di quadrangolo regolare – considerando l’interposizione del secondo corpo di fabbrica rappresentato dal locale adibito a magazzino su un unico piano -). Anche in questo caso, tuttavia, il complesso degli elementi in atti induce ad escludere che le (pur rilevanti) differenze valessero a configurare l’immobile principale in concreto realizzato come un aliud rispetto a quello originariamente progettato e assentito. Si osserva al riguardo: 1) che il mancato completamento del fabbricato inizialmente progettato (con particolare riguardo alla porzione di foggia sostanzialmente triangolare che avrebbe dovuto svilupparsi sulla p.lla 1573) è stato dovuto alla mancata realizzazione della via trasversale alla via Serpieri prevista dal – mai realizzato – piano di ricostruzione del Comune di Rimini e sulla quale un lato del progettato edificio Serpieri avrebbe dovuto affacciarsi; 2) che la porzione di fabbricato realizzata risultava comunque conforme al progetto del 1946 (il che è confermato dal certificato di abitabilità del Comune del 1951, ove si legge che “la parte della casa sin’ora costruita è conforme al progetto approvato (…)”); 3) che, se si pone a confronto il fabbricato progettato nel 1946 (al netto della porzione che non è stato possibile realizzare per effetto della mancata realizzazione del piano di ricostruzione) e il fabbricato esistente (al netto dell’ulteriore corpo di fabbrica di cui al locale adibito a magazzino sulla p.lla 4775 – sul punto cfr. infra -), ne emerge una sostanziale identità, essendo rispettato l’andamento ‘ad elle’ del corpo di fabbrica in tal modo risultante, così come la struttura complessiva del perimetro e l’altezza complessiva; 4) che, sotto tale aspetto, risulta giustificata la conclusione fornita dal CTU, secondo cui il fabbricato principale esistente non presenta totali difformità o variazioni essenziali rispetto all’immobile di progetto, ma – più semplicemente – ne costituisce una parziale e nel complesso adeguata e fedele realizzazione;

iii) in alcune differenze nella dislocazione e nel numero delle aperture sul fronte di via Serpieri. Sotto tale aspetto, la C.T.U. ha rilevato che la costruzione della facciata aggettante su via Serpieri è stata interrotta all’altezza del quarto setto murario portante interno. Ciò ha comportato la realizzazione di un numero inferiore di finestre al piano terra e al primo piano con riduzione del relativo passo. Vi è, invero, un passaggio dell’elaborato peritale (quello compreso fra le pagg. 11 e 12) che appare di difficile lettura (ci si riferisce al punto in cui si afferma che “si riscontra la presenza di cinque finestre al primo piano, anziché quattro, e quattro finestre al piano terra, anziché tre”), ma nonostante ciò le conclusioni cui perviene il C.T.U. appaiono comunque condivisibili. Il passaggio in parola appare non del tutto comprensibile in quanto il confronto fra il fronte strada dell’edificio progettato e di quello realizzato mostra invero la presenza nel secondo di quattro finestre al piano terra a fronte delle quattro progettate – oltre una porta di ingresso verosimilmente destinata al passaggio carrabile, non realizzata – e mostra la presenza, al primo piano, di cinque finestre a fronte delle cinque progettate – oltre una porta finestra con balcone, non realizzata -.

Ad ogni modo, è stato condivisibilmente osservato che la riduzione del numero delle finestre è dipesa unicamente dalla riduzione della lunghezza del fronte strada (da 27 a 19 metri), laddove – tuttavia – la dislocazione delle aperture in concreto realizzate è risultata comunque regolare e omogenea rispetto al progetto iniziale (solo in parte realizzato, come già osservato), senza comportarne – anche sotto tale aspetto – un radicale stravolgimento. 

Per quanto riguarda, poi, l’assetto tipologico dell’edificio esistente, la C.T.U. ha comunque rilevato (con deduzioni ancora una volta scevre da profili di incongruità) come l’edificio in parola risulti del tutto coerente con la tipologia di quello di progetto, configurandosi (al pari di questo) come costruzione ‘in linea’, sviluppantesi in prosecuzione di fabbricati adiacenti con un lungo e comune fronte sulla via antistante.

Il consulente nominato ha inoltre esaminato l’avvenuta realizzazione – senza titolo - di un piccolo locale ad uso igienico sul terrazzo al primo piano e ha ancora una volta concluso nel senso che tale oggettiva diversità non concretasse (sotto l’aspetto quantitativo e qualitativo) una radicale diversità rispetto alla consistenza oggettiva dell’immobile di cui al progetto originario del 1946.

3.5.2. Il secondo aspetto esaminato dal CTU è quello relativo al contestato aumento di altezza del fabbricato realizzato rispetto a quello assentito (che i primi Giudici hanno affermato sussistente nella misura dell’11% circa).

Al riguardo la C.T.U. (sulla base di rilevazioni condotte in loco secondo una metodologia nel complesso condivisibile) ha concluso nel senso dell’infondatezza della conclusione cui sono pervenuti i primi Giudici, ritenendo – al contrario – “che l’altezza massima del fabbricato è con buona approssimazione pari all’altezza originariamente prevista”.

Sotto tale aspetto il consulente: i) ha condivisibilmente individuato il punto al quale misurare l’altezza dell’edificio; ii) ha comparato l’altezza in questione con quella desumibile dagli elaborati di progetto; iii) ha tenuto conto della (peraltro lieve) pendenza della strada nel punto che qui rileva; iv) ha tenuto conto del verosimile innalzamento del manto stradale in conglomerato bituminoso realizzato nel corso degli anni.

3.5.3. Il terzo aspetto esaminato dal consulente è quello relativo alla riduzione del fronte sulla via Serpieri e il diverso sviluppo verso l’interno per effetto della realizzazione di un fabbricato accessorio ad uso magazzino.

Sotto tale aspetto ci si limita a richiamare quanto già osservato in relazione ai primi due aspetti: anche in questo caso il C.T.U. ha osservato (con deduzioni esenti da profili di incongruità) che la solo parziale realizzazione dell’immobile rispetto al progetto a suo tempo assentito non consente di affermare che sia stato realizzato un organismo edilizio radicalmente diverso per quanto riguarda l’aspetto architettonico, nonché il profilo tipologico e planivolumetrico.

Al riguardo ci si limita qui a rinviare a quanto già in precedenza osservato.

3.6. Un discorso in parte diverso riguarda, invece, il locale magazzino realizzato nel 1963 e che occupa, con buona approssimazione l’intero sedime della p.lla 4775 (ora: subalterno 7).

Per quanto riguarda tale superfetazione edilizia, è stato condivisibilmente osservato (sulla base dei pertinenti elaborati e dell’esame condotto in loco) che essa rappresenti davvero un’innovazione radicale rispetto al progetto assentito nel 1946 e ciò per almeno tre ragioni:

a) perché tale intervento altera in modo radicale il prospetto posteriore dell’edificio nel suo complesso, occupando un’area di sedime diversa da quella inizialmente assentita;

b) perché, dal punto di vista tipologico, l’intervento in questione appare estraneo alla tipologia di costruzione ‘in linea’ e comporta la perdita dello spazio destinato alla corte interna;

c) perché, dal punto di vista planivolumetrico, il nuovo corpo di fabbrica modifica la pianta ‘ad elle’ del complesso inizialmente progettato, conferendo allo stesso la pianta quadrangolare che oggi lo caratterizza.

Ma il punto è che, una volta qualificato il (solo) locale magazzino realizzato nel 1963 come variazione essenziale (o edificio in totale difformità) rispetto al progetto originario, ciò non comporta ex se l’illegittimità degli atti con cui, nel dicembre del 2006 il Comune di Rimini ha rilasciato il titolo in sanatoria ai sensi dell’articolo 39 della l. 724 del 1994 (il quale richiama a sua volta i presupposti e le condizioni di cui alla l. 47 del 1985).

Al riguardo, una volta chiarito che il complesso dell’edificio Serpieri non fosse nel suo insieme radicalmente diverso rispetto a quello assentito (e che pertanto l’istanza di sanatoria fosse stata correttamente richiesta in relazione ai singoli abusi), si osserva che il titolo in sanatoria rilasciato nel dicembre del 2006 (anche) con riguardo al locale magazzino non palesasse alcun profilo di contrasto con la pertinente normativa, non emergendo in atti alcuna delle condizioni ostative di cui all’articolo 39 della l. 724 del 1994, ovvero di cui agli articoli 31 e seguenti della l. 47 del 1985 (ci si riferisce, in particolare, alle condizioni di cui all’articolo 32, comma 2 della l. 47, cit. per l’ipotesi di opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione).

3.7. Occorre a questo punto esaminare le osservazioni e le deduzioni svolte dalla Kastavrot nel corso delle operazioni peritali e puntualmente ribadite con la memoria in data 15-17 novembre 2014.

Al riguardo la società Kastavrot lamenta:

- che il C.T.U. nominato avrebbe ecceduto i limiti imposti dall’ordinanza istruttoria di questo Consiglio n. 3520/2013 in quanto l’ordinanza imponeva di valutare l’‘edificio Serpieri’ nel suo complesso (e di valutare se la ‘totale difformità’ o le ‘variazioni essenziali’ sussistessero al livello del medesimo complesso), mentre il consulente avrebbe arbitrariamente riqualificato il contenuto e l’oggetto dei quesiti posti, frazionando le proprie valutazioni sulle singole componenti dell’edificio (locale ad uso commerciale, unità per civile abitazione, locale magazzino sul retro);

- che lo stesso C.T.U., laddove ha effettivamente esaminato l’abuso nel suo complesso (senza procedere ad artificiosi frazionamenti) ha dovuto concludere “che laddove si dovesse confrontare l’edificio come appare oggi con quello assentito nella licenza del 1946, esso costituirebbe integralmente variazione essenziale” (pag. 16 della relazione finale);

- che, in definitiva, il C.T.U. avrebbe indebitamente “stemperato la natura complessiva dell’abuso [e avrebbe] frazionato l’illecito in una somma di difformità parziali”, in tal modo influenzando l’impostazione della stessa “quaestio iuris” rimessa all’apprezzamento dell’Organo giudicante e discostandosi comunque dai limiti dell’incarico conferito. Allo stesso modo, il C.T.U. si sarebbe discostato dalla prevalente giurisprudenza che, in materia di sanatorie edilizie, ha affermato il principio della non frazionabilità degli abusi laddove il frazionamento risulti finalizzato ad aggirare i limiti e i vincoli della sanabilità.

3.7.1. Ebbene, le eccezioni e le critiche sollevate dalla società Kastavrot, pur se copiosamente argomentate, non possono essere condivise.

Al riguardo si osserva:

- che questo Giudice ha ritenuto necessario acquisire una consulenza tecnica d’ufficio reputando necessario, ai fini del decidere, l’accertamento di fatti e l’acquisizione di valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche (art. 63, comma 4, cod. proc. amm.);

- che, per quanto riguarda i quesiti rivolti al C.T.U., alcuni consistevano essenzialmente in meri accertamenti tecnici (ci si riferisce in particolare al secondo quesito, relativo all’altezza complessiva del fabbricato), mentre altri presupponevano una più articolata attività consistente sia nell’accertamento di fatti materiali, sia nella loro qualificazione attraverso l’applicazione di regole tecniche specialistiche e di puntuali disposizioni di legge (ci si riferisce, in particolare, ai quesiti relativi alla sussistenza di radicali diversità o di variazioni essenziali rispetto al progetto del 1946);

- che l’espletamento dell’incarico peritale non poteva risultare del tutto scevro da operazioni qualificatorie (ci si riferisce, ancora una volta, a quelle relative alla controversa sussistenza di radicali diversità o di variazioni essenziali) e che l’operata qualificazione non ha comportato di per sé il superamento dei limiti posti attraverso l’articolazione dei quesiti;

- che, in ogni caso, le prospettazioni giuridiche offerte dal consulente sono state vagliate criticamente da questo Giudice e altrettanto criticamente condivise (per la massima parte) o respinte (per una parte minore), anche in accoglimento delle deduzioni e delle osservazioni formulate dalle altre parti nel corso dello svolgimento delle operazioni peritali e, più in generale, nel corso del giudizio;

- che, ad esempio, il Collegio non ha condiviso (e non ha utilizzato ai fini del decidere) l’affermazione contenuta a pag. 16 della relazione conclusiva della C.T.U., ove si legge “che laddove si dovesse confrontare l’edificio come appare oggi con quello assentito nella licenza del 1946, esso costituirebbe integralmente variazione essenziale”. L’affermazione in questione risulta in contrasto logico e sistematico con quanto affermato in altra parte dell’elaborato laddove (in risposta al primo quesito) si è esclusa una siffatta variazione, concludendo altresì – e in modo condivisibile – nel senso della insussistenza di radicali diversità fra l’edificio principale (realizzato anteriormente al 1951) e quello descritto nel progetto del 1946;

- che, prendendo le mosse dalla compiuta ricostruzione dei fatti ed apprezzando – sia pure cum grano salis – le prospettazioni e le qualificazioni proposte dal C.T.U., il Collegio ha maturato i seguenti convincimenti: i) che il progetto del 1946 relativo all’edificio principale era stato realizzato in modo complessivamente fedele (sia pure solo parziale) negli anni immediatamente successivi e che le pur apprezzabili diversità realizzative riscontrabili non consentono di affermare la sussistenza di ‘radicali diversità’; ii) che la complessiva conformità fra l’edificio progettato e quello (sia pure solo parzialmente) realizzato risulta confermata dal certificato di abitabilità rilasciato nel 1951 dallo stesso Comune di Rimini (ove si legge che “la parte della casa sin’ora ricostruita è conforme al progetto approvato (…)”); iii) che, al contrario, il locale ad uso magazzino costruito nel corso degli anni ’60 del Novecento costituiva un organismo edilizio radicalmente nuovo e diverso rispetto all’edificio principale preesistente, pur essendo stato costruito in aderenza ad esso; iv) che, tuttavia, non sussistevano ragioni in fatto e in diritto radicalmente ostative alla sanabilità del detto locale ad uso magazzino (non ostandovi, in particolare, le previsioni della l. 47 del 1985 e della l. 724 del 1994);

- che, in definitiva, non viene qui confutato il consolidato orientamento che osta all’artificioso frazionamento degli abusi laddove tale suddivisione risulti artatamente finalizzata ad impedire la valutazione unitaria dell’abuso (in particolare, al fine di eludere i limiti di legge alla sanabilità di cui all’articolo 39 della l. 724 del 1994). Ma il punto è che nel caso in esame – e per le ragioni in fatto e in diritto in precedenza esposte – sussisteva un’ontologica diversità fra le caratteristiche oggettive dell’edificio principale (il quale non risultava affatto radicalmente diverso rispetto a quello progettato) e le caratteristiche oggettive del locale ad uso magazzino (il quale, sotto l’aspetto architettonico, tipologico e planivolumetrico rappresentava invece un organismo del tutto nuovo, diverso ed incoerente rispetto a quello originariamente progettato e realizzato);

- che in ogni caso, dagli atti di causa non emerge alcun indice il quale deponga nel senso che la presentazione di tre distinte domande di sanatoria fosse in concreto finalizzata ad eludere i limiti e i vincoli di legge alla sanabilità degli abusi. Al riguardo ci si limita ad osservare: i) che, come osservato dal C.T.U., la presentazione di tre distinte domande di sanatoria non poteva risultare finalizzata ad occultare l’effettiva consistenza dell’abuso, anche perché le domande in questione erano state presentate lo stesso giorno e risultavano corredate dai medesimi elaborati grafici, dai quali era possibile desumere in modo agevole la consistenza oggettiva degli interventi complessivamente realizzati; ii) che, pur prestando doveroso ossequio al richiamato e consolidato orientamento volto a garantire la valutazione unitaria dell’abuso e a riguardare la materia in parola secondo una condivisibile ottica di stampo sostanzialistico, il punto è che in ipotesi quale quella che qui ricorre non emerge alcun elemento atto a ritenere (appunto, in un’ottica sostanzialistica) che il frazionamento delle domande di sanatoria fosse volto ad occultare la consistenza oggettiva dell’abuso medesimo; iii) che, in ogni caso (e valutando la questione au fond), quand’anche la Immobiliare Serpieri avesse presentato un’unica domanda di sanatoria, non sarebbero emerse ragioni dirimenti per disporne la reiezione, non sussistendo in particolare la violazione di alcuno dei (due) limiti che la l. 724 del 1994 imponeva ai fini della sanabilità (ci si riferisce al superamento del 30 per cento della cubatura complessiva dell’immobile e al superamento della volumetria complessiva di 750 mc., che risultano nel caso di specie entrambi rispettati).

3.8. Per le ragioni sin qui esposte il primo e il secondo motivo del ricorso principale devono essere accolti e pertanto, in riforma della sentenza in epigrafe, deve essere disposta la reiezione dei motivi aggiunti di ricorso articolati in primo grado dalla società Kastavrot, il cui accoglimento ha indotto il T.A.R. ad annullare le (tre) concessioni in sanatoria del dicembre 2006.

4. Devono a questo punto essere esaminati i (due) motivi dell’appello incidentale proposto dalla società Kastavrot. Si tratta di (due) mezzi di gravame reiterativi di analoghi motivi già articolati in primo grado (primo, secondo, terzo e settimo motivo del ricorso principale) e respinti dai primi Giudici.

Con il primo di tali motivi (‘Sul rigetto dei primi tre motivi di ricorso: violazione dell’art. 32, l. 47/1985 – Erronea percezione dei fatti e difetto di motivazione’) si chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui sono stati respinti i motivi con i quali si era lamentata l’illegittimità dei (tre) nulla-osta rilasciati in data 7 luglio 2006 dalla Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Ravenna.

Secondo l’appellante incidentale, la sentenza in epigrafe risulterebbe in parte qua erronea sotto almeno tre profili.

In primo luogo il T.A.R. avrebbe erroneamente ritenuto (riprendendo invero un’impostazione già seguita dalla Soprintendenza) che restassero escluse dalla valutazione di compatibilità le opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo (17 dicembre 1991) ancorché abusive.

Sotto tale aspetto i primi Giudici avrebbero disatteso il prevalente orientamento secondo cui, in sede di adozione del nulla-osta, la Soprintendenza deve tener conto del vincolo esistente al momento in cui viene esaminata la domanda di condono (a prescindere, quindi, dalla sussistenza del vincolo stesso al momento di commissione dell’abuso).

In definitiva, quindi, la Soprintendenza prima e il T.A.R. dopo avrebbero erroneamente ritenuto che la questione della compatibilità con il vincolo potesse essere risolta (e in modo semplicistico) sulla base della priorità delle opere abusive rispetto al vincolo.

Con il secondo dei richiamati motivi si reitera l’argomento (già profuso in primo grado e non esaminato dal T.A.R.) relativo all’altezza effettiva dell’immobile.

Al riguardo la Soprintendenza si sarebbe erroneamente limitata ad osservare che l’altezza licenziata nel 1946 fosse maggiore rispetto a quella in seguito massima fissata con il decreto impositivo del vincolo. Ma il punto è che, in tal modo decidendo, la Soprintendenza avrebbe del tutto omesso di considerare che l’edificio in concreto realizzato fosse di circa 95 cm. più alto rispetto a quello assentito e che su tale differenza era stata chiamata a pronunciarsi lo stesso Organo statale.

Con il terzo dei richiamati motivi si reitera l’argomento (anch’esso profuso in primo grado e non esaminato dal T.A.R.) relativo alla compatibilità con il vincolo di cui all’articolo 21 della l. 1089 del 1939 del locale abusivo ad uso magazzino insistente sull’attuale subalterno 7.

Sotto tale aspetto il parere della Soprintendenza avrebbe erroneamente ritenuto di superare la questione osservando i) che l’accessorio risulta esterno rispetto all’area sottoposta al vincolo; ii) che l’altezza dello stesso risulta comunque inferiore rispetto al limite ministeriale.

Ebbene, il richiamato parere aveva erroneamente omesso di tener conto del fatto che la preesistenza del locale magazzino abusivo fosse idonea ad alterare il complessivo equilibrio prospettico dei luoghi, andando direttamente ad incidere sull’edificio della società Kastavrot, che di tale equilibrio è parte integrante (e che, per effetto della permanenza in loco del magazzino in questione, avrebbe dovuto essere arretrato fino alla distanza di tre metri dall’immobile Serpieri, in tal modo determinando una cesura spaziale sulla continuità della quinta architettonica fronti stante il tempio rinascimentale).

4.1. Il primo e il secondo dei richiamati argomenti, che vanno esaminati in modo congiunto, non possono trovare accoglimento.

Non si tratta qui di porre in discussione l’orientamento (invero consolidato e puntualmente richiamato dall’appellante incidentale Kastavrot) secondo cui in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo (articolo 32 della l. 47 del 1985), l'esistenza del vincolo deve essere valutata al momento in cui deve essere presa in considerazione la domanda di condono, a prescindere dall'epoca della sua introduzione e, quindi, anche per le opere eseguite anteriormente all'apposizione del vincolo in questione. 

Ma il punto è che, per le ragioni dinanzi esaminate sub 3, non sussistevano nel caso in esame i lamentati profili di radicale diversità e di essenzialità delle variazioni che rappresentavano, a ben vedere, il presupposto stesso dell’applicabilità dell’articolo 32, cit. (salvo quanto si è già detto in relazione al locale magazzino insistente sul subalterno 7).

Per quanto riguarda, poi, l’ulteriore motivo di appello incidentale relativo all’altezza complessiva dell’immobile, ci si limita qui ad osservare che la sua articolazione muove da un presupposto che non rinviene conferma in atti: quello secondo cui l’edificio Serpieri sarebbe stato realizzato per circa 95 cm. più in alto rispetto a quanto previsto in progetto.

Al riguardo ci si limita a richiamare le conclusioni cui è pervenuto il C.T.U., secondo cui – al contrario - l’altezza massima del fabbricato è sostanzialmente coincidente con quella assentita nel 1946 (ivi, pag. 15).

Si tratta di un accertamento la cui esattezza non è stata adeguatamente contestata in atti e le cui risultanze possono, pertanto, essere assunte a fondamento della presente decisione.

4.2. Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto appena osservato, il Collegio osserva comunque che neppure il terzo degli argomenti qui riproposti (si tratta di quello relativo al locale ad uso magazzino insistente sul subalterno 7) potrebbe trovare accoglimento.

Al riguardo si osserva che – contrariamente a quanto ritenuto dall’appellante incidentale – del tutto correttamente la Soprintendenza ha omesso di pronunziarsi in ordine alla compatibilità con il vincolo di tutela indiretta dell’immobile ad uso magazzino in questione per l’assorbente ragione che tale subalterno risultasse escluso dalla portata oggettiva del vincolo imposto nel dicembre del 1991.

Né può ritenersi – con la società Kastavrot - che gravasse sull’Organo statale il compito di andare ad individuare (con una sorta di inammissibile indagine ‘a ritroso’, potenzialmente senza limite) qualunque possibile alterazione che, in via del tutto mediata e indiretta, un qualunque abuso realizzato al di fuori dal perimetro del vincolo avrebbe potuto determinare sugli immobili interessati dal vincolo medesimo.

E un siffatto obbligo risultava tanto più inesigibile se solo si consideri che l’incidenza sortita dal permanere del locale magazzino sull’assetto dell’immobile Kastavrot non rappresentava un effetto della stessa esistenza di tale locale, ma costituiva – piuttosto – il prodotto di una serie di controversie civilistiche insorte fra le parti (delle quali, a ben ragione, la Soprintendenza poteva anche ignorare l’esistenza).

4.3. Con un ulteriore motivo di appello incidentale (rubricato ‘Sul rigetto del motivo di ricorso n. VII (Violazione dell’art. 32, co. 5 della l. 47 del 1985 e dei principi generali di tipicità degli atti della pubblica amministrazione)’) la società Kastavrot chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui è stato respinto il motivo di ricorso con il quale si era lamentata la violazione, da parte del Comune di Rimini, del comma 5 dell’articolo 32 della l. 47 del 1985 (secondo cui “per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà di enti pubblici territoriali, in assenza di un titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della concessione o dell’autorizzazione in sanatoria è subordinato anche alla disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente (…) l’uso del suolo su cui insiste la costruzione” attraverso la stipula di una convenzione di cessione del diritto di superficie).

In particolare, la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per aver ritenuto che, ai fini del rilascio del titolo in sanatoria, la vendita e la concessione in superficie risultassero di fatto equivalenti.

In tal modo decidendo i primi Giudici avrebbero omesso di considerare che, al contrario, un complesso di indici testuali e sistematici depongono nel diverso senso secondo cui l’unico modo per concedere la legittima disponibilità dell’area (pubblica) su cui insiste un immobile abusivo è quello di procedere al rilascio di una concessione in superficie (nel caso in esame, insussistente).

4.3.1. Il motivo non può essere condiviso in quanto prende le mosse da un’interpretazione a sua volta non condivisibile del pertinente paradigma normativo (il richiamato articolo 32, comma 5 della l. 47 del 1985).

Ed infatti, la disposizione appena richiamata riferisce evidentemente la necessità per l’ente pubblico territoriale proprietario dell’area di adottare un atto di disponibilità regolato con convenzione di cessione del diritto di superficie alla sola ipotesi in cui, all’atto del rilascio della sanatoria, la proprietà dell’area sia ancora dell’ente pubblico medesimo. In definitiva, la disposizione in esame è chiaramente riferita all’ipotesi un cui fra la costituzione del diritto di superficie e il rilascio del titolo in sanatoria sussista un rapporto di presupposizione e collegamento.

Ebbene, l’ipotesi in parola non sussiste certamente nel caso in esame atteso che, al momento del rilascio del titolo in sanatoria, la proprietà dell’area era stata trasferita alla società Serpieri da oltre cinque anni e atteso che la stessa delibera consiliare di cessione dell’area del febbraio 2001 (in atti), pur richiamando i contenziosi in atto fra le parti, non indicava alcun nesso di strumentalità rispetto alla sanatoria che sarebbe stata concessa solo nel dicembre del 2006 (al contrario, la delibera in parola evocava la volontà di regolare, in via sostanzialmente transattiva, le reciproche pretese avanzate dal Comune e dalla società Immobiliare Serpieri e di porre fine alla causa proposta in sede civile dalla stessa società al fine di sentir dichiarare l’intervenuta usucapione – in particolare - dell’area di sedime su cui sorge l’immobile ad uso magazzino).

Inoltre (e si tratta di un’ulteriore osservazione di carattere dirimente ai fini del decidere) la tesi qui riproposta dalla società Kastavrot non sembra tener conto del fatto che il comma 5 dell’articolo 32, l. 47, cit. subordina – sì - il rilascio del titolo in sanatoria alla previa costituzione del diritto di superficie (ivi, quinto periodo), ma solo per le ipotesi in cui il soggetto richiedente la sanatoria non disponga di “un titolo che abiliti al godimento del suolo”. Si tratta di un presupposto (in negativo) che evidentemente non ricorre nel caso – che qui ricorre - del soggetto proprietario dell’area, il quale evidentemente dispone in modo pieno e illimitato del ius utendi fruendi sull’area medesima.

4.4. Per le ragioni appena esposte il ricorso incidentale proposto dalla società Kastavrot nell’ambito del ricorso n. 5384/2009 deve essere respinto.

5. Le considerazioni sin qui svolte consentono di esaminare il ricorso in appello n. 5891/2009 con cui – come anticipato in narrativa – la società Kastavrot ha chiesto la riforma della sentenza n. 376/2009 per la parte in cui (pur accogliendo in parte il ricorso principale) ha nondimeno respinto la domanda risarcitoria proposta dalla stessa società Kastavrot.

5.1. L’appello in questione è da respingere in quanto – per le ragioni dinanzi esposte – non era in radice configurabile nella vicenda per cui è causa l’elemento oggettivo di una fattispecie foriera di danno risarcibile nei confronti della stessa Kastavrot.

5.2. Al contrario (e per le ragioni dinanzi esaminate sub 3) deve essere accolto l’appello incidentale proposto dalla Immobiliare Serpieri nell’ambito dell’appello n. 5891/2009.

In particolare, in accoglimento dell’appello incidentale in parola (e per le ragioni già in precedenza esposte sub 3) devono essere riformati i capi della sentenza di primo grado con cui, in accoglimento del quarto, quinto e sesto argomento articolato in sede di primi motivi aggiunti è stato disposto l’annullamento delle [tre] concessioni in sanatoria rilasciate nel dicembre del 2006 in favore della Immobiliare Serpieri.

6. In conclusione e per le ragioni sin qui esposte, deve essere previamente disposta la riunione dei ricorsi in epigrafe, sussistendo evidenti ragioni di connessione di carattere oggettivo e soggettivo (nonché, per avere tali ricorsi ad oggetto l’impugnativa avverso la medesima sentenza – art. 96, comma 1 del c.p.a. -).

Nel merito, il ricorso n. 5384/2009 (Comune di Rimini) deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza in epigrafe, deve essere integralmente respinto il ricorso di primo grado proposto dalla società Kastavrot.

Per ragioni del tutto analoghe deve essere accolto l’appello incidentale proposto dalla società Serpieri nell’ambito del ricorso in appello 5891/2009 (Kastavrot).

Deve, invece, essere respinto l’appello incidentale proposto dalla medesima società Kastavrot nell’ambito del ricorso n. 5384/2009.

Il ricorso in appello n. 5891/2009 (Kastavrot) deve essere respinto, stante l’insussistenza dei presupposti per la configurazione di un illecito foriero di danno.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese fra le parti anche in regione della notevole complessità delle questioni coinvolte dalla presente decisione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, così decide:

- dispone la riunione dei ricorsi;

- accoglie il ricorso n. 5384/2009 (Comune di Rimini) e per l’effetto, in riforma della sentenza in epigrafe, respinge integralmente il ricorso di primo grado proposto dalla società Kastavrot;

- respinge l’appello incidentale proposto dalla medesima società Kastavrot nell’ambito del ricorso n. 5384/2009;

- respinge il ricorso n. 5891/2009 (Kastavrot);

- accoglie, per le ragioni e nei sensi di cui in motivazione, l’appello incidentale proposto dalla società Serpieri nell’ambito del ricorso in appello 5891/2009 (Kastavrot);

- dispone l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti in relazione a entrambi i gradi del giudizio;

- pone integralmente a carico della società Kastavrot l’onere relativo al compenso del C.T.U., che viene liquidato in complessivi euro 5.000 (cinquemila), comprensivo di ogni onere e accessorio. La società Kastavrot dovrà pertanto provvedere a rifondere al Comune di Rimini la quota parte di compenso già corrisposta per effetto dell’ordinanza n. 3520/2013 e a corrispondere al CTU l’importo residuo, fino a concorrenza del ridetto importo di euro 5.000 (cinquemila)

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Gabriella De Michele, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/02/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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