Wednesday 28 May 2014 15:22:58

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Abusi edilizi: il Consiglio di Stato precisa i termini di natura perentori entro cui richiedere la sanatoria ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 27.5.2014

La sanatoria ex art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 non può essere più richiesta quando sia definitivamente decorso il termine di novanta giorni dall’ingiunzione di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi (nel caso di opere eseguite in assenza di concessione, in totale difformità e con variazioni essenziali, art. 7) ovvero quello fissato dal sindaco nell’ordinanza di demolizione (nel caso di interventi di ristrutturazione edilizia, art. 9, comma 1, e di opere eseguite in parziale difformità dalla concessione, art. 12, comma 1) e, nel caso di opere eseguite senza autorizzazione, ex art. 10, fino alla irrogazione delle sanzioni amministrative. Qiesto il principio sancito dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza depositata in data 27.5.2014. In particolare il Collegio nella sentenza in esame rileva che l’articolo 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (ora trasfuso nell’art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), su cui è stata fondata l’istanza di concessione in sanatoria dell’abuso edilizio, negata col provvedimento impugnato in primo grado, stabilisce che il responsabile dell’abuso possa ottenere la concessione o l’autorizzazione in sanatoria, quando l’opera eseguita in assenza della concessione o autorizzazione sia conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda, “fino alla scadenza del termine di cui all’art. 7, terzo comma, per i casi di opere eseguite in assenza di concessione o in totale difformità o con varianti essenziali, o dei termini stabiliti nell’ordinanza del sindaco di cui al primo comma dell’art. 9, nonché, nei casi di parziale difformità, nel termine di cui al primo comma dell’art. 12, ovvero nel caso di opere eseguite in assenza di autorizzazione ai sensi dell’art. 10 o comunque fino alla irrogazione delle sanzioni”. La particolare sanatoria prevista dall’articolo in esame non può pertanto essere più richiesta quando sia definitivamente decorso il termine di novanta giorni dall’ingiunzione di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi (nel caso di opere eseguite in assenza di concessione, in totale difformità e con variazioni essenziali, art. 7) ovvero quello fissato dal sindaco nell’ordinanza di demolizione (nel caso di interventi di ristrutturazione edilizia, art. 9, comma 1, e di opere eseguite in parziale difformità dalla concessione, art. 12, comma 1) e, nel caso di opere eseguite senza autorizzazione, ex art. 10, fino alla irrogazione delle sanzioni amministrative. Il legislatore ha in tal modo inteso contemperare i contrapposti interessi in conflitto, subordinando la sanatoria dell’abuso edilizio, di natura esclusivamente formale per la sola mancanza del titolo abilitativo o per la violazione dello stesso, stante invece la sua doppia conformità edilizia ed urbanistica (al momento della realizzazione dell’opera e al momento della domanda), al mancato definitivo consolidarsi del provvedimento sanzionatorio di demolizione o di irrogazione della sanzione, indipendentemente dal fatto che la sanzione sia stata effettivamente già portata ad esecuzione (sul rapporto di consequenzialità tra provvedimento di accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e quello successivo di acquisizione gratuita delle opere abusive e dell'area di sedime rispetto all'ordine di demolizione delle opere e ripristino dello stato primitivo dei luoghi e sulla loro non autonoma impugnabilità in mancanza di tempestiva impugnazione dell'atto con cui era stata ingiunta la demolizione, tra le tante Cons. St., sez. V, 10 gennaio 2007, n. 40). Da ciò deriva la natura perentoria dei termini sopra indicati. Nel caso di specie non è contestato che la richiesta di concessione in sanatoria ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 47 del 1985 sia stata presentata dall’interessato iquando era ormai diventata definitiva l’ordinanza di demolizione dello stesso abuso di cui si discute. Correttamente pertanto i primi giudici hanno ritenuto tardiva la nuova domanda di concessione in sanatoria (risultando infondato il richiamo operato dall’appellante alla pretesa mancata irrogazione delle sanzioni amministrative), tardività che preclude l’esame delle altre censure. Vanno poi respinte le deduzioni secondo cui la sanatoria ex art. 13 sarebbe possibile al di là dei casi da esso tassativamente previsti. Per la consolidata giurisprudenza, che il Collegio condivide e fa propria, è legittimo il doveroso diniego della concessione in sanatoria di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria (Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2014, n. 1324; Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3235; Sez. V, 17 settembre 2012, n. 4914; Sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126; Sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2306). Infatti, solo il legislatore statale (con preclusione non solo per il potere giurisdizionale, ma anche per il legislatore regionale: Corte Cost., 29 maggio 2013, n. 101) può prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo edilizio in sanatoria (avente anche una rilevanza estintiva del reato già commesso) e risulta del tutto ragionevole il divieto legale di rilasciare una concessione (o il permesso) in sanatoria, anche quando dopo la commissione dell’abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico. Come rilevato da questo Consiglio (Sez. V, 17 marzo 2014, n.- 1324, cit.), tale ragionevolezza risulta da due fondamentali esigenze, prese in considerazione dalla legge: a) evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile); b) disporre una regola senz’altro dissuasiva dell’intenzione di commettere un abuso, perché in tal modo chi costruisce sine titulo sa che deve comunque disporre la demolizione dell’abuso, pur se sopraggiunge una modifica favorevole dello strumento urbanistico. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale* del 2003, proposto dal signor*, rappresentato e difeso dagli avvocati Nicolo' Paoletti, Giuseppe Greppi e Paolo Monti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Nicolo' Paoletti in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 34;

 

contro

comune di Castellania , in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Storace e Mario Augusto Rossi, con domicilio eletto presso l’avv. Francesco Storace in Roma, via Crescenzio, n. 20; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PIEMONTE – TORINO, Sez. I, n. 663 del 7 maggio 2003, resa tra le parti, concernente un diniego di concessione edilizia in sanatoria;

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Castellania;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2014 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti l’avvocato Paoletti Natalia, per delega dell’avvocato Paoletti Nicolò, e l’avvocato Bouroukh Francesca, per delega dell’avvocato Storace Francesco;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 

 

FATTO

1. Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, sez. I, con la sentenza n. 663 del 7 maggio 2003, nella resistenza dell’intimata Comune di Castellania, ha respinto il ricorso n. 510 del 2003, proposto dal sig. Natale Allegrone avverso il provvedimento n. 30 del 7 gennaio 2003, con cui è stato negato il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, richiesta in data 9 settembre 2002 (unitamente al sig. Giancarlo Allegrone): ciò in quanto tale richiesta era stata presentata oltre il termine fissato dall’art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, da ritenersi perentorio e non meramente sollecitatorio, come sostenuto dall’interessato, con conseguente assorbimento delle altre censure sollevate.

2. Con atto di appello ritualmente notificato il 2 luglio 2003, il sig.* ha chiesto la riforma della sentenza del TAR, lamentando innanzitutto la “violazione dell’art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47”, in quanto - a suo avviso - i primi giudici non avevano tenuto conto che nel caso di specie andava comunque concessa la c.d. sanatoria giurisprudenziale, per quanto non erano neppure scaduti i termini per la presentazione della domanda di concessione in sanatoria non essendo ancora intervenute le misure repressive dell’abuso (da sanare).

L’interessato ha poi riproposto i motivi di censura dichiarati assorbiti in primo grado (“Eccesso di potere per difetto di motivazione; violazione dell’art. 15.5 del P.R.G.I. adottato e dell’art. 15.6 del P.R.G.I. vigente; eccesso di potere per travisamento di fatti e per carenza istruttoria”; “Eccesso di potere per difetto di motivazione e travisamento dei fatti – Violazione ed erronea interpretazione dell’art. 15.4 del P.R.G.C. vigente” e “Eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione. Violazione della legge 9 gennaio 1989, n. 13 e del D.M. n. 236 del 14/06/1989”).

Ha resistito al gravame il Comune di Castellania, che ne ha chiesto il rigetto, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza.

3. Nelle more del giudizio l’appellante ha depositato ulteriore documentazione ed in particolare una concessione edilizia in sanatoria rilasciata dallo stesso comune appellato (n. 1448 del 22 dicembre 2006).

Nell’imminenza dell’udienza di discussione le pari hanno poi illustrato le rispettive tesi difensive con apposite memorie.

4. Alla pubblica udienza del 29 aprile 2014, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

5. Occorre preliminarmente rilevare che, secondo quanto dedotto dalla stessa parte appellante, la concessione edilizia in sanatoria successivamente rilasciata dall’amministrazione comunale, n. 1448 del 22 dicembre 2006, non costituisce un fatto idoneo a determinare la declaratoria di sopravvenuta carenza d’interesse a ricorso di primo grado (o all’appello) ovvero ad integrare gli estremi della fattispecie di cessata materia del contendere, giacché detto titolo, per un verso, si ricollega ad una domanda di condono diversa (successiva alla stessa proposizione del gravame in esame) da quella in relazione alla quale è stato emesso il provvedimento impugnato in primo grado e, per altro verso, sana solo parzialmente l’abuso edilizio di cui si discute.

6. Nel merito, poi, l’appello è infondato, potendo pertanto prescindersi dalle questioni preliminari di inammissibilità del ricorso originario, sollevate dall’amministrazione comunale appellata.

6.1. L’articolo 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (ora trasfuso nell’art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), su cui è stata fondata l’istanza di concessione in sanatoria dell’abuso edilizio, negata col provvedimento impugnato in primo grado, stabilisce che il responsabile dell’abuso possa ottenere la concessione o l’autorizzazione in sanatoria, quando l’opera eseguita in assenza della concessione o autorizzazione sia conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda, “fino alla scadenza del termine di cui all’art. 7, terzo comma, per i casi di opere eseguite in assenza di concessione o in totale difformità o con varianti essenziali, o dei termini stabiliti nell’ordinanza del sindaco di cui al primo comma dell’art. 9, nonché, nei casi di parziale difformità, nel termine di cui al primo comma dell’art. 12, ovvero nel caso di opere eseguite in assenza di autorizzazione ai sensi dell’art. 10 o comunque fino alla irrogazione delle sanzioni”.

La particolare sanatoria prevista dall’articolo in esame non può pertanto essere più richiesta quando sia definitivamente decorso il termine di novanta giorni dall’ingiunzione di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi (nel caso di opere eseguite in assenza di concessione, in totale difformità e con variazioni essenziali, art. 7) ovvero quello fissato dal sindaco nell’ordinanza di demolizione (nel caso di interventi di ristrutturazione edilizia, art. 9, comma 1, e di opere eseguite in parziale difformità dalla concessione, art. 12, comma 1) e, nel caso di opere eseguite senza autorizzazione, ex art. 10, fino alla irrogazione delle sanzioni amministrative.

Il legislatore ha in tal modo inteso contemperare i contrapposti interessi in conflitto, subordinando la sanatoria dell’abuso edilizio, di natura esclusivamente formale per la sola mancanza del titolo abilitativo o per la violazione dello stesso, stante invece la sua doppia conformità edilizia ed urbanistica (al momento della realizzazione dell’opera e al momento della domanda), al mancato definitivo consolidarsi del provvedimento sanzionatorio di demolizione o di irrogazione della sanzione, indipendentemente dal fatto che la sanzione sia stata effettivamente già portata ad esecuzione (sul rapporto di consequenzialità tra provvedimento di accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e quello successivo di acquisizione gratuita delle opere abusive e dell'area di sedime rispetto all'ordine di demolizione delle opere e ripristino dello stato primitivo dei luoghi e sulla loro non autonoma impugnabilità in mancanza di tempestiva impugnazione dell'atto con cui era stata ingiunta la demolizione, tra le tante Cons. St., sez. V, 10 gennaio 2007, n. 40).

Da ciò deriva la natura perentoria dei termini sopra indicati.

6.2. Nel caso di specie non è contestato che la richiesta di concessione in sanatoria ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 47 del 1985 sia stata presentata dall’interessato in data 9 novembre 2002 (prot. 1085) quando era ormai diventata definitiva l’ordinanza di demolizione dello stesso abuso di cui si discute, in relazione al quale con la sentenza n. 197 del 31 gennaio 2002 il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, sez. I, aveva ritenuto legittimo il diniego (ordinanza 5/2001 del 27 ottobre 2001) di rilascio della concessione in sanatoria (pure ex art. 13 della legge n. 47 del 1985).

Correttamente pertanto i primi giudici hanno ritenuto tardiva la nuova domanda di concessione in sanatoria (risultando infondato il richiamo operato dall’appellante alla pretesa mancata irrogazione delle sanzioni amministrative), tardività che preclude l’esame delle altre censure.

Vanno poi respinte le deduzioni secondo cui la sanatoria ex art. 13 sarebbe possibile al di là dei casi da esso tassativamente previsti.

Per la consolidata giurisprudenza, che il Collegio condivide e fa propria, è legittimo il doveroso diniego della concessione in sanatoria di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria (Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2014, n. 1324; Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3235; Sez. V, 17 settembre 2012, n. 4914; Sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126; Sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2306).

Infatti, solo il legislatore statale (con preclusione non solo per il potere giurisdizionale, ma anche per il legislatore regionale: Corte Cost., 29 maggio 2013, n. 101) può prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo edilizio in sanatoria (avente anche una rilevanza estintiva del reato già commesso) e risulta del tutto ragionevole il divieto legale di rilasciare una concessione (o il permesso) in sanatoria, anche quando dopo la commissione dell’abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico.

Come rilevato da questo Consiglio (Sez. V, 17 marzo 2014, n.- 1324, cit.), tale ragionevolezza risulta da due fondamentali esigenze, prese in considerazione dalla legge:

a) evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile);

b) disporre una regola senz’altro dissuasiva dell’intenzione di commettere un abuso, perché in tal modo chi costruisce sine titulo sa che deve comunque disporre la demolizione dell’abuso, pur se sopraggiunge una modifica favorevole dello strumento urbanistico.

7. In conclusione l’appello deve essere respinto.

Le spese del secondo grado del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 6651 del 2003 proposto dal sig. Natale Allegrone avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, sez. I, n. 663 del 7 maggio 2003, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento in favore del Comune di Castellania delle spese del presente grado di giudizio che liquida complessivamente in €. 3.000,00 (tremila), oltre I.V.A. ed accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Luigi Maruotti, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/05/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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