Sunday 07 June 2015 18:20:08

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Abusi edilizi: l'eccezionalità della sanatoria giurisprudenziale

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 5.6.2015

Il Consiglio di Stato Sezione Sesta nella sentenza del 5.6.2015 relativamente alla “sanatoria giurisprudenziale”, ha affermato che si tratta non di un autonomo istituto giuridico liberamente utilizzabile dall’amministrazione comunale quasi fosse una normale via di ordinaria gestione degli interventi sul territorio (una sorta di pagamento di un onere concessorio particolarmente rilevante, ma pur comunque ordinariamente legittimante); ma di un mero effetto eccezionale a fronte di quello che comunque è e resta un abuso edilizio, per di più ammesso solo da una parte della giurisprudenza: che deroga alla tassatività dell’accertamento di conformità dell’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 e la cui ragione viene di solito ricercata nell’eccessività, rispetto all’interesse alla tutela dell’ordine urbanistico sostanziale, dell’imporre la demolizione (o l’acquisizione gratuita) di un’opera che è senza titolo ma che è al contempo conforme alla disciplina urbanistica e dunque avrebbe potuto essere autorizzata su regolare istanza: la finalità è di evitare un’inutile dissipazione di mezzi e risorse (tra varie, Cons. Stato, V, 6 luglio 2012, n. 3961). L’effetto però non è affatto pacifico, perché rischia di negare il non casuale rigore dell’art. 36, che – con la sua regola della doppia conformità urbanistica – è lo strumento previsto dalla legge per la titolazione postuma di manufatti realizzati senza previo titolo.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1051 del 2015, proposto da: 
* rappresentata e difesa dagli avv. Riccardo Ruffo, Andrea Manzi, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, Via Federico Confalonieri, 5; 

contro

Comune di Verona, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni R. Caineri, Fulvia Squadroni, Marcello Clarich, con domicilio eletto presso Marcello Clarich in Roma, viale Liegi, 32; 

nei confronti di

Sa.Ro Sas di Boniolo Silvano & C., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv. Stefano Baciga e Elena Stella Richter, con domicilio eletto presso Elena Stella Richter in Roma, viale Mazzini, 11; 
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE II n. 00761/2014, resa tra le parti, concernente accertamento di compatibilità paesaggistica

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Verona e di Sa.Ro Sas di Boniolo Silvano & C. e del Ministero per i beni e le attività culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 maggio 2015 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Riccardo Ruffo, Andrea Manzi, Chiara Carli per delega dell'avvocato Clarich, l'avvocato dello Stato Stigliano Messuti e l'avvocato Baciga;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, l’attuale appellante *  chiedeva l’annullamento di una serie di atti di assentimento di attività rilasciati alla società SARO s.a.s. di Boniolo Silvano, in Verona e relativi alla’attività di una trattoria sita in quella Via Fontana del Ferro, 1; tra tali atti, vi erano il parere della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Provincie di Verona, Rovigo e Vicenza del 18 giugno 2013 prot.n.17041, il decreto di accertamento di compatibilità paesaggistica del 25 giugno 2013 prot.n.06.03/000538, la nota del 22 luglio 2013 avente a oggetto il riscontro alla memoria P.G. 191236 del 12 luglio 2013, il provvedimento di rimozione dei vizi ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. 380 del 2001 (validazione dirigenziale-permesso di sanatoria giurisprudenziale) su pratica edilizia 06.03/000538 anno 2013 rep. 2013/213 del 25 luglio 2013 comunicato in data 13 settembre 2013 e dell’art. 8 del regolamento edilizio del Comune di Verona.

La ricorrente – e odierna appellante -, la cui proprietà confina con l’immobile interessato dagli atti impugnati, faceva presente che:

1) in data 22 febbraio 1991 la società SARO, proprietaria dell’immobile confinante, otteneva la concessione edilizia n.50678 PG per il restauro e il cambio d’uso in ristorante ai piani seminterrato e terra del fabbricato, a condizione che la capacità ricettiva fosse limitata a trentasei posti a sedere: dal che si doveva ritenere che la terrazza del ristorante dovesse rimanere a destinazione residenziale e a servizio dell’abitazione posta su parte del piano primo e cui si accede attraverso il terrazzo;

2) in data 29 aprile 2004 la società SARO iniziava le opere di un collegamento tra il piano terra ed il piano superiore (formato in parte dal terrazzo e in parte dall’abitazione in modo che il terrazzo è l’unico modo di accesso all’abitazione), consistenti nella realizzazione di un montavivande, di un’opera in muratura per ospitare il motore frigo e nell’ampliamento di una tettoia (oggetto di domanda di condono edilizio) e la successiva collocazione di tavolini e sedie ad utilizzo ristorante, a seguito di dichiarazione di inizio attività n.1115/03 del 28 marzo 2003;

3) con ricorso al Tribunale amministrativo del Veneto r.g. n.1585 del 2004 l’attuale appellante impugnava i su indicati atti di assentimento del Comune di Verona, ma il ricorso veniva respinto con sentenza breve n.2327 del 2004;

4) avverso tale sentenza essa proponeva appello al Consiglio di Stato. Questo, con sentenza della sezione IV, 6 novembre 2012, n. 5836 lo accoglieva in relazione al primo motivo, che censurava la violazione dell’art. 16 delle NTA della Variante n.33 del Comune di Verona, secondo cui all’interno del centro storico, ai piani superiori non erano ammesse destinazioni diverse da quelle residenziali; e per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, annullava i provvedimenti oggetto del ricorso originario;

5) con nota del 6 dicembre 2012 l’attuale appellante invitava il Comune a dar esecuzione alla sentenza di appello e in particolare al ritiro delle autorizzazioni rilasciate per lo svolgimento dell’attività di ristorazione sulla terrazza; 

6) il Comune con nota del 14 dicembre 2012 avviava il procedimento sanzionatorio comunicando che l’abuso accertato ai sensi dell’art. 38 (Interventi eseguiti in base a permesso annullato) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 avrebbe potuto essere sanato attraverso il pagamento di sanzione amministrativa; 

7) la Veneri con nota del 9 gennaio 2013 obiettava che si trattava di violazioni sostanziali e non soltanto formali, insuscettibili di essere sanate;

8) il Comune, con nota del 17 gennaio 2013 replicava che nel frattempo era entrato in vigore il Piano degli interventi [ai sensi dell’art. 18 (Interventi in diretta attuazione degli strumenti urbanistici generali) della legge regionale del Veneto 23 aprile 2004, n. 11 (Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio)] che avrebbe consentito l’utilizzo stagionale della terrazza; 

9) nonostante la comunicazione dell’istante di voler agire per i danni da mancata esecuzione del giudicato, il Comune con nota del 6 febbraio 2013 informava che la SARO aveva presentato una istanza di “sanatoria giurisprudenziale”;

10) in data 23 aprile 2013 il Comune comunicava alla ditta SARO la necessità della validazione dirigenziale preventiva e la richiesta di accertamento di compatibilità relativa alla realizzazione del montavivande;

11) in data 26 giugno 2013 il Comune comunicava che il giorno precedente era stato emesso decreto di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi degli artt. 167 e 181 d.lgs. n. 42 del 2004 in ordine alla diversa realizzazione del montavivande rispetto a quanto autorizzato; e rilasciava l’autorizzazione paesaggistica;

12) nonostante le controdeduzioni sollevate nel frattempo dalla Veneri in ordine all’esigenza del ripristino, il Comune assumeva che non si trattava di un cambio di destinazione d’uso ma di un mero cambio di utilizzo stagionale della terrazza; assumeva quindi che l’edificio non era più soggetto alle disposizioni di cui alla Variante 33 (centro storico) al P.r.g. [adottata nel 1984 e approvata nel 1991], in quanto il 31 marzo 2012 era (è) entrato in vigore il Piano degli interventi, che lo colloca nella città storica centrale e lo classifica come categoria A4 e parte come categoria B2; la destinazione d’uso U3-pubblici esercizi è ammissibile in tali fabbricati senza limitazione: perciò l’utilizzo stagionale della terrazza al primo piano, per attività di ristorazione è divenuta conforme, il che supera il motivo di accoglimento da parte del Consiglio di Stato.

Quindi il Comune adottava i due seguenti atti: la “sanatoria giurisprudenziale” per la realizzazione del montavivande in difformità della DIA n.2196/03 e l’autorizzazione paesaggistica n. 106 del 26 febbraio 2004; il permesso di costruire ex art. 38 del Testo unico dell’edilizia per la rimozione dei vizi che hanno prodotto l’annullamento della DIA n.06.03/0115/03 e n.06.03/002196/03 per l’utilizzo stagionale della terrazza.

Con il ricorso originario r.g.n.1626 del 2013 la signora Veneri, attuale appellante, deduceva venti motivi di ricorso, per vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili. Il ricorso veniva respinto dal Tribunale amministrativo del Veneto perché infondato in relazione a tutti i vizi dedotti, con la sentenza 5 giugno 2014, n.761, oggetto dell’appello presente. 

La sentenza faceva richiamo, tra l’altro: alla nuova normativa del Piano degli interventi, che consente tali attività anche ai piani superiori del centro storico cittadino; alla sanabilità per l’abuso del montavivande, considerato tra l’altro volume tecnico; alla limitazione del richiamo alla normativa acustica, peraltro potendosi ricorrere al giudice civile; alla richiesta di monetizzare gli standards a parcheggio; alla circostanza che talune delle normative invocate (scarichi, eliminazione delle barriere architettoniche) sono applicabili solo alle nuove costruzioni e non anche ai mutamenti di destinazione d’uso.

Con atto di appello non sintetico (64 pagine), la signora Veneri deduce diciotto motivi di appello deducendo violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili e in particolare deducendo in sostanza, in modo riproduttivo, i motivi respinti in primo grado e sostenendo in sintesi: 1) il Comune ha ritenuto che non si trattava di un cambio di destinazione d’uso ma di un utilizzo stagionale della terrazza; la sentenza ha invece ritenuto che si era in presenza di un mutamento di destinazione d’uso, pur ritenendolo consentito: mentre, al contrario, le norme comunali in materia (art. 75 NTO) lo consentono soltanto a determinate condizioni (riqualificazione, riorganizzazione, ecc.) nella specie insussistenti; 2)erroneità della sentenza laddove non ha riscontrato la violazione del giudicato; 3) erroneità della sentenza laddove non ha riscontrato illegittimità nell’adottare più atti in relazione ad un unico abuso; 4)erroneità della sentenza nell’avere ritenuto possibile l’applicazione di mere sanzioni pecuniarie ai sensi dell’art. 38 del T.U. dell’edilizia, pur in presenza di giudicato che rilevava vizi sostanziali consistenti nel mutamento di destinazione da abitativa a non abitativa; 5) erroneità della sentenza nella parte in cui ritiene applicabile alla realizzazione del montavivande l’istituto della “sanatoria giurisprudenziale”6) erroneità della sentenza laddove ha ritenuto legittimo il mutamento di destinazione d’uso senza l’adeguamento dello standard a parcheggio, contrariamente a quanto previsto dalle norme comunali in materia; 7) omessa pronuncia e in ogni caso erroneità della sentenza, nella parte in cui non ha ritenuto che l’attività svolta sulla terrazza doveva essere sottoposta alla valutazione di tipo acustico ai sensi dell’art. 9, comma 12 delle NTO, essendo limitrofa a residenza dei vicini; 8) erroneità della sentenza laddove non ha ritenuto applicabili le previsioni dell’art. 8 l. 26 ottobre 1995, n. 447 (Legge quadro sull’inquinamento acustico), disattendendo quanto prescritto nel parere della USSL 20 di Verona in data 7 marzo 2003 n.1118; 9) erroneità della sentenza nella parte in cui non ha accolto i motivi relativi alla eliminazione delle barriere architettoniche; 10) erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il motivo relativo alla esigenza di prevedere il progetto relativo allo scarico delle acque reflue; 11) erroneità della sentenza nella parte in cui non ha accolto il vizio di difetto di istruttoria, in quanto nel progetto presentato non vengono rappresentate le reali situazioni, non essendo state rappresentate le finestre e aperture dei vicini, ritenendone necessaria la rappresentazione soltanto nei casi di nuova costruzione; 12) erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto che si trattasse di locale storico; 13) erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto necessarie le prescrizioni vincolanti del regolamento di igiene, in relazione alla circostanza che la terrazza costituisce passaggio obbligato per accedere all’abitazione del signor Boniolo e della sua famiglia (per attività di produzione, manipolazione, confezionamento di alimenti e così via), ritenendo invece che sulla terrazza vengano soltanto ospitati gli avventori; 14) erroneità della sentenza nella parte in cui non ha rilevato l’evidente difetto di istruttoria e l’inerzia del Comune nell’accertare e sanzionare le evidenti violazioni della normativa acustica intollerabile; 15) l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha rinvenuto l’inammissibilità dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, perché è stata adibita una sala ristorante di settantacinque metri quadri, ed è stato realizzato un montavivande di dimensioni diverse da quanto assentito; 16) erroneità della sentenza per non avere accolto il motivo relativo alla illegittimità derivante dalla circostanza che il parere favorevole alla sanatoria paesaggistica e quello edilizio fanno capo allo stesso ufficio (Sportello unico attività produttive/coordinamento edilizia privata) e allo stesso soggetto (dott. Giovanni Uderzo); 17) erroneità della sentenza nella parte in cui non ha accolto il motivo del vizio evidente di motivazione, sia con riguardo agli atti comunali, che al parere favorevole della Soprintendenza, che si limita ad affermare che “le opere per la loro natura e consistenza, non arrecano sostanziale pregiudizio ai valori paesaggistici dell’area sottoposta a tutela”18) erroneità della sentenza nella parte in cui non ha accolto il motivo relativo alla violazione dell’art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, essendo mancanti del tutto gli adempimenti previsti dalla predetta disposizione, che il primo giudice non ha ritenuto necessari, in quanto si tratta di accertamento di compatibilità paesaggistica in sanatoria e non di autorizzazione paesaggistica ordinaria.

Si è costituito il Comune di Verona chiedendo il rigetto dell’appello e ribadendo la legittimità del suo operato.

Si è costituito il Ministero dei beni culturali con memoria di pura forma.

Si è costituita la Saro s.a.s., che controdeduce punto per punto in ordine a tutti i motivi di appello (e di prime cure) chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.

Con memoria depositata in data 10 aprile 2015 l’appellante ha ribadito le sue difese, chiedendo l’accoglimento dell’appello.

Nella memoria di replica depositata il 21 aprile 2015, la SARO s.a.s. deduce l’inammissibilità, per violazione del divieto dei nova in appello, del motivo relativo alla asserita violazione dell’art. 75 delle NTO, per il mutamento di destinazione d’uso, mentre la validazione dell’analisi filologica è immune dalle dedotte censure; in ordine alla sanatoria relativa al montavivande, fa presente che le difformità hanno avuto riguardo esclusivamente ad un volume tecnico ampliato di dimensioni modestissime quantificabili in mq. 0,79 di superficie, in mc. 2,34 di volume e in m.0,67 di altezza.

Alla udienza pubblica del 12 maggio 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.In primo luogo, il Collegio osserva che si può prescindere dall’esaminare il rilievo sollevato dalla SARO s.a.s. di Boniolo Silvano e C., in quanto i motivi di appello, diversi dei quali sono fondati come si spiegherà, sono di tale varietà e ampiezza da rendere non necessario l’approfondimento dell’eventuale violazione di talune delle attuali norme urbanistiche, in merito ai presupposti per procedere a un mutamento di destinazione d’uso.

2.La controversia attiene al mutamento di destinazione d’uso con realizzazione di opere (il montavivande). I provvedimenti di assentimento richiamati, dal punto di vista paesaggistico ed edilizio, sono illegittimi, perché adottati in violazione di precedente giudicato, oltre che per la lunga serie di censure sopra elencate.

Vale ricordare ancora che con la sentenza n. 5836 del 2012 questo Consiglio di Stato, Sezione IV, aveva accolto il ricorso della signora Veneri avverso atti (silenzio-assenso ed altri atti) tesi a mutare la destinazione della terrazza da residenza a ristorante e a sanare la realizzazione abusiva (in parte, almeno) del montavivande, ritenendo che: l’art. 16 delle NTA vigenti ammetteva nuove destinazioni d’uso non abitative esclusivamente ai piani terreni; la terrazza era al primo piano (e non già pertinenza del piano terreno, come invece si sosteneva); anche in presenza di uno spazio scoperto come la terrazza, è indiscutibile il carico urbanistico che deriverebbe dall’attività diversa in sé, a prescindere dalla configurazione dei luoghi o dalla esistenza di coperture. L’art. 16 delle NTA non poteva ritenersi inapplicabile solo in virtù del preteso carattere stagionaledell’attività; il mutamento di destinazione d’uso della terrazza a ristorante per la sistemazione migliore della clientela non costituiva una finalità contingente (stagionale), ma una finalità (o mutamento) permanente, sia pure per una parte dell’anno.

3. Ritiene il Collegio che sia evidente che, sulla base del contenuto precettivo di quanto già è stato statuito, sono fondati diversi dei vizi lamentati: È anzitutto patente la violazione del ricordato giudicato n. 5836 del 2012 di questo Consiglio di Stato, che aveva statuito che la modifica di destinazione d’uso era in realtà una modifica a carattere permanente, non già meramente stagionale od occasionale (come ancora insiste il Comune di Verona, pur se lo stesso primo giudice ha rinvenuto tale mutamento permanente): e che tale modifica era preclusa dalle regole urbanistiche all’epoca vigenti. Del resto, vale qui considerare, una modificazione di destinazione d’uso non diviene stagionale per il semplice fatto che il nuovo uso è esercitato solo stagionalmente è e resta una modificazione permanente, perché dal punto di vista urbanistico e edilizio non può che abilitare permanentemente (indifferentemente cioè rispetto ai giorni di effettiva utilizzazione) il nuovo uso. La circostanza che quest’uso sia limitato nei fatti ad alcuni mesi dell’anno non disabilita il medesimo uso, ove mai lo si volesse, per i restanti. Sicché si tratta di distinzione non coerente con la previsione di legge.

Non è utile al superamento del giudicato il richiamo al sopravvenuto (rispetto agli atti amministrativi in questione) Nuovo Piano degli Interventi [di cui agli artt. 17 e ss. della legge regionale del Veneto 23 aprile 2004, n. 11 (Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio), e che, ai sensi di quell’art. 12, comma 1, contiene le «disposizioni operative» in cui si «articola» il piano regolatore comunale]: strumento che a tenore del Comune renderebbe possibile l’attività di ristorazione anche ai piani superiori. Infatti, quand’anche fosse per questa ragione possibile la modifica di destinazione d’uso (il che postulerebbe un’indagine specifica sulle finalità e sui contenuti del Piano medesimo), resterebbe comunque che una tale modificazione dovrebbe nondimeno rispettare tutte le altre normative di settore, già evidenziate dalla precedente sentenza di questo Consiglio di Stato.

Vale soprattutto considerare che tale Piano degli interventi, menzionato dal Comune, entrato in vigore in data 13 marzo 2012 (cioè prima sia dell’udienza pubblica che della pubblicazione della sentenza del precedente giudizio di questo Consiglio di Stato) colloca l’edificio nella Città storica centrale e lo classifica –ex art. 75 delle Norme Tecniche Operative - parte come categoria A4 [Edifici di valore tipologico/documentario, paesaggistico ed ambientale con modificazioni pesanti, e assimilabili] e parte come categoria B2 [Edifici in contrasto con il centro storico].

Secondo il Comune di Verona (così nella memoria difensiva alle pagine 10 e seguenti) la destinazione d’uso U3-pubblici esercizi (recte: destinazione d’uso “terziari”: art. 13 N.T.O.) risulterebbe ammessa in tali fabbricati senza limitazioni: sicché l’utilizzo stagionale della terrazza, situata al primo piano, ad attività di ristorazione, ora sarebbe conforme al nuovo strumento urbanistico e supererebbe il motivo per il quale nella precedente sentenza questo Consiglio di Stato aveva annullato il silenzio-assenso formatosi sulla denuncia di inizio di attività.

Al riguardo, il Collegio osserva che, anche a tutto per mera ipotesi concedere a questi riguardi e anche a non considerare la predetta sequenza cronologica rispetto al precedente giudizio, ciò non sarebbe sufficiente a concludere nel senso indicato dal Comune. 

Nel provvedimento impugnato invero il Comune motiva (pagine 2 e 3 su 5) nel senso che “l’edificio de quo non è più soggetto alle disposizioni della variante n. 33 in quanto il 31 marzo 2012 è entrato in vigore il Piano Interventi [del quale non viene riferita la norma autorizzativa], che lo colloca nella Città storica centrale e lo classifica parte come categoria A4 e parte come categoria B2, la destinazione d’uso U3-pubblici esercizi (art. 13 NTO) risulta ammissibile in tali fabbricati senza limitazioni”; pertanto “l’utilizzo stagionale della terrazza, situata al piano primo, ad attività di ristorazione è ora conforme e viene così ad essere superato il motivo per cui il Consiglio di Stato ha annullato il silenzio assenso formatosi sulla DIA” (pagina 2). Successivamente (come si legge a pagina 3 su 5 del provvedimento comunale impugnato in primo grado, rep.213 del 25 luglio 2013) si afferma la compatibilità di detto utilizzo con il vigente Piano degli Interventi, poichè “ (esso, il Piano) all’art. 82 delle NTO del nuovo Piano Interventi, ammette l’uso a pubblico esercizio (U3/1) su tutti i piani degli edifici, senza limitazioni o regolazioni, diversamente da quanto previsto dall’art. 16 NTA della Variante n. 33 al PRG”.

Al riguardo, il Collegio non può fare a meno di rilevare, come già accennato, che la sentenza passata in giudicato del Consiglio di Stato, di cui si lamenta la violazione, è stata discussa all’udienza pubblica del 6 novembre 2012 e la sentenza è stata depositata in data 19 novembre 2012, e pertanto il Piano degli Interventi, che si afferma entrato in vigore in data 13 marzo 2012, non costituisce un fatto nuovo o una sopravvenienza normativa (in senso lato) rispetto al giudicato. L’assoggettamento ad esso avrebbe dunque potuto e dovuto essere dedotto dal Comune di Verona nell’ambito di quel giudizio: non può perciò assurgere, solo successivamente, a utile motivo per contravvenire un giudicato.

Ma non basta: in ogni caso, anche nell’ipotesi in cui tale asserita modifica fosse intervenuta solo successivamente al giudicato – e così non è, come si è visto - un’astratta sopravvenuta modificabilità prevista nell’atto generale, non avrebbe potuto consentire un’automatica modifica della destinazione in concreto delle parti degli edifici.

Infatti l’innovazione ad opera della pianificazione generale al massimo può incidere sull’astratta modificabilità della destinazione, ma non anche nel senso di rendere immediatamente possibile tale mutamento di destinazione in assenza degli altri presupposti necessari legittimanti nel caso concreto: come l’esigenza di una apposita istruttoria, la valutazione dell’effettivo carico urbanistico e l’accertamento in concreto della reale compatibilità del desiderato mutamento con gli altri interessi preesistenti e contestuali, specie in un contesto particolare come un centro storico: interessi tra l’altro già evidenziati, in parte, dall’esistenza di un contenzioso.

Peraltro, in più, lo stesso Comune di Verona (come si deduce dal punto 12 della ricostruzione nella parte in fatto) aveva considerato che si trattasse, nella specie, di un utilizzo stagionale della terrazza e non di un mutamento di destinazione d’uso: il che il primo giudice, sia pur respingendo il ricorso, ha negato ravvisando (correttamente) un vero e proprio mutamento di destinazione d’uso.

Si deve a questi riguardi considerare che normalmente un immobile destinato ad abitazione, per essere trasformato in locale o insieme di locali destinato a ristorante, richiede necessariamente opere di vario genere per le esigenze connesse ad un uso pubblico (es. Cons. Stato, V, 31 gennaio 2006, n. 357 nel quale si configurava il mutamento da abitazione a circolo ricreativo, con un numero limitato e riservato di persone, distinguendo quest’ultima fattispecie dalla destinazione, maggiormente gravosa, a ristorante). L’uso di un immobile, destinato ad abitazione o residenziale, presenta infatti caratteristiche sostanzialmente differenti rispetto all’uso per ristorante, oltre al fatto che diverso è il rispettivo carico urbanistico e l’impatto sulla interrelazione tra le funzioni urbane.

Sono pertanto fondate le censure dell’appellante – tale valutazione assume valore primario e assorbente, per la maggiore gravità del vizio e della maggiore satisfattività dei motivi accolti - di violazione del giudicato: il che appare evidente anche perché il Comune non si è affatto posto la questione del motivare in relazione al maggiore carico urbanistico e in relazione al carattere permanente del mutamento di destinazione, già evidenziati nella precedente sentenza (nuovamente, invece, il Comune torna ad assumere, malgrado la valutazione ad opera del Tribunale amministrativo, che si trattava di destinazione stagionale, quasi occasionale).

Sono fondate anche le censure con cui si lamenta – sotto vari profili connessi del difetto di istruttoria e del mancato rispetto della disciplina dei vari profili incisi da un maggiore carico urbanistico (parcheggi, servizi e altro) – la mancata considerazione del possibile maggior carico urbanistico.

4.Sono altresì fondati i motivi con i quali si lamenta, senza controdeduzioni, come la pratica di sanatoria degli abusi e di mutamento di destinazione d’uso abbia rappresentato in modo incompleto l’effettiva situazione dei luoghi: non erano stati infatti rappresentate le situazioni di vicinato (riguardo alle finestre e aperture sul terrazzo e alla esigenza del rispetto della normativa acustica, trattandosi di aspetti di certo non limitati alle sole nuove costruzioni) tali da esigere una completezza di istruttoria e di rispetto delle normative di settore.

Non convince l’argomento del primo giudice della riserva alla tutela civilistica per le immissioni da rumore (ex art. 844 Cod. civ.), quasi che la prevenzione dagli inquinamenti sia vicenda di mero interesse privato. A parte la possibilità della c.d. doppia tutela, non va in alcun modo dimenticato – come da tempo è acquisito dall’ordinamento (cfr. l. 26 ottobre 1995, n. 447) - che si tratta di un interesse generale, strettamente connesso alla salute pubblica e alla vivibilità generale degli abitati e dei luoghi: e specie di un contesto sensibile come un centro storico. Essendo il Comune deputato alla vigilanza sia dell’attività edilizia sia del rispetto delle previsioni a tutela dall’inquinamento acustico (invocate dall’appello) tale profilo, in un caso del genere, avrebbe dovuto essere oggetto di un ineliminabile quanto accurato apprezzamento.

5. Ancora, sono fondati i motivi con i quali si lamenta di avere trattato in modo disgiunto una unica pratica abusiva, essendo evidente che la realizzazione in modo non conforme al titolo assentito del montavivande – che per questo non può essere considerato un mero volume tecnico, irrilevante quale maggiore carico - è strettamente connessa al mutamento di destinazione d’uso della terrazza in ristorante, avendo reso maggiormente possibile tale abuso.

6. Va però precisata la fondatezza anche della censura d’appello che lamenta l’illegittimità della commistione dell’attività a tutela del paesaggio e quella della trattazione delle pratiche edilizie: il Comune di Verona ha provveduto all’istituzione del Servizio Autorizzazioni Paesaggistichenell’ambito del Coordinamento Edilizia Privata: il che però non è sufficiente, perché è necessaria una distinzione formale tra uffici, non basta una distinzione di attività. Infatti ai sensi dell’art. 146, comma 6, del Codice dei beni culturali e del paesaggio gli enti delegatari (come il Comune) del potere di autorizzazione paesaggistica debbono disporre “di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia”. Non è sufficiente dunque rilevare che stando agli ordini di servizio (n. 47/2011 del 1 giugno 2011) e dalla nota interna (7 giugno 2011) nessuno degli istruttori paesaggisti svolge, né ha svolto prima, attività istruttorie urbanistico-edilizie. La doverosa distinzione organizzativa, infatti, riflette la distinzione sostanziale tra la funzione di tutela del paesaggio e quella di governo del territorio o urbanistica: è una distinzione che ha base nell’art. 9 Cost. (e oggi è confermata dall’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.) e che è rimarcata dalla costante giurisprudenza specie costituzionale (a muovere da Corte cost., 24 luglio 1972, n. 141 e, ad es., a Corte cost., 23 novembre 2011, n. 309): la separazione organizzativa a livello comunale è voluta dalla legge ad adeguata prevenzione della possibile commistione in capo al Comune delle due competenze e a evitare che la valutazione urbanistica possa incidere sull’autonomia di quella, superiore e delegata, paesaggistica (non a caso l’art. 146, comma 4, prevede che “l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio”;cfr. anche art. 45, comma 2; art. 143, comma 4, lett. a), comma 5 e comma 9; art. 145, spec. commi 3, 4 e 5; art. 146, commi 5 e 6; art. 155, comma 2-bis; art. 159, comma 6): la quale ultima deve essere organizzativamente posta, nel Comune, in condizione di non subire incidenze gerarchiche o condizionamenti di sorta.

In relazione alla differenziazione imposta dall’art. 146, comma 6, d.lgs. n. 42 del 2004, va assicurata sia la sussistenza di un adeguato livello tecnico scientifico sia la separazione organizzativa suddetta.

7. Per ragioni di economia (così, per l’assorbimento dei motivi, Cons. Stato, Ad. plen. 27 aprile 2015, n. 5), essendo evidente la fondatezza dei motivi sopra esaminati, ben può il Collegio ritenere assorbiti gli altri motivi o vizi di censura.

Va a questo punto considerato, quanto alla, evocata, dall’amministrazione, “sanatoria giurisprudenziale”, che si tratta non di un autonomo istituto giuridico liberamente utilizzabile dall’amministrazione comunale quasi fosse una normale via di ordinaria gestione degli interventi sul territorio (una sorta di pagamento di un onere concessorio particolarmente rilevante, ma pur comunque ordinariamente legittimante); ma di un mero effetto eccezionale a fronte di quello che comunque è e resta un abuso edilizio, per di più ammesso solo da una parte della giurisprudenza: che deroga alla tassatività dell’accertamento di conformità dell’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 e la cui ragione viene di solito ricercata nell’eccessività, rispetto all’interesse alla tutela dell’ordine urbanistico sostanziale, dell’imporre la demolizione (o l’acquisizione gratuita) di un’opera che è senza titolo ma che è al contempo conforme alla disciplina urbanistica e dunque avrebbe potuto essere autorizzata su regolare istanza: la finalità è di evitare un’inutile dissipazione di mezzi e risorse (tra varie, Cons. Stato, V, 6 luglio 2012, n. 3961). 

L’effetto però non è affatto pacifico, perché rischia di negare il non casuale rigore dell’art. 36, che – con la sua regola della doppia conformità urbanistica – è lo strumento previsto dalla legge per la titolazione postuma di manufatti realizzati senza previo titolo. Ma anche ad ammetterne la nozione, appunto discussa, nel caso concreto non si sarebbe attagliata ad alcuno dei due abusi, materializzatisi in quanto sopra esposto: non al montavivande, riguardo al quale resta comunque evidente l’abuso sostanziale, che per di più ha facilitato – quale strumento - il mutamento di destinazione della terrazza; non alla terrazza, adibita a ristorante, il che costituisce una diversa destinazione, che non è legittima né è stata legittimata (in ipotesi) dal solo Nuovo Piano degli interventi adottato dal Comune (il quale Piano non può derogare alle altre previsioni edilizie ed urbanistiche, né soprattutto ai limiti posti da leggi a tutela di interessi pubblici o generali).

8. Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va accolto e, in conseguenza, in riforma dell’appellata sentenza, il ricorso originario va accolto ai sensi e nei limiti di cui in motivazione, con conseguente annullamento degli atti impugnati.

La condanna alle spese del doppio grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, accoglie il ricorso originario ai sensi e nei limiti di cui in motivazione.

Condanna il Comune di Verona e la società SARO s.a.s. di Boniolo Silvano e c. al pagamento in favore dell’appellante Veneri Francesca delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate in complessivi euro seimila, di cui tremila a carico del Comune di Verona e tremila a carico della società controinteressata. Compensa per il resto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Giuseppe Severini, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere, Estensore

Claudio Contessa, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/06/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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