Monday 05 May 2014 17:58:11

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Abusi edilizi: e' necessario il permesso di costruire per realizzare pensiline o tettoie appoggiate sull'edificio che ne modificano la sagoma e il prospetto

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 28.4.2014

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza depositata il 28.4.2014 ha evidenziato i seguenti principi giurisprudenziali consolidati: I) l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare. II) a fronte della motivazione in re ipsa che incontra l’ordine di demolizione all’esito dell’accertamento dell’abuso edilizio, il lasso temporale che fa sorgere l’onere di una motivazione rafforzata in capo all’amministrazione – ma sempre in presenza di circostanze eccezionali rigorosamente provate da chi le invoca (come non verificatosi nel caso di specie) - non è quello che intercorre tra il compimento dell’abuso e il provvedimento sanzionatorio ma quello che intercorre tra la conoscenza dell’illecito e il provvedimento sanzionatorio adottato; in mancanza di conoscenza della violazione da parte dell’amministrazione non può consolidarsi in capo al privato alcun affidamento giuridicamente apprezzabile, il cui sacrificio meriti di essere adeguatamente apprezzato in sede motivazionale; III) lo stesso è a dire per l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive realizzate che non rappresenta un provvedimento di autotutela, ma costituisce una misura di carattere sanzionatorio che consegue automaticamente all’inottemperanza dell’ordine di demolizione; in senso ostativo all’acquisizione non può assumere quindi rilevanza né il tempo trascorso dalla realizzazione dell’abuso, né l’affidamento eventualmente riposto dall’interessato sulla legittimità delle opere da realizzare, né l’assenza di motivazione specifica sulle ragioni di interesse pubblico perseguite attraverso l’acquisizione; IV) il fatto che sia intercorso lungo tempo dalla realizzazione dell’abuso al provvedimento sanzionatorio non elide né aggrava quanto a motivazione, il doveroso e imprescrittibile esercizio del potere sanzionatorio da parte della p.a.; V) l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive non deve essere preceduto dall’avviso ex art. 7 l. n. 241 del 1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso quale sanzione per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge; pertanto, trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso edilizio, esso sorge in virtù di un presupposto di fatto, ossia, l’abuso, di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo; né si configurano particolari esigenze o conseguenze connesse alla partecipazione procedimentale dell’interessato; VI) quanto al concetto di «pertinenza», ai sensi e per i fini di cui all’art. 7 d.l. 23 gennaio 1982 n. 9, conv. dalla l. 25 marzo 1982 n. 94, tale da richiedere non già la concessione edilizia, bensì la mera «autorizzazione», si rileva, da un lato, la differenza da quello di cui all’art. 817 c.c., che è caratterizzato da un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria e principale, (cioè da un nesso che non consenta, per natura e struttura dell’accessorio, altro uso rispetto alla cosa cui esso inserisce); dall’altro, che per potersi avere pertinenza è indispensabile che il manufatto destinato ad un uso pertinenziale durevole sia dalle dimensioni ridotte e modeste, per cui soggiace a concessione edilizia la realizzazione di un’opera di rilevanti dimensioni, che modifica l’assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d’ornamento nei riguardi di essa. VII) la sostanziale identità delle nozioni di tettoia e pensilina ricavabile dalle medesime finalità di arredo, riparo o protezione anche dagli agenti atmosferici, determina la necessità del permesso di costruire nei casi in cui sia da escludere la natura precaria o pertinenziale dell’intervento; VIII) integra il reato previsto dall’art. 44 lett. b) d.p.r. n. 380 del 2001 (in precedenza art. 20, lett. b) l. n. 47 del 1985), la realizzazione, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, di una tettoia di copertura che, non rientrando nella nozione tecnico-giuridica di pertinenza per la mancanza di una propria individualità fisica e strutturale, costituisce parte integrante dell’edificio sul quale viene realizzata. IX) per la realizzazione di una tettoia, appoggiata su un edificio occorre il rilascio del permesso di costruire, poiché essa comporta una modifica della sagoma e del prospetto, sicché è legittimo l’ordine di demolizione che ne disponga la rimozione, perché abusiva. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale * del 2003, proposto dalla società C.G.C. di Valenti & C. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Rossella Ognibene e Roberto Ollari, con domicilio eletto presso Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria n. 2; 

contro

Comune di Reggio Emilia, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Santo Gnoni, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, Lungotevere Flaminio n. 46; 

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per l’Emilia-Romagna – Sezione staccata di Parma - n. 114 del 6 marzo 2003.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive depositate dall’appellante (in data 21 febbraio e 7 marzo 2014) e dall’appellato (in data 28 febbraio e 11 marzo 2014);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1° aprile 2014 il consigliere Vito Poli e uditi per le parti gli avvocati Colagrande, su delega dell’avvocato Ollari, e Pafundi, su delega dell’avvocato Gnoni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1. L’impugnata sentenza - T.a.r. per l’Emilia-Romagna – Sezione staccata di Parma - n. 114 del 6 marzo 2003 - ha respinto, con dovizia di argomenti, tutte le censure proposte dalla società C.G.C. di Valenti & C. s.n.c. (in prosieguo ditta Valenti), avverso i seguenti atti:

a) ordinanza sindacale n. 33058 del 19 novembre 1998 recante l’ingiunzione a demolire i manufatti abusivi consistenti nella realizzazione di un capannone e tre tettoie, in area destinata a zona agricola, all’interno del compendio aziendale (dedicato alla produzione di carpenteria metallica e di precisione), ubicato nel tenimento del comune di Reggio Emilia, in via C. Marx n. 79;

b) tutti gli atti prodromici e, in particolare, quelli posti in essere dal comando di Polizia municipale.

1.1. Questi i motivi posti a sostegno dell’originario ricorso:

a) con il primo motivo (pagine 4 – 10 del ricorso di primo grado), si lamenta, in sintesi, che le opere edilizie sono sottratte al regime concessorio in quanto aventi natura precaria, comunque pertinenziale rispetto all’opificio principale (perfettamente a norma), ovvero di manutenzione ordinaria, secondo i criteri elaborati dalla circolare ministeriale LL.PP. 16 novembre 1977 n. 1918;

b) con il secondo motivo (pagine 10 – 12 del ricorso di primo grado), si deduce il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, sotto il profilo dell’omessa valutazione degli interessi privati coinvolti, della domanda di adeguamento del p.r.g. con il conseguente mutamento della destinazione di zona da agricola a industriale, della lesione dell’affidamento in relazione alla vocazione di fatto industriale della zona ;

c) con il terzo motivo (pagina 12 del ricorso di primo grado), si lamenta il difetto di motivazione sotto il profilo della omessa valutazione della presenza di un reale interesse pubblico alla demolizione e della conseguente lesione dell’affidamento del privato;

d) con il quarto motivo, infine (pagine 12 – 13 del ricorso di primo grado), è stata evidenziata la violazione del dovere del comune di pronunciarsi, anteriormente alla demolizione, sulla istanza di variazione dello strumento urbanistico.

2. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la ditta Valenti ha interposto appello avverso la su indicata sentenza.

3. Si è costituito il comune eccependo l’infondatezza dell’appello in fatto e diritto.

4. All’udienza pubblica del 1° aprile 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.

5. L’appello è infondato e deve essere respinto.

Preliminarmente il collegio:

a) disattende l’istanza di rinvio formulata dalla difesa della parte ricorrente nelle memorie difensive depositate in vista dell’udienza di discussione, attesa la vetustà della causa e la ferma opposizione del comune;

b) rileva l’inammissibilità dell’introduzione, per la prima volta nel giudizio di appello, di doglianze ulteriori rispetto a quelle che, proposte con atti ritualmente notificati, hanno delimitato il perimetro del thema decidendum in prime cure; non si può tener conto di tali profili nuovi perché sollevati in spregio al divieto dei nova sancito dall’art. 345 c.p.c. (ora art. 104, co.1, c.p.a.), ed al valore puramente illustrativo delle memorie conclusionali (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 18 aprile 2012, n. 2232; sez. V, 22 marzo 2012, n. 1640; ad. plen., 19 dicembre 1983, n. 26, cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74, co.1, e 88, co. 2, lett. d), c.p.a.); conseguentemente, per ragioni di comodità espositiva, prende in esame direttamente i motivi dell’originario ricorso al T.a.r..

6. E’ palese l’infondatezza di tutte le censure di primo grado sopra riportate, sulla scorta delle seguenti considerazioni in fatto e diritto:

a) come risulta da tutta la documentazione versata in atti (in particolare gli accertamenti espletati dagli organi tecnici comunali), le opere realizzate non hanno natura precaria, sono di consistenti dimensioni e non hanno affatto natura pertinenziale; pertanto, erano soggette al regime concessorio; in quest’ottica, è del tutto irrilevante il riferimento alla su indicata circolare del 1977 che aveva ad oggetto gli interventi di manutenzione ordinaria da effettuarsi su opifici e certo non la realizzazione di volumetrie nuove in zone destinate ad usi agricoli;

b) facendo proprio il consolidato indirizzo giurisprudenziale concernente i punti controversi (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. V, 9 settembre 2013, n. 4470; sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4086; sez. II, 26 giugno 2013, n. 649/13; sez. VI, 4 marzo 2013, n. 1268; sez. IV, 15 febbraio 2013, n. 915; sez. VI, 8 febbraio 2013, n. 718; sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615, Cass. pen., sez. fer., 1 settembre 2011, n. 33267; Cass. pen., sez. III, 26 giugno 2013, n. 42330 cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.):

I) l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare.

II) a fronte della motivazione in re ipsa che incontra l’ordine di demolizione all’esito dell’accertamento dell’abuso edilizio, il lasso temporale che fa sorgere l’onere di una motivazione rafforzata in capo all’amministrazione – ma sempre in presenza di circostanze eccezionali rigorosamente provate da chi le invoca (come non verificatosi nel caso di specie) - non è quello che intercorre tra il compimento dell’abuso e il provvedimento sanzionatorio ma quello che intercorre tra la conoscenza dell’illecito e il provvedimento sanzionatorio adottato; in mancanza di conoscenza della violazione da parte dell’amministrazione non può consolidarsi in capo al privato alcun affidamento giuridicamente apprezzabile, il cui sacrificio meriti di essere adeguatamente apprezzato in sede motivazionale;

III) lo stesso è a dire per l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive realizzate che non rappresenta un provvedimento di autotutela, ma costituisce una misura di carattere sanzionatorio che consegue automaticamente all’inottemperanza dell’ordine di demolizione; in senso ostativo all’acquisizione non può assumere quindi rilevanza né il tempo trascorso dalla realizzazione dell’abuso, né l’affidamento eventualmente riposto dall’interessato sulla legittimità delle opere da realizzare, né l’assenza di motivazione specifica sulle ragioni di interesse pubblico perseguite attraverso l’acquisizione;

IV) il fatto che sia intercorso lungo tempo dalla realizzazione dell’abuso al provvedimento sanzionatorio non elide né aggrava quanto a motivazione, il doveroso e imprescrittibile esercizio del potere sanzionatorio da parte della p.a.;

V) l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive non deve essere preceduto dall’avviso ex art. 7 l. n. 241 del 1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso quale sanzione per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge; pertanto, trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso edilizio, esso sorge in virtù di un presupposto di fatto, ossia, l’abuso, di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo; né si configurano particolari esigenze o conseguenze connesse alla partecipazione procedimentale dell’interessato;

VI) quanto al concetto di «pertinenza», ai sensi e per i fini di cui all’art. 7 d.l. 23 gennaio 1982 n. 9, conv. dalla l. 25 marzo 1982 n. 94, tale da richiedere non già la concessione edilizia, bensì la mera «autorizzazione», si rileva, da un lato, la differenza da quello di cui all’art. 817 c.c., che è caratterizzato da un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria e principale, (cioè da un nesso che non consenta, per natura e struttura dell’accessorio, altro uso rispetto alla cosa cui esso inserisce); dall’altro, che per potersi avere pertinenza è indispensabile che il manufatto destinato ad un uso pertinenziale durevole sia dalle dimensioni ridotte e modeste, per cui soggiace a concessione edilizia la realizzazione di un’opera di rilevanti dimensioni, che modifica l’assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d’ornamento nei riguardi di essa (circostanza questa che non si verifica nel caso di specie);

VII) la sostanziale identità delle nozioni di tettoia e pensilina ricavabile dalle medesime finalità di arredo, riparo o protezione anche dagli agenti atmosferici, determina la necessità del permesso di costruire nei casi in cui sia da escludere la natura precaria o pertinenziale dell’intervento (come verificatosi nel caso di specie);

VIII) integra il reato previsto dall’art. 44 lett. b) d.p.r. n. 380 del 2001 (in precedenza art. 20, lett. b) l. n. 47 del 1985), la realizzazione, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, di una tettoia di copertura che, non rientrando nella nozione tecnico-giuridica di pertinenza per la mancanza di una propria individualità fisica e strutturale, costituisce parte integrante dell’edificio sul quale viene realizzata (come verificatosi nel caso di specie);

IX) per la realizzazione di una tettoia, appoggiata su un edificio (come nel caso di specie), occorre il rilascio del permesso di costruire, poiché essa comporta una modifica della sagoma e del prospetto, sicché è legittimo l’ordine di demolizione che ne disponga la rimozione, perché abusiva;

c) infine, è del tutto priva di consistenza la pretesa della ditta Valenti di configurare la lesione del proprio affidamento avendo presentato, a suo tempo, una istanza per il mutamento della destinazione urbanistica di zona: a tanto si oppone l’amplissima discrezionalità di cui gode l’amministrazione nell’esercizio dei poteri pianificatori del territorio, la conseguente assenza di un obbligo di rispondere e di attivare il procedimento di variante, la doverosità della demolizione del manufatto abusivo.

7. La reiezione di tutti i motivi di ricorso e la conseguente assodata correttezza dell’esercizio della funzione pubblica, conducono al rigetto della domanda di risarcimento del danno pure articolata in primo grado e riproposta in appello.

8. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni è giocoforza respingere l’appello.

9. Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma l’impugnata sentenza.

Condanna l’appellante a rifondere in favore dell’intimato comune gli onorari del presente giudizio che liquida nella misura complessiva di euro 4.000,00 (quattromila /00), oltre accessori come per legge (I.V.A. e C.P.A.).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1° aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Mario Luigi Torsello, Presidente

Vito Poli, Consigliere, Estensore

Fulvio Rocco, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/04/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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