Sunday 23 November 2025 21:18:18
Giurisprudenza Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza
segnalazione del Prof. Avv. Valentina Romani della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 21/11/2025 Pres. Rosanna De Nictolis - Est. Angelo Roberto Cerroni
Interessante sentenza é stata pubblicata dal Consiglio di Stato che procede ad analizzare il paradigma normativo di riferimento su cui verte la res controversa che è rappresentato dall’art. 109 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, a tenor del cui primo comma “i gestori di esercizi alberghieri e di altre strutture ricettive, comprese quelle che forniscono alloggio in tende, roulotte, nonché i proprietari o gestori di case e di appartamenti per vacanze e gli affittacamere, ivi compresi i gestori di strutture di accoglienza non convenzionali, ad eccezione dei rifugi alpini inclusi in apposito elenco istituito dalla regione o dalla provincia autonoma, possono dare alloggio esclusivamente a persone munite della carta d'identità o di altro documento idoneo ad attestarne l'identità secondo le norme vigenti”.
La disposizione di rango primario ha subito una progressiva evoluzione in senso ampliativo delle categorie soggettive interessate, prendendo le mosse dall’originaria formulazione che onerava dell’incombente “gli albergatori, i locandieri, coloro che gestiscono pensioni o case di salute o altrimenti dànno alloggio per mercede”, poi incisa dal d.l. 29 marzo 1995, n. 97, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 maggio 1995, n. 203 che optò per la più moderna locuzione i “gestori delle strutture ricettive di cui all'articolo 6 della legge 17 maggio 1983, n. 217, esclusi i rifugi alpini inclusi in apposito elenco approvato dalla regione o provincia autonoma in cui sono ubicati”. Dipoi, la legge n. 135 del 2001 ha esteso l’adempimento de quo anche ai gestori delle strutture che “forniscono alloggio in tende, roulotte, nonché i proprietari o gestori di case e di appartamenti per vacanze e gli affittacamere, ivi compresi i gestori di strutture di accoglienza non convenzionali” – formulazione che dal 2011 è rimasta in vigore immutata.
A tali interventi novellistici direttamente incidenti sul dato letterale si è affiancato anche un intervento legislativo di interpretazione autentica recato dall’art. 19-bis, co. 1, d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, secondo cui l’art. 109 T.U.L.P.S. si interpreta nel senso che gli obblighi in esso previsti si applicano anche con riguardo ai locatori o sublocatori che locano immobili o parti di essi con contratti di durata inferiore a trenta giorni.
In disparte gli ampliamenti sul lato soggettivo, il nucleo oggettuale della disposizione è tuttavia rimasto pressoché invariato sin dal 1931 salvo l’abbandono del costrutto imperniato sulla doppia negazione “non possono dare alloggio a persone non munite della carta di identità…” trasfigurato nella più lapidaria formulazione “possono dare alloggio esclusivamente a persone munite della carta d'identità…” introdotta sempre dalla legge n. 135 del 2001.
Di contro, si sono registrati rimarchevoli evoluzioni sul fronte degli adempimenti strumentali volti ad assicurare effettività alla previsione del primo comma: il terzo comma della norma originaria, rimasto immutato dal 1931 sino al 1993, contemplava l’obbligo di tenuta a cura degli albergatori di un apposito registro in cui annotare le generalità e il luogo di provenienza degli ospiti unitamente all’obbligo di comunicazione su base giornaliera all’autorità locale di pubblica sicurezza l’arrivo, la partenza e il luogo di destinazione di tali persone. Tali obblighi erano anche presidiati penalmente (v. art. 109, co. 4 illo tempore vigente).
Successivamente, il legislatore innovò la disciplina strumentale stabilendo che in luogo del registro si procedesse alla compilazione di una “scheda conforme al modello approvato con decreto del Ministro dell'interno, fatta compilare e firmare personalmente dagli alloggiati, ed integrata, a cura degli albergatori o altri esercenti predetti, dagli estremi del documento di identità, passaporto o documento equivalente”; la scheda doveva poi essere trasmessa all’Autorità di pubblica sicurezza con la medesima frequenza giornaliera, mentre gli eventuali inadempimenti rifluivano dall’alveo della illiceità penale verso quello degli illeciti amministrativi.
Già nel 1995 fece capolino, sia pur in via alternativa e succedanea, la trasmissione dei dati “mediante comunicazione, anche con mezzi informatici, effettuate secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno”. Finalmente, in virtù degli interventi novellistici del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, il terzo comma venne integralmente riscritto prevedendo che gli albergatori, entro le 24 ore successive all’arrivo degli ospiti, procedessero a comunicare alle Questure territorialmente competenti “avvalendosi di mezzi informatici o telematici o mediante fax, le generalità delle persone alloggiate, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno, sentito il Garante per la protezione dei dati personali”. La misura è, tuttora, vigente avendo ricevuto compiuta attuazione con l’emanazione del Decreto ministeriale 7 gennaio 2013 recante disposizioni concernenti la comunicazione alle autorità di pubblica sicurezza dell’arrivo di persone alloggiate in strutture ricettive.
La ratio legis che ispira la disciplina de qua sin dalle sue prime formulazioni è stata autorevolmente enucleata dalla Corte costituzionale in occasione dello scrutinio di una questione incidentale di costituzionalità con l’ordinanza n. 262 del 1° luglio 2005 la quale, nel dichiarare infondati i dubbi di costituzionalità dell’art. 109 T.U.L.P.S. in riferimento all’art. 3 della Costituzione, ha chiarito che “l’obbligo di comunicazione delle generalità delle persone alloggiate imposto dall'art. 109, terzo comma, investe una modalità di svolgimento di tale attività d'impresa [attività alberghiera] che si correla, con immediatezza, a specifiche esigenze di sicurezza pubblica, giacché il predetto obbligo è volto a consentire all’autorità di polizia la più rapida cognizione dei nominativi degli ospiti dell'albergo al fine di garantire, appunto, la sicurezza pubblica nell’ambito dei compiti d'istituto individuati dall’art. 1 TULPS”.
Tracciati questi indispensabili lineamenti ricostruttivi dell’evoluzione del formante normativo, il Collegio deve soffermarsi sull’effettivo tenore della Circolare impugnata prendendo le mosse dai destinatari cui risulta essere indirizzata: la circolare in parola è stata, infatti, emanata dal Direttore generale della pubblica sicurezza e si rivolge a tutti i Prefetti e Questori della Repubblica con preghiera di assicurarne la diffusione dei contenuti nei Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica e diramarli a tutti i Sindaci e alle Camere di commercio affinché ne diano notizia alle associazioni di categoria. Tale circostanza corrobora la reiterata eccezione della difesa erariale che rivendica il carattere di atto meramente interno privo di immediato contenuto lesivo e, per l’effetto, non impugnabile innanzi al giudice amministrativo.
Sul versante contenutistico, la Circolare, dopo aver esaminato la pratica del cd. “check in da remoto”, consistente in buona sostanza nella identificazione da remoto degli ospiti delle strutture ricettive a breve termine mediante trasmissione informatica delle copie dei documenti e accesso negli alloggi con codice di apertura automatizzata ovvero tramite installazione di key boxesall’ingresso, afferma che “tali procedure non possano ritenersi satisfattive degli adempimenti di cui all’articolo 109 TULPS, cui sono tenuti i gestori di strutture ricettive” ribadendo che “i gestori di strutture ricettive sono tenuti a verificare l’identità degli ospiti, comunicandola alla Questura esclusivamente secondo le modalità indicate dal decreto del Ministro dell’interno in data 7 gennaio 2013, recante “Disposizioni concernenti la comunicazione alle autorità di pubblica sicurezza dell’arrivo di persone alloggiate in strutture ricettive”, come modificato dal Decreto del Ministro dell’interno in data 16 settembre 2021”.
4.2. – Orbene, le conclusioni rassegnate dal Capo della Polizia nella ridetta Circolare, laddove egli “conferma l’obbligo posto a carico dei gestori di strutture ricettive di ogni genere e tipologia – come nella ratio sottesa all’art. 109 TULPS – di verificare l’identità degli ospiti mediante verifica de visu della corrispondenza tra persone alloggiate e documenti forniti”, si appalesano meramente ricognitive dell’obbligo di legge senza nulla aggiungere a riprova della natura genuinamente interpretativa della circolare il cui principale obiettivo è quello di confermare la portata degli obblighi recati dall’art. 109 T.U.L.P.S. e non già quello di introdurre – o reintrodurre, come vorrebbe intendere il primo giudice – l’obbligo di identificazione de visu, invero ininterrottamente vigente nell’ordinamento dello Stato italiano sin dall’11 luglio 1931 con l’entrata in vigore del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si appalesa fondato il primo profilo di gravame per l’evidente fondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse diretto e concreto della ricorrente in ragione della acclarata natura di atto interno a valenza meramente interpretativa della Circolare impugnata, destinata ad illustrare gli indirizzi operativi agli organi dell’Amministrazione periferica del Ministero dell’interno.”. (…)
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