Wednesday 27 August 2014 09:47:41

Provvedimenti Regionali  Giustizia e Affari Interni

Consiglieri comunali: se con l'abbandono dell'aula consiliare decadono gli emendamenti presentati, i consiglieri che si sono allontanati rinunciando alla discussione non possono ricorrere innanzi al TAR

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del TAR Lombardia Milano Sez. III del 26.8.2014 n. 2243

Nella controversia in esame alcuni consiglieri comunali della Lega Nord del Comune di Milano hanno impugnato innanzi al TAR la deliberazione del consiglio comunale n. 31 del 23 luglio 2013 dolendosi che a discussione degli emendamenti già iniziata - l'Ufficio di Presidenza avrebbe deciso di ''contingentare i tempi della discussione" - attribuendo i minuti a disposizione solo tra macro-categorie (maggioranza e minoranza) e non tra i singoli gruppi consiliari, consumando così una lesione delle prerogative di ciascun componente del corpo deliberante (ivi compresi i consiglieri ricorrenti). Ad avviso dei ricorrenti la decisione di contingentare i tempi a discussione degli emendamenti già avviata avrebbe introdotto una doppia lesione all'officio dei consiglieri comunali della Lega Nord oggi ricorrenti, poiché sarebbero stati privati delle loro prerogative di illustrare adeguatamente tutti gli emendamenti presentati e motivare il loro voto, soprattutto in considerazione del fatto che il Presidente ha fissato un tempo limite di 150 minuti per tutta l'opposizione, senza distinzione per i singoli gruppi , come, invece, avrebbe imposto l'art. 12, comma 5, del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Consiglio Comunale. Il Giudice ha ritenuto fondata l’eccezione di carenza di interesse a ricorrere come conseguenza dell’abbandono dell’aula consiliare da parte dei ricorrenti. Dall’esame degli atti risulta che tale fatto ha comportato la decadenza degli emendamenti proposti dai ricorrenti stessi. In merito il Collegio rileva che l'astensionismo deliberato e preannunciato deve considerarsi uno strumento di lotta politico amministrativa a disposizione delle forze di opposizione per far valere il proprio dissenso a fronte di atteggiamenti ritenuti non partecipativi, dialettici e democratici delle forze di maggioranza (T.a.r. Lombardia, Brescia, 10 aprile 2006, n. 383). Tuttavia nel caso in questione l’abbandono dell’aula ha comportato il verificarsi di un’autonoma causa di decadenza degli emendamenti presentati dai ricorrenti, che ne ha impedito l’approvazione. Si tratta in sostanza di una scelta politica con la quale i consiglieri hanno rinunciato alla discussione, accettando la decadenza dei loro emendamenti. In tale situazione il contingentamento dei tempi perde di qualsiasi significato in quanto la decadenza degli emendamenti per abbandono dell’aula comporta la radicale sottrazione degli emendamenti alla discussione. Per approfondire cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

N. 02243/2014 REG.PROV.COLL.

N. 02875/2013 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2875 del 2013, proposto da: Luca Lepore, Igor Giancarlo Iezzi, Alessandro Morelli, Massimiliano Bastoni, rappresentati e difesi dagli avv. Giuseppe Giannì, Paolo Pizzocri, con domicilio eletto presso Giuseppe Gianni' in Milano, corso Monforte 21;

contro

Comune di Milano in Persona del Sindaco P.T., rappresentato e difeso dagli avv. Antonello Mandarano, Antonella Fraschini, Emilio Luigi Pregnolato, domiciliato in Milano, via Andreani 10; 

nei confronti di

Atm Servizi S.p.A.; 

per l'annullamento

- della delibera del Consiglio Comunale di Milano n. 31 del 23.07.2013, pubblicata all'Albo pretorio dal 01.08.2013 sino al 16.08.2013, con la quale "approvavano il nuovo sistema tariffario e i relativi indirizzi in materia di sosta su strada e nei parcheggi in struttura", compresa la votazione interna con la quale il Consiglio Comunale approvava la decisione sul contingentamento dei tempi deliberato dall'Ufficio di Presidenza;

- di tutti gli atti connessi.

 

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Milano in Persona del Sindaco P.T.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 giugno 2014 il dott. Alberto Di Mario e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1. I ricorrenti, consiglieri comunali, impugnano la deliberazione del consiglio comunale di Milano n. 31 del 23 luglio 2013 per i seguenti motivi.

Illegittimità della deliberazione del Consiglio comunale di Milano, n. 31 del 23luglio 2013, per violazione degli artt. 12, comma V, e 61, comma I, del Regolamento di organizzazione e di funzionamento del Consiglio comunale - Violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità

della P.A., di cui all'art. 97, Cost.

Secondo i ricorrenti a discussione degli emendamenti già iniziata - l'Ufficio di Presidenza avrebbe deciso di ''contingentare i tempi della discussione" - attribuendo i minuti a disposizione solo tra macro-categorie (maggioranza e minoranza) e non tra i singoli gruppi consiliari, consumando così una lesione delle prerogative di ciascun componente del corpo deliberante (ivi compresi i consiglieri ricorrenti).

La decisione di contingentare i tempi a discussione degli emendamenti già avviata avrebbe introdotto una doppia lesione all'officio dei consiglieri comunali della Lega Nord oggi ricorrenti, poiché sarebbero stati privati delle loro prerogative di illustrare adeguatamente tutti gli emendamenti presentati e motivare il loro voto, soprattutto in considerazione del fatto che il Presidente ha fissato un tempo limite di 150 minuti per tutta l'opposizione, senza distinzione per i singoli gruppi , come, invece, avrebbe imposto l'art. 12, comma 5, del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Consiglio Comunale.

Ad avviso dei ricorrenti l'art. 12, comma V del Regolamento per l'organizzazione ed il funzionamento del Consiglio comunale sarebbe chiara nel precisare, da un lato, che il contingentamento dei tempi deve essere riferito, singolarmente, ad ognuna delle tre fasi, ovvero discussione generale, presentazione degli emendamenti e dichiarazioni di voto, essendo fasi ben diverse e distinte tra loro; per altro canto, che l'ammontare del tempo contingentato debba essere attribuito tra i singoli gruppi e non semplicemente tra maggioranza ed opposizione, in ragione del fatto che sia la maggioranza che la minoranza sono composte da più gruppi consiliari eterogenei tra loro e che alle elezioni erano parti di schieramenti separati ed avversi tra loro. Ergo l'eventuale decisione di contingentare i tempi per ogni singola fase dovrebbe avvenire prima dell'inizio della fase stessa ed i tempi dovrebbero essere ripartiti tra i gruppi. In secondo luogo la decisione di contingentare i tempi non sarebbe stata supportata da adeguata motivazione.

Sotto altro e diverso profilo un secondo profilo di lesione dello jus ad officium dei Consiglieri Comunali ricorrenti sarebbe rappresentato dalla violazione degli artt. 61, comma I, e 12 comma V, del Regolamento di organizzazione e di funzionamento del Consiglio Comunale, in ragione dell'illegittima decisione dell'Ufficio di Presidenza di contingentare i tempi all'atto dell'esame degli emendamenti già in corso, attribuendo il tempo a disposizione tra macro-categorie (maggioranza e minoranza) e non tra i singoli gruppi consiliari, in ragione della loro consistenza.

Un eventuale contingentamento dei tempi ex art. 12, comma V, potrebbe, secondo i ricorrenti, essere compatibile solo nel caso sia stabilito ex ante per ciascuna delle fasi di presentazione degli emendamenti e dichiarazioni di voto e non potrebbe avere luogo una votazione dell'emendamento senza che sia accompagnata dall'illustrazione del presentatore. Dal combinato disposto delle singole norme deriverebbe che, considerato che i gruppi consiliari sono 12 e visto il diritto di illustrazione, dichiarazione del Sindaco o dell’Assessore competente e di un consigliere per gruppo, l'esame di un singolo emendamento richiederebbe non meno di circa 60 minuti. Da ciò conseguirebbe la lesione dei diritti dei consiglieri perché il tempo di 150 minuti assegnato alla minoranza avrebbe impedito qualsiasi illustrazione degli emendamenti stessi.

La difesa del Comune ha chiesto l’inammissibilità ed in subordine la reiezione del ricorso.

All’udienza del 3 giugno 2014 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

2. In primo luogo deve respingersi l’eccezione di tardività del ricorso in quanto il termine a ricorrere non subisce deroghe anche per il caso in cui i ricorrenti abbiano partecipato alla deliberazione.

Infatti la giurisprudenza ha chiarito che in materia di decisioni dell'organo collegiale la documentazione per iscritto si rende indispensabile in quanto ad essa si ricollegano alcune, imprescindibili, funzioni quali (a) la memoria (storica) dell'atto (b) la sua conoscibilità (c) la decorrenza di efficacia (altrimenti non avendosi percettivamente la visione di cosa dovrebbe portarsi ad esecuzione e da che cosa occorrerebbe tutelarsi) (d) l'assicurazione della tutela giurisdizionale nei suoi confronti (impugnazione). Ne consegue che per una ragione tecnica specifica, propria degli organi collegiali, è normale che ci sia un momento (riscontro della votazione) in cui l'atto si assume ed è valido (perfezionamento) ed un altro momento (documentazione per iscritto) dal quale decorre l'efficacia dell'atto medesimo e, specularmente, il termine per l'esercizio della tutela (T.a.r. Puglia, Bari, sez. I, 13 dicembre 2004 n. 5882).

Ugualmente sono infondate l’eccezione di carenza di interesse a ricorrere per non aver contestato il merito della deliberazione approvata e l’eccezione di carenza di legittimazione attiva. Infatti la giurisprudenza ammette che il componente del consiglio possa impugnare in sede giurisdizionale la deliberazione collegiale, per denunciare vizi propri del procedimento di formazione dell'atto deliberativo (cfr. T.a.r. Umbria 31 agosto 2000 n. 727) , che si siano concretati in violazioni procedurali direttamente lesive del munus rivestito dal consigliere comunale, in quanto interferenti sul corretto esercizio del mandato (ad es. irritualità della convocazione dell'organo, violazione dell'ordine del giorno, difetto di costituzione del collegio, inosservanza del termine di deposito della documentazione; inosservanza delle regole procedurali che regolano la discussione e la votazione), oltre che, ovviamente, nei casi in cui gli atti approvati riguardino direttamente e personalmente il consigliere comunale (cfr. T.a.r. Puglia, Lecce 7 ottobre 1988 n. 580). In casi del genere, infatti, non è messo in discussione il principio del rispetto della volontà della maggioranza, ma viene invece in risalto il diverso postulato in base al quale il titolare di una posizione soggettiva può subire la modificazione in peiusdi tale posizione nei soli casi e con l'osservanza delle procedure prescritte dalla legge (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 luglio 1978, n. 891; T.a.r. Milano, 6 maggio 1982, n. 328; T.a.r. Lombardia, Milano, sez. III, 6 maggio 2004 n. 1622; con particolare riferimento al contingentamento dei tempi vedi T.A.R. Milano Sez. I 17 gennaio 2007 n. 52).

Infatti può configurarsi un diritto dovere del consigliere di partecipazione alla vita politico-amministrativa, volto al controllo e quindi al perseguimento fattuale dell'ordinato e corretto svolgersi delle sedute consiliari e del rispetto della legalità di ogni fase procedurale delle riunioni del Consiglio comunale, da ritenersi esplicazione del diritto di iniziativa, di attivazione, di stimolo nonché di vigilanza, che è intrinseco e connaturale all'espletamento del mandato popolare e che non è altrimenti conseguibile (T.a.r. Campania, Salerno, sez. I, 26 aprile 2006 n. 563).

4. Infondata è anche l’eccezione di mancata notifica a tutti i consiglieri comunali in quanto costoro non sono controinteressati al ricorso in senso proprio. Nel giudizio amministrativo è infatti controinteressato il soggetto nominativamente indicato nel provvedimento gravato o agevolmente individuabile in base allo stesso, che vanti un interesse contrario alla rimozione del provvedimento gravato dalla quale potrebbero discendere effetti negativi per la propria sfera giuridica (Consiglio di Stato, sez. V, n. 5462 del 24 settembre 2003). La valutazione della posizione di controinteressato è quindi legata agli effetti prodotti dall’atto che, nel caso in questione, non sono diretti ad incidere sullo status giuridico dei consiglieri comunali in quanto tali, ma su tutti i cittadini che si troveranno nelle condizioni per l’applicazione delle tariffe introdotte dalla deliberazione impugnata. Ne consegue che i consiglieri astenuti o favorevoli alla deliberazione non hanno una posizione differenziata e qualificata che li renda controinteressati al ricorso.

5. E’ fondata invece l’eccezione di carenza di interesse a ricorrere come conseguenza dell’abbandono dell’aula consiliare da parte dei ricorrenti. Dall’esame degli atti risulta che tale fatto ha comportato la decadenza degli emendamenti proposti dai ricorrenti stessi.

In merito occorre rilevare che l'astensionismo deliberato e preannunciato deve considerarsi uno strumento di lotta politico amministrativa a disposizione delle forze di opposizione per far valere il proprio dissenso a fronte di atteggiamenti ritenuti non partecipativi, dialettici e democratici delle forze di maggioranza (T.a.r. Lombardia, Brescia, 10 aprile 2006, n. 383).

Tuttavia nel caso in questione l’abbandono dell’aula ha comportato il verificarsi di un’autonoma causa di decadenza degli emendamenti presentati dai ricorrenti, che ne ha impedito l’approvazione. Si tratta in sostanza di una scelta politica con la quale i consiglieri hanno rinunciato alla discussione, accettando la decadenza dei loro emendamenti. In tale situazione il contingentamento dei tempi perde di qualsiasi significato in quanto la decadenza degli emendamenti per abbandono dell’aula comporta la radicale sottrazione degli emendamenti alla discussione.

Il Collegio ritiene comunque necessario delibare nel merito il ricorso in quanto, dall’esame degli atti e delle difese delle parti non risulta possibile stabilire con certezza che tutti gli emendamenti dei ricorrenti siano decaduti per tale causa, anche perché lo stesso Comune afferma che in relazione ad alcuni emendamenti non appare del tutto chiara la paternità.

6. Venendo all’esame del merito il ricorso è infondato.

L’art. 12, comma 5, del Regolamento di organizzazione e di funzionamento del Consiglio Comunale così dispone: "5. Spettano altresì alla Conferenza dei Presidenti dei Gruppi le decisioni, da assumersi all'unanimità, sul contingentamento dei tempi riservati ai Gruppi Consiliari in ordine agli interventi dei singoli Consiglieri; sulle deroghe ai tempi degli interventi; sull'accorpamento delle proposte, degli emendamenti e degli ordini del giorno laddove abbiano un contenuto omogeneo; sulla proposizione al Consiglio di mutamenti del programma dei lavori. In caso di mancato accordo della Conferenza dei Presidenti dei Gruppi l'Ufficio di Presidenza, tenuto conto della natura complessa delle proposte di deliberazione o in caso di deliberazioni aventi contenuto omogeneo, può fissare i tempi limite per la discussione generale, per la presentazione degli

emendamenti e per le dichiarazioni di voto. In tal caso l'ammontare del tempo è ripartito tra i vari Gruppi tenendo conto della consistenza degli stessi”.

In primo luogo deve escludersi che la norma impedisca l’esercizio del contingentamento durante la seduta. Infatti l’esigenza del contingentamento può derivare da esigenze che sorgono durante la discussione in quanto i comportamenti dei Gruppi e dei singoli consiglieri possono modificarsi durante la discussione, rendendo necessari interventi dell’ufficio di presidenza o dei Capigruppo. Il contingentamento dei tempi fa infatti parte dei poteri di polizia della seduta, che spettano nel suo corso agli organi a ciò preposti dal regolamento consiliare (art. 38 del D. Lgs. 267/2000).

Il ricorso è infondato anche nella parte in cui contesta che il contingentamento sia avvenuto non per gruppi consiliari ma per maggioranza ed opposizione, in quanto dall’esame degli atti risulta che la decisione di suddividere il tempo per macro aree politiche, 150 minuti all’opposizione e 90 minuti alla maggioranza, sia stata dettata dal rispetto per l’autonomia interna dei gruppi, i quali sono stati chiamati ad accordarsi tra loro sulla base della posizione favorevole o contraria alla decisione. Essendo tale disposizione destinata a garantire la parità di trattamento tra i gruppi consiliari, attributari del diritto di discussione in proporzione al loro peso politico in consiglio, non pare che la scelta di suddividere il tempo per macro aree politiche sia foriera di disparità di trattamento, essendo rimesso ai singoli gruppi la libertà di accordarsi tra loro.

Venendo poi al profilo di ricorso secondo il quale il potere di contingentamento avrebbe dovuto essere esercitato solo per fasi, il motivo è infondato in quanto la norma regolamentare va letta nel senso che il contingentamento può essere applicato a tutte le fasi della discissione e votazione o solo

ad alcune, secondo le decisioni che gli organi preposti ed il consiglio comunale possono discrezionalmente stabilire. Se infatti il contingentamento persegue lo scopo di permettere di addivenire ad una decisione in tempo utile, secondo la valutazione ampiamente discrezionale degli organi a ciò preposti, è legittima una decisione che definisca tale limite definendo il risultato finale.

Per quanto riguarda poi il profilo di ricorso secondo il quale il contingentamento avrebbe conculcato troppo i diritti dei ricorrenti, il motivo è generico e come tale inammissibile.

Dall’esame degli atti risulta infatti che la Lega nord ha avuto a disposizione 3 ore e 17 minuti prima del contingentamento e 3 ore e 28 minuti dopo il contingentamento. Nell’ambito di questi tempi non è specificato quali e quanti emendamenti fossero stati presentati, quanto tempo avevano i ricorrenti a disposizione per la discussione dei medesimi ed a quanti hanno rinunciato. Ne consegue che non è possibile stabilire quali effetti in concreto abbia prodotto il contingentamento sulle concrete possibilità dei ricorrenti di discutere le loro proposte, privando quindi il relativo profilo di ricorso di certezza sull’effettiva portata lesiva della decisione del consiglio comunale.

In definitiva quindi il ricorso va respinto.

7. Sussistono in ogni caso giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 3 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Adriano Leo, Presidente

Alberto Di Mario, Primo Referendario, Estensore

Valentina Santina Mameli, Referendario

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 26/08/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

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