Friday 24 November 2017 18:00:54
Giurisprudenza Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza due TAR Lazio Sez. III bis del 24.11.2017
Si segnala la sentenza depositata in data 24 novembre 2017 dal Tar Lazio, Roma in quanto chiarisce i confini dell’accesso civico generalizzato introdotto da ultimo con il D.Lgs n. 97/2016 che ha modificato il D.Lgs n. 33/2013 stabilendo al comma 2 dell’art 5 che:
“Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis.”.
Ad avviso del giudice capitolino dalla lettura della norma emerge immediatamente:
- che l’accesso ai “ dati e documenti” può riguardare esclusivamente dati e documenti “detenuti” dall’amministrazione;
- che l’accesso ha la finalità di “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico” sicché sono oggetti di accesso generalizzato esclusivamente documenti attinenti a tali finalità;
- che l’accesso non può prescindere dal rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis, tra cui rileva in primo luogo ai sensi dell’art.5 bis comma 2 lett.c), quello relativo alla protezione dei dati personali.
Sulla base di tali premesse è stato valutato il ricorso con il quale il ricorrente impugnava il silenzio su una istanza di riesame serbato dal responsabile della Trasparenza di un ente alla domanda di accesso civico, tra l’altro, ad un video streaming pubblicato nella versione originale in quanto successivamente modificato con tagli.
In particolare, al filmato originale inizialmente pubblicato on line venivano, eliminate alcune parti che esulano completamente dalle finalità dell’incontro e della sua registrazione e il video, infine, così epurato delle parti inutili, è stato nuovamente pubblicato sullo stesso “Canale Youtube”.
Il Collegio - preso atto che come evidenziato nella relazione dell’amministrazione la registrazione dei video in “streaming” non prevede l’archiviazione su supporti locali e allorché vengano operati interventi di regia per rimuovere interruzioni o sospensioni all’interno della registrazione, non viene conservata la versione precedente - ha conseguentemente evidenziato come, allo stato, sia acclarata l’inesistenza di un “documento” videoregistrato “che possa essere anche solo astrattamente suscettibile di accesso – generalizzato o meno- e che non costituisce oggetto del presente gravame la questione se, procedendo ad eliminare dalla versione integrale del video la parte non pertinente relativa alla pausa pranzo, l’amministrazione abbia semplicemente adempiuto all’obbligo previsto dall’art.5 bis comma D.Lgs. 14/03/2013, n. 33 o si sia invece resa responsabile della violazione di eventuali obblighi di conservazione e custodia”.
Peraltro il taglio avrebbe riguardato la pausa pranzo durante la quale è stato registrato un colloquio estraneo alle finalità della riunione e, quindi, nella sentenza il collegio rileva come dal ricorso non emergono le ragioni per cui l’accessibilità della ripresa relativa alla pausa pranzo – e, in particolare, al colloquio di circa dieci minuti tra il Direttore Generale e Responsabile prevenzione corruzione - debba ritenersi strumentale al perseguimento delle funzioni istituzionali, all'utilizzo delle risorse pubbliche e alla promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, piuttosto che a ragioni personali della ricorrente.
Da ultimo, il giudice evidenzia “come la vigente normativa in materia di protezione dei dati personali , ovvero il D.lgs. n.196/2003 prevede all’art.11 il divieto di trattamento di dati al di fuori del rispetto dei canoni di necessità, proporzionalità e pertinenza, oltre al principio generale di cui all’art. 20, secondo cui il trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici è consentito solo se autorizzato da espressa disposizione di legge nella quale sono specificati i tipi di dati che possono essere trattati e di operazioni eseguibili e le finalità di rilevante interesse pubblico perseguite.
Ne deriva che, tranne nel caso di esplicito consenso degli interessati, la pubblicazione ... (non obbligatoria in virtù di espressa previsione di legge nè necessitata da finalità di interesse pubblico) di documentazione di videoriprese relative a conversazioni private -quali sono inquadrabili quelle di cui trattasi, in quanto non strettamente inerenti alla riunione sebbene occasionalmente riprese in una sede istituzionale- sarebbe illegittima.
Ciò spiega peraltro perché l’art.5 comma 5 preveda che, “fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoria, l'amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, ai sensi dell'articolo 5-bis, comma 2, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione” ai fini della eventuale opposizione.
Si evidenzia, oltretutto, che tali obblighi sono oggi ancor più pregnanti dopo l’entrata in vigore del Regolamento UE 2016/679, i cui art.5, 6 e ss. –in attuazione al diritto fondamentale alla protezione dei dati personali sancito dall’art.8 della CEDU- ne ribadiscono l’inderogabilità da parte di disposizioni normative interne di eventuale segno opposto, neppure in nome della trasparenza e del diritto di accesso che, a differenza del diritto alla protezione dei dati personali, non trova protezione tra i diritti fondamentali dell’individuo tutelati dalla Carta Costituzionale europea”.
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