Saturday 16 March 2013 17:36:37

Provvedimenti Regionali  Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

E' illegittima la revoca dell'aggiudicazione ex art. 21 quinquies l. n. 241/1990 qualora sia stato stipulato il contratto in quanto in tal caso la stazione appaltante deve esercitare la facoltà di recesso ai sensi dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici

TAR Lazio

L’art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990 stabilisce che, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge; la revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Il comma 1 bis specifica che, ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico. Pertanto, con l’entrata in vigore dell’art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990, aggiunto dall’art. 14 l. n. 15 del 2005, il legislatore ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi che legittimano l’adozione del provvedimento: a) sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) mutamento della situazione di fatto; c) nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi). Il provvedimento di revoca, peraltro, deve necessariamente avere ad oggetto un provvedimento, ad efficacia durevole o istantanea, che non abbia ancora esaurito i suoi effetti quando l’amministrazione decide di intervenire in autotutela, tanto che l’atto determina, per espressa previsione di legge, l’inidoneità del provvedimento a produrre ulteriori effetti. La revoca opera per ragioni di merito, vale a dire di opportunità e convenienza, con efficacia ex nunc, a differenza dell’annullamento d’ufficio, previsto dall’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990, che opera per vizi di legittimità e con efficacia ex tunc. Sotto altro profilo, può anche rilevarsi che se la ragione per la quale l’amministrazione decide di ritirare l’atto in autotutela è riconducibile al momento della sua emanazione, adotta un provvedimento di annullamento; se, invece, la ragione dell’autotutela è sopravvenuta all’emanazione dell’atto in prime cure adottato, l’amministrazione emana un provvedimento di revoca. L’art. 134, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, codice dei contratti pubblici, prevede che la stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite. Il punto centrale della controversia è costituito dall’esame delle censure con cui la ricorrente ha dedotto che la revoca impugnata riguarderebbe un provvedimento di aggiudicazione che da tempo ha esaurito i suoi effetti a seguito della stipula del contratto d’appalto, per cui, trattandosi di un provvedimento già compiutamente eseguito, sarebbe insuscettibile di essere revocato ai sensi dell’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990. In altri termini, la questione fondamentale posta all’esame del Collegio concerne l’applicabilità o meno alla fattispecie del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 in luogo del potere di recesso di cui all’art. 134, comma 1, d. lgs. n. 163 del 2006, che costituisce lo strumento attribuito alla stazione appaltante per sciogliersi volontariamente dal vincolo contrattuale; tale differenza ha una notevole implicazione da un punto di vista economico, ed in questo sembra essenzialmente sostanziarsi l’interesse della ricorrente, atteso che, come detto, mentre l’esercizio del potere di revoca ex art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 determina che l’indennizzo debba essere parametrato al solo danno emergente, l’esercizio del potere di recesso ex art. 134 d.lgs. n. 163 del 2006 determina un obbligo di pagamento a carico della stazione appaltante dei lavori eseguiti, del valore dei materiali utili esistenti in cantiere oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite. Il Collegio ritiene che le censure in discorso siano meritevoli di accoglimento e che, quindi, sia illegittimo l’esercizio del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990, avendo dovuto ove del caso la stazione appaltante esercitare la facoltà di recesso ai sensi dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici, in quanto la revoca è stata adottata in assenza del suo essenziale presupposto, e cioè di un oggetto costituito da un provvedimento che continua ancora a spiegare effetti, laddove nel caso di specie il contratto è stato stipulato nel 2006 e l’esecuzione delle relative prestazioni è stata già a suo tempo avviata. Il provvedimento di aggiudicazione, sebbene abbia efficacia durevole, spiega la propria efficacia sino alla stipulazione del contratto di appalto, sicché l’aggiudicazione definitiva di un appalto può ben essere oggetto di revoca ma solo fino alla data di stipulazione del contratto o, più propriamente, sino all’avvio della sua esecuzione, che può farsi coincidere, in un appalto di lavori, con la consegna degli stessi da parte della stazione appaltante. In tal senso, depongono le norme di cui all’art. 11 del codice dei contratti pubblici, e cioè il comma 7, secondo cui, da un lato, l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta, dall’altro, l’offerta dell’aggiudicatario è irrevocabile fino al termine stabilito nel comma 9 e, soprattutto, detto comma 9, secondo cui, divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, la stipulazione del contratto ha luogo entro un termine definito, fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti. Il legislatore, quindi, ha sancito che l’aggiudicazione è un provvedimento amministrativo privo di qualunque connotazione privatistica e che i poteri di autotutela possono essere senz’altro esercitati fino alla stipulazione del contratto. Ne consegue che l’aggiudicazione definitiva è un provvedimento amministrativo che, al pari di ogni altro, può essere oggetto sia di annullamento sia di revoca, ma la cui efficacia - essendo l’atto con cui, in esito ad una procedura ad evidenza pubblica, la stazione appaltante individua l’operatore economico con cui contrarre - è destinata ad esaurirsi con la stipulazione del contratto e l’avvio dell’esecuzione delle relative prestazioni. Ne consegue altresì che, mentre la stazione appaltante in ogni momento può procedere all’annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990, del provvedimento di aggiudicazione definitiva per un vizio originario dell’atto in tal modo incidendo, per la sua efficacia ex tunc, sul momento genetico del rapporto e, quindi, sui rapporti negoziali che a quell’atto sono legati da un nesso di presupposizione, lo stesso non può dirsi per l’esercizio del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 in quanto la revoca, avendo efficacia ex nunc, incide sul momento funzionale del rapporto e non sul suo momento genetico e, quindi, presuppone che l’efficacia dell’atto oggetto di revoca continui a sussistere al momento della sua emanazione.3.4 - Né può rilevare in senso contrario il disposto di cui al comma 1 bis del citato art. 21 quinquies, laddove si fa riferimento agli atti amministrativi ad efficacia durevole che incidono su rapporti negoziali e ciò in quanto per tali rapporti si intendono eventuali contratti accessivi al provvedimento revocato, il cui caso classico è costituito dalla revoca di una c.d. concessione-contratto. In altri termini, la norma in discorso trova applicazione nelle ipotesi in cui al provvedimento revocato accedono contratti, ma non anche nelle ipotesi di contratti legati al provvedimento da un nesso di presupposizione, quale è il caso del provvedimento di aggiudicazione e del successivo contratto di appalto, ove il provvedimento presupposto abbia esaurito i propri effetti con la stipulazione del contratto e l’avvio di esecuzione delle prestazioni: in tale caso sarebbe ben possibile l’adozione, nell’esercizio del potere di autotutela, di un atto di annullamento, che, operando ex tunc, incide sul momento genetico del rapporto, ma non di revoca, la quale, operando ex nunc, incide sul momento funzionale. Diversamente, la possibilità per la stazione appaltante di agire in una tale fattispecie attraverso lo strumento del recesso di cui all’art. 134 del codice dei contratti pubblici emerge chiaramente dall’art. 21 sexies della l. n. 241 del 1990 in cui è indicato che il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto. Di talché, il Collegio ritiene di disattendere la tesi secondo cui il potere di eliminare gli atti amministrativi della serie di evidenza pubblica sussiste anche in caso di esistenza del contratto (cfr. Cons. St., VI, 17 marzo 2010, n. 1554) e di aderire alla diversa tesi secondo cui il diritto di recesso previsto dall’art. 134 d.lgs. n. 163 del 2006 presuppone l’avvio del contratto e non opera se l’amministrazione non ha mai provveduto alla consegna dei lavori né l’aggiudicataria ha mai chiesto tale consegna (cfr. Cons. St., VI, 27 novembre 2012, n. 5993) e, in particolare, all’opzione interpretativa secondo cui, ove non sia stato ancora stipulato il contratto, la revoca dell’aggiudicazione, effettuata per sopravvenuti motivi di opportunità, non rientra nel generale potere contrattuale di recesso della pubblica amministrazione (ex multis: Cass. Civ. SS.UU., 11 gennaio 2011, n. 391), con la conseguenza che, una volta stipulato il contratto, il potere autoritativo di revoca non può più essere esercitato. Peraltro, le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, nella pronuncia richiamata, hanno ritenuto radicata la giurisdizione amministrativa proprio perché la revoca dell’aggiudicazione (di un compendio immobiliare venduto all’asta pubblica), essendo intervenuta prima che fosse stipulato alcun contratto, non rientra nel generale potere di recesso dell’amministrazione pubblica, ma costituisce tipica espressione di potestà autoritativa a carattere di autotutela in presenza di interesse pubblico, sicché la posizione dell’aggiudicatario rimane di interesse legittimo. Nondimeno, il Collegio ritiene che nella fattispecie in esame, sebbene sia rilevata l’illegittimità della revoca adottata per insussistenza del principale presupposto di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990, vale a dire un provvedimento ad efficacia durevole che continui a spiegare i suoi effetti, la controversia rientra comunque nella giurisdizione amministrativa.

 

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