Thursday 21 June 2018 10:30:10
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 20.6.2018
“Sulla questione del riconoscimento dello svolgimento di mansioni superiori (e del conseguente diritto alla corresponsione delle relative differenze retributive) può considerarsi jus receptum la individuazione di specifiche e definite condizioni alle quali il Legislatore ha inteso subordinare il riconoscimento del – solo - diritto alle differenze retributive in ragione delle mansioni espletate. In particolare, per il personale amministrativo del comparto sanità, cui si riferisce il caso di specie, l’art. 29, comma secondo, del d. P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, consente una variazione stipendiale, in ragione dello svolgimento di mansioni superiori per più di 60 giorni, esclusivamente in presenza di un posto vacante e sulla base di atto formale di incarico, valido ed efficace, proveniente ex ante dall’organo competente (per le A.S.L., prima il Comitato di gestione, quindi l’Amministratore straordinario).
La necessità che l’incarico sia stato attribuito dall’organo gestorio competente con una formale deliberazione, dalla quale emerga l’avvenuta verifica dei presupposti ricordati, nonché l’assunzione di tutte le relative responsabilità, definisce il quadro, così come la circostanza che su tale posto non sia stato bandito alcun concorso (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. III, 4 dicembre 2014, n. 5892; id. 14 marzo 2014, n. 1277, con numerosi richiami giurisprudenziali ulteriori).
Per completezza, il Collegio ricorda come l’art. 29 del d. P.R. n. 761 costituisse una norma di favore nell’ambito del pubblico impiego, stante che a livello generale l’art. 56 del D.Lgs. n. 29 del 1993, nella stesura antecedente la novella attuata con l’art. 15 del D.Lgs. n. 387 del 1998, non consentiva alcun tipo di remunerazione differenziale (sul punto si veda Cons. Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2006, n. 3, ove, proprio sulla base di tale disposizione, si è definitivamente chiarito che «l’esercizio di fatto di mansioni superiori, da parte del dipendente di pubblica amministrazione, non determina l’insorgenza di alcun diritto, salvo quello alle differenze retributive per il periodo successivo all’entrata in vigore dell’art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998», con ciò negandolo per il periodo precedente).
7.3. A nulla rileva poi, secondo costante giurisprudenza, la presunta violazione degli artt. 36 Cost. e 2126 c.c. Quanto all’art. 36 Cost., esso “non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego concorrendo, in detto ambito, altri principi di pari rilevanza costituzionale (artt. 97 e 98 Cost. )”. Come del resto ben chiarito dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato nella decisione n. 22/99 “nell’ambito del pubblico impiego è la qualifica e non le mansioni il parametro al quale la retribuzione è inderogabilmente riferita, considerando anche l’assetto rigido della Pubblica amministrazione sotto il profilo organizzatorio, collegato anch’esso, secondo il paradigma dell’art. 97, ad esigenze primarie di controllo e contenimento della spesa pubblica”. In assenza, dunque, di una norma speciale che consenta la maggiorazione retributiva, essa non può essere corrisposta. E laddove la norma speciale sussista, come, per quanto qui di interesse, l’art. 29 del d.P.R. n. 761/1979, occorrerà, ovviamente, verificarne in concreto tutti i presupposti di operatività, anche allo scopo di fornirne costantemente una lettura costituzionalmente orientata, nel senso poc’anzi descritto.
7.4. Quanto all’art. 2126 c.c, esso consente di ritenere spettante la remunerazione per le prestazioni di lavoro, ancorché poste in essere con violazione di legge, e prevede che la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non producano effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa.
Come è stato evidenziato da questo Consiglio sin da epoca risalente (Sez. V, 21 ottobre 1995, n. 1462; di recente, si veda anche Sez. III, 27 dicembre 20917, n. 6118), l’art. 2126 c.c. ha espressamente esteso anche alle controversie tra privati l'applicazione dei principi di equità che ab antiquo il Consiglio di Stato ha ritenuto applicabili per i casi in cui un’Amministrazione pubblica si sia avvalsa dell'attività lavorativa di un soggetto, sulla base di un titolo (un contratto o un atto di nomina) poi annullato (anche in sede di autotutela), ovvero che non doveva essere annullato proprio perché oramai l'attività lavorativa era già stata integralmente prestata. L’art. 2126 c.c. contiene principi applicabili anche quando si tratti di rapporti di lavoro, a suo tempo sottoposti ratione temporis, al regime di diritto pubblico. Nel caso di specie non è questione di invalidazione di un atto di inquadramento erroneo e dunque il richiamo alla norma appare del tutto inconferente.”
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