Sunday 26 February 2017 09:42:34

Giurisprudenza  Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Contratti con la Pubblica Amministrazione: serve la forma scritta ed un nuovo impegno di spesa anche per le prestazioni ulteriori

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza della Corte di Cassazione Sez. II del 2.2.2017

"I contratti di cui sia parte una Pubblica Amministrazione (anche se agente "iure privatorum") richiedono la forma scritta "ad substantiam", dovendo il documento negoziale consentire, perciò, l'esatta individuazione del contenuto del programma obbligatorio e contenere le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da svolgersi da ciascuna delle parti". È questo il principio ribadito dalla seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione nella sentenza depositata il 2 febbraio 2017 nella quale si precisa altresì che laddove l'amministrazione richieda prestazioni ulteriori e diverse rispetto a quelle espressamente elencate nel contratto scritto, è quindi necessario un nuovo impegno di spesa ed un autonomo contratto, con cui si stabiliscano l'oggetto di tali prestazioni e i rispettivi compensi spettanti al privato, senza che a tal fine sia sufficiente fa riferimento a manifestazioni di volontà implicita o a comportamenti puramente attuativi. Da ultimo si segnala anche il passaggio motivazione con il quale la Corte ha rigettato il motivo di ricorso afferente la violazione dell'art. 2041 c.c. e l'omessa o insufficiente motivazione in ordine alla domanda di indennizzo ex art. 2041 c.c. ed all'errata invocazione nella sentenza impugnata dell'art 23, comma 3,1.n. 144/1989, avendo la ricorrente proposto la sua azione proprio nei confronti del Sindaco del Comune. La Suprema Corte sul punto ha affermato che tale "motivo è infondato perché non offre alcun elemento per mutare l'orientamento di questa Corte secondo il quale, agli effetti dell'art. 23, comma 4, del d.l. n. 66 del 1989 (convertito, con modificazioni nella 1. n. 144 del 1989), quando manchi una valida ed impegnativa obbligazione dell'ente locale il rapporto obbligatorio insorge direttamente con l'amministratore o con il funzionario che abbia consentito la prestazione, sicché, per difetto del requisito della sussidiarietà, resta esclusa l'azione di indebito arricchimento nei confronti dell'ente (salvo esplicito riconoscimento del debito fuori bilancio con apposita deliberazione dell'organo competente)". Per approfondire scarica la sentenza.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

CORTE DI CASSAZIONE 

Civile Sent. Sez. 2  

Num. 2809  Anno 2017

Presidente: MAZZACANE VINCENZO Relatore: SCARPA ANTONIO

Data pubblicazione: 02/02/2017

 

SENTENZA

sul ricorso 8645-2012 proposto da: *; - ricorrente -

contro COMUNE BAGNOLI IRPINO, elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO GAETANO LA LOGGIA 33, presso lo studio dell'avvocato MADDALENA MATARAZZO, rappresentato e difeso dall'avvocato ERNESTO MATARAZZO; - controricorrente - 

 

avverso la sentenza n. 599/2011 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/02/2011; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del , --9,r11 13/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERGIO DEL CORE, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 15 marzo 1995 Mario Lepore, quale amministratore della * & c. s.n.c., proponeva opposizione davanti al Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi avverso il decreto ingiuntivo notificato nei suoi confronti il 16 febbraio 1995 dal Comune di Bagnoli Irpino, relativo alla somma di £ 97.651.604, oltre accessori, incassata dalla * nella gestione del servizio di riscossione dei tributi comunali nel periodo 1.1.1989 — 31.12.1993 e non versata all'ente impositore. L'opponeva deduceva l'improponibilità della domanda monitoria, stante l'obbligo pattizio di devolvere ogni controversia ad una commissione arbitrale, e comunque evidenziava l'infondatezza nel merito della pretesa. La * & c. s.n.c. formulava altresì domanda riconvenzionale per ottenere il corrispettivo (ovvero, in subordine, l'indennizzo per ingiustificato arricchimento) relativo alle ulteriori prestazioni espletate rispetto a quelle oggetto del contratto inter partes del 16 giugno 1989, quali la redazione e la stampa delle liste discarico, la lettura dei misuratori idrici, la segnalazione dei guasti, le diffide ai morosi, l'emissione di avvisi di pagamento e l'aggio convenuto sulle bollette non riscosse. Il Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi con sentenza del 10 maggio 2005 rigettava l'opposizione. Proponeva appello la * & c. s.n.c. e la Corte d'Appello di Napoli, con sentenza del 24 febbraio 2011, accoglieva in parte il gravame, dichiarando sussistente la competenza arbitrale sulla domanda proposta con decreto ingiuntivo dal Comune di Bagnoli Irpino, ma poi confermando la decisione di primo grado quanto al credito per gli ulteriori servizi non previsti nel contratto. La Corte d'Appello ribadiva che, per le prestazioni non espressamente contemplate nella convenzione del 16 giugno 1989, faceva difetto la forma scritta essenziale per ravvisare l'obbligo contrattuale della P.A., e che neppure poteva dirsi proponibile l'azione ex art. 2041 c.c., operando la disposizione di cui all'art. 23 del d.l. n. 66/1989, convertito con 1.n. 144/1989. Per effetto della reciproca soccombenza, la Corte d'Appello di Napoli disponeva la compensazione di entrambi i gradi del giudizio. Mario Lepore, amministratore della * & c. s.n.c., ha proposto ricorso articolato in tre motivi, cui resiste con controricorso il Comune di Bagnoli Irpino.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.11 primo motivo di ricorso deduce la violazione dell'art. 1350, n. 13, c.c. e l'omessa motivazione, assumendosi l'erroneità dell'assunto della Corte di Napoli quanto al difetto di forma scritta essenziale per le prestazioni oggetto della domanda riconvenzionale. Tali prestazioni, pur non riportate nel contratto di appalto del 16 giugno 1989, ne costituivano naturale e fisiologica espansione e quindi già rientravano nell'oggetto di quello. Il motivo è del tutto infondato. Innanzitutto, il ricorrente invoca un'interpretazione del contenuto del contratto del 16 giugno 1989 tale da ricomprendervi le prestazioni dedotte nella domanda riconvenzionale rigettata, ma omette di indicare specificamente nella propria censura quale fosse il testo del documento negoziale su cui si fonda il motivo, come invece imposto a pena di inammissibilità dall'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. In ogni modo, la censura è priva di fondamento in quanto il ricorrente non offre elemento alcuno per mutare l'orientamento di questa Corte, seguito anche dai giudici d'appello, secondo il quale i contratti di cui sia parte una Pubblica Amministrazione (anche se agente "iure privatorum") richiedono la forma scritta "ad substantiam", dovendo il documento negoziale consentire, perciò, l'esatta individuazione del contenuto del programma obbligatorio e contenere le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da svolgersi da ciascuna delle parti. Allorché l'amministrazione richieda prestazioni ulteriori e diverse rispetto a quelle espressamente elencate nel contratto scritto, è così necessario un nuovo impegno di spesa ed un autonomo contratto, con cui si stabiliscano l'oggetto di tali prestazioni e i rispettivi compensi spettanti al privato, senza che a tal fine sia sufficiente fa riferimento a manifestazioni di volontà implicita o a comportamenti puramente attuativi (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12316 del 15/06/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 26826 del 14/12/2006; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21138 del 04/11/2004). D'altro canto, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (nella specie, nel testo antecedente al d.l. n. 83 del 2012, conv. nella 1. n. 134 del 2012, "ratione temporis" applicabile) sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte (in particolare, quanto alla sussistenza della forma scritta del contratto per le prestazioni a base della domanda riconvenzionale), perché non è dato alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

II. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell'art. 2041 c.c. e l'omessa o insufficiente motivazione quanto alla negazione espressa dalla Corte d'Appello alla domanda di indennizzo ex art. 2041 c.c. ed all'errata invocazione nella sentenza impugnata dell'art 23, comma 3,1.n. 144/1989, avendo la * & c. s.n.c. proposto la sua azione proprio nei confronti del Sindaco del Comune di Bagnoli Irpino. Anche questo motivo è infondato perché non offre alcun elemento per mutare l'orientamento di questa Corte secondo il quale, agli effetti dell'art. 23, comma 4, del d.l. n. 66 del 1989 (convertito, con modificazioni nella 1. n. 144 del 1989), quando manchi una valida ed impegnativa obbligazione dell'ente locale (come appunto avvenuto per i servizi resi dalla NADA & c. s.n.c., esorbitanti dal contenuto espresso del contratto del 16 giugno 1989, per quanto affermato a proposito del primo motivo), il rapporto obbligatorio insorge direttamente con l'amministratore o con il funzionario che abbia consentito la prestazione, sicché, per difetto del requisito della sussidiarietà, resta esclusa l'azione di indebito arricchimento nei confronti dell'ente (salvo esplicito riconoscimento del debito fuori bilancio con apposita deliberazione dell'organo competente) (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24860 del 09/12/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18567 del 21/09/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24478 del 30/10/2013). Non è quindi consentito alla * & c. s.n.c. di esperire nei confronti del Comune Bagnoli Irpino l'azione di arricchimento senza causa, come fatto con la domanda riconvenzionale correttamente rigettata dai giudici del merito. III. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e l'omessa motivazione in ordine alla compensazione delle spese del doppio grado, non essendovi dubbio, a dire della ricorrente, che il Comune di Bagnoli Irpino fosse soccombente. Il terzo motivo è ugualmente infondato. La Corte d'Appello di Napoli ha revocato il decreto ingiuntivo richiesto dal Comune di Bagnoli Irpino, ravvisando la competenza arbitrale, ma ha poi rigettato la domanda di ingiustificato arricchimento avanzata dalla * & c. s.n.c.. I giudici d'appello hanno quindi compensato tra le parti le spese del doppio grado "per effetto della reciproca soccombenza". Secondo unanime orientamento di questa Corte, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; mentre esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite nell'ipotesi di soccombenza reciproca, spettando allo stesso giudice di merito la valutazione della sussistenza della reciprocità della soccombenza (nozione nella specie ricorrente, in presenza di due domande contrapposte, entrambe rigettate) e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2149 del 31/01/2014; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15317 del 19/06/2013). IV. Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 3.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 gennaio 2017.

 

 

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