Sunday 19 January 2014 09:33:44

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Dichiarazione di bene d'interesse culturale: se la valutazione dei competenti organi statali si fonda su una pluralità di elementi non è sufficiente che solo alcuni di essi palesino aspetti di opinabilità per negare nel complesso la validità delle conclusioni raggiunte

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI

Per diritto recepito, le valutazioni in ordine all'esistenza di un interesse culturale particolarmente importante di un immobile, tali da giustificare l'apposizione del relativo vincolo e del conseguente regime, costituiscono espressione di un potere di apprezzamento tecnico, con cui si manifesta una prerogativa propria dell’Amministrazione dei beni culturali nell’esercizio della sua funzione di tutela del patrimonio e che può essere sindacata in sede giurisdizionale soltanto in presenza di oggettivi aspetti di incongruenza ed illogicità, di rilievo tale da far emergere l’inattendibilità o l’irrazionalità della valutazione tecnica-discrezionale che vi presiede (es. Cons. Stato, VI, 22 gennaio 2004, n. 161). Invero, la dichiarazione di bene culturale scaturisce dall'applicazione di canoni e criteri di apprezzamento tecnico del valore storico-artistico, ovvero del valore storico-relazionale o storico-identitario delle cose. Da questa connotazione consegue la limitazione del riscontro di legittimità per eccesso di potere al difetto di motivazione, ovvero all’illogicità manifesta o all'errore di fatto. Consegue da questo quadro logico e concettuale che il giudizio espresso dai competenti organi statali vada valutato nella sua portata complessiva. Conclude il Consiglio di Dtato che "altrettanto vero è che, in presenza di valutazioni fondate sull’accertamento di una pluralità di elementi rivelatori del carattere di bene culturale, non è sufficiente, per negarne la validità, che alcuni soltanto di essi palesino aspetti di particolare opinabilità per infirmare nel complesso la validità delle conclusioni raggiunte, ma è necessario che la sommatoria delle lacune individuate risulti di tale pregnanza da compromettere nel suo complesso l'attendibilità del giudizio espresso dall'organo competente (Cons. Stato, VI, 30 giugno 2011, n. 3894)." Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale * del 2009, proposto da

Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

contro

Pirelli & C. Real Estate Società Gestione del Risparmio s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Roberto Montemurro, con domicilio eletto presso Arnaldo Coscino in Roma, via Antonelli, 29; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VII n. 929/2008, resa tra le parti, concernente apposizione vincolo a compendio immobiliare di particolare interesse

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Pirelli & C.Real Estate Società di Gestione del Risparmio s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2013, il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Trincia, per delega dell’avvocato Montemurro, e l’avvocato dello Stato Tidore;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1.- Il Ministero per i beni e le attività culturali impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania 25 febbraio 2008, n. 929 che ha accolto in parte il ricorso proposto dalla società Pirelli & C. Real Estate Società Gestione del Risparmio s.p.a. (quale società di gestione del Fondo Tecla Fondo Uffici, proprietario del compendio) avverso il decreto 29 settembre 2005 n. 167 del Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania, recante dichiarazione di interesse particolarmente importante, ai sensi dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 , dell’immobile denominato “ Fabbrica Olivetti”, sito nel comune di Pozzuoli, provincia di Napoli, via Campi flegrei, 34, “ limitatamente [in accoglimento di osservazioni della Pirelli del 6 luglio 2005] agli edifici realizzati entro il 1954 da Luigi Cosenza ed alle aree verdi eseguite contestualmente secondo il progetto di Porcinai”, individuate nelle planimetrie allegate.

Il decreto di vincolo non aveva accolto altre osservazioni il vincolo era privo di ragione poiché le parti interne del complesso “avevano subito notevoli trasformazioni in quanto la fabbrica era stata dimessa da tempo ed i fabbricati erano stati adibiti agli usi più diversi indotti da un’ampia e progressiva riconversione a terziario avanzato iniziata dalla stessa Olivetti con la costituzione del settore sviluppo software”.

Le sentenza di primo grado qui impugnata accoglie il ricorso in riferimento a questo oggetto di interesse oppositivo della ricorrente, per la quale “il vincolo parziale è la soluzione ideale per far vivere, al passo con i tempi, l’opera realizzata dal Cosenza, senza modificarne assolutamente né l’impianto, né le facciate, né il particolare disegno degli infissi e delle tettoie”.

Il Ministero appellante si duole dell’erroneità della sentenza per aver ritenuto sfornita di sufficiente istruttoria e motivazione, in accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, la determinazione di estendere la disciplina vincolistica impressa al suddetto immobile anche a quegli spazi interni e alle destinazioni d’uso.

L’Amministrazione appellante osserva che: 1) sarebbe prassi inusuale e ormai desueta quella di assoggettare a tutela i soli ambiti esterni degli edifici, in considerazione del carattere unitario che attualmente assume la nozione di bene culturale; 2) per prevalente giurisprudenza è sufficiente indicare l’interesse storico-artistico di una parte del bene per motivare l’interesse culturale dell’intero compendio; 3)le ragioni della tutela integrale del bene, nel caso in esame, si potrebbero desumere, anche in difetto di una motivazione puntuale, dalla relazione storica utilizzata dalla competente Soprintendenza partenopea nella formulazione della proposta di vincolo; 4) risulterebbe contraddittoria la impugnata sentenza che, pur affermando di condividere l’elaborazione giurisprudenziale sul carattere recessivo dell’interesse secondario del proprietario del bene sottoposto a vincolo, sulla rarità dei casi di smembramento tra aree esterne e spazi interni negli immobili da vincolare, nondimeno ravvisa un vuoto motivazionale nella determinazione impositiva del vincolo all’edificio realizzato ante 1954 nella sua integrità; 5) l’estensione del vincolo anche agli spazi interni dell’edificio, pur nella riconosciuta modifica dell’originario assetto distributivo, consentirebbe un controllo sulle destinazioni attuali e future dell’immobile, anche in vista della salvaguardia dei suoi valori architettonici; 6) non sarebbe, da ultimo, necessaria l’esplicitazione, nel provvedimento finale di vincolo, di tutte le ragioni utili al superamento delle osservazioni prodotte in sede procedimentale dall’interessato in relazione alla carenza di interesse culturale sugli spazi interni e sulle destinazioni d’uso.

Tanto premesso il Ministero ha concluso per l’accoglimento dell’appello e per la reiezione del ricorso di primo grado, in parziale riforma della impugnata sentenza.

Si è costituita in giudizio la società appellata per resistere all’appello e per chiederne il rigetto.

All’udienza del 22 ottobre 2013 la causa è stata trattenuta per la sentenza.

2.- L’appello è infondato e va respinto.

3.- Come ricordato in fatto, con il ricorso di primo grado la società Pirelli & C. Real Estate Società Gestione del Risparmio s.p.a., quale società di Gestione del Fondo denominato Tecla Fondo Uffici, proprietario del compendio immobiliare denominato “Fabbrica Olivetti”, ha impugnato il decreto 29 settembre 2005, n. 167, con cui il Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania ha dichiarato detto bene di interesse particolarmente importante ai sensi dell’art. 10, comma 3, lettera a), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 con conseguente sua sottoposizione a tutte le disposizioni di tutela contenute nel decreto.

In accoglimento soltanto parziale delle osservazioni formulate dalla società privata in data 6 luglio 2005, l’apposizione del vincolo è stata limitata “agli edifici realizzati entro il 1954 da Luigi Cosenza ed alle aree verdi eseguite contestualmente secondo il progetto di Porcinai”, nei tratti confinari risultanti dalle planimetrie allegate al decreto.

Non sono state invece condivise le restanti osservazioni dell’odierna società appellante, secondo le quali il vincolo non aveva ragion d’essere sulle parti interne del complesso che “avevano subito notevoli trasformazioni in quanto la fabbrica era stata dimessa da tempo ed i fabbricati erano stati adibiti agli usi più diversi indotti da un’ampia e progressiva riconversione a terziario avanzato iniziata dalla stessa Olivetti con la costituzione del settore sviluppo software”.

Nella prospettazione della società non avrebbe senso che il vincolo si estenda alle parti interne dell’edificio e alle destinazioni d’uso dello stesso, atteso che gli interni delle costruzioni non hanno pregio sul piano storico-artistico, non essendo più espressivi delle scelte progettuali riferibili al Cosenza, di guisa che priva di motivazione e di istruttoria risulterebbe la determinazione vincolistica, in ragione del carattere onnicomprensivo del regime giuridico di tutela impresso all’intero compendio (pur con i suddetti limiti oggettuali rivenienti dall’accoglimento di parte delle osservazioni della società).

Con l’impugnata sentenza, il giudice di primo grado ha ritenuto fondati il secondo ed il terzo motivo di ricorso, incentrati sul difetto di istruttoria e di motivazione del regime di vincolo sull’intero edificio per come risultante dall’impugnato decreto. In particolare, il Tribunale amministrativo ha osservato che i contenuti delle osservazioni presentate dalla società privata in sede procedimentale meritavano di essere valutati e, soprattutto, che delle “operate valutazioni e dell’istruttoria che aveva necessariamente a precederle fosse dato compiuto atto, sì da consentire di comprendere i percorsi (tecnici e logico-giuridici) che ne avevano imposto (o consentito) il rigetto”.

Osserva inoltre la sentenza di primo grado che le controdeduzioni “della competente Soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio e per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico di Napoli e provincia, trasmesse con la nota n. 194011 in data 11.7.2005, richiamate nella determinazione conclusiva a sostegno della medesima, non recano alcuna controdeduzione sul punto, ovvero sulla questione sostanziale posta da Pirelli, nemmeno accennata, ma si limitano, come innanzi visto, ad escludere dal regime vincolistico gli immobili più recenti, riservandosi di sottoporli a tutela indiretta; e tanto -è il caso di aggiungere- né confermando, né smentendo l’avvenuta apposizione del vincolo anche sulle destinazioni d’uso, di cui non vi è traccia espressa nel provvedimento finale, come invece necessario alla luce della situazione di fatto data al momento dell’apposizione del vincolo”.

A tali considerazioni, unite a richiami sul carattere prevalente dell’interesse pubblico sotteso alla dichiarazione di vincolo e la recessività dell’interesse dei privati aventi titolo sul bene, il Tribunale amministrativo ha fatto seguire la conclusione che il provvedimento impositivo abbisognasse nel caso concreto di una motivazione puntuale sull’esigenza di sottoporre a vincolo anche gli spazi interni e le destinazioni d’uso dell’edificio, non essendo detta motivazione enucleabile, neppure per implicito, da quella del provvedimento impositivo ovvero dagli atti istruttori ivi richiamati.

In altri termini, dato per acclarato che detti spazi interni – in ragione delle modifiche fisiche e di destinazione d’uso intervenute medio tempore - non fossero più quelli ideati da Olivetti e realizzati da Cosenza in esecuzione del disegno socio-culturale del committente, occorreva anche chiarire, ha considerato il giudice di primo grado, la “relazione esistente fra l’attuale situazione, soprattutto distributiva, degli spazi interni ed il resto del compendio, per poi nel caso pervenire a dichiararne l’interesse alla loro conservazione.”.

In sintesi, poiché la società aveva motivatamente chiesto, in subordine, l’apposizione di un vincolo parziale, la risposta dell’amministrazione, peraltro solo in sede giudiziale, non poteva esaurirsi nella mera evidenziazione della problematicità di apposizione di vincoli parziali, ormai desueti.

4.- Con il primo motivo d’appello il Ministero per i beni e le attività culturali lamenta l’erroneità della gravata sentenza, tornando a reiterare la questione secondo cui sarebbe prassi inusuale, o comunque ormai desueta, quella di assoggettare a tutela i soli ambiti esterni degli edifici e non anche gli spazi interni, in considerazione del carattere unitario che attualmente assume la nozione di bene culturale.

La doglianza non appare tuttavia meritevole di apprezzamento nel caso concreto.

Il Collegio condivide quanto diffusamente e analiticamente motivato dalla gravata sentenza circa la necessità che il provvedimento di vincolo, per essere legittimamente applicato all’intero manufatto e finanche alla destinazione d’uso, non potesse – viste le argomentazioni oppositive seriamente sollevate dall’interessata - prescindere dal rilievo di un corrispondente particolare interesse e da una motivazione puntuale circa i presupposti per applicare il regime di tutela ad elementi dell’edificio (quali, appunto, gli spazi interni e le destinazioni d’uso) che , in punto di fatto, pacificamente avevano perduto le caratteristiche architettoniche originarie e dunque il collegamento storico-culturale con quanto progettato e realizzato dall’architetto Cosenza, su incarico di Adriano Olivetti, a misura delle esigenze lavorative dell’operaio della “Fabbrica Olivetti”. Perciò del tutto corretta è la considerazione del primo giudice che difetta, per queste parti innovate e per la destinazione d’uso, la ragione giustificativa del vincolo: vale a dire, può qui osservarsi, un adeguato e coerente riferimento al parametro normativo dell’“interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante”, di cui all’art. 10, comma 3, lett. a) delCodice dei beni culturali e del paesaggio. Il relativo regime risulta dunque privo di un valido titolo e la trasformazione non autenticamente sottoponibile a valutazioni di compatibilità culturale: dal che l’illegittimità, limitatamente a queste parti, del vincolo culturale medesimo.

Invero risulta in punto di fatto che a seguito della trasformazione dell’originaria Fabbrica, i fabbricati sono stati adibiti “per uso di uffici commerciali da parte di una pluralità di soggetti”. Perciò non è più realmente applicabile alle parti medio tempore irreversibilmente trasformate il riferimento alla “concezione innovativa[di Adriano Olivetti, e tradotta architettonicamente da Luigio Cosenza e Pietro Porcinai] della fabbrica come luogo piacevole e umano per il lavoro, nonché nella concezione unitaria di un’insieme di cui è parte integrante il verde, progettato e realizzato in stretta relazione agli edifici” in cui consiste la ragione del vincolo stesso. Altrimenti detto, dal punto di vista culturale per queste innovate parti del manufatto non è più il giudizio di compatibilità dell’ordinamento a condizionare le successive trasformazioni, ma – per così dire - la responsabilità extragiuridica e sociale del proprietario. Resta comunque salvo quanto eventualmente previsto in sede urbanistica.

Non è in contestazione, infatti, il dato materiale che l’assetto distributivo di quegli spazi sia mutato radicalmente nel tempo in funzione delle sopravvenute esigenze connesse alle attività disimpegnate all’interno della originaria “Fabbrica”. Quest’ultima è stata da tempo dismessa come tale e i fabbricati sono stati adibiti agli usi più diversi, indotti da un’ampia riconversione a terziario avanzato con la costituzione, ad opera della stessa Olivetti, del settore sviluppo software, per poi essere adibiti, da parte di una pluralità di soggetti, ad uso di uffici commerciali.

A fronte di tale conclamata emergenza fattuale, il Tribunale amministrativo ha quindi evidenziato come, nel caso in esame, una specifica motivazione si imponesse in ordine a quegli elementi materiali del bene culturale che sembravano aver perso ogni collegamento, sul piano della realtà e della testimonianza storica, con le ragioni del vincolo stesso.

La considerazione è del tutto corretta e merita di essere condivisa.

Il Collegio qui osserva che l’argomento erariale per cui sarebbero attualmente inusuali i vincoli parziali contrasta il principio generale per cui, in ragione della gerarchia tra le fonti e della preferenza della legge posto dall’art. 1 delle Disposizioni sulla legge in generale, la desuetudine non è fonte negativa di diritto: la protratta inapplicazione di una certa norma non produce cioè un tacito suo effetto abrogativo; e comunque mal si adatta al caso di specie in cui, rispetto all’intero coacervo (comprensivo di tutti gli sviluppi architettonici avvenuti nel tempo) dei fabbricati costituenti oggi la Fabbrica Olivetti, la dichiarazione vincolistica non è stato estesa, come rammentato, ai manufatti realizzati dopo il 1954, ma solo riguarda (giusta l’adesione, sul punto, alle osservazioni della parte privata) i “corpi di fabbrica ed aree verdi realizzati a più di cinquant’anni dalla data odierna”.

Nella relazione della Soprintendenza di Napoli e provincia del 1° luglio 2005 n. 19401, che costituisce atto preparatorio del provvedimento di dichiarazione di bene culturale, viene dato atto che l’accoglimento (per quanto di ragione) delle osservazioni della società privata, se pur necessitato, comporta “di fatto una parcellizzazione di un provvedimento di tutela che dovrebbe essere unitario perché tale va considerato l’intero complesso”.

Il carattere parziale della dichiarazione di bene culturale imprimibile alla realtà del compendio immobiliare era dunque di ostacolo a che si potesse considerare “particolarmente importante” ai ricordati fini di legge ciò che oggettivamente esulava ormai dai rimarchevoli valori culturali in considerazione: dunque questo esulava anche dal corrispondente regime pubblicistico. Il che rendeva ancor più esigibile, ove mai possibile, un’ipotetica motivazione a dimostrazione delle persistenti ragioni di estensione del vincolo anche agli spazi interni e alle destinazioni d’uso dell’immobile.

Stante il principio di legalità, per cui le restrizioni ai diritti sono solo quelle nominate e concretamente poste in base alla legge, in contrario non vale evocare l’opportunità che l’autorità preposta alla tutela del vincolo si pronunci su ogni progetto di modifica del bene, incidente sulla sola distribuzione degli spazi interni e sulle destinazioni d’uso, se nei termini in cui questo concerna spazi e funzioni non oggetto di vincolo. Non può essere infatti applicato il regime vincolistico a quanto esula dall’oggetto effettivo del provvedimento di vincolo, come esplicitato nelle sue ragioni dalla relazione cui la motivazione fa riferimento, perché si tratta di elementi materiali non più testimoniali di valori culturali meritevoli di quella tutela.

5.- Con il secondo e il terzo motivo d’appello (che possono trattarsi congiuntamente per ragioni di oggettiva connessione tra le questioni proposte) il Ministero deduce che, per giurisprudenza costante, sarebbe sufficiente indicare l’interesse storico-artistico di una parte del bene per motivare l’interesse culturale dell’intero compendio e che, nel caso in esame, le ragioni della tutela integrale del bene si potrebbero desumere, anche ove mancasse una motivazione puntuale, dalla relazione storica utilizzata dalla Soprintendenza nella formulazione della proposta di vincolo.

6.-Ritiene il Collegio che entrambi i motivi non siano meritevoli di condivisione e vadano disattesi.

Vero è anzitutto che, per diritto recepito, le valutazioni in ordine all'esistenza di un interesse culturale particolarmente importante di un immobile, tali da giustificare l'apposizione del relativo vincolo e del conseguente regime, costituiscono espressione di un potere di apprezzamento tecnico, con cui si manifesta una prerogativa propria dell’Amministrazione dei beni culturali nell’esercizio della sua funzione di tutela del patrimonio e che può essere sindacata in sede giurisdizionale soltanto in presenza di oggettivi aspetti di incongruenza ed illogicità, di rilievo tale da far emergere l’inattendibilità o l’irrazionalità della valutazione tecnica-discrezionale che vi presiede (es. Cons. Stato, VI, 22 gennaio 2004, n. 161).

Invero, la dichiarazione di bene culturale scaturisce dall'applicazione di canoni e criteri di apprezzamento tecnico del valore storico-artistico, ovvero del valore storico-relazionale o storico-identitario delle cose. Da questa connotazione consegue la limitazione del riscontro di legittimità per eccesso di potere al difetto di motivazione, ovvero all’illogicità manifesta o all'errore di fatto.

Consegue da questo quadro logico e concettuale che il giudizio espresso dai competenti organi statali vada valutato nella sua portata complessiva. Altrettanto vero è che, in presenza di valutazioni fondate sull’accertamento di una pluralità di elementi rivelatori del carattere di bene culturale, non è sufficiente, per negarne la validità, che alcuni soltanto di essi palesino aspetti di particolare opinabilità per infirmare nel complesso la validità delle conclusioni raggiunte, ma è necessario che la sommatoria delle lacune individuate risulti di tale pregnanza da compromettere nel suo complesso l'attendibilità del giudizio espresso dall'organo competente (Cons. Stato, VI, 30 giugno 2011, n. 3894).

7.-Tuttavia, nel caso di specie, viene in rilievo (giova ribadire) un vincolo diretto di natura storico-artistica (art. 10, comma 3, lett. a) del Codice). Non si verte, in sostanza, in una ipotesi di vincolo storico-relazionale (art. 10, comma 3, lett. d)), a proposito del quale questa Sezione (cfr. Cons. Stato, VI, 13 settembre 2012, n. 4872) ha affermato, tra l’altro, che la consistenza architettonica è solo traccia materiale di quel valore, ma non rappresenta il valore in sé.

Al contrario, nella situazione qui data, il vincolo è stato apposto in ragione di motivazioni afferenti il carattere particolarmente importante del bene sul piano storico-artistico. Perciò – una volta specificamente dimostrata in punto di fatto l’intercorsa, radicale trasformazione in parte qua del manufatto rispetto alla consistenza originaria - ogni elemento di valutazione del bene sotto tal profilo è giustificato solo nei termini in cui la consistenza di destinazione mantenga elementi di quella precedente. Dove e nelle pacificamente accertate parti in cui questa – come qui risulta senza contestazioni per gli spazi in discussione - è persa per sempre, non vi è ragione giustificativa per applicare il regime della tutela.

Pertanto a ragione il Tribunale amministrativo ha ravvisato la fondatezza dei dedotti vizi di difetto di istruttoria e di motivazione.

Il rilevato vizio della motivazione è fondato, appunto, sul rilievo dell’assenza di ogni collegamento tra taluni elementi specifici della vecchia “Fabbrica Olivetti” sottoposti a regime vincolistico (e cioè, come detto, gli spazi interni e le destinazioni d’uso) con le ragioni ostese a comprova della dichiarazione di interesse culturale del bene.

Non si tratta quindi di un caso, qui all’esame, assimilabile a quelli scrutinati dalla richiamata giurisprudenza, in cui l’interesse architettonico del bene possa ritenersi immutato, in ragione della permanenza dei suoi tratti caratterizzanti e della sua valenza sotto il profilo storico, nonostante le modifiche subite dall’immobile in alcuni suoi tratti esteriori.

Qui, per vero, l’estensione del vincolo alla attuale distribuzione degli spazi interni, non è ricollegabile neppure storicamente all’opera del Cosenza, e finisce per dare rilevanza ad elementi che sembrano non meritare – salva ogni ulteriore determinazione dell’autorità competente – quel regime di protezione conservativa.

8.- D’altra parte, come ben si evince dalla relazione storica sulla cui base è stata formulata la proposta di vincolo da parte della Soprintendenza, le ragioni del regime vincolistico sono nella specie da ricercare in scelte architettoniche particolarmente evolute, avuto riguardo a quelle applicate ordinariamente ad un fabbrica alla metà del secolo scorso. “Due tra gli elementi di maggior rilievo che conferiscono qualità al progetto” si legge nella relazione “consistono nella concezione innovativa della fabbrica come luogo piacevole e umano per il lavoro, nonché nella concezione unitaria di un’insieme di cui è parte integrante il verde, progettato e realizzato in stretta relazione agli edifici. Fin dall’inizio fu previsto l’elemento costruttivo costituito dalla campata di solaio di 7,50 metri per 15 metri di larghezza del corpo di fabbrica. Tutto il successivo studio distributivo analizzò la dislocazione dei reparti -di cui Cosenza aveva avuto diretta esperienza visitando la fabbrica d’Ivrea- per trovarne la migliore relazione, anche in previsione di future espansioni. La strategia aziendale prevedeva un progressivo e graduale incremento delle attività, mano a mano che l’esperimento meridionalista si fosse positivamente sviluppato, con l’introduzione di nuovi modelli. Previsto il verde di protezione verso la Domiziana, i primi fabbricati sono collocati verso l’incrocio con via Fascione in modo che l’espansione delle officine potesse gravitare sempre lungo quest’ultima ed estendersi verso Nord, lasciando i servizi per gli operai immersi nel verde sul lato occidentale. La sovrapposizione fra officina e montaggio secondo assi incrociati è concepita come rapporto tra unità produttive di varie dimensioni capaci di lavorazioni diverse e ripetibili in caso di espansione”.

9.- In definitiva, l’innovativa costruzione cruciforme appare qui funzionale a creare un ambiente di lavoro positivo per l’operaio attraverso un ordito architettonico teso a favorire un continuo contatto con gli spazi esterni.

Essendo queste le ragioni principali che avevano mosso la determinazione impositiva, non appare giustificata l’applicazione del vincolo anche agli attuali spazi interni (frutto, si ripete, di successive scelte estemporanee, apparentemente non meritevoli di particolare tutela conservativa) ed alle correlate destinazioni d’uso in atto nell’immobile.

10.- Per concludere, il Collegio osserva come alla luce dei rilievi svolti vadano altresì disattesi gli ulteriori motivi d’appello articolati dal Ministero dei beni e delle attività culturali, considerato che: a) le ragioni dell’applicazione del vincolo anche agli spazi interni ed alle destinazioni d’uso non si desumono, per quanto già detto, dalla relazione storica da cui ha preso inizio il procedimento impositivo; b) la sentenza impugnata non è contraddittoria quando evoca la giurisprudenza sul carattere recessivo dell’interesse privato antagonista e la sufficienza dell’indicazione di taluni soltanto degli elementi capaci di dimostrare l’interesse particolarmente importante del bene: nel caso in esame, è mancata l’esplicitazione delle ragioni riguardo alla opportunità di applicare il vincolo ad elementi conformativi privi di rilevanza sul piano storico-artistico;c) la mancata esplicitazione, nel provvedimento finale di vincolo, delle ragioni utili al superamento delle osservazioni prodotte in sede procedimentale dall’interessato in relazione alla carenza di interesse culturale per gli spazi interni e le destinazioni d’uso non è surrogabile con il contenuto di altri atti del procedimento, dai quali non è dato evincere la sussistenza di quelle ragioni.

11.- In definitiva, l’appello va respinto.

Ricorrono giusti motivi per far luogo alla compensazione tra le parti delle spese e competenze del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello (r.g. n. 3345/09), come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese del presente grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Giuseppe Severini, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Vito Carella, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/01/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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