Monday 25 March 2019 16:34:14
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 25.3.2019
“Ai sensi dell’articolo 32 della legge n. 47/1985, “il rilascio della concessione o dell’autorizzazione in sanatoria per opere eseguite su aree sottoposte a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso”.
Tale parere, dunque, si inserisce nel procedimento per il rilascio del condono edilizio e costituisce condizione indefettibile per l’ottenimento del titolo abilitativo postumo.
Risulta, dunque, evidente che il bene della vita cui aspira il privato, anche attraverso l’impugnazione del parere negativo della Soprintendenza, è costituito dall’ottenimento del condono edilizio, considerandosi che l’annullamento dello stesso rimuove un ostacolo alla positiva definizione della domanda di sanatoria dallo stesso presentata.
L’utilità finale perseguita dal ricorrente è, dunque, individuabile nel rilascio del titolo edilizio in sanatoria.
Ciò posto, risulta corretto l’operato del primo giudice, volto a verificare, in via preliminare, se l’annullamento del parere impugnato possa comunque consentirgli di ottenere l’utilità finale, costituita appunto dal provvedimento di condono.
Invero, quando non sussistono comunque i presupposti normativi per la positiva definizione del procedimento di condono e, dunque, per il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, il ricorso è inammissibile in quanto l’interesse sostanziale che è alla base della domanda, consistente appunto nell’interesse a conseguire il condono, non può comunque trovare soddisfazione.
E tanto sulla base di una preclusione derivante direttamente dalla legge e non, quindi, dall’esito di una valutazione discrezionale spettante alla pubblica amministrazione.
Sulla base delle considerazioni sopra svolte, pertanto, deve ritenersi che il Tribunale Amministrativo, nell’esaminare la sussistenza dei presupposti di legge per la fruibilità del condono a prescindere dalla legittimità del parere reso dalla Soprintendenza, non è andato ultra petita, ma si è limitato ad una corretta verifica preliminare della sussistenza in concreto di un interesse alla decisione.
Ciò premesso, ritiene il Collegio che il Tribunale Amministrativo abbia correttamente escluso la sussistenza nella specie dei presupposti richiesti dall’articolo 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 per beneficiare del condono edilizio.
Invero, il comma 26 del citato articolo prevede che sono suscettibili di sanatoria le tipologie di illecito di cui all’allegato 1, precisando che queste, per gli immobili soggetti a vincolo di cui all’art. 32 della legge n. 47/85, sono limitate alle tipologie 4 (opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall’art. 3, comma 1, lett. c del d.p.r. n. 380/2001, realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, nelle zone omogenee A), 5 (opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall’art. 3, comma 1, lett. c del d.p.r. n. 380/2001, realizzate in assenza o in difformità dal prescritto titolo abilitativo edilizio), 6 (opere di manutenzione straordinaria, come definite dall’art. 3, comma 1, lett. b del d.p.r. n. 380/2001 e dalla normativa regionale, realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio; opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie e volume).
Il successivo comma 27 dell’art. 32 dispone, inoltre, che “Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora…d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali o provinciali qualora istituiti prima delle esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.
Nella interpretazione delle richiamate disposizioni la giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, IV, 16-8-2017, n. 4007; IV, 27-4-2017, n. 1935) ha avuto modo di affermare che “le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo; b) se pure realizzate in assenza o in difformità dal titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria); d) vi sia il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo; in ogni caso non possono essere sanate le opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque di inedificabilità anche relativa”.
Ritiene la Sezione, sulla base delle norme e dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, che il giudice di prime cure abbia correttamente individuato la non condonabilità dell’opera sulla base dei seguenti rilievi:
“a) a prescindere dalla data di realizzazione della costruzione precaria ( e cioè quand’anche si voglia ammettere che la stessa preesisteva all’atto di acquisto del 2002) in ogni caso trattasi di struttura per la quale non è stata promossa alcuna istanza di condono prima del 10.12.2004 ai sensi del d.l. n. 269 del 2003; e quindi da considerare, in relazione a tale novella, come nuova costruzione;
b) è incontestata la preesistenza di vincoli ex art. 32 l. n. 47 del 1985 sull’area interessata all’abuso; al che accede che erano sanabili i soli interventi edilizi di minore rilevanza e cioè restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria e non, come nel caso di specie, di nuova costruzione;
c) non è contestabile che l’abuso contravviene sia alla disciplina vincolistica già gravante sull’area che alla disciplina edificatoria che non consente, sia nella versione vigente che in quella solo adottata e non ancora approvata, interventi residenziali edilizi.Né potrebbe venire in supporto della posizione della ricorrente la norma dell’adottata variante al P.r.g. che consente “destinazioni d’uso anche differenti da quella agricola presente al momento dell’adozione delle presenti norme”; e ciò in quanto tali modifiche possono interessare “gli edifici a carattere non precario” che al momento della adozione della variante avevano una destinazione d’uso agricola: ma la costruzione della ricorrente, oltre ad essere precaria e a non potersi considerare come “edificio esistente” in quanto priva di alcun titolo edilizio di legittimazione, non risulta aver mai avuto, dal tenore del gravame e dagli atti di causa, una destinazione agricola “opportunamente documentata” suscettibile di modificazione”.
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