Tuesday 04 June 2024 11:18:56

Giurisprudenza  Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande: il requisito della c.d. sorvegliabilità

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 4.6.2024

“Il requisito della c.d. sorvegliabilità dei pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande è previsto dall’art. 153 del R.D. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento per l’esecuzione del Testo Unico della Leggi di Pubblica Sicurezza), secondo il quale “La licenza può essere rifiutata o revocata per ragioni di igiene o quando la località o la casa non si prestino ad essere convenientemente sorvegliate”. L’art. 64, comma 5, del decreto legislativo n. 59/2010, nel dettare la disciplina statale in materia di somministrazione di alimenti e bevande, ribadisce che “L’esercizio dell’attività è subordinato alla conformità del locale ai criteri sulla sorvegliabilità stabiliti con decreto del Ministro dell’interno, anche in caso di ampliamento della superficie”.

I diversi requisiti di sorvegliabilità relativi ai predetti esercizi sono stati quindi specificati dal Decreto del Ministero degli Interni 17 dicembre 1992, n. 564, recante, per l’appunto, il “Regolamento concernente i criteri di sorvegliabilità dei locali adibiti a pubblici esercizi per la somministrazione di alimenti e bevande”.

13.2. L’art. 1 del predetto D.M., rubricato “Sorvegliabilità esterna” dispone, al comma 1, che “I locali e le aree adibiti, anche temporaneamente o per attività stagionale, ad esercizio per la somministrazione al pubblico di alimenti o bevande devono avere caratteristiche costruttive tali da non impedire la sorvegliabilità delle vie d’accesso o d’uscita”; al comma 2, che “Le porte o altri ingressi devono consentire l’accesso diretto dalla strada, piazza o altro luogo pubblico e non possono essere utilizzati per l’accesso ad abitazioni private”. L’art. 3 del medesimo D.M., rubricato “Sorvegliabilità interna”, a sua volta dispone, al comma 1, che “Le suddivisioni interne del locale, ad esclusione dei servizi igienici e dei vani non aperti al pubblico, non possono essere chiuse da porte o grate munite di serratura o da altri sistemi di chiusura che non consentano un immediato accesso”; al comma 2, che “Eventuali locali interni non aperti al pubblico devono essere indicati al momento della richiesta dell’autorizzazione di cui all’art. 3, comma 1, della legge 25 agosto 1991, n. 287, e non può essere impedito l’accesso agli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza che effettuano i controlli ai sensi di legge”. Rileva poi, come correttamente ritenuto dal primo giudice, in questa sede la norma transitoria contenuta nell’art. 5 del medesimo D.M., applicabile solo ai pubblici esercizi già esistenti nel dicembre del 1992 (anno in cui è entrato in vigore il decreto stesso), secondo la quale “Le comunicazioni interne fra i locali adibiti a pubblico esercizio e i locali aventi diversa destinazione, esistenti alla data di entrata in vigore del presente regolamento debbono essere chiuse a chiave durante l’orario di apertura del pubblico esercizio e deve essere impedito l’accesso a chiunque”. 13.4. Avuto riguardo al dettato del citato D.M., risulta del tutto corretta la sentenza di prime cure, che ha condiviso la prospettazione dell’Amministrazione.

 Il D.M. in questione, sulla cui corretta interpretazione da parte del primo giudice non è dato dubitare, obbedisce infatti chiare finalità di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, tese da una parte ad impedire o comunque a rendere difficoltosa la fuga dal locale di soggetti "malavitosi" e dall'altra a favorire l'accesso nei locali dell'autorità di pubblica sicurezza, preposta all'intercettazione ed alla cattura dei soggetti suindicati.

La giurisprudenza amministrativa è pertanto concorde nel ritenere che la richiamata disciplina statale di settore ponga un limite preciso che non lascia dubbi interpretativi laddove stabilisce che i locali pubblici devono aggettare sulla pubblica via o altro luogo pubblico e non, per conseguenza, su locali privati (v. ex multis Cons. Stato, Sez. V, sent 25.02.2020 n. 1395; Cons. Stato, Sez. V, sent. 01.12.2014 n. 5943). “Ciò è un chiaro indice della scelta di prevalenza operata nel bilanciamento effettuato a monte dal legislatore per l'ipotesi di una possibile contrapposizione tra l'interesse alla tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico (cui sono preposti i criteri di sorvegliabilità) e quello alla tutela dell'iniziativa economica privata” (v. T.A.R. Lazio Roma, Sez. II Ter, sent. 07.06.2021 n. 6766).

In questo senso, tutti gli accessi o le uscite destinate al pubblico degli avventori devono (art. 1, comma 2°, DM 564/1992), permettere "l'accesso diretto dalla strada, piazza o altro luogo pubblico e non possono essere utilizzati per l'accesso ad abitazioni private".

Infatti dai disposti del D.M. suindicato si evince che i locali adibiti a pubblici esercizi per la somministrazione di alimenti e bevande devono disporre di vie di accesso tali da consentire la sorvegliabilità dei locali stessi da parte degli organi di polizia (c.d. sorvegliabilità esterna). Inoltre i locali in questione non devono essere collegati con locali a diversa destinazione, e ciò al fine di impedire ad eventuali avventori di allontanarsi recandosi in altri locali laterali, sottostanti o sovrastanti a quelli del pubblico esercizio e di questo non facenti parte e sottrarsi ai controlli di polizia: difatti - come si evince (a contrario) da quanto previsto dalla predetta norma transitoria - è possibile mantenere “comunicazioni interne fra i locali adibiti a pubblico esercizio e i locali aventi diversa destinazione” solamente nel caso di pubblici esercizi autorizzati prima dell’entrata in vigore del decreto ministeriale in questione, dovendosi in tal caso procedere alla chiusura a chiave dei locali durante l’orario di apertura del pubblico esercizio. Parimenti corretta risulta, sulla base del chiaro dato normativo e della sua ratio, quale evincibile a contrario anche dall’indicata norma transitoria, la sentenza di prime cure nel punto in cui ha ritenuto che la serranda non sia idonea a garantire la separazione strutturale fra i due locali, posto che, come la porta può essere aperta, la serranda può essere alzata; pertanto del tutto fallaci sono le deduzioni di parte appellante, volte a rimarcare l’asserita differenza sostanziale tra la serranda e la porta, come pure fantasioso si rileva l’accostamento tra la serranda ed il muro, sulla base del rilievo che il muro potrebbe essere abbattuto nottetempo per aprirvi una porta.

Quanto al riferimento alla circolare del 31 novembre 1997 del Ministero dell’Interno, citata nei pareri gravati e considerata del pari pertinente dal primo giudice, evidenzia questo collegio come il riferimento sia dimostrativo del rilievo che tutti i luoghi da considerarsi come aperti al pubblico durante l’orario di apertura, come i centri commerciali e le gallerie commerciali, dopo l’orario di chiusura debbano essere considerati per contro come luoghi privati; tale circolare, avuto riguardo a tale rilievo, precisa dunque che «il pubblico esercizio ubicato all’interno di un centro commerciale non dovrà avere ingressi o aree comuni ad altri esercizi commerciali di diverso genere ed in ogni caso (anche per esercizi che si trovino all’interno di grandi magazzini) le porte o gli altri ingressi non potranno essere utilizzati per l’accesso ad abitazioni private». Dunque, se l’accesso ai pubblici esercizi per la somministrazione di alimenti e bevande avviene attraverso l’area di vendita o la galleria pedonale del centro commerciale quando tali aree sono chiuse al pubblico, non sussistono le condizioni di sorvegliabilità di cui all’art. 1, comma 2 del D.M. n. 564/1992, perché manca “l’accesso diretto dalla strada, piazza o altro luogo pubblico”.

Pertanto la suddetta circolare deve considerarsi pertinente anche rispetto alla fattispecie de qua, indipendentemente dal luogo (da considerarsi privato) in cui possa avvenire l’accesso al pubblico esercizio, in considerazione del rilievo che, come innanzi precisato, durante gli orari di chiusura anche il supermercato deve considerarsi quale luogo privato; pertanto il locale da adibire ad esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, destinato a rimanere aperto anche dopo la chiusura del supermercato, giammai potrebbe essere separato dal supermercato da una mera serranda, che strutturalmente in alcun modo è equiparabile ad un muro. Pertanto appare corretta la statuizione di prime cure anche nel punto in cui ha osservato che per contro i requisiti di sorvegliabilità prescritti dalla normativa sarebbero stati assicurati dalla soluzione proposta dall’Amministrazione, cui parte appellante non ha inteso aderire..(…)”

Per approfondire scarica il testo integrale della sentenza.

 

 

Testo del Provvedimento (Contenuto Riservato)

 

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