Friday 14 January 2022 17:52:24

Giurisprudenza  Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali

Pronunce di rito: la differenza tra la cessazione della materia del contendere e la sopravvenuta carenza di interesse

segnalazione del Prof. avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio dì Stato Sez. VI del 13.1.2022

 

“l'art. 34 c.p.a., la cui rubrica reca “sentenze di merito”, dispone che “qualora nel corso del giudizio la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta, il giudice dichiara cessata la materia del contendere” (comma 5);

- l'art. 35 c.p.a., la cui rubrica reca “pronunce di rito”, dispone che il ricorso è dichiarato “improcedibile quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione” (comma 1, lett. c.).

Pare evidente che (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 15 marzo 2021 n. 2224):

- mentre la cessazione della materia del contendere postula la realizzazione piena dell'interesse sostanziale sotteso alla proposizione dell'azione giudiziaria, permettendo al ricorrente in primo grado di ottenere il bene della vita agognato, sì da rendere inutile la prosecuzione del processo;

- diversamente l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse risulta, invece, riscontrabile qualora sopravvenga un assetto di interesse ostativo alla realizzazione dell'interesse sostanziale sotteso al ricorso, anche in tale caso rendendo inutile la prosecuzione del giudizio - anziché per l'ottenimento - per l'impossibilità sopravvenuta del conseguimento del bene della vita ambito dal ricorrente.

Pertanto, la cessazione della materia del contendere presuppone il pieno soddisfacimento dell'interesse fatto valere in giudizio, mentre la sopravvenuta carenza di interesse presuppone la mancanza di interesse alla decisione nei casi in cui: a) il ricorrente non abbia impugnato un atto presupposto o collegato da cui derivano effetti sfavorevoli; b) il provvedimento impugnato si basa su più ragioni indipendenti e sono state censurate soltanto alcune di esse; c) sopravviene un atto che rende sostanzialmente inutile l'eventuale annullamento dell'atto impugnato; d) sopravviene un fatto che, parimenti, rende non più utile l’eliminazione dal mondo giuridico degli atti a suo tempo fatti oggetto di impugnazione.

Anche sotto il profilo del giudicato le due tipologie di sentenze hanno portata diversa, dal momento che la sentenza che dichiara la cessata materia del contendere, in quanto pronuncia di merito, è “idonea al giudicato sostanziale, accertando in maniera incontrovertibile l'attuazione di un assetto sostanziale di interessi favorevole al ricorrente, sopravvenuto in pendenza del giudizio, interamente satisfattivo della pretesa azionata in sede giurisdizionale, come tale non più revocabile in dubbio” (così, testualmente, Cons. Stato, sez. VI, n. 2224 del 2021, cit.).

7. - Fermo quanto sopra, deve sottolinearsi come l’art. 34, comma 3, c.p.a. preveda, espressamente, che “quando, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se risulta l’interesse ai fini risarcitori”. Questa evenienza, dunque, si verifica nel caso in cui la sopravvenienza non sia tale da rendere “certa e definitiva l'inutilità della sentenza, per avere fatto venir meno, per il ricorrente, qualsiasi residua utilità, anche soltanto strumentale o morale, derivante da una possibile pronuncia di accoglimento”. Qualora, pertanto, “permanga un interesse della parte all'esame della censura, anche ai soli fini risarcitori, il giudice procedente è tenuto a statuire nel merito, onde evitare un'elusione dell'obbligo di pronunciare sulla domanda” (così ancora, in termini, Cons. Stato, sez. VI, n. 2224 del 2021, cit.).

Conseguentemente:

- in primo luogo, l'ambito di applicazione di tale norma è connesso a quello della dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse, nel senso che, se ricorrono i presupposti da essa previsti, occorre accertare l'illegittimità dei provvedimenti impugnati;

- in secondo luogo, la previsione di cui al terzo comma dell'art. 34 c.p.a. deve essere interpretata, in coerenza con il senso letterale delle espressioni impiegate, nel senso che l'unico interesse deducibile, per evitare l'adozione di una sentenza che dichiari la sopravvenuta carenza di interesse, è quello di natura risarcitoria (cfr., in tal senso, Cons Stato, Sez. III, 15 aprile 2021, n. 3086).

Orbene, nel dibattito tra le opposte tese dottrinali e giurisprudenziali del quale si è fatto sopra cenno, sebbene parte giurisprudenza amministrativa ritiene sufficiente la sussistenza di un mero “interesse morale” (cfr. in tal senso, Cons Stato, Sez. V, 15 giugno 2015 n. 2952), il Collegio ritiene maggiormente condivisibile l’orientamento per il quale, al fine di rendere necessario lo scrutinio di legittimità degli atti impugnati, pur in presenza di dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, deve essere necessaria (e quindi, sufficiente) in proposito la presentazione nel giudizio (anche) di una mera richiesta di parte, avanzata in ogni tempo, espressiva dell'interesse a un accertamento strumentale alla pretesa risarcitoria anche futura (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. V, 2 luglio 2020 n.4253; Sez. IV, 5 dicembre 2016 n. 5102; Sez. V, 24 luglio 2014 n. 3939).

(…). Per continuare la lettura vai alla sentenza integrale.

 

Testo del Provvedimento (Contenuto Riservato)

 

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