Sunday 09 June 2013 11:35:25
Giurisprudenza Patto di Stabliità, Bilancio e Fiscalità
Consiglio di Stato
Venezia, la sua laguna ed i ristoranti posti sulle terrazze d'acque in legno realizzate sui canali sono al centro del giudizio in esame che verte sulla domanda, formulata da alcune Trattorie che gestiscono esercizi pubblici in Venezia Murano usufruendo appunto di “terrazze d’acqua” in legno realizzate sul canale di acqua lagunare antistante i loro esercizi. Si chiede in particolare l'annullamento della sentenza del T.A.R. con la quale era stato respinto il ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento di determinazione del canone annuo per occupazione di area pubblica per gli anni 1995-1996-1997, nonché della deliberazione della G.M. n. 1654/1995, di approvazione della tariffa annuale per canone concessorio di occupazione del demanio stradale comunale, e degli artt. 3 e 7 del regolamento per la gestione dei beni immobili del Comune di Venezia. Il Consiglio di Stato Ha respinto l'appello osservando che il T.A.R. ha ritenuto che, in base al R.D. n. 1040/1872, al R.D. n. 721/1904 e al R.D. n. 5629/1888, i canali e i rii interni compresi nell’abitato della città di Venezia e delle isole maggiori sono esclusi da quelli costituenti la laguna vera e propria e dalle opere costituenti il porto, con ufficio simile a vie ordinarie nell’abitato urbano e con giurisdizione esclusiva del Comune, che è l’unico soggetto competente a rilasciare concessioni ad essi relative (anche se è prevista una riserva dei diritti del pubblico demanio, da intendere nel senso che postula il diritto di intromissione circa la loro manutenzione solo ai fini del riflesso che questa può comportare sulla conservazione della laguna vera e propria, come confermato dalla l. n. 366/1963). La consegna dei canali e rii al Comune ha comportato, secondo il T.A.R., che il soggetto pubblico titolare dell’interesse alla demanialità di essi è stato riconosciuto nell’ente locale in funzione dell’uso degli stessi, cioè di vie ordinarie dell’abitato urbano, con loro ascrivibilità al demanio stradale più che a quello marittimo, considerato che l’art. 822, comma 2, del c.c., che non li menziona tra quelli appartenenti al demanio accidentale, è interpretabile estensivamente; ciò considerato che l’aggiunta operata dal d.l. n. 96/1995 non appare introdurre una deroga alla esenzione dal demanio stradale, ma una puntualizzazione a conferma dell’assoggettamento dei canali alla tassa al pari delle altre vie e dei beni del demanio comunale. Ritiene la Sezione V del Consiglio di Stato che le tesi propugnate dal primo Giudice siano condivisibili ed immuni dalle censure formulate con l’atto di appello. Che la laguna di Venezia appartenga al demanio marittimo è indubbio. Infatti la generale individuazione legislativa dei beni del demanio marittimo è contenuta nell'art. 822 c.c., che indica: il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti, e più specificamente nell'art. 28 del c. nav., secondo cui appartengono al demanio marittimo: "a) il lido, la spiaggia, i porti e le rade; b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell'anno comunicano liberamente col mare; c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo". Secondo l’art. 1 del r.d.l. n. 1853/1936, abrogato dall'articolo 31, comma 1, della legge 5 marzo 1963, n. 366, “La laguna di Venezia è costituita dal bacino demaniale di acqua salsa che si estende dalla foce del Sile (conca del cavallino) alla foce del Brenta (conca di brondolo) ed è compreso fra il mare e la terra ferma. Essa è separata dal mare da una lingua naturale di terra fortificata per lunghi tratti artificialmente, in cui sono aperte tre bocche o porti ed è limitata verso terra ferma da una linea di confine marcata da appositi cippi o pilastri di muro segnati con numeri progressivi”. Deve tuttavia ritenersi che la estensione del demanio marittimo necessario sia determinata da eventi naturali e che vari al variare di essi, sicché le operazioni che l'autorità effettua per delimitare detto demanio hanno valore puramente dichiarativo; i beni del demanio marittimo necessario sono pertanto tali se ed in quanto ordinati agli usi del mare e, a seconda che acquistino o perdano l'attitudine a servire a tali usi, acquistano o sperdono il carattere di bene demaniale. È pertanto l'attitudine a servire ai c.d. "usi del mare" (navigazione, diporto, pesca, balneazione, ecc.) a costituire il criterio delimitativo dell'estensione dei beni demaniali marittimi e tale funzione costituisce la “ratio” e il limite per l'affermazione del loro carattere demaniale. Quindi per tutti i beni facenti parte del demanio marittimo il punto essenziale dell'indagine che riguarda la identificazione del bene come appartenente a tale categoria giuridica deve essere incentrato sull'elemento funzionale, cioè sulla idoneità del bene a realizzare gli interessi che attengono ai pubblici usi del mare (in tal senso, cfr. Cassazione civile, sez. II, 6 giugno 2012, n. 9118; Cass. n. 15846 del 2011). Anche se tra gli usi pubblici del mare sono di norma compresi la navigazione, l'accesso, l'approdo e la tirata in secco dei natanti, come può avvenire anche lungo i canali interni ed i rii di cui trattasi, la possibilità di utilizzare esse aree per la navigazione, essendo imposto l'uso di piccole imbarcazioni a fondo piatto per gli spostamenti lungo gli stessi, non potrebbe essere riferita agli usi precipui del mare, perché ben diverse devono essere le imbarcazioni professionali o da diporto che possono essere utilizzate in mare per la vera e propria navigazione. Pure deve escludersi che sia nei canali possibile il normale esercizio di altri usi pubblici del mare, come la pesca, la balneazione, ecc.. E’ quindi escluso il carattere di demanio marittimo della parte della laguna di Venezia non utilizzata precipuamente secondo gli usi pubblici del mare. Orbene, in linea con detto criterio di differenziazione tra demanio marittimo necessario e le zone da esso escluse, sono intervenute disposizioni come il R.D. n. 1040/1872 e il R.D. n. 5629/1888, integrato dal R.D. n. 721/2904, che hanno escluso i canali e rivi interni della città di Venezia dal novero di quelli esistenti in laguna, considerandoli di esclusivo interesse del Comune, soggetti alla sua giurisdizione e manutenzione. Tanto comporta la equiparazione di detti canali interni più a vie di comunicazione acquea e quindi a strade, includibili nel demanio comunale stradale (invece che nel demanio marittimo) relativamente al quale, ex art. 822, comma 2, e 824 del c.c., i Comuni sono titolari del relativo diritto....Invero è incontrovertibile che il pagamento del canone di concessione è relativo allo specchio d’acqua occupato dalle terrazze costruite sul canale, a prescindere dalla proprietà delle stesse e dai costi di realizzazione, che sono da affrontare anche in caso di occupazione con plateatici posti su pedane sulle pubbliche vie, senza che le relative spese vengano sottratte da quanto dovuto a titolo di canone di occupazione; inoltre non può sussistere disparità di trattamento rispetto alle occupazioni di canali con posti barca, sia per la precarietà anche temporale di tali ultime occupazioni rispetto a quella effettuata con dette terrazze, sia perché i natanti ormeggiati non sono stabilmente infissi a terra e collegati con continuità con le pubbliche vie, cui non sono di certo assimilabili, come invece dette terrazze.
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