Monday 07 April 2014 18:38:18

Giurisprudenza  Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa

Messi di conciliazione: niente indennità di trasferta al Corpo di Polizia municipale se il Comune ha soppresso il ruolo di messo facendo rientrare tali prestazioni nel mansionario dei Vigili Urbani

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 13.3.2014

La disciplina invocata da parte ricorrente riguardava, quindi, i dipendenti muniti della specifica qualifica di messi comunali, laddove gli interessati tali non sono, appartenendo invece al Corpo di Polizia municipale. La controversia verte sulla pretesa degli appellanti di vedersi riconosciuta l’indennità di trasferta prevista dall’art. 9, comma 5, della legge 21 febbraio 1989, n. 99, che recitava: “Al messo di conciliazione, dipendente dell’amministrazione comunale, che svolge la relativa attività in modo esclusivo e con impegno quotidiano e continuativo è dovuto solo il rimborso delle eventuali spese postali ed il pagamento dell’indennità di trasferta.” Gli interessati allegano -appunto- di avere prestato l’attività di messi di conciliazione in modo esclusivo e con impegno quotidiano e continuativo, e lamentano che l’Amministrazione, pur avendo loro rimborsato le spese postali, non abbia riconosciuto la suddetta indennità. La Sezione deve però mettere subito in evidenza che i ricorrenti appartengono al Corpo di Polizia municipale. Invero, presso il Comune di Torino sin dal 1982 il ruolo dei messi comunali e dei messi di conciliatura è stato soppresso, i dipendenti interessati ammessi ad optare per i servizi amministrativi oppure il Corpo dei Vigili Urbani, e le funzioni un tempo proprie dei messi sono state attribuite al medesimo Corpo (cfr. gli artt. 1, quinto alinea, 8 ult. comma, 10, ult. alinea, ed 11 sub 4 del relativo Regolamento organico). Tanto premesso, ancor prima di verificare il carattere esclusivo oppure solo occasionale del disimpegno delle attività di messo da parte dei singoli ricorrenti, occorre allora accertare se nel caso concreto ricorrano le condizioni per l’applicazione della disciplina da loro invocata. La normativa dell’art. 9 legge cit., infatti, come esattamente obietta la difesa municipale, si riferiva agli appartenenti alla categoria dei messi di conciliazione (presso il Comune appellato, tuttavia, soppressa con deliberazione del 1981), vale a dire al personale dipendente che rivestiva proprio la relativa qualifica specifica, con la funzione di integrare le regole attinenti al suo trattamento economico mediante l’aggiunta di un’apposita voce indennitaria alla sua remunerazione di base. La disciplina invocata da parte ricorrente riguardava, quindi, i dipendenti muniti della specifica qualifica di messi comunali, laddove gli interessati tali non sono, appartenendo invece al Corpo di Polizia municipale. Né vale l’invito di parte appellante a non farsi fuorviare dalla qualifica formale rivestita dagli interessati (Vigile urbano o Sottufficiale Vigile). Presso l’Amministrazione comunale di Torino, infatti, le prestazioni del messo rientrano, per quanto si è detto, nel mansionario dei Vigili Urbani, costituendo una delle possibili attività d’istituto dei componenti del Corpo. E come tali vengono retribuite. L’appartenenza al Corpo si rivela allora incompatibile con il conseguimento del trattamento che in questa sede viene rivendicato, dal momento che la prima porta già con sé un trattamento economico speciale correlato alle funzioni svolte. Qualora, per converso, le mansioni in discorso fossero assunte come utili a far cumulare trattamenti economici diversi, ciascuno dei quali inteso a cogliere e remunerare la specificità delle mansioni medesime, fin troppo evidente è che ciò realizzerebbe un’inammissibile duplicazione, ossia un beneficio privo di giustificazione. Le considerazioni che precedono comprovano, pertanto, l’infondatezza della pretesa principale degli attuali appellanti, imponendo la conferma, con la motivazione esposta, della decisione reiettiva assunta dal Tribunale. Per continuare nella lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale* del 2002, proposto da *********

contro

Comune di Torino, rappresentato e difeso dagli avv. Massimo Colarizi e Mariamichaela Li Volti, con domicilio eletto presso il primo in Roma, viale Bruno Buozzi 87; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PIEMONTE, SEZIONE II, n. */2002, resa tra le parti, concernente corresponsione somme su indennità di trasferta.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2014 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti l’avv. Gabriele Pafundi, su delega dell'avv. Roberto Carapelle, e l’avv. Maria Michaela Di Volti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

I nominati in epigrafe, dipendenti del Comune di Torino, premessa la loro qualità di messi di conciliazione e l’assunto di svolgere la relativa attività in modo quotidiano, continuativo ed esclusivo, lamentavano il mancato riconoscimento da parte dell’Amministrazione dell’indennità di trasferta prevista dall’art. 9, comma 5, della legge 21 febbraio 1989 n. 99 per il periodo successivo alla data di entrata in vigore della stessa fonte (la quale sarebbe stata poi abrogata il 1° luglio 2002).

Domandavano, quindi, la condanna dell’Amministrazione al pagamento delle somme loro conseguentemente dovute, con interessi e rivalutazione monetaria.

Resisteva al ricorso il Comune di Torino.

Il Tribunale adìto, con la sentenza n.*/2002, respingeva il ricorso.

Veniva infatti osservato che presso il Comune di Torino le funzioni di messo venivano svolte dagli appartenenti al Corpo di Polizia municipale. Da ciò si desumeva, ad avviso del T.A.R., l’esclusione della possibilità di ravvisare, nell’esercizio da parte dei ricorrenti dell’attività in rilievo, il requisito dell’esclusività, che avrebbe presupposto, ai fini dell’art. 9, comma 5, legge cit., che il dipendente fosse del tutto privo di altri incarichi (e non solo temporaneamente sollevato dal loro esercizio), rivestendo una posizione formale che lo liberava da qualsiasi ulteriore impegno lavorativo.

Il Tribunale prendeva infine in esame la domanda, formulata da parte ricorrente solo con memoria non notificata del 7 giugno 2002, di vedersi riconosciute, in via subordinata, le provvidenze previste dal comma 4 dello stesso art. 9 per il caso dello svolgimento delle medesime funzioni di messo solo in via accessoria e saltuaria, e concludeva in proposito per l’inammissibilità della richiesta, siccome diretta ad ampliare ilpetitum originario senza essere stata notificata alla controparte.

Seguiva l’appello dei soccombenti avverso tale decisione dinanzi a questa Sezione.

Con il nuovo gravame si addebitava al primo Giudice di avere travisato il senso delle risultanze istruttorie, dalle quali (con particolare riguardo alle tabelle riassuntive prodotte dal Comune) sarebbe emerso che (quasi) tutti i ricorrenti avevano disimpegnato quella di messo come attività di servizio continuativa ed esclusiva.

Veniva inoltre precisato che l’esercizio dell’attività di messo non era meramente consequenziale alla qualifica di Vigile urbano ma necessitava di un’apposita delega, che veniva conferita specificamente solo ad alcuni Vigili, i quali soltanto venivano quindi autorizzati all’esercizio delle relative funzioni.

Infine, con apposito mezzo veniva contestata la declaratoria di inammissibilità che aveva colpito la domanda subordinata riflettente le provvidenze previste dal comma 4 dell’art. 9 cit. per il caso dell’esercizio solo saltuario delle funzioni di messo. Il T.A.R. avrebbe erroneamente applicato al riguardo il principio della domanda, in quanto quella proposta era, al più, solo un’emendatio libelli (essendo compito del Giudice quello di individuare le norme applicabili ai fatti introdotti in giudizio dall’attore), e non una sua inammissibile mutatio.

Il Comune si costituiva in giudizio anche in questo grado in resistenza alle pretese avversarie, delle quali deduceva l’infondatezza, difendendo la correttezza della sentenza appellata. La difesa municipale faceva notare, tra l’altro, che gli interessati, grazie alla loro appartenenza al Corpo di Polizia municipale, godevano già, oltre che dell’ordinario trattamento economico comunale, anche delle specifiche indennità contrattualmente riconosciute per le relative, particolari funzioni (obiezione che non veniva contraddetta).

Le parti riprendevano e sviluppavano le rispettive tesi con successive memorie e scritti di replica.

Alla pubblica udienza del 18 febbraio 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

L’appello è infondato.

1 La controversia verte sulla pretesa degli appellanti di vedersi riconosciuta l’indennità di trasferta prevista dall’art. 9, comma 5, della legge 21 febbraio 1989, n. 99, che recitava: “Al messo di conciliazione, dipendente dell’amministrazione comunale, che svolge la relativa attività in modo esclusivo e con impegno quotidiano e continuativo è dovuto solo il rimborso delle eventuali spese postali ed il pagamento dell’indennità di trasferta.”

Gli interessati allegano -appunto- di avere prestato l’attività di messi di conciliazione in modo esclusivo e con impegno quotidiano e continuativo, e lamentano che l’Amministrazione, pur avendo loro rimborsato le spese postali, non abbia riconosciuto la suddetta indennità.

2a La Sezione deve però mettere subito in evidenza che i ricorrenti appartengono al Corpo di Polizia municipale.

Invero, presso il Comune di Torino sin dal 1982 il ruolo dei messi comunali e dei messi di conciliatura è stato soppresso, i dipendenti interessati ammessi ad optare per i servizi amministrativi oppure il Corpo dei Vigili Urbani, e le funzioni un tempo proprie dei messi sono state attribuite al medesimo Corpo (cfr. gli artt. 1, quinto alinea, 8 ult. comma, 10, ult. alinea, ed 11 sub 4 del relativo Regolamento organico).

2b Tanto premesso, ancor prima di verificare il carattere esclusivo oppure solo occasionale del disimpegno delle attività di messo da parte dei singoli ricorrenti, occorre allora accertare se nel caso concreto ricorrano le condizioni per l’applicazione della disciplina da loro invocata.

2c La normativa dell’art. 9 legge cit., infatti, come esattamente obietta la difesa municipale, si riferiva agli appartenenti alla categoria dei messi di conciliazione (presso il Comune appellato, tuttavia, soppressa con deliberazione del 1981), vale a dire al personale dipendente che rivestiva proprio la relativa qualifica specifica, con la funzione di integrare le regole attinenti al suo trattamento economico mediante l’aggiunta di un’apposita voce indennitaria alla sua remunerazione di base.

La disciplina invocata da parte ricorrente riguardava, quindi, i dipendenti muniti della specifica qualifica di messi comunali, laddove gli interessati tali non sono, appartenendo invece al Corpo di Polizia municipale.

2d Né vale l’invito di parte appellante a non farsi fuorviare dalla qualifica formale rivestita dagli interessati (Vigile urbano o Sottufficiale Vigile).

Presso l’Amministrazione comunale di Torino, infatti, le prestazioni del messo rientrano, per quanto si è detto, nel mansionario dei Vigili Urbani, costituendo una delle possibili attività d’istituto dei componenti del Corpo. E come tali vengono retribuite.

L’appartenenza al Corpo si rivela allora incompatibile con il conseguimento del trattamento che in questa sede viene rivendicato, dal momento che la prima porta già con sé un trattamento economico speciale correlato alle funzioni svolte.

Qualora, per converso, le mansioni in discorso fossero assunte come utili a far cumulare trattamenti economici diversi, ciascuno dei quali inteso a cogliere e remunerare la specificità delle mansioni medesime, fin troppo evidente è che ciò realizzerebbe un’inammissibile duplicazione, ossia un beneficio privo di giustificazione.

2e Le considerazioni che precedono comprovano, pertanto, l’infondatezza della pretesa principale degli attuali appellanti, imponendo la conferma, con la motivazione esposta, della decisione reiettiva assunta dal Tribunale.

3 Ci si deve ora occupare della declaratoria di inammissibilità che ha colpito la domanda di parte relativa alle provvidenze previste dai commi 3 e 4 del citato art. 9 per il caso dell’esercizio solo in forma accessoria e saltuaria delle stesse funzioni di messo, giudizio fondato sulla ragione che la domanda era stata introdotta solo con una semplice memoria non notificata alla controparte.

3a L’avviso di parte appellante è che il T.A.R. sarebbe incorso in errore, in quanto è compito del Giudice quello di individuare le norme applicabili ai fatti introdotti in giudizio dall’attore; quella proposta, inoltre, sarebbe stata al più solo una emendatio libelli, e non una sua inammissibile mutatio.

3b La decisione del Tribunale non merita censura.

3c E’ il caso di ricordare il testo dei commi dell’articolo 9 che vengono qui in rilievo.

“ … 3. Al messo di conciliazione, non dipendente comunale, e' dovuto il rimborso delle spese postali eventualmente sostenute ed il pagamento dei diritti e delle indennità indicati nell'articolo 2 del decretolegislativo luogotenenziale 1› febbraio 1946, n. 122, modificato dalla legge 3 febbraio 1957, n. 16.

4. Le stesse somme spettano al messo di conciliazione, dipendente dell'amministrazione comunale, che svolge la relativa attività in modo accessorio e saltuario.

5. Al messo di conciliazione, dipendente dell'amministrazione comunale, che svolge la relativa attività in modo esclusivo e con impegno quotidiano e continuativo e' dovuto solo il rimborso delle eventuali spese postali ed il pagamento dell'indennità di trasferta.”

3d Ciò posto, va osservato che con il ricorso di prime cure era stata inequivocabilmente invocata in giudizio l’applicazione del (solo) comma 5 dell’articolo in esame, avendo gli interessati rivendicato l’indennità di trasferta da questo prevista, e coerentemente allegato di avere operato quali messi in modo quotidiano ed esclusivo.

3e A tale domanda con la memoria del 7 giugno 2002 ne è stata affiancata una nuova, introdotta in chiave subordinata. Essa aveva appunto per oggetto le specifiche voci retributive previste dal combinato disposto dei commi 3 e 4 dell’articolo, e quale fondamento l’innovativo assunto degli interessati di avere svolto, sempre quali dipendenti dell'amministrazione comunale, l’attività di messi di conciliazione, stavolta, “in modo accessorio e saltuario”.

3f Occorre allora tratteggiare i rapporti intercorrenti fra le due domande.

In proposito, la Sezione desidera subito evidenziare che la nuova domanda, lungi dal differenziarsi dalla precedente solo per la diversità della normativa invocata, si basava anche su un’allegazione di fatti nuovi rispetto a quelli originariamente introdotti in giudizio: ossia lo svolgimento dell’attività di messo di conciliazione non più “in modo esclusivo e con impegno quotidiano e continuativo”, bensì solo “in modo accessorio e saltuario”.

L’incompatibilità logica tra l’una e l’altra condizione (la prima caratterizzata dalla nota dell’esclusività, la seconda dall’assenza di questa) esclude, inoltre, che la domanda subordinata potesse essere ritenuta già ricompresa ab origine nell’ambito della domanda introduttiva.

Le due domande si differenziavano, infine, anche nel petitum: quella originaria aveva ad oggetto la sola indennità di trasferta; la domanda nuova verteva, dal canto suo, sul “pagamento dei diritti e delle indennità indicati nell'articolo 2 del decreto legislativo luogotenenziale 1› febbraio 1946, n. 122, modificato dalla legge 3 febbraio 1957, n. 16.”

3g Per quanto precede, il novum contrassegnante la domanda subordinata di parte non può essere neutralizzato attraverso un richiamo al canone jura novit curia, tale novum concernendo non solo il “diritto” a base della pretesa dedotta ma, ancor prima, anche il suo “fatto” (che non consisteva più in un rapporto continuativo ed esclusivo bensì, all’opposto, saltuario).

E poiché quella proposta in corso di giudizio era una vera e propria domanda nuova, autonoma dalla precedente e a questa aggiuntiva (per quanto di rango subordinato), la sua introduzione non poteva che avvenire, secondo il ben noto principio del contraddittorio, con un atto ritualmente notificato alla controparte.

Da qui l’ineluttabilità della conferma della decisione appellata anche sotto questo profilo.

4 Per le ragioni esposte l’appello deve dunque essere respinto, siccome infondato.

La spese processuali del presente grado di giudizio sono liquidate secondo la soccombenza dal seguente dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo respinge.

Condanna gli appellanti in solido al rimborso al Comune di Torino delle spese processuali, che liquida nella misura complessiva di euro duemila, oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Alessandro Pajno, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore

Fabio Franconiero, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 13/03/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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