Sunday 30 June 2013 09:47:02
Giurisprudenza Giustizia e Affari Interni
Consiglio di Stato
Il concetto di elusione del giudicato miri a stigmatizzare una vicenda particolarmente “maliziosa sconveniente”, caratterizzata dall’aspetto defatigante e insidioso, che permette all’amministrazione, in illusorio falso ossequio alla decisione del giudice, di rivedere le proprie determinazione in senso asseritamente rispettoso, ma fondamentalmente contrario alla statuizione giurisdizionale. Si tratta di un fenomeno che ha attirato l’attenzione del Consiglio di Stato, che lo ha spesso osservato in una pluralità di espressioni, evidenziando come, anche in chiave semantico - lessicale, l'elusione configuri un fenomeno diverso dall'aperta violazione del decisum, venendo ad emersione in quei casi in cui l'amministrazione, pur formalmente provvedendo a dare esecuzione ai precetti rivenienti dal giudicato, tenda in realtà a perseguire l'obiettivo di aggirarli sul piano sostanziale, in modo da pervenire surrettiziamente al medesimo esito già ritenuto illegittimo. La giurisprudenza che si registra in materia rileva che il vizio in questione sussiste laddove l'amministrazione, piuttosto che riesercitare la propria potestà discrezionale in conclamato contrasto con il contenuto precettivo del giudicato amministrativo, cerchi di realizzare il medesimo risultato con un'azione connotata da un manifesto sviamento di potere, mediante l'esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in palese carenza dei presupposti che la giustificano (in questi sensi, Consiglio di Stato sez. IV, 21 novembre 2012 n. 5903; id., 1 aprile 2011, n. 2070). È quindi evidente, agli occhi del giudice, come il fenomeno in sé si caratterizzi dal punto di vista sostanziale, ossia in relazione al risultato raggiunto, che è oggettivamente contrario al decisum (in una ottica vicina alle posizioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, su cui vedi sentenza 18 novembre 2004, Zazanis c. Grecia, recentemente richiamata in Consiglio di Stato ad. plen., 15 gennaio 2013 n. 2), più che dal punto di vista formale dell’illegittimità dei singoli atti che sostanziano l’elusione. In effetti, impiegando un concetto che la dottrina amministrativista ha mutuato da quella civilista, si assiste qui a una vera e propria operazione amministrativa, condotta dal soggetto pubblico che, con uno o più atti diversi, consegue un risultato vietato dall’ordinamento, secondo uno schema normativo che ha un suo prototipo disciplinare nella fattispecie regolata dall’art. 1344 codice civile. Il che implica, in primis, una constatazione di tipo ontologico e, conseguentemente, un’immediata influenza sul modus agendi del giudicante. Dal primo punto di vista, la ricostruzione del fenomeno elusivo passa attraverso la complessiva disamina dell’insieme di atti e comportamenti tenuti dall’amministrazione, per cui appare recessiva il criterio discretivo basato sulla legittimità del singolo provvedimento, dovendosi invece valutare l’insieme degli atti adottati, in relazione al risultato finalmente ottenuto e non potendosi neppure escludere, in via di principio, che il risultato elusivo consegua ad atti singolarmente non viziati. Tale logica appare direttamente derivata dalla previsione normativa data dall’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990. Infatti, è in tale “ambiente” che il legislatore, inquadrando il fenomeno dell’elusione e della violazione del giudicato nel tema della nullità, e non dell’annullabilità, del provvedimento amministrativo, ne modifica i connotati essenziali, sottoponendolo ad una diversa disciplina e allontanandolo dal regime decadenziale vigente per impugnativa degli atti meramente illegittimi. Dal secondo punto di vista, quello delle modalità di scrutinio giurisdizionale, proprio perché il regime disciplinare muta a seconda della tipologia di vizio di cui è affetto l’atto, trasmutandosi dalla mera illegittimità alla più grave e tranciante nullità, la prima fase dell’accertamento devoluto al giudice è quello dell’esatta qualificazione della patologia lamentata dalla parte, al fine di poter concretamente applicare il regime conseguente. Proprio perché tale accertamento avviene in una fase di “azzardo” conoscitivo, l’applicazione immediata del meccanismo dell’irrecivibilità si dimostra una vera fallacia, atteso che esso applica una norma valevole generalmente per i casi di vizi di illegittimità ad una fattispecie in cui non è ancora accertato quale sia la disciplina invocabile.
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