Friday 13 February 2015 08:20:16
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 9.2.2015
Il corpus della disciplina espropriativa valevole nel caso dei beni culturali è stato oggetto di disamina da parte di questo Consiglio (da ultimo, vedi sez. VI, 11 maggio 2011 n. 2792), evidenziando come il D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, di seguito Codice) preveda negli articoli 95, 96 e 97 tre fattispecie di espropriazione che, volte tutte ad assicurare l'interesse pubblico alla salvaguardia del patrimonio culturale, si distinguono per l'articolazione di tale interesse secondo fini specifici, idonei, in ciascuna delle fattispecie, a legittimare il sacrificio della proprietà privata.L'ablazione della proprietà è, infatti, consentita, con l'art. 95 ("Espropriazione di beni culturali", di beni "immobili e mobili"), se sussiste "un importante interesse" al fine di "migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi" (comma 1), con l'art. 96 ("Espropriazione per fini strumentali"), se l'esproprio di "edifici ed aree" è necessario per "isolare o restaurare beni culturali immobili" per "assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescere il decoro o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l'accesso", con l'art. 97 ("Espropriazione per interesse archeologico", di "immobili"), "al fine di eseguire interventi di interesse archeologico o ricerche per il ritrovamento delle cose indicate nell'articolo 10" (e perciò di rinvenire anche reperti non archeologici).Le specificità della fattispecie dell'art. 95 sono dunque le seguenti: oggetto dell'esproprio è un bene già qualificato come bene culturale, che può anche essere un bene mobile; scopo primario dell'espropriazione è anzitutto l'acquisizione del bene, per la sua migliore fruizione, e non la realizzazione di un'opera con effetto di trasformazione del territorio (comma 1); il Ministero ha la facoltà di autorizzare gli enti locali, su loro richiesta, ad effettuare l'espropriazione, ferma la dichiarazione di pubblica utilità da parte del Ministero stesso (comma 2).Nelle due altre fattispecie: il bene da espropriare non è di per sé tale ma è in rapporto con un bene culturale (in atto ai sensi dell'art. 96, ovvero in via potenziale ai sensi dell'art. 97) ed è sempre un bene immobile; lo scopo primario è quello di eseguire un'opera o un intervento con trasformazione dell'area; il procedimento non prevede fasi in capo ad enti territoriali non regionali.A tali specificità della fattispecie dell'art. 95 si correla la specialità del relativo procedimento di espropriazione rispetto a quello disciplinato in via generale dal d.P.R. n. 327 del 2001, relativo alla espropriazione di immobili, o diritti relativi, per l'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, come risulta confermato dall'art. 100 del Codice, che riferisce l'applicazione delle "disposizioni generali in materia di espropriazione per pubblica utilità", in quanto compatibili, ai "casi di espropriazione disciplinati dagli articoli 96 e 97", non citando l'art. 95, e dall'art. 52 del d.P.R. n. 327 del 2001, che, in riferimento ai pertinenti articoli del Testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali vigente all'epoca, dispone che "Nei casi di espropriazione per fini strumentali e per interesse archeologico, previsti dagli articoli 92, 93 e 94 del testo unico approvato con il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, si applicano in quanto compatibili le disposizioni del presente testo unico", non venendo anche qui citata la corrispondente disposizione sulla espropriazione dei beni culturali (art. 91). Per continuare la lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello n. 2708 del 2014, proposto dal
Comune di Solopaca, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Lamberti, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, viale dei Parioli n. 67, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;
contro
Nicola Giambattista e Antonio Giambattista, rappresentati e difesi dagli avv.ti Sabato Perna, Alessandro Tanzillo, Rita Scopa e Lucia Cerqua, ed elettivamente domiciliati, unitamente ai difensori, presso l’avv. Vito Sola in Roma, via Ugo De Carolis n. 31, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;
nei confronti di
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del ministro legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n.12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione quinta, n. 6050 del 28 dicembre 2013, resa tra le parti e concernente la dichiarazione di pubblica utilità dell'espropriazione a favore del Comune di un immobile
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 novembre 2014 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Antonio Lamberti, Rita Scopa e l'avvocato dello Stato Palatiello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 2708 del 2014, il Comune di Solopaca propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione quinta, n. 6050 del 28 dicembre 2013 con la quale è stato accolto il ricorso proposto da Nicola Giambattista e Antonio Giambattista per l'annullamento del decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali del 22/3/2011 di declaratoria della pubblica utilità dell’espropriazione a favore del Comune dell’immobile denominato “Torre e la base di Torre Circolare”, nonché di tutti gli atti presupposti.
Dinanzi al giudice di prime cure, esponevano in fatto i ricorrenti di essere comproprietari di fabbricato di due piani oltre soppalco e mansarda e belvedere in Solopaca alla Piazza Castello di cui al fl.15 p.lla 271 sub 1,2,3 e 4, riparato e ricostruito dopo gli eventi sismici 1980-1981, sul quale il Ministero con decreto del 1988 apponeva il vincolo ex Legge n.1089/1939 a seguito della rilevazione della presenza della base di una torre medioevale; veniva allora presentato un nuovo progetto di ricostruzione ex Legge n.219/1981 che prevedeva la valorizzazione e la fruibilità per il pubblico del bene monumentale rinvenuto, sul quale per oltre un decennio il Comune non si è mai pronunciato. Dopo un lungo iter, con decreto del 3/9/2007 il Comune espropriava i beni immobili dei ricorrenti necessari per la realizzazione dell’opera di riqualificazione urbana Piazza Castello lato Sud Ovest, ma il T.A.R. con sentenza n.820 del 2008 annullava gli atti espropriativi auspicando un accordo ex art.15 della Legge n.241/1990, mentre con sentenza n.3402 del 2010 annullava il decreto ministeriale del 14/10/2008 di declaratoria della pubblica utilità dell’espropriazione a favore del Comune dell’immobile in questione. Da ultimo, dopo che il Comune aveva nuovamente richiesto al Ministero l’emanazione di un provvedimento di pubblica utilità, è stato adottato il decreto del 22/3/2011 oggetto di nuove impugnazione.
L’Avvocatura Distrettuale dello Stato si costituiva per resistere al ricorso depositando documentazione, mentre il Comune di Solopaca effettuava una compiuta ricostruzione in fatto replicando ai singoli motivi di ricorso.
Con ordinanza presidenziale, il T.A.R. disponeva una consulenza tecnica d’ufficio che, con riguardo alle vicende in contestazione, previa esatta ricostruzione dei fatti ed individuazione dell’area di cui al presente gravame, accertasse – anche dal punto di vista tecnico – la fondatezza delle censure dedotte in sede ricorsuale e, in particolare, delle circostanze dedotte dal Comune secondo cui l’area sarebbe ricettacolo d’immondizia e il progetto successivo sarebbe risultato migliorativo sotto i profili della garanzia della fruizione pubblica e della liberazione del rudere dalla servitù del ripristino di un volume edilizio di superfetazione ormai demolito, nonché della sussistenza del vincolo preordinato all’esproprio, previa esatta ricostruzione dei fatti ed individuazione dell’area di cui al presente gravame, quantificasse i danni a vario titolo provocati e relativi sia al valore per anno di occupazione per ogni singola superficie, sia all’occupazione illegittima, anche con riferimento ad altre perizie di stima per suoli vicini a quelli oggetto di occupazione, ciò al fine della stima del valore del fondo in contestazione; successivamente è stata depositata la relazione di consulenza.
Alla udienza pubblica del 12 dicembre 2013 la causa è stata chiamata e decisa con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le censure proposte, sottolineando l’illegittimità dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione alla mancanza del vincolo preordinato all'esproprio, che comportava l’illegittimità della dichiarazione di pubblica utilità.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, in relazione all’effettiva esistenza di un provvedimento di vincolo.
Nel giudizio di appello, si è costituita l’Avvocatura dello Stato per il Ministero per i beni e le attività culturali, in posizione adesiva a quella del Comune, nonché Nicola Giambattista e Antonio Giambattista, che chiedono di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
All’udienza del 29 aprile 2014, l’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza n. 1749/2014.
Alla pubblica udienza del 18 novembre 2014, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.
DIRITTO
1. - L’appello è fondato e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.
2. - In via preliminare, va ribadita la sussistenza di un interesse all’appello da parte del Comune di Solopaca, in quanto destinatario di un diritto sul bene oggetto dell’espropriazione. Se, infatti, in giurisprudenza (vedi Consiglio di Stato, sez. IV, 18 marzo 2008 n. 1163) si evidenzia che il beneficiario della procedura, non prendendo parte all’esercizio dei poteri espropriativi, non risponde dei danni in tal modo arrecati, è peraltro vero che questi è titolare di un interesse diretto alla conservazione dell’utilità ricevuta dalla procedura stessa, consistente del diritto esercitabile a seguito della conclusione della fase ablatoria.
Tale situazione, nel caso in esame, è direttamente evincibile dal decreto impugnato, che evidenzia un doppio interesse tutelabile, di tipo soggettivo, atteso che l’espropriazione è disposta in favore del Comune, e di tipo funzionale, visto che è decisa per consentire la fruizione pubblica del bene.
3. - Venendo al merito della questione, occorre evidenziare come la ragione dedotta in sentenza a suffragare l’annullamento degli atti gravati, ossia l’inesistenza di un vincolo preordinato all’esproprio, sia smentita in fatto dalla documentazione proposta dalle parti.
Osserva la Sezione come il corpus della disciplina espropriativa valevole nel caso dei beni culturali è stato oggetto di disamina da parte di questo Consiglio (da ultimo, vedi sez. VI, 11 maggio 2011 n. 2792), evidenziando come il D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, di seguito Codice) preveda negli articoli 95, 96 e 97 tre fattispecie di espropriazione che, volte tutte ad assicurare l'interesse pubblico alla salvaguardia del patrimonio culturale, si distinguono per l'articolazione di tale interesse secondo fini specifici, idonei, in ciascuna delle fattispecie, a legittimare il sacrificio della proprietà privata.
L'ablazione della proprietà è, infatti, consentita, con l'art. 95 ("Espropriazione di beni culturali", di beni "immobili e mobili"), se sussiste "un importante interesse" al fine di "migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi" (comma 1), con l'art. 96 ("Espropriazione per fini strumentali"), se l'esproprio di "edifici ed aree" è necessario per "isolare o restaurare beni culturali immobili" per "assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescere il decoro o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l'accesso", con l'art. 97 ("Espropriazione per interesse archeologico", di "immobili"), "al fine di eseguire interventi di interesse archeologico o ricerche per il ritrovamento delle cose indicate nell'articolo 10" (e perciò di rinvenire anche reperti non archeologici).
Le specificità della fattispecie dell'art. 95 sono dunque le seguenti: oggetto dell'esproprio è un bene già qualificato come bene culturale, che può anche essere un bene mobile; scopo primario dell'espropriazione è anzitutto l'acquisizione del bene, per la sua migliore fruizione, e non la realizzazione di un'opera con effetto di trasformazione del territorio (comma 1); il Ministero ha la facoltà di autorizzare gli enti locali, su loro richiesta, ad effettuare l'espropriazione, ferma la dichiarazione di pubblica utilità da parte del Ministero stesso (comma 2).
Nelle due altre fattispecie: il bene da espropriare non è di per sé tale ma è in rapporto con un bene culturale (in atto ai sensi dell'art. 96, ovvero in via potenziale ai sensi dell'art. 97) ed è sempre un bene immobile; lo scopo primario è quello di eseguire un'opera o un intervento con trasformazione dell'area; il procedimento non prevede fasi in capo ad enti territoriali non regionali.
A tali specificità della fattispecie dell'art. 95 si correla la specialità del relativo procedimento di espropriazione rispetto a quello disciplinato in via generale dal d.P.R. n. 327 del 2001, relativo alla espropriazione di immobili, o diritti relativi, per l'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, come risulta confermato dall'art. 100 del Codice, che riferisce l'applicazione delle "disposizioni generali in materia di espropriazione per pubblica utilità", in quanto compatibili, ai "casi di espropriazione disciplinati dagli articoli 96 e 97", non citando l'art. 95, e dall'art. 52 del d.P.R. n. 327 del 2001, che, in riferimento ai pertinenti articoli del Testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali vigente all'epoca, dispone che "Nei casi di espropriazione per fini strumentali e per interesse archeologico, previsti dagli articoli 92, 93 e 94 del testo unico approvato con il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, si applicano in quanto compatibili le disposizioni del presente testo unico", non venendo anche qui citata la corrispondente disposizione sulla espropriazione dei beni culturali (art. 91).
4. - Dalla disamina appena svolta, appare quindi del tutto incongrua la valutazione operata dal primo giudice che, in relazione ad una fattispecie così specificamente connotata, ha applicato la disciplina ordinaria dell’espropriazione al di fuori dei casi espressamente richiamati.
Nel caso in esame, infatti, sussistono tutti gli elementi per la diretta applicazione del citato art. 95 e, in particolare: a) l’oggetto dell'esproprio è un bene già qualificato come bene culturale, sulla scorta del sopra evocato D.M. 28 gennaio 1988, che gravava sulle particelle di proprietà degli attuali appellati; b) la funzione dell'espropriazione è stata espressamente rispettata, essendo stata funzionalizzata l'acquisizione del bene ad una migliore fruizione pubblica, tramite un progetto di riqualificazione; c) il Ministero ha fatto uso della facoltà di autorizzare gli enti locali, su loro richiesta, ad effettuare l'espropriazione, conservandosi le attribuzioni in tema di dichiarazione di pubblica utilità.
Il richiamo alla mancata apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, su cui si è integralmente fondata la sentenza di prime cure, appare quindi inconferente nella situazione in scrutinio, dovendosi quindi accogliere la censura del Comune sull’erroneità del ragionamento giuridico fatto proprio dal T.A.R..
5. - Le questioni appena vagliate esauriscono la questione sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
6. - L’appello va quindi accolto. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Accoglie l’appello n. 2708 del 2014 e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione quinta, n. 6050 del 28 dicembre 2013, respinge il ricorso di primo grado;
2. Condanna Nicola Giambattista e Antonio Giambattista, in solido tra loro, a rifondere al Comune di Solopaca e al Ministero per i beni e le attività culturali le spese del doppio grado di giudizio, che liquida, in favore di ognuna delle parti resistenti e controinteressate costituite, in €. 1.500,00 (euro millecinquecento) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge, oltre alle spese di consulenza, come già liquidate dalla sentenza impugnata.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 novembre 2014, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei signori:
Riccardo Virgilio, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere, Estensore
Giuseppe Castiglia, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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