Sunday 19 January 2014 20:53:15

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Sanatoria edilizia: il diritto al risarcimento del danno per ritardo dell'Amministrazione sull'istanza di sanatoria edilizia spetta solo ove il soggetto interessato abbia tempestivamente reagito all'inerzia, formulando la domanda di formale rilascio della concessione in sanatoria

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V

Il diritto al risarcimento del danno derivante dal ritardo con il quale l'Amministrazione ha provveduto su una istanza di sanatoria edilizia del privato spetta solo ove il soggetto interessato abbia tempestivamente reagito all'inerzia, per quanto in sua facoltà, al fine di ottenere la conferma provvedimentale del silenzioso assenso formatosi, formulando la domanda di formale rilascio della concessione in sanatoria a seguito di esso, sicché solo in caso di persistente inerzia a seguito di detta procedura può configurarsi la lesione del bene della vita risarcibile, alla stregua dei canoni di correttezza e buona fede che devono caratterizzare lo svolgimento del rapporto tra soggetto pubblico e privato. Si tratta peraltro dell'applicazione di un principio ora sostanzialmente sancito anche dall'ultimo periodo del comma 3 dell'art. 30 c.p.a. e che poteva considerarsi valido anche prima della sua positivizzazione nel predetto codice. Infatti anche alla quantificazione del danno in caso di lesione di interessi legittimi pretensivi deve trovare applicazione il criterio della mitigazione del danno di cui all'art. 1227 comma 2 c.c.; peraltro la deduzione ivi prevista non integra un'eccezione in senso stretto, sicché nel giudizio amministrativo per lesione degli interessi legittimi pretensivi la generica allegazione del Comune che nega e circoscrive i danni lamentati consente al Giudice di esaminare nella controversia risarcitoria, conformata ai principi civilistici, la questione dell'evitabilità di essi...7.2.- Tanto premesso va rilevato che, come è noto, è risarcibile il danno consistente nella lesione ingiusta di un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, che sia apprezzabile, differenziato, giuridicamente rilevante e inerente al contenuto stesso della posizione sostanziale, inoltre ricollegabile, con nesso di causalità immediato e diretto, al provvedimento impugnato. Se è vero che l'art. 2 bis della l. n. 241/1990 rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle Pubbliche amministrazioni, stabilendo che esse e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, tuttavia la richiesta di accertamento del danno da ritardo ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento legittimo e favorevole, se da un lato deve essere ricondotta al danno da lesione di interessi legittimi pretensivi, per l'ontologica natura delle posizioni fatte valere, dall'altro, in ossequio al principio dell'atipicità dell'illecito civile, costituisce una fattispecie “sui generis”, di natura del tutto specifica e peculiare, che deve essere ricondotta nell'alveo dell'art. 2043 c.c. per l'identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità. Di conseguenza l'ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi “iuris tantum”, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell'adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante). Quanto alla ingiustizia del danno va precisato che, in linea di principio, il mero "superamento" del termine fissato “ex lege” per la conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma non integra la "piena prova del danno". Tuttavia il solo ritardo nell'emanazione di un atto è elemento sufficiente per configurare un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento, nel caso di procedimento amministrativo lesivo di un interesse pretensivo dell'amministrato, quando tale procedimento sia da concludere con un provvedimento favorevole per il destinatario (Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406; Sez. IV, 23 marzo 2010, n. 1699) o se sussistano fondate ragioni per ritenere che l'interessato avrebbe dovuto ottenerlo (Consiglio di Stato, sez. IV, 1 luglio 2013, n. 3533). Il risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo di tipo pretensivo dovuta alla inerzia della Amministrazione con riguardo ad una istanza del privato richiede quindi l'effettiva prova che un diverso comportamento dell'amministrazione avrebbe avuto sicuro esito favorevole per l'interessato; tanto nel caso di specie è dimostrato dalla circostanza che il Comune, sia pure in ritardo, ha rilasciato la richiesta concessione in sanatoria. Quanto all'elemento della colpa va precisato che la sua sussistenza non può essere dichiarata in base al solo dato oggettivo della illegittimità del provvedimento adottato o dell’illegittimo ed ingiustificato procrastinarsi dell'adozione del provvedimento finale, essendo necessaria anche la dimostrazione che la P.A. abbia agito con dolo o colpa grave, di guisa che il difettoso funzionamento dell'apparato pubblico sia riconducibile ad un comportamento gravemente negligente od ad una intenzionale volontà di nuocere, in palese ed inescusabile contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, di cui all'art. 97 della Costituzione. Quindi, ai fini dell’ammissibilità dell’azione risarcitoria, deve in concreto accertarsi se l’adozione o la mancata o ritardata adozione del provvedimento amministrativo lesivo sia conseguenza di comportamento doloso o della grave violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali deve essere costantemente ispirato l’esercizio della funzione, e se tale comportamento sia stato posto in essere in un contesto di fatto ed in un quadro di riferimento normativo tale da palesare la negligenza e l’imperizia degli uffici o degli organi dell’amministrazione, ovvero se, per converso, la predetta violazione sia ascrivibile all’ipotesi dell’errore scusabile, per la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo o per la complessità della situazione di fatto (Consiglio di Stato, Sez. V, 7 giugno 2013, n. 3133; Sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2419; Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406). Ebbene, sulla scorta di dette regole in proposito fissate dalla giurisprudenza, il Collegio ritiene che, nel caso di specie, ricorresse l’elemento psicologico della fattispecie risarcitoria, sub specie della colpa, essendo ravvisabili gli estremi identificativi di una colposa inerzia dell'Amministrazione causativa di danno da ritardo, per il fatto che sussiste, oltre all'elemento oggettivo dell'illecito, costituito dall'antigiuridicità, l'elemento soggettivo, costituito da un colpevole comportamento dilatorio addebitale quanto meno a grave negligenza o imperizia degli uffici dell’amministrazione comunale complessivamente considerati (non essendo necessario provare la sussistenza dell’elemento psicologico in capo ad ogni singolo agente, dipendente, responsabile o dirigente degli uffici comunali di volta interessati che hanno contribuito causalmente ai singoli atti e/o comportamenti commissivi od omissivi, ciò costituendo una irragionevole ed inammissibile limitazione del diritto di difesa consacrato nell’art. 24 della Costituzione). Non sono invero emerse nella fattispecie in esame quelle peculiari circostanze di complessità dei fatti, di contrasti giurisprudenziali ovvero di incertezza normativa, che integrano la fattispecie dell’errore scusabile e che escludono l’elemento psicologico della responsabilità. Ciò senza contare che l’onere di provare l’esistenza di tali circostanze (che costituiscono delle eccezioni di merito, in quanto modificative, impeditive o estintive dei fatti adotti in giudizio dalla controparte) incombeva proprio sull’amministrazione appellata (e non è stato adempiuto). Sussiste infatti in materia di risarcimento del danno da parte della P.A., sul piano processuale, un'inversione dell'onere della prova (analoga a quella che caratterizza la responsabilità contrattuale) e quindi spettava nel caso di specie al debitore il dovere di fornire la prova negativa dell'elemento soggettivo (ad es. per errore scusabile) e non al creditore quella della sua esistenza (Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4439; Sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 204; Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

 

sul ricorso numero di registro generale *del 2002, proposto da:

Società Vittoria a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Pantaleo Ernesto Bacile, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Bartolo Spallina, in Roma, piazza Sallustio, n. 9;

 

contro

Comune di Galatone, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Marcello Marcuccio, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Luigi Boccherini, n. 3; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Puglia – Sezione Staccata di Lecce, Sezione I, n. 01870/2002, resa tra le parti, di reiezione del ricorso proposto per il risarcimento del danno subito a seguito del mancato tempestivo rilascio di una concessione edilizia in sanatoria da parte del Comune di Galatone;

 

 

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Galatone;

Visti i decreti 28 giugno 2012 n. 1745 e 18 ottobre 2012 n. 2776;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2013 il Cons. Antonio Amicuzzi e nessuno essendo comparso per le parti;

Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

 

 

FATTO

Con il ricorso in appello in esame la Vittoria s.r.l., che, con riguardo ad opere abusive realizzate in un complesso immobiliare nel Comune di Galatone, aveva presentato in data 26.3.1986 domanda di concessione edilizia in sanatoria ai sensi degli artt. 31 e 34 della l. n. 47/1985, ha chiesto l’annullamento o la riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale è stato respinto il ricorso proposto da essa società per il risarcimento del danno assuntamente subito a seguito del mancato tempestivo rilascio da parte del Comune di detta concessione, più volte richiesta e ottenuta solo dopo che è stata riconosciuta la formazione di silenzio assenso su detta domanda con sentenza del T.A.R. Puglia, Lecce, n. 763/1999 (relativa ad un diverso ricorso proposto per l’annullamento di una nota dell’U.T.C. di Galatone nella parte in cui richiedeva la ricevuta di versamento di £ 39.474.000 più interessi, a titolo di oblazione in relazione ad opere realizzate in detto complesso).

A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:

1.- L’Amministrazione ha ritenuto non sanato l’immobile di cui trattasi (che, come tale, è rimasto inagibile ed escluso da ogni possibilità di sua utilizzazione economica, essendo stata impedita la ultimazione dei lavori e la sua immissione sul mercato delle vendite e delle locazioni) con atteggiamento certamente antigiuridico rimosso solo dopo l’emanazione di detta sentenza n. 763/1999, a seguito della quale è stata rilasciata la concessione in sanatoria in data 22.3.2000.

Tale dato incontrovertibile non è stato valutato con la impugnata sentenza, che non si è soffermata sulle conseguenze del mancato tempestivo rilascio della concessione in sanatoria e sui rapporti in concreto intercorsi tra la ricorrente ed il Comune nel periodo dal mese di maggio 1992 al mese di marzo 2000.

Erano stati comunque provati sia il comportamento antigiuridico dell’Amministrazione che la fondatezza delle ragioni della società ricorrente, come pure il nesso di causalità tra la volontà del Comune di rendere agibile l’immobile solo a seguito dell’esplicito provvedimento di concessione della sanatoria e l’avvenuta esclusione di esso dal mercato immobiliare dal mese di maggio 1992 e fino all’adozione di detto provvedimento.

2.- Sussiste il diritto al risarcimento del danno in maniera equa e di giustizia, come da conclusioni già formulate in prime cure.

In via istruttoria va disposta una consulenza tecnica di ufficio per accertare la entità dei danni subiti dalla ricorrente, da risarcire nella misura pari alla differenza tra i costi da sostenere per la ultimazione dell’immobile in questione nell’attualità e quelli che sarebbero stati da affrontare nell’anno 1991, nonché al mancato reddito che sarebbe stato ricavabile dall’immobile stesso nel periodo di interesse, mediante utilizzazione dello stesso quale sede bancaria ed uffici.

Con atto depositato il 12.2.2003 si è costituito in giudizio il Comune di Galatone, che, premesso in particolare che solo in data 26.7.1995 la società appellante aveva presentato richiesta di rilascio concessione in sanatoria per silenzio assenso e che, avendo a suo tempo presentato domanda di sanatoria e versate due rate dell’oblazione auto liquidata, ben avrebbe potuto completare l’edificio ex art. 35, comma 14, della l. n. 47/1985, ha chiesto la conferma della impugnata sentenza, opponendosi alle effettuate richieste istruttorie, anche perché non era stata fornita idonea prova del danno assuntamente subito.

Con decreto 28 giugno 2012 n. 1745, considerato che nel termine e nel modo previsti dall’art. 1, comma 1, dell'all. 3 al d.lgs. n. 104/2010 non era stata presentata nuova istanza di fissazione di udienza, il ricorso è stato dichiarato perento.

Con decreto 18 ottobre 2012 n. 2776, visto l'atto sottoscritto dalla parte personalmente e dal difensore e notificato alle altre parti, con cui è stata dichiarata la persistenza di interesse alla trattazione della causa e visto il comma 2 del cit. art. 1 dell'all. 3 al d.lgs. n. 104/2010, è stato revocato detto decreto di perenzione.

Alla pubblica udienza del 15.10.2013 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dalla Società Vittoria a r.l., di annullamento o di riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale è stato respinto il ricorso proposto per il risarcimento del danno assuntamente subito a seguito del mancato tempestivo rilascio da parte del Comune di una concessione edilizia in sanatoria, nonostante fosse stata più volte richiesta.

2.- A sostegno della domanda è stato dedotto che l’omissione ed il ritardo rispetto all’obbligo di provvedere da parte del Comune sulla istanza di condono edilizio del 26.3.1986 dimostrerebbe che esso non riteneva possibile la formazione del silenzio accoglimento, riconosciuta solo a seguito della sentenza n. 763/1999 del T.A.R. Puglia, Lecce.

Fino ad allora l’Amministrazione avrebbe ritenuto l’immobile non sanato e come tale esso sarebbe rimasto inagibile ed escluso da ogni possibilità di utilizzazione economica, essendo stata impedita la ultimazione dei lavori e la sua immissione sul mercato delle vendite e delle locazioni, con atteggiamento certamente antigiuridico, tardivamente rimosso solo dopo l’emanazione di detta sentenza, a seguito della quale è stata rilasciata la concessione in sanatoria in data 22.3.2000.

Tale dato incontrovertibile non sarebbe stato valutato dal primo Giudice, che non si è soffermato sulle conseguenze del mancato tempestivo rilascio della concessione in sanatoria e sui rapporti in concreto intercorsi tra la società ricorrente ed il Comune nel periodo dal mese di maggio 1992 al mese di marzo 2000.

Invero il giudizio di risarcimento del danno con riguardo ad un atto non adottato deve riguardare la effettiva incidenza dei fatti e dei comportamenti del danneggiante sulle pretese del danneggiato, con valutazione della gravità dei primi, della fondatezza delle seconde e della sussistenza di un nesso di causalità tra di loro.

Nel caso che occupa sarebbe stata provata la sussistenza del comportamento antigiuridico dell’Amministrazione, che ha continuato a ritenere che per la agibilità dell’immobile di cui trattasi fosse necessario un provvedimento esplicito di sanatoria, nonché la fondatezza delle ragioni della appellante (sulla base della citata sentenza n. 763/199, passata in giudicato, e attesa la pacifica intangibilità del diritto della appellante a disporre del proprio immobile in modo economicamente soddisfacente) e sarebbe evidente il nesso di causalità tra la volontà del Comune di rendere agibile detto immobile solo a seguito del rilascio dell’esplicito provvedimento di concessione in sanatoria, come pure l’esclusione di esso dal mercato immobiliare per il periodo decorrente dal mese di maggio 1992 fino al mese di marzo 2000, di adozione di detto provvedimento.

E’ stata quindi chiesta la condanna al risarcimento del danno in maniera equa e di giustizia, con accoglimento delle conclusioni già formulate in prime cure.

In via istruttoria è stata richiesta l’ammissione di una consulenza tecnica di ufficio per accertare la entità dei danni subiti dalla appellante, da quantificare nella somma pari alla differenza tra i costi da sostenere nell’attualità rispetto a quelli che sarebbero stati necessari nell’anno 1991 per ultimare l’immobile, maggiorata del mancato reddito dell’immobile stesso nel periodo che interessa in relazione alla sua utilizzazione quale sede bancaria ed uffici.

3.- Osserva la Sezione che la impugnata sentenza è basata sul sostanziale assunto che, poiché con la citata sentenza n. 763/1999 era stato affermato che la decorrenza del termine per la formazione del silenzio assenso sulla istanza di sanatoria di cui trattasi era cominciata dalla data del 9.5.1990, in cui l’Amministrazione aveva acquisito la intera documentazione necessaria per la valutazione dell’istanza, e che esso silenzio si era incontestabilmente formato in data 9.5.1992, l’effettivo rilascio della concessione in sanatoria in data 22.3.2000 rivestiva mero carattere confermativo e non realizzava effetti innovativi rispetto al silenzio assenso già formatosi. Sono state quindi respinte dal primo Giudice entrambe le richieste della parte ricorrente, attinenti al risarcimento dei danni relativi ai costi maggiorati e al mancato conseguimento di redditività a causa del mancato conseguimento della formale concessione fino alla data da ultimo indicata, nell’assunto che, essendosi il silenzio assenso già formato in detta data del 9.5.1992, detti maggiori costi e mancata redditività erano addebitabili solo al comportamento della parte ricorrente.

4.- Va in proposito rilevato che, con riguardo alla formazione del silenzio assenso, il decorso del termine previsto per la conclusione del procedimento, secondo l'unanime giurisprudenza, non consuma il potere della Amministrazione di provvedere, sia in senso satisfattivo per il destinatario dell'atto finale del procedimento medesimo, sia in senso a lui negativo, sia, ancora, mediante un atto interlocutorio, che comunque sostanzia l'esercizio di una potestà decisoria dell'Amministrazione medesima (Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 agosto 2011 n. 4768 e 15 gennaio 2009 n. 179).

Il provvedimento espresso, tardivamente intervenuto, cancella quindi il silenzio, sia se formatosi in senso negativo che positivo, poiché non è ammissibile che la P.A. si pronunci al solo fine di confermare il silenzio mantenuto, legittimando un comportamento che viola l'obbligo di provvedere.

Contrariamente a quanto sostenuto nella impugnata sentenza, il provvedimento espresso nel caso di specie intervenuto, pur reiterando gli effetti del provvedimento implicito di assenso, non poteva pertanto essere qualificato quale meramente confermativo di quest'ultimo, anche perché presupponeva l'esperimento di un'autonoma istruttoria, i cui risultati dovevano confluire nella motivazione del provvedimento espresso (Consiglio di Stato, sez. V, 11 settembre 2013, n. 4507).

Nelle more tra la formazione del silenzio assenso sulla istanza di condono di cui trattasi e la molto successiva adozione del provvedimento espresso di rilascio della concessione in sanatoria (peraltro conseguita solo a seguito di sentenza che, incidentalmente, riconosceva l’avvenuta formazione di detto silenzio), la parte qui interessata non ha proseguito i già realizzati lavori e non ha locato o venduto gli immobili realizzati solo per sua autonoma scelta, come sostenuto dal T.A.R., ma evidentemente (e comunque plausibilmente) perché, in applicazione di principi di comune e normale prudenza e diligenza, più ragioni sconsigliavano di porre in essere attività che, in caso di negativa conclusione del procedimento (anche mediante revoca del provvedimento tacito formatosi), avrebbero comportato inutili esborsi di denaro per la realizzazione di opere di completamento o azioni risarcitorie in caso di vendita di immobili non sanati (che, come è noto, e, ex art. 40 della l. n. 47/1985, affetta da nullità); comunque sussistevano gravi difficoltà a stipulare contratti di locazione di immobili in assenza di intervenuta sanatoria sulle parti realizzate in assenza di concessione edilizia.

E’ indubbio, infatti, che in materia di condono edilizio la formazione del silenzio assenso per decorso del termine di ventiquattro mesi fissato dall'art. 35, comma 18, della l. n. 47/1985, postula che l'istanza sia assistita da tutti i presupposti di accoglibilità (non determinandosi “ope legis” la regolarizzazione dell'abuso, in applicazione dell'istituto del silenzio assenso, ogni qualvolta manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma, ovvero ancora quando l'oblazione autoliquidata dalla parte interessata non corrisponda a quanto effettivamente dovuto, oppure quando la documentazione allegata all'istanza non risulti completa ovvero quando la domanda si presenti dolosamente infedele), della cui sussistenza la parte instante non poteva avere assoluta certezza; inoltre sussisteva comunque la possibilità che l’Amministrazione, a seguito di rinnovata istruttoria, potesse esercitare la facoltà di pronunciarsi autonomamente sulla istanza su cui si era formato il silenzio assenso, con determinazioni non necessariamente confermative.

Tanto comporta la incondivisibilità delle tesi sostenute dal Comune resistente che, poiché l’art. 35, comma 8, della l. n. 47/1985 non condizionava il completamento delle opere abusive, oggetto di sanatoria, ad alcuna autorizzazione, espressa o tacita, l’opera de qua, se effettivamente incompleta, avrebbe potuto essere portata a compimento negli anni 1991/1992, nonché che, essendo stata presentata domanda di sanatoria e versate due rate dell’oblazione auto liquidata, ben avrebbe potuto la società di cui trattasi completare l’edificio in base a quanto previsto dall’art. 35, comma 14, della l. n. 47/1985.

Invero la normativa richiamata in detti commi 8 e 14 (relativa alla versione originaria dell’articolo 35 della l. n. 47/1985 ed a quella vigente) stabilisce che il completamento delle opere oggetto di sanatoria può avvenire sotto la responsabilità del costruttore, sicché, in assenza della certezza assoluta che sussistessero tutti i presupposti di accoglibilità della domanda di sanatoria e non essendo comunque esclusa la sussistenza del rischio che l’Amministrazione, a seguito di rinnovata istruttoria, respingesse la richiesta, deve ritenersi che abbia risposto a criteri di normale diligenza il comportamento della società appellante, che ha prudentemente evitato il completamente delle opere e la cessione o locazione dei manufatti già realizzati prima del conseguimento formale della concessione in sanatoria.

5.- Posto quindi che le considerazioni in precedenza svolte comportano la condivisibilità dell’assunto della società che era ascrivibile al comportamento dell’Amministrazione, e non a mera volontà della parte privata, la esclusione della possibilità di utilizzazione economica dell’immobile in questione, deve essere valutata la richiesta di risarcimento danni a seguito di tanto formulata.

6.- Va al riguardo premesso che il diritto al risarcimento del danno derivante dal ritardo con il quale l'Amministrazione ha provveduto su una istanza di sanatoria edilizia del privato spetta solo ove il soggetto interessato abbia tempestivamente reagito all'inerzia, per quanto in sua facoltà, al fine di ottenere la conferma provvedimentale del silenzioso assenso formatosi, formulando la domanda di formale rilascio della concessione in sanatoria a seguito di esso, sicché solo in caso di persistente inerzia a seguito di detta procedura può configurarsi la lesione del bene della vita risarcibile, alla stregua dei canoni di correttezza e buona fede che devono caratterizzare lo svolgimento del rapporto tra soggetto pubblico e privato.

Si tratta peraltro dell'applicazione di un principio ora sostanzialmente sancito anche dall'ultimo periodo del comma 3 dell'art. 30 c.p.a. e che poteva considerarsi valido anche prima della sua positivizzazione nel predetto codice.

Infatti anche alla quantificazione del danno in caso di lesione di interessi legittimi pretensivi deve trovare applicazione il criterio della mitigazione del danno di cui all'art. 1227 comma 2 c.c.; peraltro la deduzione ivi prevista non integra un'eccezione in senso stretto, sicché nel giudizio amministrativo per lesione degli interessi legittimi pretensivi la generica allegazione del Comune che nega e circoscrive i danni lamentati consente al Giudice di esaminare nella controversia risarcitoria, conformata ai principi civilistici, la questione dell'evitabilità di essi.

Pertanto la valutazione della sussistenza del danno risarcibile non può nel caso che occupa riguardare epoca anteriore alla data del 26.7.1995, in cui la società di cui trattasi ha formulato espressa domanda al Comune di rilascio della concessione in sanatoria a seguito della formazione del silenzio assenso.

7.- Resta da definire la fondatezza della richiesta di risarcimento dei danni e la entità delle somme a tale titolo dovuta.

7.1.- Ritiene al riguardo il Collegio di premettere che appartengono alla giurisdizione del G.A. le azioni risarcitorie proposte nei confronti della P.A. nei casi in cui la lesione di una situazione soggettiva dell'interessato sia prospettata come conseguenza dell'inerzia dell'Amministrazione, giacché ciò che in tali casi viene in rilievo è bensì un comportamento, ma risolventesi nella violazione di una norma che regola il procedimento ordinato all'esercizio del potere e perciò nella lesione di una situazione di interesse legittimo pretensivo, non di diritto soggettivo.

7.2.- Tanto premesso va rilevato che, come è noto, è risarcibile il danno consistente nella lesione ingiusta di un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, che sia apprezzabile, differenziato, giuridicamente rilevante e inerente al contenuto stesso della posizione sostanziale, inoltre ricollegabile, con nesso di causalità immediato e diretto, al provvedimento impugnato.

Se è vero che l'art. 2 bis della l. n. 241/1990 rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle Pubbliche amministrazioni, stabilendo che esse e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, tuttavia la richiesta di accertamento del danno da ritardo ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento legittimo e favorevole, se da un lato deve essere ricondotta al danno da lesione di interessi legittimi pretensivi, per l'ontologica natura delle posizioni fatte valere, dall'altro, in ossequio al principio dell'atipicità dell'illecito civile, costituisce una fattispecie “sui generis”, di natura del tutto specifica e peculiare, che deve essere ricondotta nell'alveo dell'art. 2043 c.c. per l'identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità. Di conseguenza l'ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi “iuris tantum”, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell'adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante).

7.3.- Quanto alla ingiustizia del danno va precisato che, in linea di principio, il mero "superamento" del termine fissato “ex lege” per la conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma non integra la "piena prova del danno".

Tuttavia il solo ritardo nell'emanazione di un atto è elemento sufficiente per configurare un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento, nel caso di procedimento amministrativo lesivo di un interesse pretensivo dell'amministrato, quando tale procedimento sia da concludere con un provvedimento favorevole per il destinatario (Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406; Sez. IV, 23 marzo 2010, n. 1699) o se sussistano fondate ragioni per ritenere che l'interessato avrebbe dovuto ottenerlo (Consiglio di Stato, sez. IV, 1 luglio 2013, n. 3533).

Il risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo di tipo pretensivo dovuta alla inerzia della Amministrazione con riguardo ad una istanza del privato richiede quindi l'effettiva prova che un diverso comportamento dell'amministrazione avrebbe avuto sicuro esito favorevole per l'interessato; tanto nel caso di specie è dimostrato dalla circostanza che il Comune, sia pure in ritardo, ha rilasciato la richiesta concessione in sanatoria.

7.4.- Quanto all'elemento della colpa va precisato che la sua sussistenza non può essere dichiarata in base al solo dato oggettivo della illegittimità del provvedimento adottato o dell’illegittimo ed ingiustificato procrastinarsi dell'adozione del provvedimento finale, essendo necessaria anche la dimostrazione che la P.A. abbia agito con dolo o colpa grave, di guisa che il difettoso funzionamento dell'apparato pubblico sia riconducibile ad un comportamento gravemente negligente od ad una intenzionale volontà di nuocere, in palese ed inescusabile contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, di cui all'art. 97 della Costituzione.

Quindi, ai fini dell’ammissibilità dell’azione risarcitoria, deve in concreto accertarsi se l’adozione o la mancata o ritardata adozione del provvedimento amministrativo lesivo sia conseguenza di comportamento doloso o della grave violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali deve essere costantemente ispirato l’esercizio della funzione, e se tale comportamento sia stato posto in essere in un contesto di fatto ed in un quadro di riferimento normativo tale da palesare la negligenza e l’imperizia degli uffici o degli organi dell’amministrazione, ovvero se, per converso, la predetta violazione sia ascrivibile all’ipotesi dell’errore scusabile, per la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo o per la complessità della situazione di fatto (Consiglio di Stato, Sez. V, 7 giugno 2013, n. 3133; Sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2419; Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406).

Ebbene, sulla scorta di dette regole in proposito fissate dalla giurisprudenza, il Collegio ritiene che, nel caso di specie, ricorresse l’elemento psicologico della fattispecie risarcitoria, sub specie della colpa, essendo ravvisabili gli estremi identificativi di una colposa inerzia dell'Amministrazione causativa di danno da ritardo, per il fatto che sussiste, oltre all'elemento oggettivo dell'illecito, costituito dall'antigiuridicità, l'elemento soggettivo, costituito da un colpevole comportamento dilatorio addebitale quanto meno a grave negligenza o imperizia degli uffici dell’amministrazione comunale complessivamente considerati (non essendo necessario provare la sussistenza dell’elemento psicologico in capo ad ogni singolo agente, dipendente, responsabile o dirigente degli uffici comunali di volta interessati che hanno contribuito causalmente ai singoli atti e/o comportamenti commissivi od omissivi, ciò costituendo una irragionevole ed inammissibile limitazione del diritto di difesa consacrato nell’art. 24 della Costituzione).

Non sono invero emerse nella fattispecie in esame quelle peculiari circostanze di complessità dei fatti, di contrasti giurisprudenziali ovvero di incertezza normativa, che integrano la fattispecie dell’errore scusabile e che escludono l’elemento psicologico della responsabilità.

Ciò senza contare che l’onere di provare l’esistenza di tali circostanze (che costituiscono delle eccezioni di merito, in quanto modificative, impeditive o estintive dei fatti adotti in giudizio dalla controparte) incombeva proprio sull’amministrazione appellata (e non è stato adempiuto).

Sussiste infatti in materia di risarcimento del danno da parte della P.A., sul piano processuale, un'inversione dell'onere della prova (analoga a quella che caratterizza la responsabilità contrattuale) e quindi spettava nel caso di specie al debitore il dovere di fornire la prova negativa dell'elemento soggettivo (ad es. per errore scusabile) e non al creditore quella della sua esistenza (Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4439; Sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 204; Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169).

E nel caso che occupa l'Amministrazione non ha prodotto alcun elemento utile a rappresentare situazioni di fatto idonee ad escludere la sussistenza della responsabilità, limitandosi ad una sola, peraltro generica, contestazione dell'ammissibilità e della fondatezza del ricorso di parte avversa e deducendo che questa avrebbe potuto usufruire del silenzio rifiuto sin dalla sua formazione per decorso del termine di legge.

A fronte di ciò, sussistono invece plurimi elementi positivi che depongono nel senso della colpa della medesima Amministrazione: ciò, in particolare, per il notevole ritardo con il quale il Comune ha riscontrato l'istanza di sanatoria e per la grave pretermissione dell'istanza di rilascio della concessione per il formatosi silenzio accoglimento della domanda dopo l’ormai intervenuto decorso del termine biennale di cui all'art. 35, comma 12, della l. n. 47/85.

7.5.- Quanto alla determinazione del concreto pregiudizio patrimoniale subito in relazione al non tempestivo completamento dei lavori e alla mancata vendita o locazione dell’immobile in questione, in conseguenza del "tardivo" conseguimento della relativa concessione, va rilevato che, in tema di risarcimento del danno, incombe sul richiedente l'onere di provare la sussistenza di tutti i requisiti per il conseguimento del bene della vita (mancando i quali, non può dirsi sussistere l'obbligo amministrativo di consentirne il raggiungimento), quindi anche di detto elemento costitutivo della domanda.

In proposito vanno richiamati ulteriori principi giurisprudenziali, in forza dei quali, stante il potere del giudicante di fornire all'Amministrazione i soli criteri per la liquidazione, è sufficiente anche al privato indicare analoghi criteri, purché ragionevolmente precisi e definiti, non incombendogli necessariamente l'onere di una esatta quantificazione del danno risarcibile.

Nel caso di specie la società ricorrente ha richiamato il pregiudizio derivante dalla perdita di utilità conseguente ai maggiori costi sostenuti per l'ultimazione dell'immobile nonché quello conseguente alla mancata utilizzazione dell'immobile de quo e inoltre, sotto il profilo probatorio, ha depositato in primo grado perizia dell’ing. Castellani recante quantificazione dei danni dei quali è stato chiesto il ristoro.

Il Collegio ritiene che l'impostazione di parte ricorrente sia da condividere e che pertanto vada accolta anche la proposta istanza istruttoria, sicché può procedersi ad acquisire una consulenza tecnica di ufficio finalizzata all'esatta liquidazione del danno sulla base di detti criteri.

8.- Pertanto, per quanto riguarda la quantificazione della somma che l'Amministrazione dovrà corrispondere alla società ricorrente a titolo di risarcimento, è possibile ritenere che debba riconoscersi ad essa il diritto al risarcimento del pregiudizio patito a titolo di danno emergente e lucro cessante per effetto del silenzio dall’epoca in cui l'amministrazione poteva determinarsi a seguito di istanza della parte interessata basata sulla formazione del silenzio assenso e fino all’esplicito e formale accoglimento della istanza di sanatoria di cui trattasi e che quindi il periodo temporale di riferimento ai fini del calcolo del dovuto possa farsi risalire al mese di agosto 1995, di presentazione di detta istanza, e concludersi nel mese di marzo 2000, in cui è stato rilasciato il provvedimento esplicito di concessione in sanatoria.

Per quanto riguarda la concreta quantificazione della somma che l'amministrazione dovrà corrispondere alla ricorrente a titolo di risarcimento, la relativa misura sarà accertata con apposita C.T.U. e su di essa somma andranno calcolati, oltre alla rivalutazione monetaria su tale somma dal dì del dovuto fino alla data di deposito della definitiva sentenza, gli interessi legali, questi ultimi computati a decorrere dalla data di deposito della presente decisione e fino all'effettivo soddisfo.

9.- In conclusione la Sezione, valutata sussistente la dedotta responsabilità del Comune di Galatone per i danni derivati per danno emergente e lucro cessante alla appellante dall’inerzia tenuta sulla istanza di concessione in sanatoria di cui trattasi per il periodo dal mese di agosto 1995 al mese di marzo 2000, ritiene opportuno disporre, con separata ordinanza, ai sensi degli artt. 19 e 67 del c.p.a., la nomina di un Consulente Tecnico d’Ufficio al fine di accertare, in contraddittorio delle parti, sulla base della complessiva documentazione acquisita e dallo stesso acquisibile, quanto per detti titoli dovuto.

10.- L’udienza per l’ulteriore seguito della causa sarà fissata su istanza di parte dopo la conclusione della disposta consulenza tecnica d’ufficio.

11.- Va rinviata al definitivo ogni determinazione relativa alle spese ed agli onorari di causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, non definitivamente decidendo, accoglie l’appello in esame, come da motivazione; dispone con separata ordinanza, ai sensi degli artt. 19 e 67 del c.p.a., la nomina di un Consulente Tecnico d’Ufficio per accertare, in contraddittorio delle parti, sulla base della complessiva documentazione acquisita e dallo stesso acquisibile, quanto dovuto a titolo di risarcimento dei danni derivati alla appellante dall’inerzia tenuta sulla istanza di concessione in sanatoria di cui trattasi per il periodo dal mese di agosto 1995 al mese di marzo 2000.

L’udienza per l’ulteriore seguito della causa sarà fissata su istanza di parte dopo la conclusione della disposta C.T.U..

Spese al definitivo.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Alessandro Pajno, Presidente

Francesco Caringella, Consigliere

Carlo Saltelli, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/01/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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