Wednesday 14 May 2014 18:16:57
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 12.5.2014
In termini generali, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato ricorda nella sentenza in esame che, secondo l’Adunanza plenaria, l'affidamento del privato a poter conservare l'opera realizzata sulla base di un titolo edilizio successivamente annullato non è tutelato in via generale ma è rimesso alla discrezionalità del legislatore, al quale compete emanare norme speciali di tutela come la potenziale commutabilità della sanzione demolitoria in quella pecuniaria (l’art. 38 t.u., di cui qui si discorre), ovvero un regime di favore in sede di condono edilizio (come avvenuto con l'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724). In difetto di una espressa previsione legislativa, la posizione di colui che abbia realizzato l'opera sulla base di un titolo annullato non si differenzia dagli altri soggetti che hanno invece realizzato l'opera abusiva senza titolo. L'annullamento giurisdizionale del permesso o della concessione di costruire provoca la qualificazione di abusività delle opere edilizie realizzate in base ad esso, per cui il Comune, stante l'efficacia conformativa, oltre che costitutiva e ripristinatoria, della sentenza del giudice amministrativo, è obbligato a dare esecuzione al giudicato, adottando i provvedimenti consequenziali. Tali provvedimenti non devono, peraltro, avere ad oggetto necessariamente la demolizione delle opere realizzate (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 giugno 2011, n. 3571): l’art. 38 prevede invece una gamma articolata di possibili soluzioni, della valutazione delle quali l’atto conclusivo del nuovo procedimento dovrà ovviamente dare conto. A questo proposito, il Collegio ritiene che, nella fattispecie, il Comune non si sia incorso solo nell’errore formale di indicare un articolo di legge in luogo di un altro, ma abbia inteso fare uso proprio del potere sostanziale che l’articolo richiamato gli attribuirebbe. Benché la difesa dell’Amministrazione si ingegni a dimostrare il contrario, manca nell’ordinanza di demolizione qualunque accenno ai passaggi che avrebbero dovuto precedere l’ingiunzione di abbattere le opere abusive. Come la Sezione ha affermato di recente, se è vero che l'edificazione intervenuta in base a titolo successivamente annullato equivale ad edificazione senza titolo, è altrettanto vero (e ragionevole) che il legislatore non equipara, quanto agli effetti sanzionatori, le due fattispecie, rendendo necessario comparare l'interesse pubblico al recupero dello status quo ante con il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive del cittadino incolpevole dell'illegittimità, al contrario confidante nell'esercizio legittimo del potere amministrativo. Ciò comporta che - dapprima nella verifica della necessità di irrogazione della sanzione (quando non si possano potendosi rimuovere i vizi riscontrati nell'atto annullato), e poi, una volta riscontratane la necessità, nella scelta della sanzione applicabile - l'amministrazione debba svolgere una verifica, congruamente motivando su quanto infine deciso (cfr. sez. IV, 10 agosto 2011). D’altronde, nella fattispecie ex art. 38 t.u. la demolizione rappresenta l’extrema ratio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1535; Id., sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2852), il che rende necessario una motivazione specifica (e non estremamente sintetica se non implicita, come il Comune vorrebbe sufficiente) a sorreggere quel tipo di provvedimento. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale *del 2009, proposto da:
Società Immobiliare Michelangelo s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Franco Gaetano Scoca, Francesco Vetrò, con domicilio eletto presso Franco Gaetano Scoca in Roma, via G. Paisiello, 55;
contro
Comune di Pescara, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Alfonso Vasile, con domicilio eletto presso Simona Salazar in Roma, piazza Oreste Tommasini, 20;
nei confronti di
Margherita Garzia Civico, Patrizia Agresti, Ippolito Sadi, Daria Forte, non costituiti;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Abruzzo – Pescara, sezione I, n. 00657/2009, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive - (mcp).
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pescara;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 marzo 2014 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli Avvocati Marina D'Orsogna su delega dell'avvocato Franco Gaetano Scoca e Alfonso Vasile;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con concessione edilizia n. 9 del 1999 e successive varianti, il Comune di Pescara ha abilitato la società Immobiliare Michelangelo s.r.l. a effettuare lavori di “completamento della ristrutturazione” di un edificio situato in viale Riviera Nord. Tali concessioni sono state impugnate da alcuni controinteressati, proprietari di immobili posti nelle vicinanze.
Il ricorso è stato accolto dal T.A.R. per l’Abruzzo – Pescara, sez. I, con sentenza 9 gennaio 2006, n. 11, confermata dal Consiglio di Stato, sez. IV, con sentenza 11 aprile 2007, n. 1672.
La società ha tentato la via del ricorso per revocazione, ma senza successo (Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2008, n. 2166, ha dichiarato inammissibile il ricorso).
A seguito dell’annullamento giurisdizionale della concessione e delle varianti, con ordinanza n. 70 del 18 novembre 2008 - adottata a norma dell’art. 31, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (c.d. testo unico dell’edilizia; d’ora in poi: testo unico) - il Comune ha intimato la demolizione delle opere abusive.
La società ha impugnato il provvedimento, proponendo un ricorso che il medesimo T.A.R. ha respinto con sentenza 5 novembre 2009, n. 657. Il Tribunale territoriale ha considerato il provvedimento demolitorio comunale come atto dovuto, conformativo alla sentenza precedente.
L’Immobiliare Michelangelo ha interposto appello contro la sentenza e ne ha anche chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva, formulando una domanda cautelare che - dopo il decreto presidenziale di provvisorio accoglimento 12 novembre 2009, n. 5663 - la Sezione ha accolto con ordinanza 25 novembre 2009, n. 5906.
L’appello sviluppa le seguenti censure, che investono allo stesso tempo il provvedimento e la sentenza impugnata, che sui punti specifici non avrebbe correttamente motivato.
1.Violazione degli artt. 7 e segg. della legge 7 agosto 1990, n. 241, per effetto - in primo luogo - della mancata comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento. Diversamente da quanto ha ritenuto il giudice di primo grado, il provvedimento adottato non sarebbe affatto dovuto, nella misura in cui all’annullamento giurisdizionale di una concessione edilizia potrebbe seguire una serie progressiva di soluzioni diversamente gradate (quali quelle delineate dall’art. 31 e 38 t.u.). Non sarebbe poi vero, in punto di fatto, quanto affermato dalla sentenza, avere cioè la società partecipato a riunioni formalmente convocate e svolte per trovare una soluzione al problema; riunioni che, d’altronde, non avrebbero avuto senso se il Comune non avesse avuto scelta diversa dall’adottare un ordine di demolizione, considerato dovuto. Non costituirebbero partecipazione procedimentale le istanze spontaneamente presentate dalla società appellante al Comune, alcune delle quali antecedenti al passaggio in giudicato della sentenza di annullamento, semplicemente protocollate e mai riscontrate e comunque non richiamate nelle premesse dell’ordinanza di demolizione: sarebbe perciò evidente il difetto del necessario apporto partecipativo della parte destinataria del provvedimento, da ritenersi dunque viziato anche da difetto di istruttoria e di motivazione. Neppure sulla omessa presa in considerazione di tali istanze il T.A.R. si sarebbe espresso.
2.Errore nell’applicazione della norma. Poiché un titolo abilitativo sussisteva ab origine, sebbene caducato in sede giurisdizionale, l’unica disposizione applicabile sarebbe stata quella dell’art. 38, non quella dell’art. 31 t.u., con il che sarebbe stato possibile salvaguardare almeno quella parte dell’edificio (risalente al 1964, allora costruita del tutto legittimamente, e poi inglobata nella nuova edificazione) che, pur oggetto dei lavori realizzati in base alla medesima concessione edilizia, sarebbe stata comunque in regola rispetto alle N.T.A.ratione temporis vigenti.
Dovendosi applicare l’art. 38 t.u., il Comune - previa comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento - avrebbe dovuto, nell’ordine:
- verificare la possibilità di rimuovere i vizi riscontrati in seno alla procedura amministrativa;
- all’esito negativo di tale verifica, valutare la percorribilità di una restituzione in pristino, totale o parziale;
- come ultima ipotesi, comminare una sanzione pecuniaria rapportata al valore delle sole opere abusive.
L’eventuale inesecuzione dell’ordine di restituzione in pristino non determinerebbe mai l’acquisizione del bene al patrimonio comunale, contrariamente alla mancata esecuzione dell’ordine di demolizione ex art. 31 t.u.
Su tutto ciò l’Amministrazione avrebbe dovuto rendere una motivazione adeguata, che desse conto di un’istruttoria esaustiva, l’una e l’altra in concreto, invece, del tutto omesse. L’adozione della misura sanzionatoria sarebbe stata preceduta solo da un sopralluogo, volto accertare la consistenza dell’immobile realizzato in base alla concessione annullata.
Nella parte in cui, senza alcun previo riscontro istruttorio, avrebbe in modo apodittico considerato tecnicamente non praticabili le soluzioni previste dall’art. 38 t.u., il Tribunale regionale avrebbe compiuto una inammissibile “invasione di campo”, travalicando i limiti del sindacato di legittimità.
Ingiustamente il T.A.R. avrebbe negato rilievo all’affidamento della società appellante, che avrebbe fatto legittimo conto sull’interpretazione data dall’Amministrazione competente alle N.T.A. al P.R.G.. Sulla riviera di Pescara sorgerebbero numerosi altri fabbricati, costruiti in armonia con tali prassi interpretative, e tranquillamente tollerati.
3. Quanto al vizio fatto valere in primo grado con i motivi aggiunti, l’ordinanza di demolizione sarebbe di per sé viziata nel presupposto, nella parte in cui muove dalla premessa che i lavori siano stati realizzati in un lotto classificato come B1. In realtà la concessione edilizia n. 9 del 1999 sarebbe stata rilasciata nella vigenza del P.R.G. del 1996, che avrebbe classificato l’area come B2. Il passaggio a B1 sarebbe stato determinato solo dalla variante del 2007, peraltro annullato in parte qua dal T.A.R. Abruzzo – Pescara con sentenza 23 gennaio 2009, n. 69, con automatica riviviscenza della precedente classificazione in B2. Di ciò occorrerebbe tenere conto in una futura fase conformativa, successiva all’auspicato accoglimento dell’appello.
Il Comune di Pescara si è costituito in giudizio per resistere all’appello, richiamando espressamente le eccezioni e le difese svolte in primo grado.
Nello specifico, il Comune ammette le insufficienze formali dell’ordinanza impugnata e, in particolare, il mancato richiamo dell’art. 38 t.u. Sul piano sostanziale, peraltro, il provvedimento sarebbe esente da vizi proprio in rapporto alle prescrizione dell’art. 38 t.u., in quanto:
- con il richiamo del verbale dell’accertamento svolto da un tecnico il 10 novembre 2008, sarebbe comprovata la violazione delle distanze imposte dalla normativa urbanistica e quindi l’impossibilità di rimuovere i vizi accertati in sede giurisdizionale e rendere legale la costruzione;
- sul punto della demolizione, sarebbe infondata la tesi dell’Immobiliare Michelangelo circa la persistenza di un edificio preesistente e regolare, che sarebbe stato invece demolito e utilizzato nella volumetria per la progettazione e l’esecuzione del nuovo fabbricato.
Sotto diverso profilo, non vi sarebbe la lamentata violazione degli artt. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990, poiché il contraddittorio sarebbe stato nei fatti già instaurato e in particolare la società - con la nota del proprio legale in data 6 (o 21) agosto 2008 -, richiamate le sentenze emesse nel corso del giudizio, avrebbe suggerito una soluzione consistente nell’accoglimento dell’istanza di variante sostanziale formulata il 7 febbraio 2007, insieme con la convalida della porzione della concessione edilizia originaria rispettosa delle distanze.
Nell’approssimarsi dell’udienza di discussione della causa, la società appellante ha depositato una relazione tecnica.
Entrambe le parti hanno prodotto memorie.
In vista dell’udienza di discussione, la società appellante ne ha chiesto il rinvio, motivando l’istanza con riguardo all’avvenuta notifica dell’avviso di avvio del procedimento per l’annullamento in autotutela, da parte del Comune, dell’ordinanza impugnata.
Tuttavia, all’udienza pubblica del 25 marzo 2014, in cui l’appello è stato chiamato, la difesa dell’Amministrazione comunale ha dichiarato di non essere in condizione di aderire alla richiesta. Pertanto l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
La società Immobiliare Michelangelo impugna il provvedimento con cui il Comune di Pescara, a seguito dell’annullamento giurisdizione della concessione edilizia n. 9 del 1999 e delle successivi varianti, ha ordinato la demolizione di “tutti i lavori abusivi indicati in premessa”, vale a dire quelli eseguiti in base ai titoli edilizi appena ricordati.
L’ordinanza impugnata mette a presupposto dell’ingiunzione l’art. 31 t.u.
Qui, appunto, sta il nocciolo della questione, cioè nell’esatta qualificazione “del potere esercitato dal Comune di Pescara” (come si è espressa la Sezione, in una precedente fase della medesima vicenda, con l’ordinanza cautelare 24 febbraio 2009, n. 986).
Nella sostanza, è indubbio che la disposizione applicabile sarebbe quella dell’art. 38 t.u., non quella dell’art. 31. Sul punto conviene anche la difesa comunale, che naturalmente svaluta l’errore come svista solo formale, tale da non incidere in concreto negativamente sul corretto esercizio del potere spettante all’Amministrazione.
In termini generali, va ricordato che, secondo l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, l'affidamento del privato a poter conservare l'opera realizzata sulla base di un titolo edilizio successivamente annullato non è tutelato in via generale ma è rimesso alla discrezionalità del legislatore, al quale compete emanare norme speciali di tutela come la potenziale commutabilità della sanzione demolitoria in quella pecuniaria (l’art. 38 t.u., di cui qui si discorre), ovvero un regime di favore in sede di condono edilizio (come avvenuto con l'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724). In difetto di una espressa previsione legislativa, la posizione di colui che abbia realizzato l'opera sulla base di un titolo annullato non si differenzia dagli altri soggetti che hanno invece realizzato l'opera abusiva senza titolo.
L'annullamento giurisdizionale del permesso o della concessione di costruire provoca la qualificazione di abusività delle opere edilizie realizzate in base ad esso, per cui il Comune, stante l'efficacia conformativa, oltre che costitutiva e ripristinatoria, della sentenza del giudice amministrativo, è obbligato a dare esecuzione al giudicato, adottando i provvedimenti consequenziali. Tali provvedimenti non devono, peraltro, avere ad oggetto necessariamente la demolizione delle opere realizzate (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 giugno 2011, n. 3571): l’art. 38 prevede invece una gamma articolata di possibili soluzioni, della valutazione delle quali l’atto conclusivo del nuovo procedimento dovrà ovviamente dare conto.
A questo proposito, il Collegio ritiene che, nella fattispecie, il Comune non si sia incorso solo nell’errore formale di indicare un articolo di legge in luogo di un altro, ma abbia inteso fare uso proprio del potere sostanziale che l’articolo richiamato gli attribuirebbe. Benché la difesa dell’Amministrazione si ingegni a dimostrare il contrario, manca nell’ordinanza di demolizione qualunque accenno ai passaggi che avrebbero dovuto precedere l’ingiunzione di abbattere le opere abusive.
Come la Sezione ha affermato di recente, se è vero che l'edificazione intervenuta in base a titolo successivamente annullato equivale ad edificazione senza titolo, è altrettanto vero (e ragionevole) che il legislatore non equipara, quanto agli effetti sanzionatori, le due fattispecie, rendendo necessario comparare l'interesse pubblico al recupero dello status quo ante con il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive del cittadino incolpevole dell'illegittimità, al contrario confidante nell'esercizio legittimo del potere amministrativo.
Ciò comporta che - dapprima nella verifica della necessità di irrogazione della sanzione (quando non si possano potendosi rimuovere i vizi riscontrati nell'atto annullato), e poi, una volta riscontratane la necessità, nella scelta della sanzione applicabile - l'amministrazione debba svolgere una verifica, congruamente motivando su quanto infine deciso (cfr. sez. IV, 10 agosto 2011).
D’altronde, nella fattispecie ex art. 38 t.u. la demolizione rappresenta l’extrema ratio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1535; Id., sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2852), il che rende necessario una motivazione specifica (e non estremamente sintetica se non implicita, come il Comune vorrebbe sufficiente) a sorreggere quel tipo di provvedimento.
E, per concludere, nel caso concreto l’affidamento del privato appare meritevole di attenzione (il che, nuovamente, esclude che possa bastare una motivazione concentrata ed ellittica). La concessione edilizia poi annullata è stata rilasciata sulla scorta di una interpretazione e applicazione della normativa di piano che T.A.R. e Consiglio di Stato hanno sì disatteso, ma che in punto di fatto - come neppure il Comune nega - sembra essere stata largamente e pacificamente adottata nel passato.
Dalle considerazioni che precedono, discende che l’appello è fondato e va pertanto accolto. Ne segue, in riforma della sentenza impugnata, l’annullamento dell’ordinanza impugnata nei sensi di cui appena si è detto, salvi ovviamente, gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione in merito al citato art. 38.
Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.
Peraltro, apprezzate le circostanze, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla il provvedimento oggetto del ricorso di primo grado.
Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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