Thursday 22 March 2012 10:00:40
Giurisprudenza Giustizia e Affari Interni
Consiglio di Stato
Il Collegio nel caso di specie ricorda che l’art. 124, cit., è del seguente tenore: « A prova del passaggio in giudicato della sentenza il cancelliere [del giudice che l’ha pronunciata] certifica, in calce alla copia contenente la relazione di notificazione, che non è stato proposto nei termini di legge appello o ricorso per cassazione, né istanza di revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell'articolo 395 del codice. [II]. Ugualmente il cancelliere certifica in calce alla copia della sentenza che non è stata proposta impugnazione nel termine previsto dall'articolo 327 del codice». Queste disposizioni conseguono a quelle dell’art. 123, il quale fa onere all’ufficiale giudiziario che notifica un atto d’impugnazione di darne avviso alla cancelleria del giudice a quo (si tratta peraltro di una mera comunicazione, la cui eventuale omissione non produce effetti rilevanti). Come si vede, al cancelliere non compete certificare che la sentenza sia passata in giudicato, bensì che non siano state proposte impugnazioni. E’ vero che tale certificazione ha lo scopo di fungere da prova del passaggio in giudicato; ma ai fini del relativo accertamento non è una prova risolutiva, e neppure indispensabile. E’ ovvio, infatti, che il cancelliere registra fatti, non esprime giudizi; e non può attestare altro, che ciò che risulta agli atti del suo ufficio. Tutto ciò che egli abbia certificato (o in senso positivo, o in senso negativo) è suscettibile di prova contraria, non perché abbia attestato il falso, ma perché vi sono elementi che sfuggono alla sua conoscenza ed alla sua competenza. E’ possibile che una impugnazione sia stata proposta, senza che il cancelliere del giudice a quo ne abbia avuta notizia; così come, al contrario, pur quando il cancelliere abbia ricevuto la comunicazione, e lo attesti, è possibile che poi l’appello non sia stato depositato, ovvero che l’appellante vi abbia rinunciato, etc.. Ancora: il cancelliere può certificare che nessuna impugnazione è stata proposta nel termine di cui all’art. 327 c.p.c. (termine c.d. lungo) e tuttavia è possibile che taluno sia ancora in termini per proporla, come previsto dal secondo comma dello stesso art. 327. Non è certamente compito del cancelliere del giudice a quo darsi carico di tutti questi aspetti. Ma vi è di più: un atto di appello può essere stato ritualmente notificato e anche depositato, ed il relativo giudizio può essere effettivamente pendente, e nondimeno è possibile che questo o quel capo della sentenza di primo grado sia passato in giudicato perché non investito dall’atto di appello. Tutto ciò comprova che la certificazione di cui all’art. 124 disp. att. non è inoppugnabile, e non è neppure indispensabile: se rilasciata, può essere data la prova contraria; se non rilasciata, la prova può essere data in altro modo. Spetta al giudice, davanti al quale venga dedotta l’esistenza di un giudicato per basarvi una domanda o un’eccezione, accertare pregiudizialmente se in realtà un giudicato vi sia e quali ne siano il contenuto e gli effetti sulla materia del contendere nell’ambito di quel processo. S’intende che se vi è una impugnazione pendente, il giudice davanti al quale viene dedotto il giudicato non può che prenderne atto, senza sostituirsi al giudice dell’impugnazione nel valutarne l’ammissibilità, la ritualità e la fondatezza. Ma può tuttavia giudicare se la pendenza di quel processo (quale che possa esserne l’esito futuro) abbia o meno l’effetto di precludere la formazione del giudicato sulle questioni a lui sottoposte.
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