Thursday 26 July 2012 13:26:04
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
Consiglio di Stato
La normativa (c.d. del “piccolo condono”) di cui al comma 25 dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003 n.269 (conv. in L. n. 326/2003) riaprì la possibilità di richiedere il condono delle opere abusive che risultino essere ultimate entro il 31 marzo 2003 limitatamente: -- all’ampliamento di manufatti esistenti non superiore al 30% della volumetria della costruzione originaria, con il limite dei 750 metri cubi; -- alle “nuove costruzioni residenziali” non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi. In base alla costruzione letterale stessa della norma, in linea di principio la disciplina del condono edilizio del 2003, a differenza dei precedenti, non era dunque applicabile all’istallazione di nuove strutture ad uso diverso da quello residenziale in quanto come esattamente rilevato nella sentenza impugnata dal TAR “Le tipologie di “abusi minori” come definite dall’art. 32 comma 25 del d.l. n. 269/2003 conv in l. n. 326/2003 non contemplano evidentemente, tra le fattispecie di abuso sanabili, le “nuove costruzioni con destinazione non residenziale”. Nessun rilievo al contrario può assurgere nella specie la tesi riportata dalla Circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 7 dicembre 2005, n. 2699, secondo cui sono condonabili tutte le opere, "ab origine" prive di titolo abilitativo, residenziali e non, in quanto la natura eccezionale dell'istituto del condono edilizio e la sua incidenza su illeciti amministrativi, a rilevanza penale, implicano che la tipologia e consistenza delle opere suscettibili di sanatoria devono essere individuate con rigorosa tassatività dalle singole leggi istitutive, senza possibilità di integrazioni con le diverse fattispecie previste dalle leggi precedenti (cfr. Consiglio Stato, A. Plen., 23 aprile 2009 n.4; Cassazione penale, sez. III, 02 dicembre 2010, n. 762; idem, 24 febbraio 2004, n. 15283, ecc. ). Sotto altro profilo deve poi annotarsi che, come si evince dall’attestazione del responsabile del servizio versata dalla controinteressata – come esattamente affermato nel provvedimento impugnato ma non contestato dall’appellante -- l’area in parte è classificata come “Zona G1 Verde di rispetto stradale” con divieto di qualsiasi nuova costruzione ed in parte rientra nella fascia di rispetto dei 150 mt del vallone Acqualaggia sottoposto a vincolo ambientale ai sensi della lett. c) dell’art.142 del l.lgs. n. 42/2004. A tal proposito si ricorda che il 27° co. d) dell’art. 32 cit., prevedeva che le opere abusive non fossero comunque suscettibili di sanatoria, “qualora siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformialle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”. In definitiva, nel caso di specie, alle strutture impiantate non era dunque applicabile il "nuovo" condono edilizio di cui all’art. 32 del d. I. n. 269 del 2003: -- poiché, dovendo qualificarle come “nuove costruzioni” non attenti all’edilizia residenziale, non potevano essere ricomprese nell’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 32 cit.; -- perché comunque insistevano in un’area per una parte sottoposta a vincoli ambientali imposti antecedentemente al momento di realizzazione dell’abuso..
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