Friday 17 February 2012 14:48:32

Giurisprudenza  Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa

Svolgimento di mansioni superiori: individuazione del differente trattamento, anche ai fini retributivi, del dipendente pubblico rispetto al dipendente privato

Consiglio di Stato

Il prevalente indirizzo giurisprudenziale esclude la corresponsione del trattamento economico, corrispondente a funzioni superiori alla qualifica di appartenenza, in assenza di esplicite disposizioni normative al riguardo. La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne infatti la nota problematica dello svolgimento di funzioni superiori, rispetto a quelle proprie della qualifica di appartenenza: questione da tempo oggetto di contenzioso, sotto il duplice profilo del riconoscimento sia del superiore livello professionale di fatto raggiunto, sia del trattamento economico corrispondente alle mansioni svolte. Sotto il primo profilo, è oggetto di pacifica giurisprudenza l’inammissibilità della pretesa, in quanto riferita ad una posizione lavorativa definita con provvedimento autoritativo di inquadramento, quale atto di carattere auto-organizzatorio contestabile entro gli ordinari termini di decadenza, con correlativa posizione di interesse legittimo non suscettibile di azione di accertamento (Cons. St., Ad.Plen. 20.3.1989, n. 8 e successiva giurisprudenza pacifica; cfr., fra le tante, Cons. St., sez. IV, 17.12.1991, n. 1124 e 17.4.90, n. 279; sez. VI, 10.4.1997, n. 573). Per quanto riguarda, inoltre, la retribuzione delle mansioni superiori alla qualifica di fatto svolte, il Collegio stesso ritiene condivisibile l’indirizzo giurisprudenziale, largamente prevalente per il periodo che qui interessa, che nega in ordine all’espletamento di dette mansioni – per il periodo di cui trattasi – qualsiasi rilevanza anche economica. (cfr. in tal senso Cons. St., sez. IV, 29.1.93, n. 119, 22.2.93, n. 203, 14.5.93, n. 536, 30.6.93, nn. 646, 647 e 648; 13.6.94, nn. 492 e 493; sez. V, 23.11.94, n. 1362, 18.1.95, n. 89, 22.3.95, n. 452, 30.4.97, n. 429, 17.5. 97, n. 515, nonché Ad. Plen. 18.11.99, n. 22). In rapporto a quanto sopra, sembra opportuno sottolineare come il quadro normativo di riferimento vedesse - quale principio generale, per i rapporti di lavoro instaurati presso pubbliche amministrazioni - l’affermazione di un vero e proprio diritto del dipendente stesso all’esercizio delle funzioni, inerenti alla qualifica formalmente rivestita (art.31, c.1, D.P.R. n. 3/1957), con ben precise regole per il passaggio a qualifiche funzionali diverse, essendo oggetto di consolidata giurisprudenza - anche prima di esplicitazioni legislative al riguardo - che sia l’immissione nei ruoli dell’Amministrazione, sia il successivo sviluppo della carriera debbano avvenire per concorso, tenuto conto della peculiarità ed indisponibilità degli interessi, inerenti all’attività dei pubblici funzionari (cfr. al riguardo Cons.St., sez.V, 30.4.1997, n. 429). Il trattamento economico dei dipendenti in questione, inoltre, è correlato ad una capacità di diritto pubblico e non di diritto comune dell’Ente datore di lavoro, con conseguente inderogabilità del medesimo, di modo che il pagamento spettante a titolo di retribuzione può avvenire solo nei modi e con l’entità previsti dalla legge, tenuto conto degli atti di inquadramento nelle qualifiche (Cons. St., sez. V, 9.4.94, n. 272; 18.1.95, n. 89 e 17.5.97, n.515). Può essere dunque individuato, in base alle argomentazioni sinora svolte, uno dei più significativi punti di diversificazione fra lavoratori, che operino presso un soggetto pubblico o privato, essendo applicabile solo nei confronti di quest’ultimo l’art. 2103 cod. civ. - nel testo sostituito dall’art. 13 L. 20.5.70, n. 300, ritenuto inestensibile al rapporto di pubblico impiego (Cons. St. sez. V , 11.1.85, n. 12 e 10.6.82, n. 521; sez. VI, 7.7.81, n. 392, Corte Cost. ord. 23.12.87, n. 601; Cons. St., sez. VI, 31.3.87, n.217; Cons. St., sez. V, 5.10.87, n. 604, 2.12.87, n. 937; 10.6.82, n.52 e 7.7.81, n.392). Detta diversificazione trova ragione profonda nella sostanziale assenza per gli apparati pubblici del rischio di impresa e comunque in una specifica scelta legislativa. Nemmeno appare invocabile nella materia di cui trattasi l’art. 36 della Costituzione, sia per assenza di un diritto soggettivo in rapporto agli atti con cui l’Amministrazione ha proceduto all’organizzazione dei propri uffici, predisponendo la pianta organica ed operando i relativi inquadramenti (Cons. St. sez.V, 11.1.85, n. 12), sia perchè detta norma costituzionale pone solo un parametro di riscontro, per verificare che in sede legislativa o regolamentare non siano state operate discriminazioni fra lavoratori, e non sorregge anche la pretesa ad una retribuzione superiore rispetto a quella normativamente spettante (Cons.St., Ad. Plen. 5.5.78, n. 16 e 4.11.77, n.17; Cons. St. sez. IV, 15.10.90, n. 768; sez. V, 22.3.95, n.452; 24.5.96, n. 587; 30.4.97, n.429; 17.5.97, n.515), sia infine perchè la retribuzione è collegata non solo alla “quantità”, ma anche alla “qualità” del lavoro svolto: requisito, quest’ultimo, che non può essere presunto senza alcun nesso con la riconosciuta idoneità allo svolgimento di una certa prestazione lavorativa. Rilevano a quest’ultimo riguardo numerose pronunce della Corte dei Conti (cfr. C.d.C., sez. II, 23.1.91, n. 58 e 9.10.89, n. 242), secondo le quali l’assunzione, da parte di pubblici dipendenti, di mansioni superiori alla qualifica comporterebbe un danno erariale, non potendo ritenersi utili, per l’Amministrazione, prestazioni lavorative rese in maniera difforme da quella prevista dall’ordinamento.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

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