Thursday 24 January 2013 17:09:00
Giurisprudenza Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali
Corte Costituzionale
La Corte di cassazione ha sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, secondo comma, della legge della Regione Marche 4 settembre 1979, n. 31 (Interventi edificatori nelle zone di completamento previste dagli strumenti urbanistici generali comunali), per violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione. La disposizione censurata – art. 1, secondo comma – consente che gli edifici aventi impianto edilizio preesistente, con evidenti caratteristiche di non completezza, compresi nelle zone di completamento con destinazione residenziale previste dagli strumenti urbanistici generali comunali approvati, siano ampliati anche in deroga alle distanze e/o al volume stabiliti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765). Il successivo articolo 2, della medesima legge regionale n. 31 del 1979, stabilisce che a tal fine i Comuni, entro un anno dalla data di entrata in vigore della stessa, individuano gli edifici da ampliare, distinguendo gli edifici aventi bisogno di deroga dai distacchi, quelli aventi bisogno di completamento volumetrico, quelli aventi bisogno sia di completamento volumetrico sia di deroga dai distacchi. Ai sensi del medesimo articolo 2, quarto comma, tale procedura è approvata dal Consiglio comunale e ha efficacia di piano particolareggiato. Secondo l’ordinanza di rimessione, la previsione regionale censurata, nella parte in cui consente ampliamenti in deroga alle distanze e/o ai volumi stabiliti dal d.m. n. 1444 del 1968, sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto travalicherebbe la competenza regionale concorrente in materia di «governo del territorio», ex art. 117, terzo comma, Cost., interferendo con la disciplina delle distanze tra le costruzioni, che rientra nella materia «ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. La Consulta ha ritenuto fondato il ricorso in quanto la regolazione delle distanze tra i fabbricati deve essere inquadrata nella materia «ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 114 del 2012, n. 173 del 2011, n. 232 del 2005). Infatti, tale disciplina attiene in via primaria e diretta ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi e ha la sua collocazione innanzitutto nel codice civile. La regolazione delle distanze è poi precisata in ulteriori interventi normativi, tra cui rileva, in particolare, il citato d.m. n. 1444 del 1968. Tuttavia, la giurisprudenza costituzionale ha altresì chiarito che, poiché «i fabbricati insistono su di un territorio che può avere rispetto ad altri – per ragioni naturali e storiche – specifiche caratteristiche, la disciplina che li riguarda – ed in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso – esorbita dai limiti propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici» (sentenza n. 232 del 2005), la cui cura è stata affidata alle Regioni, in base alla competenza concorrente in materia di «governo del territorio», ex art. 117, terzo comma, Cost. Per queste ragioni, in linea di principio la disciplina delle distanze minime tra costruzioni rientra nella materia dell’ordinamento civile e, quindi, attiene alla competenza legislativa statale; alle Regioni è consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nelle normative statali, solo a condizione che la deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio. Dunque, se da un lato non può essere del tutto esclusa una competenza legislativa regionale relativa alle distanze tra gli edifici, dall’altro essa, interferendo con l’ordinamento civile, è rigorosamente circoscritta dal suo scopo – il governo del territorio – che ne detta anche le modalità di esercizio. Pertanto, la legislazione regionale che interviene in tale ambito è legittima solo in quanto persegue chiaramente finalità di carattere urbanistico, rimettendo l’operatività dei suoi precetti a «strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 232 del 2005). Le norme regionali che, disciplinando le distanze tra edifici, esulino da tali finalità, ricadono illegittimamente nella materia «ordinamento civile», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.3.3.— La norma regionale censurata infrange i principi sopra ricordati, in quanto consente espressamente ai Comuni di derogare alle distanze minime fissate nel d.m. n. 1444 del 1968, senza rispettare le condizioni stabilite dall’art. 9, ultimo comma, del medesimo decreto ministeriale, che, come si è detto, esige che le deroghe siano inserite in appositi strumenti urbanistici, a garanzia dell’interesse pubblico relativo al governo del territorio. La disposizione regionale impugnata, al contrario, autorizza i Comuni ad «individuare gli edifici» dispensati dal rispetto delle distanze minime. La deroga non risulta, dunque, ancorata all’esigenza di realizzare la conformazione omogenea dell’assetto urbanistico di una determinata zona, ma può riguardare singole costruzioni, anche individualmente considerate.Pertanto, l’art. 1, secondo comma, della legge regionale Marche n. 31 del 1979 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, in quanto eccede la competenza regionale concorrente del «governo del territorio», violando il limite dell’«ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
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