Wednesday 22 February 2017 19:29:49
Giurisprudenza Patto di Stabliità, Bilancio e Fiscalità
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 7.2.2017
La Sesta sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 7 febbraio 2017 ha affermato che la questione, che si risolve nella verifica della (persistenza della) sussistenza della legittimazione processuale degli organi della società in bonis, poi sottoposta alla procedura concorsuale della liquidazione coatta amministrativa, non può essere risolta, come ha fatto erroneamente il TAR, con l’affermazione di una regola astratta e universale, ma esige, al contrario, la distinzione delle diverse tipologie di controversie alle quali va riferita l’indagine. Mentre, infatti, appare chiaro che nelle cause pendenti relative a rapporti obbligatori (attivi o passivi) intestati alla società posta in l.c.a., quest’ultima viene rappresentata in giudizio per mezzo del commissario liquidatore, così come spetta a quest’ultimo promuovere (o resistere ad) azioni giudiziarie riferibili, in via generale, all’attività d’impresa della società (cfr. ex multis Cass. Civ., sez. I, 22 gennaio 2014, n.1280), risulta altrettanto evidente che la legittimazione alla contestazione del provvedimento amministrativo che ha degradato lo status giuridico della società, disponendone la soggezione a una procedura concorsuale, non può obbedire al medesimo criterio. Se, invero, nella prima tipologia di controversie l’attribuzione al commissario liquidatore della legittimazione processuale, attiva e passiva, risponde all’esigenza di assegnare al nuovo organo di gestione della società la rappresentanza in giudizio in liti che riguardano l’attività d’impresa e che sono, quindi, soggettivamente riferibili alla persona giuridica di cui il commissario liquidatore è divenuto amministratore (in sostituzione degli organi della società in bonis), nella seconda categoria di cause (l’impugnazione del provvedimento che ha assoggettato l’impresa a una procedura concorsuale) non si verte su rapporti giuridici afferenti all’attività della società, ma sull’esistenza dei presupposti legittimanti l’adozione dell’atto costitutivo del nuovo (e più sfavorevole) status giuridico. In quest’ultima ipotesi, quindi, non ha alcun senso attribuire la legittimazione processuale al commissario liquidatore, il cui mandato gestorio resta del tutto estraneo a quel tipo di attività giudiziaria, mentre appare fisiologico il riconoscimento della legittimazione ad causam agli organi della società in bonis, che, limitatamente a quel tipo di controversia, conservano la capacità di agire in giudizio al fine di contestare, a tutela di un interesse personale, e, come tale, non trasferito alla gestione commissariale, la validità del provvedimento che ha prodotto l’effetto della degradazione dello status giuridico della società e, quindi, una lesione propria (in via esclusiva) della società in bonis (e non certo di quella costituita dal provvedimento che si intende contestare). Tale soluzione, oltre ad essere la più coerente con i principi processuali generali in tema di legittimazione e di interesse ad agire, che esigono che le predette condizioni dell’azione siano riconosciute solo in capo al soggetto titolare della posizione soggettiva controversa, risulta anche confermata dalla giurisprudenza che ha riconosciuto negli organi titolari della gestione dell’impresa (quando era in bonis), e non nel commissario liquidatore, i contraddittori naturali (e necessari) delle controversie aventi ad oggetto lo stato di insolvenza (come, sostanzialmente, quella in esame), anche sulla base del rilievo che la nomina del commissario non implica la cessazione definitiva degli organi ordinari, ma comporta solo la sospensione temporanea delle loro funzioni (Cass. Civ., sez. I, 4 luglio 2013, n.16746). Per approfondire scarica la sentenza.
Pubblicato il 07/02/2017
N. 00542/2017REG.PROV.COLL.
N. 06867/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6867 del 2014, proposto da:
* a r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Manzi C.F. MNZNDR64T26I804V, Stefano Conti C.F. CNTSFN62A21L781C, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;
contro
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Avv. Cristiana Fargnoli nella qualità di Commissario Liquidatore di Gaia Service soc. coop. a r.l. in liquidazione coatta amministrativa, non costituita in giudizio;
nei confronti di
* società cooperativa a r.l. in liquidazione coatta amministrativa, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA :SEZIONE III n. 00140/2014, resa tra le parti, concernente l’assoggettamento della società ricorrente alla procedura di liquidazione coatta amministrativa.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2017 il Cons. Carlo Deodato e uditi per le parti gli avvocati Paolo Marchini dell'Avvocatura Generale dello Stato e Paolo Caruso su delega dell'avv. Andrea Manzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto dichiarava inammissibile il ricorso proposto dalla* soc. coop. a r.l. (d’ora innanzi Gaia) avverso il decreto con cui il Ministero per lo sviluppo economico l’aveva posta in liquidazione coatta amministrativa, sulla base del rilievo del difetto di legittimazione a ricorrere in capo alla persona fisica che ricopriva la qualifica di legale rappresentante prima dell’adozione dell’atto ministeriale impugnato.
Avverso la predetta decisione proponeva appello la * criticando la correttezza della statuizione di inammissibilità, riproponendo, nel merito, i motivi dedotti a sostegno del ricorso di primo grado contro il decreto ministeriale che l’ha posta in liquidazione coatta amministrativa e concludendo per l’annullamento di quest’ultimo, previa riforma della decisione appellata.
Resisteva il Ministero per lo sviluppo economico, difendendo la decisione dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso di primo grado, contestando, nel merito, la fondatezza dell’appello e domandandone la reiezione, con conseguente conferma della statuizione impugnata dalla Gaia, in ipotesi con diversa formula dispositiva.
Non si costituiva in giudizio il commissario liquidatore della *.
Con ordinanza pronunciata nella camera di consiglio dell’8 settembre 2015 veniva sospesa l’esecutività della decisione appellata.
Il ricorso veniva trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 19 gennaio 2017.
DIRITTO
1.- E’ controversa la legittimità del decreto in data 30 gennaio 2012 con cui il direttore generale per le piccole e medie imprese e gli enti cooperativi del Ministero dello sviluppo economico ha posto in liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art.2545 terdecies c.c., la società cooperativa * Service.
Come già rilevato in fatto, il Tribunale veneto ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto dalla sig.ra *, nella dichiarata veste di legale rappresentante della *, per il riscontro del difetto in capo a quest’ultima della legittimazione a rappresentare la ricorrente, per avere ormai perduto, per effetto dell’adozione del decreto impugnato, qualsivoglia capacità rappresentativa della società cooperativa (ormai affidata al commissario liquidatore contestualmente nominato).
L’appellante * critica la correttezza di tale statuizione e reitera, nel merito, i motivi intesi a contestare la legittimità del provvedimento ministeriale impugnato in primo grado.
2.- Con il primo motivo di appello la * critica la correttezza della gravata declaratoria dell’inammissibilità, insistendo nel sostenere la propria legittimazione, mediante gli organi societari originari, all’impugnazione del provvedimento che l’ha posta in liquidazione coatta amministrativa.
La censura è fondata e va accolta.
La questione, che si risolve nella verifica della (persistenza della) sussistenza della legittimazione processuale degli organi della società in bonis, poi sottoposta alla procedura concorsuale della liquidazione coatta amministrativa, non può essere risolta, come ha fatto erroneamente il TAR, con l’affermazione di una regola astratta e universale, ma esige, al contrario, la distinzione delle diverse tipologie di controversie alle quali va riferita l’indagine.
Mentre, infatti, appare chiaro che nelle cause pendenti relative a rapporti obbligatori (attivi o passivi) intestati alla società posta in l.c.a., quest’ultima viene rappresentata in giudizio per mezzo del commissario liquidatore, così come spetta a quest’ultimo promuovere (o resistere ad) azioni giudiziarie riferibili, in via generale, all’attività d’impresa della società (cfr. ex multisCass. Civ., sez. I, 22 gennaio 2014, n.1280), risulta altrettanto evidente che la legittimazione alla contestazione del provvedimento amministrativo che ha degradato lo status giuridico della società, disponendone la soggezione a una procedura concorsuale, non può obbedire al medesimo criterio.
Se, invero, nella prima tipologia di controversie l’attribuzione al commissario liquidatore della legittimazione processuale, attiva e passiva, risponde all’esigenza di assegnare al nuovo organo di gestione della società la rappresentanza in giudizio in liti che riguardano l’attività d’impresa e che sono, quindi, soggettivamente riferibili alla persona giuridica di cui il commissario liquidatore è divenuto amministratore (in sostituzione degli organi della società in bonis), nella seconda categoria di cause (l’impugnazione del provvedimento che ha assoggettato l’impresa a una procedura concorsuale) non si verte su rapporti giuridici afferenti all’attività della società, ma sull’esistenza dei presupposti legittimanti l’adozione dell’atto costitutivo del nuovo (e più sfavorevole) status giuridico.
In quest’ultima ipotesi, quindi, non ha alcun senso attribuire la legittimazione processuale al commissario liquidatore, il cui mandato gestorio resta del tutto estraneo a quel tipo di attività giudiziaria, mentre appare fisiologico il riconoscimento della legittimazione ad causam agli organi della società in bonis, che, limitatamente a quel tipo di controversia, conservano la capacità di agire in giudizio al fine di contestare, a tutela di un interesse personale, e, come tale, non trasferito alla gestione commissariale, la validità del provvedimento che ha prodotto l’effetto della degradazione dello status giuridico della società e, quindi, una lesione propria (in via esclusiva) della società in bonis (e non certo di quella costituita dal provvedimento che si intende contestare).
Tale soluzione, oltre ad essere la più coerente con i principi processuali generali in tema di legittimazione e di interesse ad agire, che esigono che le predette condizioni dell’azione siano riconosciute solo in capo al soggetto titolare della posizione soggettiva controversa, risulta anche confermata dalla giurisprudenza che ha riconosciuto negli organi titolari della gestione dell’impresa (quando era in bonis), e non nel commissario liquidatore, i contraddittori naturali (e necessari) delle controversie aventi ad oggetto lo stato di insolvenza (come, sostanzialmente, quella in esame), anche sulla base del rilievo che la nomina del commissario non implica la cessazione definitiva degli organi ordinari, ma comporta solo la sospensione temporanea delle loro funzioni (Cass. Civ., sez. I, 4 luglio 2013, n.16746).
Alle considerazioni che precedono conseguono il riconoscimento della legittimazione processuale in capo agli organi della cooperativa * in bonis e, quindi, in riforma della decisione appellata, dell’ammissibilità del ricorso da essi proposto contro il decreto ministeriale impugnato.
3.- L’accoglimento del primo motivo di appello non comporta, tuttavia, la rimessione della causa al giudice di prima istanza e impone di procedere all’esame delle censure (ritualmente riproposte) rivolte contro il decreto ministeriale dispositivo della liquidazione coatta amministrativa della *.
Prima di esaminare le anzidette doglianze, occorre, tuttavia, rilevare che l’appellante si limita, con le tre censure di seguito esaminate, a censurare profili di illegittimità solo formali e procedimentali, ma, a ben vedere, non contesta, se non con formule generiche e astratte, il presupposto dell’esercizio del potere controverso, e, cioè, il proprio stato di insolvenza.
4.- Così chiarito che le doglianze si rivolvono nella deduzione di aspetti afferenti solo alla legalità formale dell’atto controverso, occorre scrutinare la fondatezza del primo motivo, con cui viene dedotta l’inosservanza delle garanzie partecipative consacrate nell’art.10, comma 1, lett. a) e b) della legge n.241 del 1990, per essere stati preclusi alla * l’accesso agli atti del procedimento, e, in particolare, la visione del verbale di mancata revisione (che l’interessata ha potuto conoscere solo in esito a un’istanza di accesso riscontrata favorevolmente, ma tardivamente, dalla Commissione per l’accesso alla documentazione amministrativa), e, quindi, la partecipazione al procedimento (mediante il deposito di memorie scritte e di documenti).
La censura è infondata e va disattesa.
Il diniego di accesso ad atti endoprocedimentali, infatti, non implica, in via automatica, come vorrebbe l’appellante, l’illegittimità del provvedimento conclusivo del procedimento, ma produce il solo effetto di consentire al destinatario di quest’ultimo di attivare i rimedi amministrativi o giurisdizionali preordinati ad ottenere la conoscenza degli atti istruttori e, se ottenuta dopo la formalizzazione dell’atto finale, di utilizzare le argomentazioni e le informazioni ricavate dall’accesso quali ragioni del ricorso giurisdizionale, o, addirittura, se ottenuta dopo la proposizione del gravame, ai fini della proposizione di motivi aggiunti (Cons. St., sez. VI, 14 giugno 2016, n.2565).
Tale soluzione impedisce, per un verso, la pronuncia di un giudizio di illegittimità sulla base del mero rilievo di violazioni formalistiche e assicura, per un altro, l’integrità del diritto di difesa dell’interessato, trasferendolo dalla fase procedimentale a quella contenziosa, ma senza alcuna riduzione o limitazione dell’effettività degli strumenti di tutela attivabili a protezione degli interessi asseritamente lesi dall’attività amministrativa contestata.
5.- Con la seconda censura si assume, in sintesi, l’illegittimità del provvedimento ministeriale siccome fondato sull’erroneo rilievo dell’omessa trasmissione della documentazione contabile da parte della * alla Confcooperative *, che aveva poi redatto il verbale di mancata revisione che, a sua volta, era stato assunto, - peraltro, si asserisce, con scarsa valenza probatoria dell’insolvenza-, a fondamento del provvedimento dispositivo dell’assoggettamento della cooperativa alla procedura di l.c.a.
Anche tale motivo dev’essere respinto.
Dalla nota del Ministero dello sviluppo economico prot. n.0172650 in data 16 settembre 2011 (prodotta dalla stessa appellante) si ricava, infatti, che la procedura contestata è originata da una proposta della Confcooperative, associazione nazionale di rappresentanza delle cooperative alla quale aderiva la *, fondata sulla contestuale segnalazione (al Ministero) dell’impossibilità del revisore (incaricato) di procedere al controllo della situazione contabile della cooperativa, nonostante la richiesta di ispezione formalizzata con due raccomandate, rimaste (entrambe) prive di riscontro, indirizzate presso il domicilio del legale rappresentante dell’ente cooperativo (Sig.ra *) e presso la sua sede legale.
Come si vede, dunque, il Ministero, in difetto della tempestiva rappresentazione, da parte della cooperativa interessata (che pure era stata formalmente informata dell’avvio del procedimento), di circostanze diverse da quelle comunicate dall’associazione vigilante e, segnatamente, della trasmissione a Confcooperative * della documentazione contabile già inutilmente richiesta dal revisore incaricato dell’ispezione, ha correttamente assunto a fondamento della sua determinazione la relazione ispettiva attestante l’omessa revisione del bilancio della *, oltre alle risultanze di ulteriori accertamenti istruttori eseguiti d’ufficio presso il registro delle imprese.
A fronte, infatti, della formale comunicazione dell’omessa revisione del bilancio della cooperativa, per la riscontrata inerzia (se non per l’accertato ostruzionismo) della stessa, - nella collaborazione dovuta al revisore incaricato dell’ispezione, ed in mancanza di risultanze informative di segno contrario, delle quali era onerata la stessa società-, l’amministrazione ha legittimamente apprezzato le carenze e le inadempienze implicate dal comportamento riportato nella relazione come significative, insieme alle ulteriori acquisizioni istruttorie, dello stato di insolvenza dell’ente.
Né la * risulta aver assolto all’onere dimostrativo della propria solvibilità non potendosi intendere, sufficiente, a questi fini, la mera allegazione della documentazione contabile, non supportata da (convincenti) argomentazioni difensive intese a dimostrare l’insussistenza dello stato di insolvenza e, comunque, idonee a ricostruire, in maniera opposta a quella dedotta a fondamento dell’atto contestato, ma, comunque, attendibile, la situazione economica dell’ente.
6.- Il terzo motivo, con cui si insiste nel sostenere il vizio di difetto di istruttoria, può essere disatteso sulla base delle medesime considerazioni appena svolte, con l’ulteriore precisazione che la motivazione per relationem deve intendersi ammessa dall’art.3, comma 3, della legge n.241 del 1990, nelle ipotesi in cui il provvedimento sia preceduto e giustificato da atti istruttori in esso espressamente richiamati (cfr. ex multis Cons. St., sez. V, 25 febbraio 2016, n.752).
7.- Alla stregua delle considerazioni che precedono l’appello dev’essere in parte accolto e in parte respinto e, per l’effetto, in riforma della decisione appellata, dev’essere respinto nel merito il ricorso di primo grado.
8.- La soccombenza reciproca giustifica la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, per l'effetto, in riforma della decisione appellata, con diversa motivazione, respinge il ricorso di primo grado e compensa tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2017 con l'intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere, Estensore
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Dario Simeoli, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Carlo Deodato | Luciano Barra Caracciolo | |
IL SEGRETARIO
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