Monday 22 May 2017 12:29:25

Giurisprudenza  Patto di Stabliità, Bilancio e Fiscalità

L'atto di costituzione in mora non richiede l'uso di formule solenni né l'osservanza di particolari adempimenti

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza della Corte dei Conti sez. giurisdizionale per la Regione Lombardia del 16.5.2017

La Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia nella sentenza depositata in data 16 maggio 2017 ha richiamato l'orientamento della Corte dei conti e del Giudice di legittimità (vedi Cass. n. 10926/2005, n. 10270/2006, n.2481/2007) in ragione del quale l'atto di costituzione in mora di cui all'art. 1219 c.c. non è soggetto a rigore di forme, all'infuori della scrittura, e quindi non richiede l'uso di formule solenni né l'osservanza di particolari adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto. Per approfondire vai alla sentenza.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LOMBARDIA  SENTENZA 74 2017 RESPONSABILITA' 16/05/2017
 

 

                              REPUBBLICA ITALIANA          Sent. 74/2017

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA

composta dai Magistrati:

Silvano DI SALVO                                               Presidente 

Luisa MOTOLESE                                            Componente rel.

Giuseppina VECCIA                                         Componente 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per responsabilità amministrativa iscritto al n.28577 del registro di Segreteria, instaurato dalla Procura regionale nei confronti del dott. Luigi Andreoli, nato a Roma il 29.01.1949, residente a Bergamo, via Pascoli n. 3, C.F. NDRLGU49A29H501J, rappresentato e difeso dall’Avv. Gennaro Messuti presso il cui studio, in Milano, via Lamarmora 40, è elettivamente domiciliato.

Uditi, nella pubblica udienza del giorno 8 febbraio 2017, con l’assistenza del Segretario dott.ssa Barbara Marta Pisani, il Giudice relatore dott.ssa Luisa Motolese, il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. Antonino Grasso, l'avv. Gennaro Messuti per il convenuto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione, depositato presso la Segreteria di questa Sezione in data 11 luglio   2016, la Procura regionale ha convenuto in giudizio  il dr. Luigi  Andreoli per sentirlo condannare al pagamento, in favore dell'ASL di Bergamo e della Regione Lombardia, dell'importo di euro 6.704,20 oltre a rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio, per l'asserito danno derivante dall'avere prescritto, in  qualità di medico di medicina generale, nell’ anno 2008,  farmaci ai propri assistiti in maniera significativamente anomala rispetto alla soglia di riferimento.

La vicenda ha preso avvio da una comunicazione  effettuata in data 18 giugno 2015 dalla ASL di Bergamo  alla Procura regionale per un'ipotesi di danno a carico di Luigi Andreoli , medico  di medicina generale (MMG) della  ASL Bergamo  in rapporto di convenzione con il SSN per l’ anno 2008 successivamente alle valutazioni del  Comitato Distrettuale  e della Commissione Aziendale, entrambe operanti all’interno dell’ASL,  che  avevano ritenuto  non valide  le valutazioni fornite  dal medico con la conseguente decisione di recuperare le somme delle prestazioni indebite contestate. 

La suddetta Commissione, nel verbale redatto in data 13.04.2015, pur apprezzando l’esaustività della relazione del dr. Andreoli, specificava che suo precipuo compito era, infatti, limitato alla verifica della correttezza dell’applicazione della norma e non già alla valutazione clinica dei casi. 

 In relazione a tali fatti la Procura ha notificato al predetto sanitario rituale invito a dedurre, in relazione al quale il medesimo ha prodotto proprie deduzioni ma non ha chiesto di essere sentito personalmente.

La Procura, non avendo ritenuto le argomentazioni addotte idonee a superare le contestazioni mosse, ha convenuto in giudizio l'invitato ravvisando a suo carico tutti gli elementi per l'imputazione della responsabilità amministrativa.

In primis, l'esistenza di un rapporto di servizio con l'ASL, su cui l'attore pubblico ha richiamato l'orientamento della Corte di Cassazione che ha riconosciuto in tali fattispecie rapporti di natura privatistica di prestazione d'opera professionale, con caratteri di parasubordinazione  (Cass., SS.UU., 22 novembre 1999, n. 813), che si inseriscono in un vero e proprio rapporto di servizio con l’Amministrazione sanitaria.

Circa il danno erariale, la Procura, precisati i concetti di "iperprescrizione in senso ampio" e di "iperprescrizione in senso stretto" di farmaci, ha rilevato come entrambe le ipotesi costituiscano un indubbio nocumento patrimoniale per la ASL, con il conseguente obbligo risarcitorio a carico del medico, secondo il disposto di cui all'art. art. 1, comma 4, del decreto legge 20 giugno 1996, n.323 convertito in 1. 8 agosto 1996, n. 425, secondo cui "il medico è tenuto a rimborsare al Servizio Sanitario Nazionale il farmaco indebitamente prescritto".

Sul punto il Requirente ha evidenziato la funzione di autorizzazione della prescrizione medica, volta a disporre la consegna al paziente del medicinale da parte del farmacista, e, ove redatta sul modulo regionale, a porre il relativo onere finanziario a carico dell'amministrazione sanitaria.

E' stato richiamato, infine, nell'ambito della normativa di riferimento, l'Accordo collettivo nazionale reso esecutivo con il d.P.R. 270/2000 che, tra l'altro, attribuisce al medico di medicina generale (MMG) il compito di ricercare "la sistematica riduzione degli sprechi nell'uso delle risorse disponibili mediante adozione di principi di qualità e di medicina basata sulle evidenze scientifiche" nonché l'art. 3 della legge 8 aprile 1998 n.94 che ha ribadito l'obbligo del  medico, nel prescrivere una specialità medicinale, di attenersi alle indicazioni terapeutiche ed alle modalità di somministrazione previste dall'autorizzazione all'immissione in commercio rilasciata dal Ministero della  Sanità (oggi Ministero della Salute), salvo eccezioni soggette a  limitazioni e condizioni severissime.

Da ciò deriverebbe la vincolatività dei criteri che devono orientare la discrezionalità tecnica del medico dei servizi di medicina generale e la conseguente illiceità di comportamenti iperprescrittivi che portino il paziente ad un consumo di farmaci incongruo od inadeguato, anche in considerazione dei maggiori rischi per la salute che l'adozione di tale pratica comporta. 

 Nell'odierna fattispecie, inoltre, l'elemento psicologico sarebbe rappresentato da una condotta connotata da dolo (contrattuale) o comunque gravemente colposa con previsione dell'eventus damni, come sarebbe dimostrato dalla circostanza che la sistematica violazione della disciplina normativa e regolamentare appena richiamata si è protratta nonostante il medico fosse stato costantemente informato da parte dell'ASL di Bergamo dei rilevati scostamenti.

Infine, con riguardo alle eccezioni già sollevate dal convenuto in sede di deduzioni preprocessuali, la Procura ha ritenuto infondata l'eccezione di prescrizione, dovendo considerarsi, anche sulla base di richiamata giurisprudenza delle Sezioni di appello di questa Corte (Sezione I, n. 474 del 14.9.2012; Sezione III, sentenza n.7 del 4.1.2012; Sezione I, n.1061 del 29.8.2014), l'atto di costituzione in mora notificato dall'Amministrazione, idoneo ad interrompere il decorso del termine di prescrizione.

Del pari è stata ritenuta infondata la deduzione per cui non vi sarebbe la prova del pagamento delle ricette, stante il versamento in atti di copie delle ricette contenenti le prescrizioni contestate e recanti il timbro della farmacia presso cui è la avvenuta la c.d. spedizione, a dimostrazione che le medesime sono state poste all'incasso e quindi liquidate dall'Amministrazione.

Le valutazioni appena esposte hanno condotto, dunque, alla formulazione dell'atto di citazione introduttivo del presente giudizio nei confronti di Luigi Andreoli  per una condotta iperprescrittiva tenuta nel 2008 e per un danno quantificato nella misura di euro   6.704,20.

Con memoria depositata il 12 gennaio  2017 si è costituito il convenuto, difeso e rappresentato dall'avv. Gennaro Messuti.

La difesa ha eccepito, in via preliminare, l'intervenuta prescrizione dell'azione erariale come si è visto già sollevata in sede di deduzioni, considerato che la condotta contestata si riferisce all’ anno 2008 e che il primo atto interruttivo valido è ravvisato nell'invito a dedurre notificato nel mese di gennaio 2016.

E' stato contestato, in particolare, l'effetto interruttivo dell’atto di costituzione in mora del 16.12.11 dell’ ASL di Bergamo riguardo alla quale  la difesa ha rilevato,  altresì,  che tale atto è intrinsecamente inidoneo  a costituire in mora il convenuto, in quanto si riferisce, essenzialmente alla c.d. iperprescrizione in senso lato, data  dallo scostamento statistico rispetto alla soglia di riferimento per singolo “gruppo ATC”,  mentre  l'atto di citazione, pur partendo da tali premesse, giunge a contestare  un'ipotesi di c.d. iperprescrizione in senso stretto, riferendosi a "prescrizioni inappropriate".

Trattandosi di due fatti ontologicamente differenti, dunque, l'atto di costituzione in mora della ASL non potrebbe dispiegare alcun effetto interruttivo della prescrizione dell'azione erariale. 

Inoltre, palese sarebbe l'inadeguatezza della lettera di messa in mora citata  ad interrompere la prescrizione, poiché questa risulta formulata in termini del tutto ipotetica ed eventuale e priva della natura di pretesa risarcitoria, nonostante il richiamo agli artt. 1219 e 2943 c.c..

Solamente con lettera in data 22.04.2015 la Asl di Bergamo ha richiesto al dott. Andreoli il rimborso della somma di € 6.704,20

Ciò si afferma, ha continuato il patrono , anche in forza di un richiamato orientamento della Corte di Cassazione (Cass. civ. sez. lavoro, sent., 25-08-2015, n. 17123) e dell'asserita inconferenza della contraria giurisprudenza su cui si fonda, sul punto, la domanda attrice.

In via subordinata e nel merito, la difesa del convenuto ha altresì contestato, oltre all'inesistenza ed infondatezza giuridica del danno ascritto, la mancata prova del suo ammontare, non essendo dimostrata la circostanza dell'avvenuto rimborso delle ricette con prescrizioni c.d. inappropriate da parte dell'ASL.

Anche l'elemento psicologico, presupposto indefettibile della proposta azione erariale, difetterebbe nel caso di specie, negando il convenuto di essere stato costantemente informato e invitato a giustificare l'appropriatezza delle prescrizioni da parte dell'ASL di Bergamo.

Difficilmente ipotizzabile, anche solo in linea teorica, sarebbe infine l'elemento psicologico della colpa grave con riferimento ai concetti di “appropriatezza” e di “riduzione degli sprechi” e ciò in ragione del principio fondamentale secondo cui il medico procede alla prescrizione di medicinali per qualità e quantità, secondo scienza e coscienza e non secondo il criterio dell’"economicità”. Manca conseguentemente, per la difesa, la condotta connotata da dolo contrattuale o comunque gravemente colposa con previsione dell’eventus damni.

Altrettanto indimostrata, per la difesa, sarebbe l'inappropriatezza delle prescrizioni.

Le ricette sono state sempre redatte sulla base della patologia presentata dal paziente e sulla base della migliore medicina e delle condizioni soggettive del paziente note al medico di base, ed è questa – deduce ancora la difesa -  la funzione più riconosciuta del c.d. medico di famiglia. Ed invero – assume sempre la difesa - gli “IPP”, sui quali si sofferma la domanda attrice, sono farmaci inibitori che hanno avuto un ampio e crescente uso in tutto il mondo. E l’incremento è determinato dal fatto che hanno elevati profili di sicurezza e che oltre il 25% della popolazione soffre di patologie duodenali gastriche ed esofagee correlate alla secrezione acida, ecc. Non avendo mai la Asl contestato la violazione di alcuna norma Aifa od incongruità in relazione alla patologia, il menzionato patrono ha, dunque, eccepito l’infondatezza della domanda in quanto non provata in ordine al fondamento (scorrettezza delle prescrizioni). Tutto ciò, nell’ottica difensiva, comporta l’insussistenza in nuce del danno erariale come richiesto e contestato al dott. Andreoli che, pertanto, dovrebbe andare assolto da ogni accusa.

In estremo subordine, il patrocinante ha chiesto una riduzione dell'addebito, in considerazione della correttezza diagnostica delle prescrizioni, peraltro riconosciuta dalla stessa ASL.

In via istruttoria, precisando che ciò non vale a costituire accettazione di un'inammissibile inversione dell'onere probatorio, la difesa ha chiesto che sia ammessa prova per testi dei soggetti di cui alle ricette in atti (ovvero degli eredi se deceduti), sulle circostanze dell’esistenza della patologia per cui sono stati prescritti i farmaci contestati e sullo stato di salute dei pazienti all’epoca dei fatti, con richiesta di esibizione di ogni documento relativo.

All'udienza pubblica dell’ 8 febbraio 2017 il S.P.G. dott. Antonino Grasso, per l'Ufficio del Pubblico Ministero, e l'avv. Gennaro Messuti, in difesa e rappresentanza del convenuto, hanno sostanzialmente ribadito le argomentazioni esposte nei rispettivi atti e confermato le conclusioni ivi rassegnate.

Tutto ciò premesso, la causa è stata assunta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il presente giudizio ha per oggetto l’accertamento della responsabilità amministrativa del dott. Luigi Andreoli per il danno che il medesimo avrebbe causato all’ASL di Bergamo a titolo di pregiudizio patrimoniale corrispondente all'onere finanziario derivante da una "iperprescrizione" di farmaci ai propri pazienti.

Il Collegio, prima di trattare, nel merito, la causa sottoposta al suo esame, affronta le questioni pregiudiziali proposte dalle parti, ai sensi dell'art.101, comma 2, del Codice della giustizia contabile (approvato con D.lgs. n.174/2016), con le precisazioni che saranno appresso esposte circa la priorità da darsi alla “ragione più evidente” ai fini della definitiva decisione.

Deve essere dunque valutata, innanzitutto, l'eccezione ritualmente sollevata dalla difesa, di prescrizione dell'azione erariale per le ricette emesse nell’ anno 2008. 

Secondo la difesa, la nota dell’ASL, risalente al 16.12.2011,  sarebbe intrinsecamente inidonea a costituire in mora il dott. Andreoli  nella presente fattispecie, in quanto farebbe riferimento ad un ipotetico danno al SSN, non quantificato, derivante da "un significativo scostamento, rispetto alla media prescrittiva a livello aziendale, nella misura superiore al 100%" (c.d. "iperprescrizione in senso lato"), in totale difformità con l'oggetto sia dell’invito a dedurre, sia dell'atto di citazione introduttivo del presente giudizio, con il quale, invece, la Procura contesta al dott. Andreoli un costo ingiustificato per (presunte) errate prescrizioni (c.d. "iperprescrizione in senso stretto").

Ne deriverebbe l'inidoneità dell'atto di messa in mora ad interrompere la prescrizione per il diverso fatto contestato dalla Procura.

Un'ulteriore censura della difesa, in parte qua, attiene al contenuto minimo dell'atto di costituzione in mora, che, secondo un richiamato orientamento della Suprema Corte (Cass. civ. Sez. lavoro, sent. 25 agosto 2015, n. 17123), è costituito dall'intimazione al debitore di adempiere la prestazione - intesa come precisa richiesta di adempimento - e che difetterebbe nella nota sopra menzionata, nella quale l'obbligazione risarcitoria sarebbe rappresentata in termini ipotetici, con mero, formale, richiamo agli artt. 1219 e 2943 c.c.

Le due argomentazioni spese dalla difesa devono essere affrontate congiuntamente, in quanto strettamente connesse.

Il Collegio ritiene senz'altro condivisibile l'orientamento di questa Corte e del Giudice di legittimità (vedi Cass. n. 10926/2005, n. 10270/2006, n.2481/2007) in ragione del quale l'atto di costituzione in mora di cui all'art. 1219 c.c. non è soggetto a rigore di forme, all'infuori della scrittura, e quindi non richiede l'uso di formule solenni né l'osservanza di particolari adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto.

Nel caso di specie, tuttavia, non è  dirimente ai fini del decidere l'esame della formulazione utilizzata dall'ASL di Bergamo nella nota sopra detta, né l'idoneità di essa a rappresentare sicura ed autonoma affermazione della  pretesa risarcitoria, quanto, piuttosto l'esatta individuazione del diritto che si intende esercitare e la cui pretesa, se deve valere quale atto interruttivo della prescrizione, deve rimanere identica nell'atto di costituzione in mora come nel successivo esercizio dell'azione erariale.

Nel caso di specie, in verità, la pretesa fatta valere da parte dell'Amministrazione ha per  oggetto, per l'anno 2008,  il risarcimento  eventuale di un danno  (" si precisa che il presente atto viene formulato e notificato a fini cautelativi e che la responsabilità amministrativa per danno è configurabile solo a seguito di analisi approfondita da parte dell’ ASL "), derivante da un "significativo scostamento di spesa di due deviazioni standard  rispetto alla media ASL  al netto della prescrizione di farmaci soggetti a Piano terapeutico" .

 Il fatto produttivo del danno, dunque, nella prospettazione iniziale, consiste nell'eccesso prescrittivo rispetto alla media aziendale (c.d. "iperprescrizione in senso ampio”), vale a dire una situazione di frequente e ripetuto scostamento tra le scelte del singolo medico e quelle della generalità degli altri sanitari.

 E' da rilevare, inoltre, come la stessa comunicazione della Asl, datata 18.06.2015, segnala alla Procura presso questa Corte una fattispecie di danno erariale cagionato dal dr. Andreoli nel 2008, il quale presenterebbe una condotta prescrittiva di farmaci particolarmente difforme rispetto alla generalità dei medici operanti nell’ ASL di appartenenza.

Nell'invito a dedurre notificato nel gennaio 2016, tuttavia, si legge che, rilevati gli scostamenti significativi per alcuni sottogruppi di farmaci o molecole del gruppo ATC A02BC, ATCC10AA e ATCR03AK, si è proceduto ad un'analisi delle prescrizioni ai propri assistiti da parte del dr. Andreoli al fine di verificarne l'appropriatezza con riferimento a quanto indicato nelle note CUF - Commissione Unica del Farmaco - ora AIFA -  o nelle schede tecniche vigenti all'epoca delle prescrizioni. Da tale successiva attività di verifica  sia di ricette che di prescrizioni di farmaci e sia di percorsi diagnostici-terapeutici dei pazienti a cui detti farmaci sono stati prescritti, sono state evidenziate anomalie prescrittive pari ad euro 6.704,2 per l'anno 2008, per una corrispondente spesa complessiva posta illecitamente a carico del SSN : detto importo è stato assunto dalla Procura erariale - sia  nell'invito a dedurre che nel successivo atto di citazione - come danno ascrivibile all’Andreoli sotto forma di costo dei medicinali reputati indebitamente prescritti e posto a carico del SSN. 

Per la prima volta, dunque, nell'invito a dedurre risulta essere stata contestata al dott. Andreoli la condotta sostanzialmente individuabile nella c.d. iperprescrizione in senso stretto, con dedotto riferimento a n. 20 assistiti (su detto numero cfr. amplius infra), che avrebbero ricevuto prescrizioni non congrue di farmaci inibitori della pompa acida, ed il relativo danno è stato calcolato in base al costo dei farmaci prescritti nelle ricette contenenti le c.d. "prescrizioni inappropriate".

Il Collegio non può non rilevare, sotto un profilo oggettivo, la palese differenza, nei presupposti e nelle ipotizzate conseguenze dannose, della fattispecie delineata nell'invito a dedurre e nell'atto di citazione, rispetto alle contestazioni contenute nelle c.d. note di costituzione in mora inviate dall'ASL.

A fronte di ciò, si rileva che la Procura regionale evidentemente ritiene la c.d. iperprescrizione in senso stretto, tratteggiata nella fase pre-processuale e nell'atto introduttivo del presente giudizio, quale mero elemento probatorio ulteriore della c.d. iperprescrizione in senso lato, e, nel configurare l’incidenza di tale prospettazione sulla definizione dell’eccezione di prescrizione, il p.m. d’udienza ha richiamato, tra l’altro, la recente decisione della III^ Sezione Centrale d’Appello, n.31 del 25.01.2017, con la quale è stata annullata una sentenza di questa Sezione che aveva affrontato funditus questioni analoghe ai fini della delibazione sull’eccezione di prescrizione, sollevata ed accolta nel relativo giudizio in prime cure.

La Sezione, al riguardo, pur reputando di confermare il proprio orientamento favorevole a riconoscere, in fattispecie quali quella sottoposta al proprio esame con la domanda attrice, l’operatività della prescrizione, in base alla differenza ontologico-giuridica tra il contenuto degli atti diretti al convenuto a titolo di costituzione in mora e di contestazione della condotta reputata dannosa, ravvisa, comunque, l’opportunità di definire la controversia sottoposta al proprio esame sotto un assorbente e più “pronto” profilo di merito, in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art. 111 Cost., in quanto, comunque, come verrà appresso esplicitato, il convenuto, in base alle specifiche considerazioni e valutazioni di merito che scaturiscono dall’esame della particolare fattispecie qui in esame, risulta pianamente esente da responsabilità amministrativa.

In proposito, si richiamano, invero, i principi valorizzati dalla giurisprudenza, anche di questa Corte, circa la prevalenza della “ragione più liquida”, la quale comporta che occorre dare priorità alla ragione più evidente, più pronta, più piana, che conduca ad una decisione indipendentemente dal fatto che essa riguardi il rito o il merito (Corte di cassazione, Sezioni unite civili, 12 dicembre 2014, n. 26242; Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo, 2 agosto 2016, n. 53; Sezione II centrale d’appello, 13 febbraio 2017, n. 91, ecc.). 

Tutto ciò premesso si passa dunque ad esaminare la condotta asseritamente dolosa, o, comunque, gravemente colposa, del convenuto. 

Si è visto, come esposto nella parte in narrativa, che la tesi prospettata dalla Procura attrice si fonda essenzialmente sulla violazione da parte del convenuto di numerose norme di settore statuenti i limiti alle prescrizioni  di medicinali, in particolare l’art.2 della legge n. 531 del 29.12.1987, l’art.4 del d.lvo 30.121992,n.539, l’art.1, c.4, della legge 8.8.1996 n.425, l’ art.3 della legge 8 aprile 1998, n. 94 (di conversione del d.l. 17 febbraio 1998, n. 23), il DM.n.350/88 ed il DM 2.08.2001, ed infine l’Accordo collettivo nazionale reso esecutivo con DPR n.270/2000. Tale condotta iperprescrittiva del dott.  Andreoli, secondo la tesi attorea, violerebbe tale normativa, e nello specifico, tra l’altro, l’art.3, comma 1, del d.l. n. 23/1998, convertito dalla legge citata n. 94/98, lì dove lo stesso dispone che  “il medico , nel prescrivere una specialità medicinale od altro medicinale prodotto industrialmente, si attiene alle indicazioni terapeutiche, alle vie ed alle modalità di somministrazione previste nell’ autorizzazione all’ immissione in commercio rilasciata dal Ministero della Sanità” (scheda tecnica ministeriale).

La formale violazione – osserva il Collegio - di norme di legge, di contratti collettivi,  di standard numerici o di medie statistiche, anche se ponderate e pesate, sebbene comporti un esborso per le casse pubbliche, non comprova automaticamente la responsabilità amministrativa di un pubblico dipendente dovendosi esaminare, nel caso concreto, da una parte se la scelta discrezionale effettuata risulti, ai sensi dell’ art.1, comma 1 , della legge n.20/94, insindacabile nel merito e se, d’altra parte, tale scelta, laddove sindacabile, sia stata operata con dolo o colpa grave. 

È evidente che la specificità del caso è determinata dalle particolari funzioni svolte dal convenuto in quanto medico di medicina generale, connotate da margini di apprezzamento valutativo su diagnosi e cura delle malattie. Una valutazione corretta del comportamento prescrittivo di un medico non può, peraltro, prescindere dal considerare il contesto generale e particolare, all’ interno del quale lo stesso ha assunto le sue decisioni (in proposito si richiama quanto già condivisibilmente osservato da questa Sezione con la sentenza n. 9 dell’8 gennaio 2010, e, in particolare, al punto n. 3 della relativa motivazione).

  Affinché dunque il medico possa assistere il paziente al meglio delle sue capacità professionali gli deve, invero, essere riconosciuto in questa sede un margine di discrezionalità nell’apprezzamento delle condizioni cliniche, della tollerabilità ai trattamenti, dell’età dei pazienti, delle possibili interazioni farmacologiche secondo le caratteristiche psico-fisiche del singolo paziente, ecc., talché può anche essere considerata ragionevole e non integrante dolo o colpa grave la prescrizione di farmaci che si discosti da medie, da pesature e da generali previsioni metodologiche, nei limiti ovviamente della specificità dei parametri di valutazione adottati e della logica dei basilari approdi della letteratura scientifica, noti anche ai medici di base (cfr. Sezione giurisdizionale per la Lombardia, sentenza cit. n.9/10 e  nn.  404/2010, 374/2011, 685/2011, ecc.).

Il Collegio procede, pertanto, ad esaminare le posizioni in concreto contestate dalla Procura attrice. 

Al riguardo va preso in considerazione il tabulato, riferito al sanitario convenuto, che espone gli importi addebitati per un totale di € 6.704,2, e che si articola su n. 17 posizioni, contraddistinte dall’indicazione del codice fiscale dei relativi assistiti (pagg. 7 e ss. all. n. 1 all’atto di citazione).

Si ritiene opportuno considerare, in relazione a quanto innanzi affermato, che dal verbale della seduta della Commissione aziendale incaricata di esaminare la posizione del dott. Andreoli (pagg. 3 e ss. all. n. 1 all’atto di citazione) emerge che non venne condotta una “valutazione clinica dei casi” (vedasi richiesta di prospettazione in tal senso del dott. Gnecchi), in quanto chiarito che “non è compito della Commissione effettuare una tale valutazione” (vedansi precisazioni della dott.ssa Carrubba), la quale deve verificare “la correttezza dell’applicazione della norma” (vedasi chiarimento fornito dal dott. Barbaglio).

A tal proposito, in disparte ogni altra valutazione riferita, per converso, alla necessità della valutazione clinica pretermessa dalla suddetta Commissione per pervenire ad una affermazione di effettiva sussistenza di responsabilità amministrativa per iperprescrizione farmacologica, va considerato che non può essere ipotizzata, nei confronti del convenuto, un’ipotesi di responsabilità di tipo “formale”, cioè derivante dalla mera inosservanza di norme, prescindendo dalla valutazione della sussistenza dell’elemento soggettivo, in base alla espunzione di tale categoria di responsabilità da quelle perseguibili innanzi a questa Corte (cfr. Corte costituzionale, 23 marzo 1983, n. 72, nonché giurisprudenza relativa e successiva). 

Ciò premesso, va rilevato come, dall’ esame analitico dei documenti versati in atti, e, in particolare, dalle controdeduzioni fornite dal dott. Andreoli in sede amministrativa relativamente alle posizioni inizialmente contestategli (pagg. 58 e ss. all. n. 2 all’atto di cit.), si rileva che sette dei pazienti cui si riferiscono i dedotti scostamenti risultano deceduti e/o trasferiti, ed in relazione agli stessi, il convenuto ha rappresentato, nelle predette controdeduzioni, la difficoltà di fornire risposta certa. Lo stesso medico, nelle suddette controdeduzioni (presentate all’Asl di Bergamo in data 8.10.2014), ha tuttavia rappresentato, per tutte le originariamente contestate posizioni (risultano illustrate n. 22 posizioni, con relativo codice fiscale dei relativi assistiti), analitiche ricostruzioni delle rispettive caratteristiche e peculiarità cliniche, evidenziando la ragionevolezza delle singole prescrizioni. 

In proposito, va osservato che delle suddette n. 22 posizioni (che vengono di seguito indicate con la numerazione corrispondente all’elencazione di dette posizioni nelle menzionate controdeduzioni a firma del dott. Andreoli, ricevute dall’Asl di Bergamo il giorno 8.10.2014), risultano espunte, in sede di computo del preteso danno (come risulta dal menzionato tabulato riportato alle pagg. 7 e ss. dell’all. n. 1 all’atto di citazione), n. 5 posizioni (le nn. 13, 15, 16, 18 e 21), sulle quali, dunque, oltre a rilevare, comunque, la ragionevolezza e la congruità delle considerazioni esposte dal dott. Andreoli, non occorre ulteriormente soffermarsi.  

Quanto alle residue posizioni da esaminare, va rilevato che, sostanzialmente, il numero delle confezioni di farmaco prescritte con intervallo di tempo ravvicinato risulta determinato dalla necessità di garantire agli assistiti con difficoltà di accesso in ambulatorio – pazienti con difficoltà a spostarsi o comunque  l’opportunità durante il periodo di ferie di disporre di una scorta – la continuità delle terapie, non comportando una modifica della posologia farmacologica od un sovradosaggio nell’arco del tempo considerato (cfr. in particolare : posizioni 2-3-4-5-7-8-10-11-12-20). 

In altri casi il medico ha riferito che la prescrizione di confezioni in quantità superiore a quanto indicato dal Ministero sul foglietto illustrativo è stata determinata dalla necessità di adeguare la terapia al rischio potenziale ed alla patologia del paziente, in particolare nel caso di coesistenza di ulteriori patologie, di complicazioni o di insufficienza della terapia standard, e nei casi in cui non fosse possibile associare altri farmaci. Tutti i casi segnalati al riguardo sono riferiti a pazienti con pluri-patologie molto complesse (posizioni 6-9-17-22).

Le posizioni, caratterizzate da iperprescrizione, nn.14 e 19, si riferiscono a due suore, entrambe della comunità del “Convento di Clausura delle Suore Clarisse”; per talune prescrizioni il sanitario convenuto ha dedotto di non rinvenire nel proprio computer i relativi riferimenti, ipotizzando, comunque, anche possibili utilizzi dei farmaci da parte di altre suore all’interno della comunità, considerata la custodia degli stessi in comune, nell’infermeria conventuale, con verosimile, prematuro, esaurimento della dotazione personale di farmaci da parte delle consorelle proprie assistite, comunque da fronteggiare ai fini dell’esecuzione delle terapie prescritte.

In ogni caso, a fronte dello status particolare di tali pazienti in regime di clausura conventuale, delle difficoltà derivanti dall’utilizzo della prescrizione manuale (e non tramite computer) talora utilizzata presso il predetto Convento, e delle condizioni cliniche delle assistite, non si ravvisa dolo o colpa grave nelle suddette, ipotizzate iperprescrizioni, valutata, comunque, la obiettiva difficoltà di pianificazione del fabbisogno farmacologico nella particolare situazione di fatto relativa alle predette due specifiche posizioni, come peraltro motivatamente dedotto dal predetto sanitario.

Circa le residue posizioni, va osservato che quella n. 1 risulta specificamente e ragionevolmente illustrata con riferimento alla coesistenza di patologie di estrema gravità e alle conseguenti necessità terapeutiche, mentre per quella n. 13, peraltro già innanzi considerata, lo stesso Comitato Aziendale, nel verbale in data 14.01.15, ha espressamente riconosciuto come corrette le prescrizioni, accettando le motivazioni fornite dal convenuto. 

Come può agevolmente rilevarsi dall’esame degli atti di causa, peraltro, i pazienti in discussione erano molto anziani ed affetti da molteplici patologie gravi quali l’ernia iatale con reflusso, cardiopatia ischemica, tumori gastrici e del colon, in alcuni casi cirrosi epatica, fratture gravi, osteoporosi, ictus, diabete mellito, artrosi delle ginocchia, nefropatia diabetica, asma, epatite cronica, esiti di trombosi, ecc., con peculiari necessità terapeutiche personalizzate e mirate.

Alla stregua di quanto appena esposto il Collegio ritiene dunque che la condotta del medico qui convenuto non risulti connotata né da dolo, né da quel grado di colpevolezza così intensa da qualificarsi come grave, necessaria per una affermazione di responsabilità in questa sede. Peraltro, in omaggio al principio sull’onere della prova, il medico, sia pure nella difficoltà di reperire documentazione a distanza di sei anni, ha dato motivata e congrua contezza delle strategie terapeutiche prescelte e dei criteri seguiti nei singoli casi per giungere a provare i fatti impeditivi e modificativi del diritto azionato, dimostrando che ricorrevano condizioni cliniche e terapeutiche particolari da imporre, laddove avvenute, ragionevoli deviazioni rispetto ai protocolli standard previsti dalla disciplina di settore.

Il dott. Andreoli va, quindi, prosciolto da ogni addebito, per mancanza di dolo e di gravità di colpa nella contestata condotta.

Per l’effetto viene posta a carico dell’Amministrazione Regionale, ai fini del rimborso previsto, la somma che il Collegio, in assenza di parcella, ma tenuto conto dell’intero sviluppo del presente giudizio e dell’attività prestata in concreto dal difensore, liquida nella misura di € 1.500,00, comprensivi di diritti ed onorari, oltre spese generali, IVA e CPA, come per legge.  

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria eccezione, deduzione o richiesta, respinge la domanda attrice e, per l’effetto, assolve il dr. Luigi Andreoli da ogni addebito.

Liquida in favore del convenuto assolto la complessiva somma di euro 1.500 (millecinquecento/00), oltre spese generali, IVA e CPA.

Manda alla Segreteria per gli adempimenti conseguenti. 

Così deciso in Milano, nella camera di consiglio all'esito della pubblica udienza dell’ 8 febbraio 2017. 

 L'ESTENSORE                                             IL PRESIDENTE

 Luisa Motolese                                              Silvano Di Salvo                            

 

DEPOSITO IN SEGRETERIA il  16.5.2017

 

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