Tuesday 15 November 2016 17:06:10

Giurisprudenza  Giustizia e Affari Interni

Per la Corte di Giustizia Europea non può essere dichiarata la prescrizione nei casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari della Unione: la Cassazione critica la Corte Europea

nota a sentenza della Cassazione Sez. III penale n. 44584/16 a cura dell'Avv. Luca Petrucci e dell'Avv. Giulio Vasaturo

La giurisprudenza, diceva Ulpiano, è la conoscenza di cose umane e divine, la scienza del giusto e dell’ingiusto. Se tanto elevata è la meta, nessuno può meravigliarsi se questo nobilitante percorso di sapientia iuris coincida, sempre più spesso, con una salita faticosa, da intraprendere lungo un sentiero che a tratti può farsi molto incerto, sino a mettere a dura prova la capacità d’orientamento dell’impavido viandante del diritto. Le pronunce con cui la Suprema Corte ha dato prima applicazione all’ormai celebre sentenza Taricco della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 8 settembre 2015, C-105/14) rendono in pieno, al di là di ogni suggestione letteraria, gli ostacoli che condizionano in maniera del tutto particolare il lavoro dell’esegeta della legge penale. Com’è noto, con la decisione citata, la Corte di Lussemburgo ha imposto il potere-dovere di disapplicare la disciplina penale interna in materia di prescrizione, allorché la normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione o comunque preveda, con riferimento ad analoghi reati incidenti su interessi finanziari soltanto nazionali, termini di prescrizione più lunghi. Nel giro di pochi mesi, la Corte di Cassazione è già intervenuta più volte per sottoporre a critica il dictum della sentenza Taricco, consapevole della carica dirompente che un simile monito può assumere nel nostro ordinamento giuridico, all’interno del quale l’istituto della prescrizione costituisce un fondamentale presidio di garanzia a tutela della persona rispetto alla pretesa punitiva dello Stato (in tal senso, si v. fra tutte Cass., sez. IV penale, sentenza 25 gennaio 2016, dep. 26 febbraio 2016, n. 7914). In attesa che la Consulta definisca i “controlimiti” da frapporre ai vincoli che discendono, anche nel delicatissimo ambito penale, dall’appartenenza all’Unione Europea (come sollecitata da Cass., sez. III penale, ord. 30 marzo 2016, n. 28346; Cass., sez. III penale, ord. 31 marzo 2016, n. 33538 e da Corte di Appello di Milano, sez. II penale, ord. 18 settembre 2015), la Suprema Corte non ha mancato di rilevare come il dettato della sentenza Taricco rischi di configgere clamorosamente con i parametri inderogabili di legalità, sotto i profili della riserva di legge, di tassatività e di irretroattività della norma penale, sanciti dalla Costituzione italiana.Con la pronuncia in esame (Cass., sez. III penale, sentenza 7 giugno 2016, dep. 24 ottobre 2016, n. 44584), il sommo collegio torna nuovamente sulla controversa questione, fissando alcuni criteri essenziali che valgono, almeno in parte, ad arginare in questa fase transitoria l’annoso conflitto giurisprudenziale. Come osserva il giudice di nomofilachia, i requisiti integranti l'illegittimità comunitaria per ineffettività della complessiva disciplina sanzionatoria delle frodi sotto il profilo dell'eccessiva brevità del termine prescrizionale complessivo a seguito di interruzione, sono: 1) la pendenza di un procedimento penale riguardante "frodi gravi" in materia di imposta sul valore aggiunto; 2) l’ineffettività delle sanzioni previste "in un numero considerevole di casi di frode grave" che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea. Il punto dolente, però, è che «la sentenza Taricco non determina tali requisiti nei loro esatti confini». La Suprema Corte prova così a colmare l’insidiosa lacuna stabilendo, in primis, quanto al requisito della gravità della frode, che debba darsi rilievo «alla quantità dell'imposta evasa e alle modalità attraverso le quali la frode è stata posta in essere, tenendo comunque presente che nel concetto di “frode” grave, suscettibile di ledere gli interessi finanziari dell'UE, devono ritenersi incluse, nella prospettiva dell'ordinamento penale italiano, non soltanto le fattispecie che contengono il requisito della fraudolenza nella descrizione della norma penale (…), ma anche le altre fattispecie che, pur non richiamando espressamente tale connotato della condotta, siano dirette all'evasione dell'IVA». Diversamente opinando - si legge nelle motivazioni della sentenza in esame - «si otterrebbe una irragionevole disparità di trattamento in relazione a condotte comunque poste in essere al medesimo fine illecito (…)». In coerenza con i principi basilari del nostro sistema giuridico, viene pertanto ribadito che «Il più sicuro ancoraggio oggettivo per la determinazione della gravità della frode nell'ordinamento italiano è, invece, rappresentato dal complesso dei criteri per la determinazione della gravità del reato contenuti nel primo comma dell'art. 133 cod, pen., il quale fa riferimento, non solo alla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa (n. 2), ma anche alla natura, alla specie, ai mezzi, all'oggetto, al tempo, al luogo e, più in generale, alle modalità dell'azione (n. 1), nonché all'elemento soggettivo (n. 3). Ne consegue che, ove non si sia in presenza di un danno di rilevantissima gravità (…) per milioni di euro, la gravità della frode deve essere desunta anche da ulteriori elementi, quali: l'organizzazione posta in essere, la partecipazione di più soggetti al fatto, l'utilizzazione di “cartiere” o società-schermo, l'interposizione di una pluralità di soggetti, la sistematicità delle operazioni fraudolente, la loro reiterazione nel tempo, la connessione con altri gravi reati, l'esistenza di un contesto associativo criminale. E il giudice dovrà valutare caso per caso la concreta valenza di tali elementi nella fattispecie al suo esame, essendo comunque sufficiente l'indicazione in motivazione di quelli ritenuti rilevanti in un senso o nell'altro».La sentenza n. 44584/2016 riempie di contenuti anche il secondo requisito individuato dalla giustizia comunitaria per rendere obbligatoria la deroga alle disposizioni vigenti in materia di prescrizione penale; vale a dire la verifica, rimessa al giudice nazionale, dell’ineffettività delle sanzioni previste «in un numero considerevole di casi di frode grave» che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea. Anche tale criterio, infatti, risulta «parimenti indeterminato» posto che, ove si considerasse in astratto, ovvero con riferimento all'integralità dei procedimenti pendenti dinanzi alle autorità giudiziarie italiane, «esso implicherebbe una prognosi di natura statistica che esula dai limiti cognitivi e valutativi del giudice, e anche di questa Corte; a ciò ostando non soltanto l'assenza di dati statistici affidabili, ma soprattutto l'orizzonte conoscitivo del singolo giudice, necessariamente limitato, dal vigente sistema processuale, ai fatti di causa, ovvero ai fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità e dai quali dipenda l'applicazione di norme processuali (art. 187 cod. proc. pen.) rilevanti nel singolo processo, e non già nella generalità degli altri processi». Proprio per questo, precisa la Cassazione, «escluso che possa altresì risolversi in una prognosi meramente empirica, fondata su soggettivismi di difficile verificabilità (in senso epistemologico), il requisito del "numero considerevole di casi di frode grave" non può che intendersi, in concreto, con riferimento alle fattispecie oggetto del singolo giudizio, potendosi ritenere sufficiente anche una singola frode solo qualora questa sia di rilevantissima gravità». La conclusione a cui perviene la Suprema Corte è apparentemente chiarificatrice: «nell'applicare tale requisito nel caso concreto, il giudice dovrà, dunque, considerare il numero e la gravità dei diversi episodi di frode per i quali si procede, nonché il contesto complessivo e le ragioni di connessione fra gli stessi».La pronuncia de qua getta una luce, forse flebile ma comunque provvidenziale, sul tormentato itinerario giurisprudenziale ma non risolve il problema, tuttora lacerante anche in dottrina, del “nuovo” rapporto fra ordinamento europeo e sistema di diritto penale interno alla stregua della sentenza Taricco. Spetta alla Corte costituzionale l’onere di dirimere al più presto l’intricato nodo giuridico, bilanciando con lungimiranza l’obbligo di fedeltà alle Istituzioni comunitarie con la salvaguardia dei principi inviolabili di legalità penale (art. 25 Cost.) e di «ragionevole durata» del “giusto processo” (art. 111 Cost.).Avv. Luca Petrucci – Avv. Giulio Vasaturo

 

Testo del Provvedimento

 

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