Monday 20 June 2022 10:11:34

Giurisprudenza  Giustizia e Affari Interni

Interdittiva antimafia: i principi elaborati dalla giurisprudenza

segnalazione del Prof. avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 20.6.2022

La Terza Sezione del Consiglio di Stato  con la sentenza depositata in data 20 giugno 2022 ha enunciato i principi elaborati in materia di interdittiva antimafia affermando che “Le misure qui in rilievo sono volte, in chiave preventiva, a neutralizzare i fattori distorsivi che nell’economia nazionale in genere e nei rapporti con la Pubblica amministrazione, in particolare, possono generare la presenza e l’azione di soggetti in rapporto di collegamento qualificato con il crimine organizzato.

Si tratta di strumenti che si pongono a presidio di valori di rango costituzionale, rivelandosi strettamente funzionali alla salvaguardia dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, dello svolgimento leale e corretto della concorrenza tra le stesse imprese nel mercato e del corretto utilizzo delle risorse pubbliche e che, a fronte della insidiosa pervasività e mutevolezza del fenomeno mafioso, sono opportunamente calibrati sull’utilizzo di tecniche di tutela anticipata oltre che costruiti su un catalogo di situazioni sintomatiche aperto al costante aggiornamento indotto dalla realtà empirica.

Come di recente evidenziato da questo Consiglio, in Adunanza Plenaria, il provvedimento di cd. “interdittiva antimafia”, di natura cautelare e preventiva, determina una particolare forma di incapacità giuridica, e dunque la insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinino (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione (Consiglio di Stato Ad. Plen., 6 aprile 2018, n. 3).

In tal modo l’ordinamento, dunque, esclude che un imprenditore, persona fisica o giuridica, pur dotato di adeguati mezzi economici e di una altrettanto adeguata organizzazione, meriti la fiducia delle istituzioni (sia cioè da queste da considerarsi come “affidabile”) e possa essere, di conseguenza, titolare di rapporti contrattuali con le predette amministrazioni, ovvero destinatario di titoli abilitativi da queste rilasciati, come individuati dalla legge, ovvero ancora (…) essere destinatario di “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate” (cfr. Consiglio di Stato Ad. Plen., n. 3 del 2018 cit.).

La misura interdittiva, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa sussistere il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata.

Come ancora di recente questa Sezione ha chiarito (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105), il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere ad un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (v., per tutte, Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758; Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743, e la giurisprudenza successiva di questa Sezione, tutta conforme, da aversi qui per richiamata).

La Corte costituzionale, con la citata pronuncia n. 57 del 2020, ha recentemente affermato la legittimità costituzionale delle disposizioni attributive del potere di emettere il provvedimento di interdittiva anche quando incida su attività d’impresa di natura esclusivamente privata, trattandosi di misura giustificata dall’estrema pericolosità del fenomeno mafioso, in grado di compromettere la concorrenza, la dignità e la libertà umana. In tale sede il giudice delle leggi ha riconosciuto il merito del giudice amministrativo di aver dato vita in questa specifica materia ad un sistema che la Corte definisce di «tassatività sostanziale». La giurisprudenza amministrativa ha, infatti, progressivamente definito un nucleo oramai consolidato di situazioni-tipo, sintomatiche ed indiziarie della ricorrenza del pericolo di infiltrazione mafiosa, e in grado di sviluppare e completare il dettato legislativo (il riferimento è, tra l’altro, alle sentenze del giudice penale, anche di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa; la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso d.lgs. n. 159 del 2011; i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”; i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia; le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa; la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”; l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità).

A tale approdo deve giungersi all’interno di una necessaria visione di insieme: gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata (Consiglio di Stato, sez. III, 6 maggio 2021, n. 3530; sez. III, 13 aprile 2018, n. 2231, Consiglio di Stato, sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343; 30 marzo 2018, n. 2031; 7 febbraio 2018, n. 820; 20 dicembre 2017, n. 5978; 12 settembre 2017, n. 4295; Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 6 aprile 2018, n. 3).

Orbene, deve ritenersi che la decisione di prime cure e i provvedimenti impugnati siano immuni dai vizi prospettati dalla società appellante, in quanto le ragioni su cui si è basata l’interdittiva valorizzano del tutto ragionevolmente in chiave ostativa, come efficacemente già evidenziato dal TAR, il capitolo dei compromettenti legami familiari e dell’inserimento del sig. -OMISSIS- in un contesto di condivisa illegalità con gli ambienti della locale criminalità organizzata.

 La giurisprudenza consolidata di questa Sezione (cfr. ex multis Cons. St., sez. III, 7 febbraio 2018, n. 820) in materia di interdittiva antimafia basata sui soli rapporti di parentela è stata da ultimo avvalorata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 57 del 26 marzo 2020, che, nell’elencare in via esemplificativa le situazioni indiziarie enucleate dal vissuto giurisprudenziale e che valgono ad integrare un sistema di tassatività sostanziale, ha confermato la piena attitudine di legami familiari “qualificati” a fondare il procedimento inferenziale di prognosi negativa; segnatamente, assumono rilievo anche solo di per se stessi i rapporti di parentela laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”.

Proprio con riferimento ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose la Sezione (cfr. Cons. St., Sez. III, 24 aprile 2020, n. 2651; 7 febbraio 2018, n. 820) ha chiarito che l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto. Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti. (…) 

 

Ai sensi dell’art. 84, comma 4, lett. a), del d. lgs. n. 159 del 2011, le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva, di cui al comma 3, sono desunte, fra l’altro, «dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all’articolo 12-quinquies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 1992, n. 356».

Rispetto ai suddetti titoli di reato, contenuta nell’art. 84, comma 4, lett. a), del d. lgs. n. 159 del 2011, il legislatore ha, dunque, inteso operare una selezione a monte delle condotte che riflettono in sé il pericolo di infiltrazione mafiosa, in quanto si tratta di fattispecie che destano maggiore allarme sociale, intorno alle quali con maggiore regolarità statistica gravita il mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso. D’altro canto, l’elemento di fatto valutato nell’udienza preliminare sull’ipotesi d’accusa per il delitto di cui all’art. 12 quinquies della legge 356 del 1992 (rientrante già di per sé nell’elenco dei cd. delitti spia) con l’aggravante del metodo mafioso di cui all’articolo 7 della legge 203 del 1991, siccome valutato nel decreto che dispone il giudizio, vale a concretare quel qualificato fattore indiziante che accredita la sussistenza del pericolo di un condizionamento mafioso delle imprese che subiscono l’influenza di un imputato per fatti commessi in contiguità con ambienti della criminalità organizzata.

E ciò in considerazione del fatto che il suddetto provvedimento è stato emesso a conclusione delle indagini preliminari ed esprime in sé, in una necessaria valutazione di sintesi, la prognosi più prossima sull’attitudine dimostrativa dei risultati investigativi acquisiti.

Trattasi di un catalogo di reati che, nella valutazione ex ante fattane dal legislatore, integrano una 'spia' di per sé sola sufficiente ad imporre, in assenza di elementi distonici, e nella logica anticipata e preventiva che permea la materia delle informative antimafia, l'effetto interdittivo nei rapporti con la pubblica amministrazione. Pertanto, ove il Prefetto abbia contezza della commissione di taluni dei delitti menzionati nell'art. 84, comma 4, lett a), e sino quando non intervenga una sentenza assolutoria, può limitarsi ad 'attestare', ove l’addebito sia coerente con il vissuto soggettivo e con il contesto di riferimento, la sussistenza del rischio infiltrativo siccome desunto dalla mera ricognizione della vicenda penale nei termini e nei limiti in cui è contemplata dalla disposizione più volte richiamata (devono esserci, cioè, almeno provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva) (Consiglio di Stato, sez. III, 27 novembre 2018, n. 6707; 28 ottobre 2016, n. 4555).(…)

Per approfondire vai alla sentenza.

 

Testo del Provvedimento (Contenuto Riservato)

 

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