Monday 02 July 2018 16:41:44

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

La relazione tra la tutela dell’ambiente e l’istituto del silenzio assenso nell’ultima giurisprudenza amministrativa

Nota del dott. Maurizio Asprone

Prima di affrontare il tema del presente lavoro, è utile un breve accesso all’ istituto del silenzio assenso il quale ricorre nei casi in cui il legislatore attribuisce all'inerzia dell'amministrazione il valore di provvedimento di accoglimento dell'istanza presentata dal privato.

Per quest'ultimo, dunque, il silenzio assenso rappresenta un rimedio all'inerzia dell'amministrazione che si risolve in un risultato direttamente favorevole sul piano sostanziale, mentre negli altri casi di silenzio il vantaggio è unicamente quello di poter adire il giudice amministrativo.

La figura del silenzio assenso è, oggi, la più rilevante tra le ipotesi di silenzio significativo, in considerazione dell'ampia previsione di carattere generale contenuta nell'attuale testo dell'art. 20 della legge 241/90 (come modificato dall'art. 3, comma 6 ter, del decreto legge, n. 35/2005, convertito nella legge n. 80/2005). La norma stabilisce che, “Fatta salva l'applicazione dell'articolo 19 [che attiene alla dichiarazione di inizio attività], nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.”

Alla luce del tenore letterale della norma, dunque, nei procedimenti ad istanza di parte il silenzio assenso rappresenta istituto di carattere generale, nel senso che esso opera senza necessità di una espressa previsione. 

La regola del silenzio assenso, tuttavia, non trova applicazione in due importanti situazioni: in primo luogo, nei casi soggetti alla disciplina relativa alla dichiarazione di inizio attività; in secondo luogo, nelle ipotesi eccezionali previste dal comma 4 dello stesso art. 20.

Data la eterogeneità delle fattispecie che derogano al regime generale del silenzio assenso, è opportuno analizzarne partitamente le caratteristiche (1).

Spostando la nostra attenzione al secondo profilo che si tratterà (la tutela dell’ ambiente) si deve segnalare che costituisce ormai un dato acquisito, da oltre tre decenni, la considerazione per cui la Corte di Giustizia dell’UE, seguita a stretto giro dalla Corte costituzionale, abbia fornito un contributo essenziale ai fini dell’emersione e del riconoscimento dell’ambiente come “valore” da tutelare al massimo livello, attraverso una legislazione e un’azione amministrativa a ciò mirate (2).

A fronte di un rafforzamento progressivo di una concezione unitaria dell’ambiente (3), in una pluralità di pronunce la Corte di Giustizia ha espresso il principio per cui sussiste – in capo alle amministrazioni preposte alla tutela dei valori ambientali – l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso che presupponga e dia conto dell’istruttoria svolta.

Tale posizione è stata assunta, per la prima volta, con la nota sentenza del 28 febbraio 1991, C-360/87 Commissione c/ Rep. Italiana, nella quale la Corte - nel ritenere illegittima la legge n. 319/1976 (c.d. Legge Merli) nella parte in cui, all’art. 15, prevedeva un’autorizzazione provvisoria tacita agli scarichi nelle acque sotterranee, ha affermato che:

“il rifiuto, la concessione o la revoca delle autorizzazioni devono risultare da un provvedimento esplicito …. Ne consegue che un’autorizzazione tacita non può ritenersi compatibile con le prescrizioni della direttiva [del Consiglio, 17 dicembre 1979 (80/68/CEE), ndr], tanto più che siffatta autorizzazione non consente la realizzazione di indagini preliminari, né di indagini successive e di controlli” (4).

Tale decisione veniva accolta con poco favore dalla dottrina italiana (5), andando ad incidere in ordinamenti nei quali – come quello italiano – si stavano diffondendo meccanismi alternati e semplificati di estrinsecazione del pubblico potere, rispetto al “normale” provvedere espresso.

Pur non disconoscendo l’importanza dell’istruttoria nel procedimento amministrativo (6), come luogo deputato all’esercizio della discrezionalità dell’amministrazione, intesa come ponderazione di interessi contrapposti, ciò che viene posto criticamente in rilievo è l’eccessiva genericità del principio espresso dalla Corte di Giustizia, in un modo tale da incidere pro futuro anche al di là delle intenzioni dei giudici di Lussemburgo.

In particolare si è osservato che

 

“la sentenza appare di significato generale, travalicante il caso della direttiva sulle acquee sotterranee, in quanto pone in crisi il criterio di prevedere il silenzio assenso quale possibile conclusione di procedimenti complessi in cui siano in gioco particolari interessi pubblici. Con ciò mettendo la Comunità in controtendenza rispetto alla dinamica dei principali ordinamenti interni in cui – per vari motivi – economicità e semplificazione dell’azione amministrativa, diversificazione dei procedimenti, ecc. – si stanno rapidamente ampliando le fattispecie di silenzio assenso, ancora speciali rispetto alla regola generale della conclusione del procedimento con provvedimento espresso, ma non più configurabili in termini di patologia amministrativa” (7).

 

Ed, in effetti, non difettavano del tutto, in tali considerazioni, elementi di fondatezza, atteso che - a seguito della riforma del 2005 – il legislatore italiano ha fatto propria tale impostazione, dovendo “quindi ritenersi che quando la P.A. è chiamata a curare interessi pubblici di rilievo comunitario, il silenzio-assenso debba ritenersi precluso, se non nei casi in cui vengano in considerazione atti a bassissimo tasso di discrezionalità” (8).

In anticipo sul legislatore, la Corte costituzione ha sostanzialmente seguito le orme della Corte di Giustizia, colmando l’esistente vuoto di tutela dei valori ambientali grazie ad un’interpretazione evolutiva degli artt. 9 e 32 Cost. (9).

In altri termini, la Consulta, attraverso il combinato disposto della tutela del paesaggio e della tutela della salute è arrivata al “riconoscimento del rilievo costituzionale degli interessi propriamente legati alla tutela dell’ambiente” (10).

Con specifico riguardo al rapporto tra silenzio assenso a tutela dell’ambiente, la Corte costituzionale ha espresso posizioni solo apparentemente contraddittorie tra loro. Infatti, se da un lato ha sancito il principio per cui al legislatore non è affatto preclusa la qualificazione in termini di silenzio assenso del decorso infruttuoso del termine per provvedere (11), costituendo una scelta di politica legislativa, dall’altro lato ha dichiarato costituzionalmente illegittime quelle norme regionali che avevano previsto il meccanismo del silenzio assenso in materia ambientale, nell’ambito di procedimenti complessi ad elevato tasso di discrezionalità (12).

Tali declaratorie di incostituzionalità in tanto si giustificano, in quanto – nell’attribuire valore aggiunto all’istruttoria nell’ambito di procedimenti altamente discrezionali – valorizzano il momento della ponderazione degli interessi (e l’estrinsecazione di essa nella motivazione di un provvedimento espresso) a scapito dell’“ansia di provvedere” (13), ossia di ottenere un provvedimento a tutti i costi, che conduce ad un inevitabile “impoverimento del procedimento” (14).

L’entrata in vigore della L. 80/2005 ha sollevato una questione interpretativa di notevole interesse teorico e dagli importanti riflessi pratici.

In particolare, a seguito dell’esclusione dell’operatività del silenzio assenso nella materia ambientale ai sensi del novellato comma 4 dell’art. 20 della l. 241/90, è stata revocata in dubbio la perdurante vigenza di alcune previgenti ipotesi speciali di silenzio assenso concernenti materie come quella ambientale.

In particolare, per quanto qui di interesse, la questione ha riguardato l’art. 13 L. 6 dicembre 1991, n. 394, che prevede la possibilità di formazione del nulla osta dell’Ente parco per silentium, decorsi i sessanta giorni previsti dalla legge per provvedere in modo espresso, al fine di consentire la realizzazione di interventi, impianti ed opere nel perimetro delle aree naturali protette (15).

La legge 394/1991, nell’istituire i parchi naturali nazionali, ha dettato la disciplina quadro generale sulle aree protette, fissando i principi fondamentali per l’istituzione e la gestione delle suddette aree, “al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese” (art. 1).

Orbene, prima di analizzare funditus il sistema di protezione delle aree naturali protette delineato dalla L. 394/1991, con particolare riguardo alla natura e alle funzioni attribuite al nulla osta di cui all’art. 13, occorre analizzare in quali termini si è posto il contrasto giurisprudenziale su accennato, sino alla soluzione adottata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di stato con la decisione n. 17 del 27 luglio 2016, qui in commento (16).

Come è ovvio, qualsivoglia modifica di una disciplina generale ingenera problematiche relative all’abrogazione implicita o meno di eventuali discipline speciali previgenti.

Riguardo all’operatività del silenzio assenso, merita evidenziare che, già prima della legge n. 241/90, in alcuni casi il legislatore aveva previsto, nelle materie che poi sarebbero confluite nell’art. 20, l’operatività del silenzio assenso per la formazione di provvedimenti.

È del resto pacifico l’assunto per cui l’opzione legislativa del silenzio assenso attiene a valutazioni di politica del diritto che spettano in via esclusiva al legislatore, il quale - evidentemente - compie a monte una valutazione di compatibilità di tale modulo procedimentale con la protezione di interessi superiori, quale quello ambientale.

L’Adunanza Plenaria, con la citata sentenza n. 17 del 27 luglio 2016, si è pronunciata per la prima volta (17)  sulla questione della vigenza o meno del citato art. 13 L. 394 del 1991, a seguito della L. n. 80 del 2005 che, nel novellare l’istituto del silenzio assenso, ne ha escluso l’applicabilità in materia ambientale e paesaggistica.

La questione è stata deferita, ex art. 99, comma 1, c.p.a., all’Adunanza Plenaria dalla III Sezione del Consiglio di Stato, la quale, con ordinanza n. 642 del 17 febbraio 2016, ha rilevato sul punto un netto contrasto giurisprudenziale (18), che si è delineato in due contrapposte correnti (19).

Una prima, favorevole alla applicabilità del silenzio assenso al nulla osta dell’Ente parco, anche successivamente all’entrata in vigore della L. 80/2005 (20), cui si contrappone un secondo indirizzo a ciò sfavorevole (21).

In particolare, secondo il Consiglio di Stato, sez. VI, n. 6591/2008, in base al criterio “lex posterior generalis non derogat priori speciali”, non solo il predetto art. 13 L. 394 sarebbe tutt’ora vigente anche a seguito dell’introduzione del comma 4 dell’art. 20 L. 241/90 ma, addirittura, la non applicabilità indiscriminata del silenzio assenso in particolari materie non impedirebbe al legislatore di introdurre ipotesi specifiche e derogatorie di silenzio assenso in tali materie, col solo limite di espressi divieti derivanti dall’ordinamento comunitario o dal rispetto di principi costituzionali.

Detto altrimenti, tale giurisprudenza non ritiene invalicabile lo sbarramento costituito dall’elencazione di materie escluse dal silenzio assenso di cui al comma 4 dell’art. 20, ritenendo necessaria un’ulteriore specificazione di tale elenco che evidentemente è ritenuto generico ed, in qualche modo, superabile con la previsione di specifiche ipotesi derogatorie dallo stesso legislatore che l’ha previsto in via generale.

Con riguardo specifico al nulla osta dell’Ente parco, tale giurisprudenza ha ritenuto il silenzio assenso non in contrasto con la Costituzione né con specifiche disposizioni comunitarie, essendo lo stesso 

“caratterizzato da un tasso di discrezionalità non elevato e destinato ad inserirsi in un procedimento in cui ulteriori specifici interessi ambientali vengono valutati in modo espresso”.

Tale prospettazione trova il suo fondamento essenzialmente su un dato testuale, ovvero sia l’espressione “le disposizioni del presente articolo” , che limiterebbe l’alveo di applicazione delle eccezioni del comma 4 solo a quanto previsto in via generale dall’art. 20, nonché su considerazioni di carattere generale di coerenza dell’art. 13 con la ratio della nuova configurazione del silenzio assenso, quale modulo procedimentale ad applicazione generalizzata.

L’opposto orientamento – espresso da Consiglio di Stato, sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 5188, cui ha aderito pure la citata ordinanza sez. IV, n. 538/2016, privilegia, invece, quale criterio risolutivo dell’antinomia, quello cronologico, per cui “lex posterior derogat priori”, in applicazione dell’art. 15 disp. prel. c.c., non ravvisando alcun rapporto di specialità tra l’art. 13 L. 394 e l’art. 20 l. 241.

Più specificamente, le due norme avrebbero la medesima natura procedimentale e, quindi, si porrebbero in rapporto di sostanziale identità e non di mera equivalenza.

Ad ulteriore sostegno di tale ragionamento i giudici della IV sezione di Palazzo Spada, nella precitata ordinanza n. 538/2016, menzionano recenti modifiche legislative e pronunce della giurisprudenza costituzionale, che – forse non senza qualche forzatura – vengono “piegate” allo scopo di avvalorare la tesi dell’avvenuta abrogazione dell’art. 13.

In particolare, si fa menzione della modifica che il D.L. 69/2013 ha apportato all’art. 20, comma 8, D.P.R. 380/2001, introducendo il silenzio assenso con riguardo all’istanza di rilascio del permesso di costruire, facendo però salvi “i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali”, in cui sarà, dunque, necessaria l’adozione di un provvedimento espresso.

Sul versante della giurisprudenza costituzionale viene poi citato l’orientamento espresso dalla Consulta con la sentenza n. 209/2014 (22), che ha dichiarato costituzionalmente illegittima una disposizione regionale che prevedeva l’applicazione del silenzio assenso alla domanda di autorizzazione allo scarico in fognatura, (peraltro prevedendo un termine più breve rispetto a quello previsto dalla legislazione nazionale per il procedimento espresso), ravvisando in ciò una illegittima deminutio dei livelli di tutela ambientale in violazione dell’art. 20, comma 4, della legge n. 241/90, nonché uno sconfinamento nella competenza esclusiva dello stato (23).

Così esposta l’antinomia venutosi a creare intorno alla perdurante vigenza/abrogazione implicita dell’art. 13 L. 394/91, occorre analizzare la cornice normativo-giurisprudenziale in cui l’istituto del silenzio assenso dell’Ente parco e, più in generale, la legge quadro sulle aree naturali protette, si collocano.

La legge n. 394/1991 nasce al fine di attuare la “previsione costituzionale della tutela della natura attraverso lo strumento delle aree naturali protette” (24), segnando il superamento del sistema frammentario previsto dal D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (25), il cui art. 83, comma 2, in effetti già prevedeva una riserva di legge statale in ordine alla definizione della disciplina generale dei parchi, da approvarsi entro il termine meramente ordinatorio del 31 dicembre 1979.

Occorre anzitutto evidenziare che si tratta di una legge approvata a seguito di iter parlamentare molto lungo e travagliato (26), fatto di numerose proposte di legge presentate nel corso delle legislature precedenti alla X, andata poi in porto solo “nel pieno di quella fase che potremmo definire dell’emergenza ambientale” (27).

Nel corso di oltre 25 anni di vigenza, inoltre, ha comunque continuato ad essere oggetto di proposte di modifica e di revisione (28).  

La discussione alla Camera dei Deputati è iniziata nel gennaio del 1989 e si è protratta sino alla data di approvazione (il 6 dicembre 1991), per quasi due anni, segno che – evidentemente – si trattava e si tratta di una disciplina suscettibile di intersecare molteplici contrapposti ed egualmente tutelati a livello costituzionale, quale il diritto ad un ambiente salubre (enucleato – come già detto - dal combinato disposto degli artt. 9 e 32 Cost.) e la libertà di iniziativa economica dei privati, tutelata ex art. 41 Cost..

L’art. 1, comma 1, della Legge quadro – nel disporre programmaticamente che “La presente legge, in attuazione degli articoli 9 e 32 della Costituzione e nel rispetto degli accordi internazionali, detta princìpi fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese” – richiama i “super-principi” (29) cui il legislatore si è ispirato nella redazione della legge e cui deve rifarsi l’interprete nella sua applicazione. 

Con riguardo all’inserimento - in un siffatto contesto normativo - del meccanismo del silenzio assenso, a fronte del mancato rilascio del nulla osta entro il termine di sessanta giorni, si è osservato che “la previsione del silenzio-assenso ha costituito una significativa deroga, nella materia de qua, alla disciplina generale dei provvedimenti di competenza delle amministrazioni preposte alla salvaguardia ambientale” ma, tuttavia, “la legge quadro ha approntato un sistema di tutele più organico di quello adottato in passato ed idoneo a garantire – grazie al meccanismo legge/piano/regolamento – una efficace tutela preventiva già a monte dei procedimenti autorizza tori relativi ai singoli interventi soggetti a nulla osta” (30).

L’Adunanza Plenaria, nella pronuncia n. 17/2016, sostiene da ultimo che il legislatore, abbia in proposito compiuto una valutazione ben ponderata degli interessi contrapposti in gioco.

Nondimeno, non può non rilevarsi che dai lavori parlamentari (nella scarsa misura in cui questi possano rilevare quale indice della reale volutas legis) emerge “storia” diversa, ossia la storia di una modifica legislativa che non è mai stata oggetto di discussione parlamentare, apportata poco prima dell’approvazione definitiva della legge (31). 

È comunque interessante notare – ad ulteriore suffragio della tesi sostenuta dalla Plenaria in ordine alla perdurante vigenza del silenzio-assenso previsto dall’art. 13, commi 1 e 4, della legge 6 dicembre 1991 n. 394 – la circostanza che, in una recente proposta di modifica alla L. 394/1991, mai giunta ad approvazione, tale istituto è stato lasciato del tutto invariato (salvo uno spostamento “topografico” al nuovo comma 1-bis dell’art. 13) e, quindi, lasciando così intendere riconfermata la volontà del legislatore di mantenere in vigore tale modulo semplificato di estrinsecazione della volontà della P.A. anche successivamente alla L. 80/2005 (32).

Deve, infatti, presumersi che, laddove il legislatore avesse ritenuto verificatasi l’abrogazione implicita del silenzio assenso dopo la riforma del 2005, nella successiva proposta di modifica avrebbe provveduto ad eliminare ogni riferimento testuale ad esso.

Il nulla osta può essere definito, in via generale, come “atto endoprocedimentale, emanato in vista dell’interesse pubblico curato da un’amministrazione diversa da quella procedente, mediante il quale si dichiara che, in relazione a quell’interesse, non sussistono ostacoli all’adozione del provvedimento finale” (33).

Premesso che, all’interno delle aree protette, è escluso l’esercizio di ogni attività suscettibile di ledere l’interesse pubblico naturalistico ai sensi dell’art. 11, primo comma, in combinato disposto con il terzo comma e il quinto comma dello stesso articolo, nel sistema delineato dalla Legge quadro, la previsione di un nulla osta volto a valutare la conformità di alcune attività umane alle previsioni del Piano e del Regolamento dell’Ente parco si spiega in quanto “la necessità della delimitazione territoriale generale di tutte le aree suscettibili di protezione collide direttamente con gli interessi generali dello sviluppo economico e con i corrispondenti interessi sezionali delle varie amministrazioni interessate” (34). 

In altri termini, il nulla osta risponde all’esigenza di consentire all’amministrazione preposta la tutela del prevalente interesse pubblico naturalistico rispetto ad altri interessi, pubblici o privati, con esso contrastanti, al fine di giungere ad una loro composizione che tenga comunque conto della prevalenza del primo (35). Infatti, all’interno dell’aree protette “si ha un’inversione di valori, passando in posizione di supremazia l’interesse naturalistico” (36).

La natura di tale atto amministrativo è stata oggetto di divergenti opinioni.

In particolare, è dubbio se il nulla osta debba essere considerato un atto di natura autorizzativa (37) o un atto di certazione (38).  

Nondimeno è comune ad entrambe le opposte posizioni interpretative ritenere estremamente ridotto l’ambito di discrezionalità di cui l’Ente parco gode nel relativo procedimento (39).

Ed, invero, si tratta di una tutela qualificabile come meramente formale, atteso che la valutazione prevista dall’art. 13 L. 394/91 è di tipo essenzialmente tecnico, afferendo alla mera conformità dell’intervento proposto dal privato – suscettibile ex se di incidere sullo stato del territorio protetto – alle norme del Piano dell’Ente Parco e del connesso Regolamento.

D’altronde, deve rammentarsi che la valutazione compiuta attraverso il rilascio o il diniego del suddetto nulla osta non è l’unica modalità attraverso cui viene tutelato l’interesse ambientale, considerato che la realizzazione di interventi ed opere in aree protette è sottoposta al preventivo rilascio di tre autonomi provvedimenti: il titolo edilizio ai sensi del D.P.R. 380/2001, l'autorizzazione paesaggistica di cui al D.Lgs. n. 42/2004, il nulla osta dell’Ente parco ex art.13 L.394/1991, stante l’autonomia dei profili paesaggistici ed ambientali da quelli urbanistici (40).

Come detto, dunque, i parametri alla stregua dei quali l’Ente Parco deve effettuare la valutazione di conformità sottesa al rilascio/diniego del nulla osta sono due, ossia il Piano del Parco e il Regolamento del Parco, entrambi di competenza dell’Ente parco.Si tratta di strumenti “normativi” riferiti allo specifico perimetro dell’area protetta disciplinati nel contenuto e nelle modalità di adozione e approvazione dalla medesima legge quadro (41).

In particolare, l’art. 11 prevede che “il regolamento del parco disciplina l’esercizio delle attività consentite entro il territorio del parco”, da adottarsi anche contestualmente all'approvazione del piano per il parco e, comunque, non oltre sei mesi dall'approvazione del medesimo.

Esso ha lo scopo di “garantire il perseguimento delle finalità di cui all'articolo 1 e il rispetto delle caratteristiche naturali, paesistiche, antropologiche, storiche e culturali locali proprie di ogni parco” (Art. 11, comma 2).

Il comma tre contiene un elenco non tassativo di attività vietate nelle aree protette, con la possibilità (prevista dal comma 4) per l’Ente, di prevedere in sede di regolamento eventuali deroghe, per il principio di elasticità relativa del suddetto divieto (43).

Ai sensi del comma 6, il Regolamento, una volta adottato dal Consiglio direttivo dell’Ente Parco, è sottoposto all’approvazione del Ministro dell’ambiente. Inoltre, i comuni sono tenuti ad adeguare alle sue previsioni i propri regolamenti, entro il termine di novanta giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, decorso inutilmente il quale, le disposizioni del Regolamento del parco prevalgono su quelle del comune, che è tenuto alla loro applicazione.

In base all’art. 12 L. 394/1991, che ne disciplina dettagliatamente il complesso iter di adozione e approvazione, il Piano per il parco viene disciplinato come lo strumento atto ad individuare le attività consentite, cioè quelle compatibili con l’interesse pubblico naturalistico, mediante la suddivisione del territorio del parco in zone, corrispondenti ad un livello graduato di protezione, che si attenua proporzionalmente all’aumento del livello di antropizzazione dell’area.

Ai sensi del comma 7, il piano ha effetto di dichiarazione di pubblico generale interesse e di urgenza e di indifferibilità per gli interventi in esso previsti e sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione.

In tal modo, la legge quadro “attraverso il doppio binario costituito dal piano e dal regolamento, costruisce un formidabile sistema di sbarramento normativo, trasversale e derogatorio rispetto a qualsiasi ordinamento di settore” (47).

Orbene, dopo la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è immediatamente vincolante nei confronti delle amministrazioni e dei privati.

Conseguentemente, “il nulla osta, nella misura in cui “verifica la conformità tra le disposizioni del piano e del regolamento” e gli interventi, impianti e opere all’interno del parco (articolo 13), pertanto, si limita a riconoscere dette attività come consentite, estrapolando i criteri relativi dal nucleo normativo costituito dal sistema piano-regolamento, che ne costituisce dunque il presupposto” (48).

 

Alla luce di quanto sopra descritto, si evince che il piano ed il regolamento suddetti possono, dunque, considerarsi quali atti normativi di natura regolamentare idonei a realizzare un meccanismo di “autolimitazione” dell’Amministrazione nell’esercizio della sua discrezionalità.

Ma v’è di più: ai sensi dell’art. 30 L. 394/91, la violazione dell’art. 13 integra un reato contravvenzionale, punito con l’arresto fino a dodici mesi o l’ammenda da lire duecentomila a lire cinquantamilioni, mentre la violazione delle disposizioni emanate dagli organismi di gestione delle aree protette sia un illecito amministrativo.

In virtù di ciò, si può affermare – ed è questa la tesi sostenuta dall’Adunanza Plenaria in commento – che l’attività amministrativa sottesa al rilascio del nulla osta da parte dell’Ente Parco, basandosi sulla mera valutazione della conformità dell’intervento proposto alle norme del piano e del regolamento predisposti dall’ente stesso, non presenta che strettissimi margini di discrezionalità.

Infatti, tali fonti possono essere “configurate come fonti normative sui generis, legittimate, pur sempre in via legislativa, dalla imperatività costituzionale e comunitaria della protezione dell’interesse naturalistico” (49).

Da questa impostazione consegue che la qualificazione del nulla osta quale atto di autorizzazione perde quota, atteso che “il nulla osta non funziona nel senso di “rimuovere divieti”, né “costruire posizioni soggettive”, ma solo nel senso di accertare la conformità dell’attività alle figure consentite” (50).

Come già anticipato, per risolvere l’apparente antinomia normativa tra l’art. 13 L. 394/1991 e l’art. 20 L. 241/1990, il Consiglio di Stato ha fatto applicazione del criterio di base per cui “lex posterior generalis non derogat priori speciali”, affermando che il silenzio-assenso previsto dall’art. 13, commi 1 e 4, della legge 6 dicembre 1991 n. 394 (secondo cui nel termine di sessanta giorni l’Ente parco deve rendere il nulla-osta per il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad impianti od opere all’interno del parco, decorso il quale si forma il predetto silenzio) non è stato implicitamente abrogato a seguito dell’entrata in vigore della legge 14 maggio 2005 n. 80, che, nell’innovare l’art. 20 della legge 7 agosto 1990 n. 241, ha escluso che l’istituto generale del silenzio-assenso possa trovare applicazione in materia di tutela ambientale e paesaggistica

Con una motivazione estesa ed approfondita, dopo aver riepilogato i due contrapposti orientamenti formatisi in materia, l’Adunanza Plenaria è giunta alla conclusione che non sarebbe logico ritenere che una disposizione volta a generalizzare il regime procedimentale del silenzio-assenso – quale è, appunto, l’art. 20 L. 241/2005 novellato dalla L. 80/2005 – faccia venir mento proprio quelle ipotesi di silenzio-assenso già previste dall’ordinamento nel più restrittivo sistema dell’art. 20 ante riforma.

Sicché la sottrazione al regime semplificatorio generale delle materie caratterizzate da interessi sensibili non può che essere considerato pro futuro, tale, cioè, da non ricomprendere quegli specifici procedimenti per i quali la compatibilità del regime del silenzio-assenso con quegli interessi sia già stato in precedenza valutato positivamente dal legislatore. Con la conseguenza che detta la previsione dell’art. 13 sul silenzio-assenso circa l’istanza di nulla osta non è da ritenersi colpita da abrogazione implicita.

 

NOTE

(1) Dabiele Giannini, in De Jure.

(2) Per una disamina completa dell’evoluzione giurisprudenziale e normativa in materia ambientale si rimanda a A. Crosetti (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, volumi I-II- III, Milano, Ed. Giuffrè, 2014.

(3) Secondo la giurisprudenza l’ambiente è un “bene immateriale unitario sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela, ma tutte, nell’insieme sono riconducibili ad unità” (C. cost. n. 641/1987; Cass. Sez. un. N. 440/1989; Cass. III, n. 1087/1998, citate in G. VESPERINI (a cura di), Diritto amministrativo speciale, Milano, Ed. Giuffrè, 2005, p. 228).

(4) In Riv. it. dir. pubbl. com., 1992, p. 241. Si collocano nel medesimo solco, a titolo esemplificativo, anche le seguenti pronunce: Corte Giust. 28 febbraio 1991, in C-131/88, Commissione c. Germania; Corte giust. 19 settembre 2000, in C-287/98, Linster; Coste Giust. 19 giugno 2001, in C-230/00 Commissione c. Belgio.

(5) Cfr. g. morbidelli, Urbanistica incostituzionale per abuso di silenzio assenso, in Giur. cost., 1992; p. chiti I signori del diritto comunitario, in Riv. trim. dir. pubbl., 1991, p.

(6) In particolare cfr. g. morbidelli, Urbanistica incostituzionale, cit., p. 3434, secondo cui “l’istruttoria è una fase necessaria di ogni procedimento (viene definita il “cuore” del procedimento). Essa è infatti volta all’acquisizione dei dati e delle conoscenze necessarie per poter adottare il provvedimento e costituisce lo strumento attraverso cui l’Amministrazione adempie all’obbligo generale di adeguati accertamenti dei presupposti giustificativi del provvedimento”.

(7) p. chiti, I signori del diritto comunitario, in Riv. trim. dir. pubbl., 1991, p. 815.

(8) r. giovagnoli, I silenzi, cit., p. 288-289.

(9) v., ex multis, Corte Cost., sentenza n. 210/1987, in giurcost.org.

(10) r. bifulco, a. celotto, m. olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, Ed. Utet, 2006, p. 235.

(11) Cfr. Corte Cost. n. 404/1997; n. 262/1997; n. 169/1994.

(12) Cfr. Corte Cost. n. 26/1996; n. 194/1993; n. 302/1988. Per un breve ma compiuto excursus cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 29.12.2008, n. 6591.

(13) L’espressione elegante è di e. casetta, La difficoltà di semplificare, in Dir. amm., 1998, p. 345.

(14) e. casetta, Op. ult. cit., p. 352.

(15) Si ritiene che tale norma si riferisca a tutti gli interventi edilizi diversi da quelli di manutenzione ordinaria e straordinaria, per i quali il nulla osta non è quindi necessario. Cfr. da ultimo Tar Campania Napoli, sez. III, 13.02.2017, n. 846, in giustizia-amministrativa.it.

(16) In giustizia-amministrativa.it.

(17) La questione era stata solo sfiorata in una pronuncia dell’Adunanza Plenaria di pochi mesi precedente a quella in rassegna, la n. 9/2016, nella quale una presa di posizione non era necessaria ai fini della decisione, in quanto “Posto che il nulla osta degli enti gestori dei parchi, previsto dall'art. 13, commi 1 e 4, l. n. 394 del 1991, concerne gli interventi nei parchi e non i piani attuativi proposti nei parchi stessi, ai nulla osta che siano stati richiesti per la formazione di piani attuativi non si applica il silenzio-assenso previsto dall'art. 13 cit.” (fonte: giustizia-amministrativa.it).

(18) Come ricordato nella punto 7.3. della parte in fatto della sentenza n. 17/2016, nella medesima sede è stata oggetto del medesimo scrutinio analoga questione deferita con ordinanza n. 538/2016 dalla IV sezione del Consiglio di Stato, la quale condivideva la tesi dell’avvenuta abrogazione implicita. L’ordinanza della III sezione invece manteneva una posizione neutrale rispetto alle due opposte tesi non aderendo a nessuna di esse, ma limitandosi alla sola esposizione del quadro del “diritto vivente” in materia.

(19) E’ interessante rilevare che è di qualche giorno precedente l’ordinanza n. 538 del 9 febbraio 2016 con cui la IV sezione del Consiglio di Stato ha deferito all’Adunanza Plenaria una questione sulla medesima antinomia la quale, nel pronunciarsi con sentenza n. 9 del maggio 2016 ha però ritenuto di non sciogliere il nodo non ravvisandolo necessario per la risoluzione della controversia oggetto di ricorso.

(20) In particolare l’oggetto del giudizio deciso da Consiglio di Stato, sez. VI, n. 6591/2008 verteva su di un caso di diniego di nulla osta adottato dall’ente parco oltre un anno dopo la presentazione della relativa istanza (senza il previo annullamento in autotutela del provvedimento silenzioso), nonché dopo l’ottenimento dei titoli abilitativi necessari sul piano edilizio, quale il permesso di costruire. Aderendo alla tesi per cui l’art. 20 l. 241 non avrebbe abrogato implicitamente l’art. 13 L. 394, ha pertanto annullato il diniego dell’ente parco per essersi già formato il silenzio assenso sulla relativa istanza.

(21) Consiglio di Stato, sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 5188, in giustizia-amministrativa.it.

(22) In giurcost.org.

(23) In particolare la Corte ha così statuito: “Questa Corte ha già precisato che la disciplina degli scarichi in fognatura attiene alla materia dell’ambiente, di competenza esclusiva statale (ex plurimis, sentenze n. 187 e n. 44 del 2011). Di conseguenza, alle Regioni non è consentito intervenire in tale ambito, specie se l’effetto è la diminuzione dei livelli di tutela stabiliti dallo Stato (ex plurimis, sentenza n. 225 del 2009). Questa Corte ha inoltre già avuto occasione di precisare che la previsione del silenzio-assenso dell’amministrazione alla scadenza di un termine più breve, rispetto a quello stabilito dalla legislazione statale, per la decisione su istanze di autorizzazione, determina livelli inferiori di tutela in materia ambientale (ex plurimis, sentenza n. 315 del 2009), con conseguente illegittimità delle relative disposizioni regionali” (www.giurcost.org).

(24) Così Corte cost. n. 366 del 1992. Come fa notare a. simoncini, Ambiente e protezione della natura, Padova, Ed. Cedam, 1996, p. 311, si tratta della prima pronuncia della Consulta sulla Legge quadro.

(25) L’art. 4, comma 1, lett. e) della Legge quadro parla (non a caso) di “esigenza di unitarietà delle aree da proteggere”.

(26) Sul punto cfr. c. malinconico, I beni ambientali, in Trattato di diritto amministrativo (diretto da G. Santaniello), vol. V, Padova, Ed. Cedam, 1991, p. 90, il quale prima dell’approvazione della legge quadro evidenziava uno “stallo delle iniziative legislative pendenti avanti il Parlamento”, specificando che “risultano attualmente pendenti (X legislatura) due proposte di legge rispettivamente contraddistinte dal n. 1964, presentata il 26 novembre 1987 (…) e dal n. 2212, presentata il 21 gennaio 1988 …” (nota 25, p. 90).

(27) a. simoncini, Op. ult. cit. p. 308. Il riferimento è alla nuova sensibilità alle problematiche ambientali diffusasi a seguito del disastro nucleare di Chernobyl, verificatosi in data 26 aprile 1986.

(28) A titolo esemplificativo, v. disegno di legge A.S. 1004, presentato nella attuale legislatura (XVII).

(29) L’espressione è di a. simoncini, Op. ult cit. p. 311.

(30) c. desideri, f. fonderico,  I parchi nazionali per la protezione della natura, Milano, Ed. Giuffè, 1998, p. 120-121, il quale tuttavia aggiunge che “sarebbe stato senza dubbio più opportuno prevedere un regime differenziato a seconda della zona del parco e, quindi, del grado di protezione assicurato all’interesse naturalistico”.

(31) Sul punto cfr. a. simoncini, Op. cit., p.

(32) Il riferimento è al disegno di legge A.S. 1004 presentato nella XVII Legislatura, il cui testo è consultabile in Dossier n. 58, Le novelle alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, in materia di aree protette, nei disegni di legge AA.SS. nn. 119, 1004 e 1034, settembre 2013, a cura del Servizio Studi del Senato, p. 113-117.

(33) a. crosetti, r. ferrarA, F. FRACCHIA, N. OLIVETTI RASON, Diritto dell’ambiente, Bari, Ed. Laterza, 2002, p. 234. Sulla nozione di nulla osta v. altresì m. sanino, Voce “Nullaosta”, Enciclopedia del diritto, Milano, Ed. Giuffrè,1978.

(34) g. di plinio, Diritto pubblico dell’ambiente e aree naturali protette, Torino, Ed. utet 1994, p. 144.

(35) Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 28.10.2013, n. 5188, secondo cui “la finalità del nulla-osta è proprio quella di “verificare la conformità tra le disposizioni di piano e l’intervento” proposto (v. Cons. di Stato, sez. IV, n. 7440/2010), ponendosi in tal modo come presupposto operativo del piano e conseguentemente per assentire la domanda edilizia” (in giustizia-amministrativa.it).

(36) g. di plinio, Op. ult. cit., p. 146.

(37) Cfr. v. parisio, Tutela dei valori ambientali, paesaggistico-territoriali e semplificazione dell’azione amministrativa alla luce della legge 7 agosto 1990, n. 241, in Riv. Giur. Ed., 1992, p. 62.

(38) g. di plinio, Diritto pubblico dell’ambiente, cit., p. 226.

(39) Con riferimento, invece, al nulla osta in generale, cfr. m. sanino, Voce “Nullaosta, cit., p. 856, a parere del quale, in ogni caso, non può escludersi a priori che il nulla osta non possa avere carattere discrezionale, dipende essenzialmente dalla funzione che caso per caso la legge gli attribuisce.

(40) Cfr. sul punto Corte di Cassazione, III sez. penale, sentenza 29/02/2012 n. 7900, in iusexplorer.it.

(41) Si evidenzia, al riguardo, che la legge quadro disciplina prima il Regolamento e poi il Piano, pur essendo l’adozione ed approvazione del primo cronologicamente posposte rispetto al secondo.

(42) L’art. 11, comma 3, dispone che: “In particolare sono vietati:

a) la cattura, l'uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali; la raccolta e il danneggiamento delle specie vegetali, salvo nei territori in cui sono consentite le attività agro-silvo-pastorali, nonché l'introduzione di specie estranee, vegetali o animali, che possano alterare l'equilibrio naturale;

b) l'apertura e l'esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonché l'asportazione di minerali;

c) la modificazione del regime delle acque;

d) lo svolgimento di attività pubblicitarie al di fuori dei centri urbani, non autorizzate dall'Ente parco;

e) l'introduzione e l'impiego di qualsiasi mezzo di distruzione o di alterazione dei cicli bio-geochimici;

f) l'introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, se non autorizzati;

g) l'uso di fuochi all'aperto;

h) il sorvolo di velivoli non autorizzato, salvo quanto definito dalle leggi sulla disciplina del volo”.

(43) Sul punto cfr. g. di plinio, Op. cit., p. 213, secondo cui si tratterebbe, in ogni caso di una discrezionalità derogatoria strettamente limitata.

(44) Si tratta di un iter non dissimile, peraltro, da alcune figure di piano urbanistico, pur svolgendo una funzione totalmente differente da esse. Cfr. sul punto g. di plinio, Op. cit., p. 216, secondo cui “nella redazione dei piani urbanistici è tipica la funzione di mediazione degli interessi presenti sul territorio, la cosiddetta “ponderazione”, mentre il piano per il parco ha l’unico obiettivo della protezione e realizzazione dell’interesse naturalistico, e ammette la realizzazione di interessi diversi solo se compatibili e funzionali nei confronti dell’interesse unitario e speciale tutelato”. L’art. 12 L. 394/1991 dispone, infatti, che: “3. Il piano è predisposto dall'Ente parco entro diciotto mesi dalla costituzione dei suoi organi, in base ai criteri ed alle finalità della presente legge. La Comunità del parco partecipa alla definizione dei criteri riguardanti la predisposizione del piano del parco indicati dal consiglio direttivo del parco ed esprime il proprio parere sul piano stesso. Il piano, approvato dal consiglio direttivo, è adottato dalla regione entro novanta giorni dal suo inoltro da parte dell'Ente parco.

4. Il piano adottato è depositato per quaranta giorni presso le sedi dei comuni, delle comunità montane e delle regioni interessate; chiunque può prenderne visione ed estrarne copia. Entro i successivi quaranta giorni chiunque può presentare osservazioni scritte, sulle quali l'Ente parco esprime il proprio parere entro trenta giorni. Entro centoventi giorni dal ricevimento di tale parere la regione si pronuncia sulle osservazione presentate e, d'intesa con l'Ente parco per quanto concerne le aree di cui alle lettere a) , b) e c) del comma 2 e d'intesa, oltre che con l'Ente parco, anche con i comuni interessati per quanto concerne le aree di cui alla lettera d) del medesimo comma 2, emana il provvedimento d'approvazione. Qualora il piano non venga approvato entro ventiquattro mesi dalla istituzione dell'Ente parco, alla regione si sostituisce un comitato misto costituito da rappresentanti del Ministero dell'ambiente e da rappresentanti delle regioni e province autonome, il quale esperisce i tentativi necessari per il raggiungimento di dette intese; qualora le intese in questione non vengano raggiunte entro i successivi quattro mesi, il Ministro dell'ambiente rimette la questione al Consiglio dei ministri che decide in via definitiva”.

(45) Si tratta, nello specifico, delle seguenti aree tipo: riserve integrali, riserve generali orientate, aree di protezione e aree di promozione economica e sociale, disciplinate ex art. 12, comma 2, L. 394/1991.

(46) a. crosetti, r. ferrara, f. fracchia, n. olivetti rason, Diritto dell’ambiente, cit., p. 434, secondo cui “il piano del parco appare destinato a divenire lo strumento primario di conformazione del territorio, ponendosi, in virtù della particolare destinazione impressa a tutta l’area protetta, come sede di composizione degli interessi globalmente intesi, con conseguente funzione residuale dei piani regolatori all’interno delle aree protette”

(47) g. di plinio, Op. cit., p. 217.

(48) g. di plinio, Op. cit., p. 214.

(49) g. di plinio, Op. cit., p. 221.

 

(50) g. di plinio, Op. cit., p. 224.

 

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