Saturday 04 May 2013 11:13:35
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
Consiglio di Stato
La distinzione tra occupazione appropriativa ed usurpativa (quella realizzata in assenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità), ha perso di significato sia con riferimento alla giurisdizione (nel senso che residuano al giudice ordinario le sole ipotesi in cui ab origine manchi del tutto una dichiarazione di pubblica utilità dell'opera) che alla decorrenza del termine di prescrizione trattandosi nei due casi di un illecito permanente come affermato dalla più recente giurisprudenza amministrativa, aderendo alle argomentazioni svolte in più occasioni dalla Corte europea dei diritti umani e, di recente, dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 2 novembre 2011, n. 5844). L'unico elemento di differenziazione ancora esistente riguarda invero l'individuazione del dies a quo di commissione dell'illecito posto che, in caso di occupazione usurpativa, esso va fatto decorrere dal momento dell'immissione in possesso da parte dell'Amministrazione mentre, in caso di occupazione appropriativa, come nella specie, dalla scadenza del termine di occupazione legittima del terreno e ciò rileva al fine di individuare il momento in cui misurare il valore venale ai fini della quantificazione del risarcimento del danno. Pertanto, alla luce dei precisi parametri normativi stabiliti dal predetto art. 42-bis del T.U. Espropriazione n. 327-2001, introdotto dall'art. 34 della cd. "Manovra economica 2011" (D.L. 6 luglio 2011, n. 98), il quale, reintroducendo l'istituto dell'acquisizione sanante, prevede anche che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, anche con riferimento ai fatti antecedenti (comma 8 del predetto art. 42 bis), è possibile condannare il Comune convenuto al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno per occupazione appropriativa, parametrata al valore venale del bene dalla data di cessazione dell’occupazione legittima come appena sopra precisato, maggiorato del danno morale nella misura che si ritiene equo determinare nel 10% del danno patrimoniale. Trattandosi di obbligazione derivante da illecito extracontrattuale, e quindi di debito di valore, tali somme, determinate con riferimento alla data della trasformazione irreversibile del bene, devono essere rivalutate equitativamente all'attualità sulla base degli indici Istat; si impone, inoltre, il riconoscimento del danno da lucro cessante, costituito dalla perdita della possibilità di far fruttare la somma stessa; tale danno, avuto riguardo al tempo trascorso ed al graduale mutamento del potere di acquisto della moneta, può liquidarsi in via equitativa nella misura degli interessi legali sulle somme rivalutate anno per anno a decorrere dalla data dell'illecito, in applicazione della sentenza 17 febbraio 1995, n. 1712 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui deve escludersi che la base del calcolo dei suddetti interessi possa essere quella della somma rivalutata al momento della liquidazione se gli interessi vengono fatti decorrere dal momento del fatto illecito, perché con tali modalità si attribuirebbe al creditore un valore cui egli non ha diritto (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 2 novembre 2011, n. 5844 cit.).
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