Thursday 04 May 2017 13:50:40
Giurisprudenza Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 28.4.2017
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 28 aprile 2017 ha richiamato quanto già precisare dalla stessa Sezione (Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre 2016 n. 5015), che l'art. 5 L. n. 50 del 1994 configura la chiusura dell'esercizio commerciale come una misura sanzionatoria ulteriore ed accessoria, di natura amministrativa, rispetto alle eventuali e diverse sanzioni per la violazione delle norme dirette alla repressione del contrabbando, sicché dall'ampia formulazione della norma emerge che può essere sanzionata anche la mera detenzione, in locali pubblici non autorizzati, di quantitativi di generi di monopolio che non rispondano ad un immediato fabbisogno delle persone che prestano lavoro nei locali medesimi Si è altresì affermato (Cons. Stato, sez. IV, 1 giugno 2010 n. 3470) che la predetta disposizione comporta, nell'ambito dell'apprestamento di misure di inasprimento della lotta al contrabbando dei tabacchi lavorati, che all'accertamento del contrabbando legittimamente consegua anche la chiusura dell'esercizio incriminato secondo un rapporto di causa-effetto, essendo in tal campo lasciata alla discrezionalità dell'amministrazione soltanto la valutazione circa la durata della chiusura dell'esercizio, ovvero della sospensione della licenza o dell'autorizzazione dell'esercizio. Per saperne di piu scarica la sentenza.
Pubblicato il 28/04/2017
N. 01968/2017REG.PROV.COLL.
N. 04281/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4281 del 2006, proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze, Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, Comando Generale della Guardia di Finanza, ciascuno in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello .Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
De Marzo Carmine e Ricci Domenica, rappresentati e difesi dall'avvocato Fabrizio Lofoco, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale G. Mazzini, 6;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA, BARI, SEZ. II n. 00917/2005, resa tra le parti, concernente chiusura esercizio commerciale
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2017 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Natale (Avv. Stato) e Lofoco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’appello in esame, il Ministero dell’Economia e delle finanze, l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato ed il Comando generale della Guardia di Finanza impugnano la sentenza 2 marzo 2005 n. 917, con la quale il TAR per la Puglia, sez. II, in accoglimento dei ricorsi proposti da Ricci Domenica e De Marzo Carmine, ha annullato i provvedimenti con i quali si è disposta la chiusura dell’esercizio commerciale sito in Bari e denominato “Bar Fantastico”:
- in un primo tempo, per giorni 13, a far tempo dalle h 8,30 del 23 dicembre 2002 (provvedimento 7 maggio 1998 n. 04/1942, ma notificato il 22 novembre 2002);
- in un secondo tempo, per giorni 35 (con applicazione di sanzione aumentata per nuova violazione), a decorrere dal trentunesimo giorno successivo alla data di notifica (provvedimento 28 novembre 2003 n. 52585);
- infine, si è data esecuzione ai primi due provvedimenti, disponendo la chiusura per giorni 48, periodo derivante dalla somma del primo periodo di chiusura e di ulteriori 35 giorni, a decorrere dal 20 ottobre 2004 (provvedimento 12 ottobre 2004 n. 23815).
Il primo provvedimento è stato emanato a seguito del verbale 23 ottobre 1997 della Guardia di Finanza, dal quale risulta che la signora Ricci Domenica, che gestisce il Bar Fantastico insieme al marito Carmine De Marzo, era stata trovata all’ingresso dell’esercizio commerciale, in possesso di due stecche di sigarette di contrabbando.
Il secondo provvedimento è stato emanato a seguito del verbale 12 marzo 2002, dal quale emerge la dichiarazione di un cliente del bar che, appena uscito dall’esercizio, ha affermato di avervi acquistato una confezione di sigarette, regolarmente bollate.
Per effetto delle vicende giudiziarie variamente intersecatesi, l’esercizio commerciale – come affermato dall’amministrazione appellante (v. pag. 5 appello), ed in disparte le sanzioni pecuniarie – è stato effettivamente chiuso dal 20 ottobre 2004 al 25 novembre 2004.
La sentenza impugnata ha affermato, in particolare:
- quanto al primo provvedimento, che “rileva l’oggettiva ed evidente abnormità di un atto sanzionatorio, comunicato e posto in esecuzione dopo più di cinque anni dalla commissione dell’illecito”, laddove “una sanzione non può che intervenire in tempi ragionevoli”; inoltre, non è stata consentita la partecipazione procedimentale, che avrebbe consentito agli interessati di chiarire la propria posizione;
- quanto al secondo provvedimento, non poteva essere stabilita una chiusura dell’esercizio per 35 giorni, sul presupposto della reiterazione della violazione, attesa l’illegittimità del primo provvedimento.
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello (come desunti e sintetizzati dalle pagg. 6 – 15 del ricorso):
a) error in iudicando; violazione art. 112 c.p.c., poiché, con riferimento al primo provvedimento di chiusura, la censura relativa alla abnormità di un atto sanzionatorio comunicato e posto in essere dopo più di cinque anni dalla commissione dell’illecito “non risulta essere mai stata formulata dagli interessati”;
b) error in iudicando, poiché la violazione di “generali principi di certezza e speditezza dell’azione amministrativa . . . nulla hanno a che vedere con l’accertamento di eventuali vizi del provvedimento sanzionatorio, attenendo . . . ad una fase successiva all’adozione dello stesso, cioè a quella della sua esecuzione”;
c) error in iudicando, poiché “il lasso di tempo trascorso . . . tra l’accertamento della violazione e la notificazione del provvedimento irrogativo della sanzione e la esecuzione di quest’ultima”, non può essere apprezzato quale comportamento di abbandono dell’interesse pubblico sotteso all’attività amministrativa posta in essere, né essere causa di illegittimità del provvedimento amministrativo;
d) error in iudicando, poiché non sussiste la violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990, dato che “il procedimento conclusosi con il provvedimento impugnato non costituiva un procedimento autonomo rispetto a quello avente ad oggetto l’irrogazione della sanzione pecuniaria, bensì una fase necessaria ed obbligata di quest’ultimo”. In ogni caso, una volta intervenuta la contestazione della violazione in materia di contrabbando nei confronti del titolare dell’esercizio “non occorre dare avviso del procedimento – necessario e previsto espressamente dalla legge – finalizzato all’adozione del provvedimento di cui all’art. 5 della legge n. 50/1994”;
e) error in iudicando, poiché il secondo decreto di chiusura si fonda sulla reiterazione della violazione ed ha “vita autonoma rispetto al precedente, riguardando una seconda violazione ai sensi dell’art. 5, co. 2, l. n. 50/1994”.
Si sono costituiti in giudizio i signori De Marzo Carmine e Ricci Domenica, che hanno concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
All’udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, nei sensi di seguito esposti.
Come si evince dalla esposizione in fatto, l’oggetto della presente controversia è in sostanza rappresentato da due provvedimenti di chiusura dell’esercizio commerciale “bar Fantastico”, sul presupposto della illecita detenzione e/o cessione di tabacchi lavorati. Il secondo provvedimento, in particolare, prevede un periodo di chiusura che tiene conto della reiterazione della violazione.
A fronte di ciò il terzo atto (impugnato con motivi aggiunti nell’ambito del primo ricorso proposto), costituisce una “nota provvedimentale” che dispone la concreta esecuzione delle due chiusure disposte, sommando i rispettivi periodi (13+35 giorni), per un totale di 48 giorni.
Le sanzioni consistenti nella chiusura dell’esercizio sono state entrambe disposte in applicazione dell’art. 5 l. 18 gennaio 1994 n. 50, che prevede in particolare, per quel che interessa nella presente sede:
“1. Ove all'interno di esercizi commerciali o di esercizi pubblici sia contestata nei confronti dei titolari o di loro coadiuvanti o dipendenti la detenzione o la cessione di tabacchi lavorati in violazione delle disposizioni del citato testo unico approvato con decreto del presidente della Repubblica n. 43 del 1973 , e successive modificazioni, o di altre leggi speciali in materia, ovvero la cessione abusiva di tabacchi lavorati in violazione della legge 22 dicembre 1957, n. 1293 , e successive modificazioni, in aggiunta alle specifiche sanzioni previste è disposta, dal Ministro delle finanze o per sua delega, la chiusura dell'esercizio ovvero la sospensione della licenza o dell'autorizzazione dell'esercizio per un periodo non inferiore a cinque giorni e non superiore ad un mese.
2. Nel caso di successiva violazione, la chiusura o la sospensione è disposta per un periodo non inferiore ad un mese e non superiore a due mesi.
3. Ove la contestazione di cui al comma 1 avvenga più di due volte, può essere disposta la chiusura definitiva dell'esercizio. . . .”
Questa Sezione ha già avuto modo di precisare (Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre 2016 n. 5015), che l'art. 5 L. n. 50 del 1994 configura la chiusura dell'esercizio commerciale come una misura sanzionatoria ulteriore ed accessoria, di natura amministrativa, rispetto alle eventuali e diverse sanzioni per la violazione delle norme dirette alla repressione del contrabbando, sicché dall'ampia formulazione della norma emerge che può essere sanzionata anche la mera detenzione, in locali pubblici non autorizzati, di quantitativi di generi di monopolio che non rispondano ad un immediato fabbisogno delle persone che prestano lavoro nei locali medesimi
Si è altresì affermato (Cons. Stato, sez. IV, 1 giugno 2010 n. 3470) che la predetta disposizione comporta, nell'ambito dell'apprestamento di misure di inasprimento della lotta al contrabbando dei tabacchi lavorati, che all'accertamento del contrabbando legittimamente consegua anche la chiusura dell'esercizio incriminato secondo un rapporto di causa-effetto, essendo in tal campo lasciata alla discrezionalità dell'amministrazione soltanto la valutazione circa la durata della chiusura dell'esercizio, ovvero della sospensione della licenza o dell'autorizzazione dell'esercizio.
3. L’appello, in quanto rivolto avverso il capo della sentenza che accoglie il ricorso avverso il provvedimento 7 maggio 1998 n. 04/1942 (primo provvedimento di chiusura) e, di conseguenza, in parte avverso la nota provvedimentale esecutiva 12 ottobre 2004 n. 23815), è fondato, nei sensi e con le precisazioni di seguito esposte, e deve essere, pertanto, accolto.
La sentenza impugnata ha fondato l’accoglimento del (primo) ricorso affermando sia che “rileva l’oggettiva ed evidente abnormità di un atto sanzionatorio, comunicato e posto in esecuzione dopo più di cinque anni dalla commissione dell’illecito”, laddove “una sanzione non può che intervenire in tempi ragionevoli”; sia che non è stata consentita la partecipazione procedimentale, che avrebbe permesso agli interessati di chiarire la propria posizione.
In primo luogo, occorre escludere che sussista la violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990, per non avere l’amministrazione rispettato l’obbligo di inviare la comunicazione di avvio del procedimento (con conseguente accoglimento del motivo sub lett. d) dell’esposizione in fatto).
E ciò non perché nel caso di procedimenti sanzionatori tale comunicazione non sia dovuta, ovvero perché, trattandosi di atto vincolato, l’amministrazione non avrebbe potuto determinarsi diversamente, con la conseguente applicazione dell’art. 21-octies l. n. 241/1990.
Ed infatti, per un verso, le esigenze di partecipazione, dell’interessato, a fini di tutela, appaiono ancora più forti nel caso di procedimenti sanzionatori; per altro verso, nel caso della determinazione della sanzione della chiusura dell’esercizio, sussiste un aspetto di discrezionalità amministrativa in ordine alla determinazione del concreto periodo di chiusura.
Occorre, invece, escludere la violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990, poiché l’interessato (come evidenziato anche nel motivo di appello) riceve sostanziale comunicazione dell’avvio dei procedimenti sanzionatori a suo carico, previsti obbligatoriamente dalla legge, con la redazione del verbale di accertamento del fatto costituente illecito amministrativo, che è redatto in contraddittorio (o alla presenza) dell’interessato e che costituisce il primo atto di avvio di detti procedimenti.
Quanto al lasso di tempo trascorso tra accertamento della violazione ed irrogazione della sanzione della chiusura dell’esercizio, ritiene il Collegio:
- per un verso, che la legittimità (o meno) del provvedimento di irrogazione della sanzione non possa fondarsi né – come sostenuto nella sentenza impugnata – su una valutazione della sua adozione “in tempi ragionevoli”; né applicando il generale termine di conclusione dei procedimenti amministrativi, previsto dall’art. 2 l. n. 241/1990;
- per altro verso, che il potere sanzionatorio dell’amministrazione non possa essere considerato “imprescrittibile”, ma sia invece soggetto a termini di prescrizione costituenti, di conseguenza, anche termini di durata del relativo procedimento.
In ordine al primo aspetto, occorre rilevare che non può farsi applicazione del termine generale (di trenta giorni), previsto dall’art. 2, co. 2, l. n. 241/1990, poiché i procedimenti sanzionatori sono assoggettati a termini propri, che, stante il principio di specialità, prevalgono sui termini generali previsti dalla legge sul procedimento amministrativo.
Ed inoltre, proprio nel caso di procedimenti sanzionatori, il termine entro il quale deve essere adottato l’atto di irrogazione della sanzione deve essere “certo”, dovendo esso obbedire sia ai generali principi di imparzialità e buon andamento amministrativo (ex art. 97 Cost.), sia al rispetto del diritto di difesa (ex art. 24 Cost.).
Ne discende che la valutazione della legittimità del provvedimento di irrogazione di una sanzione non può dipendere da una analisi “caso per caso” sulla “ragionevolezza” o meno del tempo intercorso tra accertamento della violazione ed irrogazione della conseguente violazione.
Quanto al secondo aspetto, occorre ribadire che ogni potestà punitiva dello Stato e, in genere, delle Pubbliche Amministrazioni cui essa è attribuita – si tratti di potestas puniendi in materia di illeciti penali, ovvero di potestà sanzionatoria amministrativa – è necessariamente assoggettata ad un termine per il suo concreto esercizio. Con la conseguenza che, in difetto, occorrerebbe (eventualmente) porsi il problema della legittimità costituzionale di una norma che attribuisce ad un soggetto pubblico una potestà punitiva per il cui esercizio non è previsto un termine.
In questI casi, non ricorrono ipotesi di decadenza dall’esercizio delle potestà pubbliche (che è possibile, anzi necessario, finché in concreto sussiste l’interesse pubblico per il quale il potere è stato conferito all’amministrazione), né – come pure sostenuto dalla parte appellante – una sorta di inammissibile “abbandono” dell’“interesse pubblico sotteso alla applicazione delle sanzioni”.
L’istituto cui occorre, invece, fare riferimento – tipico di ogni esercizio di potestà sanzionatoria – è la prescrizione (in concreto) del potere di punire, cioè di irrogare una sanzione; e ciò perché non è coerente con l’ordinamento giuridico la potestà di irrogare sanzioni senza alcuna previsione di un termine certo entro il quale tale (legittima e doverosa) potestà pubblica debba esplicarsi.
Ciò che rileva, dunque, non è l’ “abbandono” della cura dell’interesse pubblico alla doverosa applicazione delle sanzioni, quanto la recessività della potestà punitiva a fronte della garanzia, offerta all’interessato- autore dell’illecito, quale corollario del suo diritto di difesa, di non dover soggiacere in condizioni di incertezza (e di vulnerabilità) per tempi non previsti né prevedibili.
Il Collegio ritiene che, nel caso di specie, in mancanza di un termine specificamente indicato dalla legge n. 50/1994, occorre fare riferimento a quanto previsto dall’art. 28 l. 24 novembre 1981 n. 689, da intendersi espressivo di un principio generale.
Secondo tale articolo, “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate nella presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione” (co. 1), trovando altresì applicazione l’istituto dell’interruzione della prescrizione, come disciplinato dal codice civile (co. 2).
Ed infatti, nel caso di specie – come ricordato anche dall’appellante – la sanzione della chiusura dell’esercizio (ovvero della sospensione della licenza o della autorizzazione) si “aggiunge” alle sanzioni specificamente previste (e, segnatamente, pecuniarie), costituendo, dunque, sanzione accessoria di queste.
Ne consegue che, in difetto di indicazione di uno specifico termine di prescrizione per tale sanzione aggiuntiva, trova applicazione il termine generale di cinque anni decorrente “dal giorno in cui è stata commessa la violazione”, previsto per la sanzione “principale”.
Da quanto esposto, consegue l’accoglimento – nei limiti e per le ragioni sin qui indicate – del terzo motivo di appello (sub lett. c) dell’esposizione in fatto), con conseguente assorbimento del primo motivo (sub lett. a), mentre il motivo sub lett. b) deve essere respinto.
Per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, consegue la reiezione del ricorso avverso il provvedimento 7 maggio 1998 n. 04/1942 (primo provvedimento di chiusura) e, di conseguenza, avverso la nota provvedimentale esecutiva 12 ottobre 2004 n. 23815, nella parte in cui la stessa è riferita al primo provvedimento.
Appare utile aggiungere – pur in difetto di appello incidentale degli appellati e, dunque, di rilevanza ai fini del presente giudizio – che il provvedimento 7 maggio 1998, riferito ad una violazione accertata il 23 ottobre 1997 e notificato solo il 22 novembre 2002, è stato comunque emesso ed è divenuto esecutivo (ex art. 21-.bis l. n. 241/1990), entro il termine di prescrizione, come innanzi individuato.
Ciò in quanto – avendo gli appellati provveduto al pagamento della sanzione pecuniaria in data 22 novembre 1997 (come affermato dall’amministrazione, e non contestato: v. pag. 12 appello)– attraverso tale atto di “riconoscimento del diritto”, gli stessi hanno posto in essere un atto interruttivo della prescrizione quinquennale, ex art. 2944 c.c.
4. L’appello deve essere altresì accolto, nella parte in cui si impugna la sentenza, relativamente al capo con il quale ha accolto i ricorsi avverso il provvedimento 23 novembre 2003 n. 52585 (di irrogazione del secondo periodo di chiusura, a seguito di una violazione accertata il 12 marzo 2002, e notificato il 9 febbraio 2004), ed avverso la già citata nota provvedimentale 12 ottobre 2004 n. 23815, nella parte di questa riferita al provvedimento ora citato.
In ordine al predetto provvedimento, la sentenza impugnata ha, in sostanza, affermato che non poteva essere stabilita una chiusura dell’esercizio per 35 giorni, sul presupposto della reiterazione della violazione, attesa l’illegittimità del primo provvedimento.
Secondo l’appellante, la sentenza impugnata avrebbe operato “un’erronea interpretazione dell’art. 5, co. 2, l. n. 50/1994”, poiché quest’ultima norma “parla di successiva violazione”, e, nel caso di specie, “tanto la prima violazione, quanto la seconda sono state correttamente accertate mediante verbale dei pubblici ufficiali, nonché correttamente sanzionate”. Il decreto di chiusura, dunque, si fonda sulla reiterazione della violazione ed ha “vita autonoma rispetto al precedente, riguardando una seconda violazione ai sensi dell’art. 5, co. 2, l. n. 50/1994”.
In sostanza, parte appellante ritiene che, ai fini del’applicazione di quanto previsto dal co. 2 del citato art. 5, occorra fare riferimento al “fatto storico” costituente violazione, il che renderebbe pienamente legittima l’irrogazione di una sanzione “aggravata”.
Orbene, poiché il provvedimento di irrogazione della precedente sanzione è stato ritenuto legittimo, deve essere, di conseguenza, ritenuto fondato il motivo di appello (sub lett. e) dell’esposizione in fatto), con conseguente riforma, anche su questo capo, della sentenza impugnata.
Il Collegio ritiene, tuttavia, opportuno precisare che l’art. 5, co. 2, l. n. 50/1994, nel prevedere la sanzione più grave della chiusura dell’esercizio o della sospensione della licenza “per un periodo non inferiore ad un mese e non superiore a due mesi”, fa riferimento al “caso di successiva violazione”.
E poiché è nota la distinzione tra fatto storicamente accaduto e qualificazione del medesimo come illecito, ai fini dell’applicazione dell’art. 5, co. 2, non appare sufficiente l’accertamento del fatto (contenuto nel verbale), ma occorre fare riferimento al provvedimento di qualificazione dell’illecito e di irrogazione della sanzione, successivamente emanato.
A tal fine, giova ricordare che:
- ai sensi dell’art. 8-bis, co. 1, l. n. 689/1981, “salvo quanto previsto da speciali disposizioni di legge, si ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione amministrativa, accertata con provvedimento esecutivo, lo stesso soggetto commette un’altra violazione della stessa indole”;
- ai sensi dell’art. 21-bis l. n. 241/1990, “il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione dello stesso . . .”.
Ne consegue che, perché possa essere emesso un provvedimento che preveda una sanzione aggravata, ai sensi dell’art. 5, co. 2, l. n. 50/1994, occorre che la violazione in precedenza accertata sia stata anche oggetto di un “provvedimento esecutivo”, dunque anteriormente emesso e notificato all’interessato.
5. Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello deve essere accolto, nei sensi e limiti innanzi precisati, e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, devono essere rigettati i ricorsi instaurativi dei giudizi in I grado.
Stante la natura delle questioni trattate, sussistono giuste ragioni per compensare tra le parti spese ed onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),
definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ed altri, come in epigrafe precisati (n. 4281/2006 r.g.), lo accoglie, nei sensi di cui in motivazione, e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta i ricorsi instaurativi dei giudizi di I grado.
Compensa tra le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2017 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore
Giuseppe Castiglia, Consigliere
Daniela Di Carlo, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Oberdan Forlenza | Filippo Patroni Griffi | |
IL SEGRETARIO
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Friday 04 April 2025 06:53:08
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Friday 04 April 2025 06:49:23
<...
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza - Thursday 27 March 2025 09:36:48
Con ordinanza del 26 marzo 2025 la Settima Sezione del Consiglio di Stato ha annullato l'ordinanza cautelar...
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti dell’ordinanza della Sez. VII del Consiglio di Stato del 26.03.2025 - Pres. Marco Lipari Est. Angela Rotondano, n. 1153
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Wednesday 26 February 2025 16:12:31
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Wednesday 26 February 2025 16:10:37
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Thursday 30 January 2025 09:05:09
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Thursday 30 January 2025 09:03:19
<...
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Wednesday 18 December 2024 15:46:37
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Wednesday 18 December 2024 15:45:40
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Monday 02 December 2024 09:33:32
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni