Tuesday 15 November 2016 17:30:40
Giurisprudenza Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 2.11.2016
Il consiglio di Stato nella sentenza attenzionata richiama i principi ancora recentemente affermati dalla Quarta Sezione (sentenza n. 1371 del 6 aprile 2016) a tenore dei quali “il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, non può essere avulso da una valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve, quindi, essere subordinato, tra l’altro, anche alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e, quindi, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse; l’entrata in vigore dell’art. 2- bis, l. 7 agosto 1990, n. 241 non ha, infatti, elevato a bene della vita suscettibile di autonoma protezione, mediante il risarcimento del danno, l’interesse procedimentale al rispetto dei termini dell’azione amministrativa avulso da ogni riferimento alla spettanza dell’interesse sostanziale al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato; inoltre, il riconoscimento della responsabilità della Pubblica amministrazione per il tardivo esercizio della funzione amministrativa richiede, oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento, l’accertamento che l’inosservanza delle cadenze procedimentali è imputabile a colpa o dolo dell’Amministrazione medesima, che il danno lamentato è conseguenza diretta ed immediata del ritardo dell’Amministrazione, nonché la prova del danno lamentato”). Ivi è stato parimenti rilevato che: a) il superiore principio debba valere laddove venga prospettata la richiesta di liquidazione della chance; b) laddove ci si dolga di un ritardo dell’Amministrazione in relazione a pretese che non avrebbero avuto pratica possibilità di accoglimento allo stato l’unica forma di protezione prevista dall’ordinamento sarebbe semmai, ricorrendone i presupposti, quella dell’indennizzo ex art. 2 bis, comma 1 bis, della legge citata.
Pubblicato il 02/11/2016
N. 04580/2016REG.PROV.COLL.
N. 09586/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 9586 del 2014, proposto dal CONSORZIO POGGIO PRINCIPE, dalla società UNIVERSALE COSTRUZIONI S.r.l. e dalla società IMMOBILIARE POGGIO PRINCIPE S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dagli avvocati Mario Sanino, Carlo Celani e Lorenzo Coraggio, con domicilio eletto presso l’avv. Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180,
contro
il COMUNE DI SANTA MARINELLA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Roberto Maria Izzo, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Monte Santo, 68,
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, Sezione Seconda bis, n. 8126/2014, resa tra le parti, concernente convenzione per la gestione e l’utilizzazione delle opere di urbanizzazione - risarcimento danni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Santa Marinella;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2016, il Consigliere Fabio Taormina;
Uditi l’ avvocato Salvatore Paola, su delega dell’avvocato Mario Sanino, per gli appellanti, nonché l’avvocato Roberto Maria Izzo per l’Amministrazione comunale appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 8126/2014 il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha definito un complesso procedimento avviato dalla parti odierne appellanti Consorzio “Poggio Principe”, Universale Costruzioni S.r.l. e Immobiliare Poggio Principe S.r.l e teso ad ottenere:
a) l’accertamento dell’obbligo del Comune di Santa Marinella di provvedere sull’istanza del 7 gennaio 2010 di modifica della convenzione urbanistica e della convenzione per la gestione e l’utilizzazione delle opere di urbanizzazione, entrambe sottoscritte in data 12 febbraio 2007, nonché sull’istanza di approvazione del progetto delle opere di urbanizzazione primaria, presentata dal Consorzio “Poggio Principe”, relativo alla stessa convenzione urbanistica;
b) la condanna del Comune di Santa Marinella al risarcimento dei danni.
1.1. Il T.a.r., nella impugnata pronuncia ha innanzitutto ripercorso le principali tappe del protratto contenzioso, e rammentato quali fossero stati i provvedimenti giurisdizionali sino a quel momento emessi, ed ha:
a) dato atto della circostanza che in relazione alla controversia in oggetto era stata emessa la sentenza n. 1725 del 24 febbraio 2011 con cui era stato accolto il ricorso nella parte relativa all’impugnazione del silenzio-inadempimento e, dunque, ordinato al Comune di Santa Marinella di provvedere sull’istanza presentata da parte appellante in data 7 gennaio 2010 di modifica di alcuni patti della Convenzione Urbanistica stipulata dall’appellante medesima ed il Comune di Santa Marinella rinviando la trattazione della domanda risarcitoria alla “sede del rito ordinario”;
b) rilevato che con il ricorso n. 3325/2012, la odierna parte appellante aveva chiesto l’annullamento della delibera G.C. n. 15 dell’8 febbraio 2012, e che con la sentenza n. 3773/2013, il detto ricorso n. 3325/2012, era stato dichiarato “inammissibile per difetto di interesse, in quanto avente ad oggetto l’impugnazione di un atto nullo”;
c) dato altresì atto che con la coeva sentenza n. 3772 del 15 aprile 2013 in sede di ottemperanza alla sentenza parziale n. 1725 del 24 febbraio 2011 era stato nominato un Commissario ad acta, il quale – il successivo 26 luglio 2013 – aveva depositato una relazione.
2.2. Il T.a.r. ha altresì evidenziato che con il ricorso introduttivo del presente giudizio, nell’ambito del quale era stata resa la sentenza n. 1725 del 24 febbraio 2011, la odierna parte appellante aveva rappresentato:
a) che con deliberazione n. 2 in data 31 gennaio 2005, il Consiglio Comunale del Comune di Santa Marinella aveva approvato il piano di lottizzazione “Poggio Principe” e, con successiva deliberazione n. 82 del 13 dicembre 2006, aveva disposto “l’approvazione definitiva e l’autorizzazione alla stipula della convenzione urbanistica”, mentre il successivo 12 febbraio 2007 era stata stipulata tra il Comune di Santa Marinella ed il Consorzio Poggio Principe la convenzione urbanistica per l’urbanizzazione ed edificazione delle aree nonché la convenzione per la gestione e utilizzazione delle opere di urbanizzazione;
b) che, per risolvere un problema di traffico nella zona mediante la realizzazione di una strada interquartiere, era stato sottoscritto con l’Amministrazione comunale un accordo in data 27 novembre 2008 (cui era seguita l’adozione di una deliberazione di G.C. in data 30 dicembre 2009, con cui l’Amministrazione aveva disposto di sottoporre al Consiglio Comunale la proposta del Consorzio scaturente dall’atto del 27 novembre 2008, ritenendola prioritaria e avviando l’iter pre-espropriativo) il quale aveva reso necessario l’inoltro in data 7 gennaio 2010 di un’istanza di modifica di alcuni patti della Convenzione Urbanistica;
c) che il ricorso avverso il silenzio (accolto con la sentenza n. 1725 del 24 febbraio 2011) era volto a contestare il silenzio che l’Amministrazione avrebbe sostanzialmente serbato su quest’ultima istanza, in relazione sia all’art. 2 della legge n. 241/1990, sia all’art. 73, comma 5, dello statuto comunale, che prevedeva la risposta scritta, nel termine massimo di sessanta giorni, alle istanze dirette all’emanazione di atti amministrativi.
2.2. Il T.a.r., ha quindi fatto presente che a seguito dell’ulteriore sviluppo del giudizio (e dell’attività del Commissario ad acta nominato con la sentenza n. 3772 del 15 aprile 2013 in sede di ottemperanza alla sentenza parziale n. 1725 del 24 febbraio 2011) era rimasto accertato che:
a) il Comune di Santa Marinella aveva addotto di aver provveduto sull’istanza presentata in data 7 gennaio 2010 dal Consorzio Poggio Principe per la modifica della convenzione urbanistica e della convenzione per la gestione delle opere di urbanizzazione (risalente al 12 febbraio 2007) con comunicazione del 3 agosto 2010, con la quale erano stati richiesti al Consorzio - in linea con gli obblighi da quest’ultimo assunti in sede di sottoscrizione della convenzione urbanistica del 12 febbraio 2007 e della deliberazione consiliare n. 82 del 13.12.2006 - il nulla osta dell’Ente Gestore il Servizio Idrico Integrato (ACEA ATO 2 S.p.A.) ed il nulla osta della ASL;
b) che però, con la predetta sentenza parziale n. 1725 del 24 febbraio 2011 era rimasto accertato che l’operato dell’Amministrazione, complessivamente considerato, fosse stato elusivo dell’obbligo di provvedere sull’istanza del 7 gennaio 2010 e sulla successiva diffida, in quanto nella nota del 3 agosto 2010, mentre si era rappresentato l’impedimento derivante dalla carenza di due documenti ai fini dell’approvazione dell’originario progetto delle opere di urbanizzazione primaria, nulla si era stabilito in ordine alla proposta di modifica della convenzione; ed era stato altresì stabilito che su questa proposta l’Amministrazione aveva l’obbligo di pronunciarsi, alla stregua di una ragionevole interpretazione dell’accordo del 27 novembre 2008, mentre la questione relativa alla procedura di approvazione del progetto delle opere di urbanizzazione relative alla convenzione urbanistica del 12 febbraio 2007 avrebbe dovuto essere riesaminata, nel medesimo contesto, attesa l’unitarietà della vicenda e la necessità di tutelare l’affidamento della parte odierna appellante alla complessiva e sollecita definizione della medesima;
c) la relazione del 26 luglio 2013 del Commissario ad acta nominato con la sentenza n. 3772 del 15 aprile 2013 aveva consentito di accertare che:
I) la strada di collegamento interquartiere Colonie/Valdambrini, oggetto dell’istanza del 7 gennaio 2010, “costituiva opera di urbanizzazione esterna al Piano di lottizzazione già approvato”, con conseguente necessità, per la sua realizzazione, di un diverso procedimento autorizzatorio, “compresa l’approvazione di una variante al vigente P.R.G.”;
II) era stata, quindi, formalmente fornita risposta negativa, condivisa anche dalla parte originaria ricorrente, sulla fattibilità della detta proposta di cui sopra e si era convenuto “sull’opportunità che i lottizzatori ripresentino una nuova proposta di variante tecnica (…)e di modifica alla convenzione”, con riserva –– formulata dalla parte ricorrente e riportata nel verbale 23 luglio 2013 – di non rinunciare al progetto originario “in caso di eventuale esito negativo dell’iter autorizzatorio relativo alla nuova proposta”.
2.3. Alla stregua delle risultanze fattuali e giuridiche come sopra elencate, e pronunciandosi sull’ultimo segmento decisorio della controversia, riposante nella richiesta di liquidazione del risarcimento del danno da ritardo (formulata ai sensi dell’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990, sulla base della denuncia di uno stato di inerzia che il Comune avrebbe colposamente mantenuto per anni e precipuamente sul ritardo della conclusione del procedimento, atteso che - “malgrado le diverse diffide inviategli” - il predetto non si era ancora pronunciato sull’istanza del 7 gennaio 2010, “abbandonando di nuovo il Consorzio a se stesso”) avanzata dalla odierna appellante, il T.a.r. ha rilevato che:
a) avevano trovato riscontro sia l’istanza del 7 gennaio 2010 che la diffida del 14 giugno 2010 e, dunque, il silenzio-inadempimento era da considerarsi “formalmente superato”;
b) la domanda risarcitoria era generica, non individuava con precisazione i periodi di “stasi” del procedimento, effettivamente addebitabili all’Amministrazione (protrattisi dalla data di autorizzazione all’esecuzione del piano di lottizzazione, indicata come risalente al 20 novembre 1964, o, meglio, dalla data di subentro almeno delle società Universale Costruzioni S.r.l. e Immobiliare Poggio Principe S.r.l. nella posizione del Principe Alessandro Odescalchi), né forniva precise indicazioni in ordine ai danni subiti, riconducibili a tali periodi;
c) tenuto conto del lungo periodo di tempo indicato da parte appellante era fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dall’Amministrazione almeno in relazione a periodi di inerzia venuti meno per la riattivazione del procedimento amministrativo, risalenti ad un’epoca antecedente i 5 anni dalla proposizione della domanda.
2.4. Più in dettaglio, il T.a.r. nella impugnata decisione ha poi osservato che:
a) si dovesse tenere conto esclusivamente del tempo decorso dall’istanza di “modifica di alcuni patti della Convenzione urbanistica, presentata in data 7 gennaio 2010” (come già disposto dalla sentenza n. 1725 del 2011, con cui era stato ritenuto “l’operato dell’Amministrazione complessivamente considerato (…)elusivo dell’obbligo di provvedere” su tale istanza e sulla successiva diffida notificata il 19 giugno 2010 e, si era quindi, ordinato al Comune di Santa Marinella “di provvedere espressamente” sull’istanza de qua e sulla successiva diffida);
b) fosse condivisibile la tesi per cui a seguito della introduzione nel sistema dell’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990 (ai sensi della lett. c) del comma 1 dell’art. 7 della legge 18 giugno 2009, n. 69) era divenuta ammissibile la liquidazione del risarcimento del danno da ritardo indipendentemente dal contenuto – favorevole o sfavorevole – dell’emanato o emanando provvedimento così superandosi il pregresso orientamento che richiedeva (qual condizione legittimante) la prova della spettanza del c.d. bene della vita;
c) che anche tale “ampliamento di tutela” imponeva comunque la verifica – sempre e comunque – della sussistenza dell’avvenuta lesione della sfera giuridica del deducente, del nesso causale tra il lamentato ritardo ed il danno che ne sarebbe scaturito e, ancora, dell’elemento psicologico (il dolo o la colpa).
2.5. Il T.a.r. ha quindi escluso che si fosse formata la prova in ordine a tali condizioni legittimanti, in quanto:
a) come attestato nella relazione depositata dal Commissario ad acta – il progetto della strada interquartiere proposto con l’istanza del 7 gennaio 2010 era stato considerato come “una proposta non fattibile”, in ragione della ubicazione delle opere al di fuori del Piano di Lottizzazione già approvato;
b) la sussistenza di impedimenti di carattere oggettivo alla concreta realizzazione del progetto presentato dal Consorzio, non consentiva di ricondurre i danni lamentati dalla parte originaria ricorrente esclusivamente al comportamento dell’Amministrazione;
c) la documentazione prodotta era inidonea a comprovare la sussistenza di un danno effettivamente riconducibile all’inerzia dell’Amministrazione in relazione all’istanza del 7 gennaio 2010 (mentre era ovvio che un piano di lottizzazione di tale ampiezza comunque comportava ingenti spese);
d) il procedimento utile per la realizzazione del piano di lottizzazione e, precipuamente, per la “risoluzione del traffico nella zona” era ancora in corso (erano in corso modifiche aggiuntive), ed appariva indimostrato il vero presupposto di fatto che – in presenza di illegittimità nell’operato dell’Amministrazione – avrebbe potuto giustificare la rifusione della gran parte delle spese già sopportate dalla originaria parte ricorrente.
3. La originaria parte ricorrente rimasta soccombente quanto alla domanda risarcitoria avanzata, ha impugnato la suindicata decisione criticandola sotto ogni angolo prospettico, e dopo avere rivisitato le principali tappe del contenzioso infraprocedimentale e giurisdizionale di primo grado (pagg. 1-11 del ricorso in appello) ha dedotto che:
a) la sentenza appariva contraddittoria, in quanto, dopo avere affermato la propria condivisione della tesi per cui la dimostrazione della c.d. “spettanza del bene della vita” non fosse (più) condizione legittimante della ravvisabilità del c.d. danno da ritardo, aveva poi escluso la fondatezza della domanda sulla sola scorta della relazione del Commissario ad acta che aveva affermato la non realizzabilità della strada di cui alla istanza del 7 gennaio 2010, la quale “costituiva opera di urbanizzazione esterna al Piano di lottizzazione già approvato”, con conseguente necessità, per la sua realizzazione, di un diverso procedimento autorizzatorio, “compresa l’approvazione di una variante al vigente P.R.G.”;
b) ma (come riconosciuto dal T.a.r. nella parte finale della sentenza) il procedimento autorizzatorio era ancora in corso, e v’era l’interesse pubblico a realizzare la strada, e pertanto non si poteva affermare che l’istanza del Consorzio avesse avuto un definitivo esito negativo;
c) inoltre era rimasto privo di adeguata valutazione che:
I) il deposito del progetto definitivo della strada in data 27 luglio 2009 da parte del Consorzio non era avvenuto per esclusiva iniziativa di quest’ultimo, ma su “sollecito” del Comune a seguito della sottoscrizione, in data 27 novembre 2008, di un accordo tra il Consorzio e l’Amministrazione comunale, avente ad oggetto un ulteriore impegno del Consorzio, soprattutto con riferimento alla realizzazione a scomputo di una strada interquartiere, con l’impegno del Comune ad approvare le necessarie modifiche alla lottizzazione;
II) era seguita l’adozione di una deliberazione di G.C. in data 30 dicembre 2009, con cui l’Amministrazione aveva disposto di sottoporre al Consiglio Comunale la proposta del Consorzio scaturente dall’atto del 27 novembre 2008, ritenendola prioritaria e avviando l’iter pre-espropriativo; e peraltro, a conferma di un concreto interesse pubblico dell’intervento, nella riunione propedeutica del 23 luglio 2013, il Comune aveva ribadito espressamente che “anche il solo adeguamento della strada di collegamento tra via Valdambrini e Via delle Colonie (Tronco A) rappresenta, comunque, per l’Amministrazione comunale opera di interesse per il futuro sviluppo della viabilità interquartiere”;
III) il Comune era rimasto inerte per più di tre anni (dal deposito, in data 7 gennaio 2010, da parte del Consorzio, di un’istanza di modifica di alcuni patti della convenzione urbanistica con allegazione dei nuovi elaborati progettuali al 26 luglio 2013, data del deposito della relazione da parte del Commissario ad acta);
d) era errata l’affermazione secondo cui non era individuabile il periodo di stasi del procedimento: esso coincideva con il triennio dal 7 gennaio 2010 (l’8 marzo del 2010 era scaduto il termine di sessanta giorni per pronunciarsi sulla domanda) al 26 luglio 2013; né, alla data di proposizione del ricorso di primo grado, sarebbe stato individuabile il termine ad quem;
e) era stato sottovalutato l’impatto sulla controversia, della sentenza parziale n. 1725/2011: soltanto grazie alla declaratoria di illegittimità del silenzio ivi dichiarata era stato possibile agire in ottemperanza, ed attraverso la nomina del Commissario ad acta interrompere la stasi del procedimento.
3.1. Nella seconda parte dell’appello la parte odierna impugnante si è soffermata sulla quantificazione del danno da ritardo che la sentenza di primo grado impugnata aveva (erroneamente, a dire di parte appellante medesima) ritenuto indimostrata deducendo, tra l’altro, che:
a) soltanto la fuorviante richiesta del Comune aveva determinato la progettazione della strada, per cui le spese di progettazione dovevano essere rimborsate;
b) all’inerzia del Comune era conseguito il verificarsi di una serie di spese e danni che del pari dovevano essere riconosciuti; la diffida formulata dal Consorzio in data 7 gennaio 2010, era volta a sollecitare l’Amministrazione a pronunciarsi sul progetto di strada interquartiere, già trasmesso senza esito in data 27 luglio 2009, e l’inerzia del Comune si era protratta fino alla relazione del Commissario ad acta nominato dal T.a.r. del Lazio, che tuttavia non aveva revocato in dubbio la fattibilità dell’iniziativa;
c) il T.a.r. aveva disatteso la domanda senza neppure disporre la consulenza tecnica richiesta nel ricorso di primo grado anche al fine di accertare il mancato profitto discendente dal detto ritardo.
4. In data 16 marzo 2015 l’appellata Amministrazione comunale di Santa Marinella si è costituita depositando una breve memoria e chiedendo la declaratoria di inammissibilità dell’appello per parziale mutamento della causa petendi e, in via subordinata, la reiezione dell’appello in quanto infondato.
5. In data 14 settembre 2016 l’originaria parte ricorrente ha depositato una articolata memoria ribadendo le proprie difese e chiedendo che l’appello venisse accolto.
6. In data 17 settembre 2016 l’appellata Amministrazione comunale ha depositato una ulteriore memoria puntualizzando le proprie difese e chiedendo che l’appello venisse respinto in quanto:
a) il Commissario ad acta aveva accertato che l’approvazione ed attuazione del progetto di strada esterno alla lottizzazione (cui era legato l’impego del Comune ad esaminare la modifica delle clausole della convenzione) era impossibile da attuarsi, in quanto ciò avrebbe richiesto l’approvazione di una variante, non trovandosi al cospetto di modifiche “marginali” autorizzabili con variante semplificata ex artt. 1 e 2 della legge regionale del Lazio n. 36/1987;
b) l’inerzia del Comune non era quindi causalmente ricollegabile ad alcun danno;
c) l’appellante aspirava ad ottenere una delibera consiliare che approvasse il detto progetto: ma tale evento (ammesso che si potesse considerare “atto dovuto” a fronte della precedente delibera dal 2009) era impossibile da ottenersi;
d) e l’errore non era ascrivibile al Comune, che già nella delibera giuntale n. 409 del 2009 aveva preconizzato quale dovesse essere la procedura corretta da seguire (c.d. “variante ordinaria”);
e) il Consorzio era titolare, già dal 2007 di una convenzione urbanistica valida, efficace, e “cantierabile” e non condizionata dalla realizzazione della strada (estranea al perimetro della lottizzazione) che non aveva avviato (e la mancata attuazione del piano rilevava comunque, ex art. 1227, comma 2, c.c.);
f) anche le due “poste risarcitorie” richieste erano inaccoglibili, e comunque abnormi.
7. In data 23 settembre 2016 la parte odierna appellante ha depositato una memoria di replica ribadendo le proprie tesi, e facendo presente che il progetto redatto non sarebbe stato più utilizzabile e che l’iterprocedimentale “disegnato” dal Comune era erroneo, per cui alla società appellante sarebbe spettato, quantomeno, il rimborso delle spese sostenute.
8. Alla odierna udienza pubblica del 20 ottobre 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato e va respinto nei sensi di cui alla motivazione che segue.
1.1. Ritiene il Collegio che l’appello colga parzialmente nel segno allorché denuncia una qualche contraddizione nella motivazione della sentenza impugnata, in quanto ivi, nella premessa, si afferma la condivisione da parte del T.a.r. della tesi secondo cui a seguito della introduzione nel sistema dell’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990, ai fini della liquidazione del risarcimento del danno da ritardo non sarebbe necessaria la prova della spettanza del c.d. “bene della vita” mentre poi, la statuizione reiettiva si fonda proprio sulla non accoglibilità della istanza proposta dal Consorzio in data 7 gennaio 2010.
Tuttavia, tale contraddizione contenuta nella motivazione della sentenza impugnata non implica la favorevole scrutinabilità della pretesa risarcitoria.
1.2. Prima di analizzare la domanda risarcitoria, e le singole “poste” ivi richieste, pare opportuno al Collegio rimarcare immediatamente che esso non intende decampare dai principi ancora recentemente affermati da questa Sezione (sentenza n. 1371 del 6 aprile 2016), laddove è stato ribadito che “il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, non può essere avulso da una valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve, quindi, essere subordinato, tra l’altro, anche alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e, quindi, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse; l’entrata in vigore dell’art. 2- bis, l. 7 agosto 1990, n. 241 non ha, infatti, elevato a bene della vita suscettibile di autonoma protezione, mediante il risarcimento del danno, l’interesse procedimentale al rispetto dei termini dell’azione amministrativa avulso da ogni riferimento alla spettanza dell’interesse sostanziale al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato; inoltre, il riconoscimento della responsabilità della Pubblica amministrazione per il tardivo esercizio della funzione amministrativa richiede, oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento, l’accertamento che l’inosservanza delle cadenze procedimentali è imputabile a colpa o dolo dell’Amministrazione medesima, che il danno lamentato è conseguenza diretta ed immediata del ritardo dell’Amministrazione, nonché la prova del danno lamentato”).
1.2.1. Ivi è stato parimenti rilevato (ed anche su ciò questo Collegio concorda pienamente) che:
a) il superiore principio debba valere laddove venga prospettata la richiesta di liquidazione della chance;
b) laddove ci si dolga di un ritardo dell’Amministrazione in relazione a pretese che non avrebbero avuto pratica possibilità di accoglimento allo stato l’unica forma di protezione prevista dall’ordinamento sarebbe semmai, ricorrendone i presupposti, quella dell’indennizzo ex art. 2 bis, comma 1 bis, della legge citata.
1.3. Dagli atti di causa emerge (e lealmente ciò non è stato contestato da parte appellante) che il Commissario ad acta aveva accertato che l’approvazione ed attuazione del progetto di strada esterno alla lottizzazione (cui era legato l’impegno del Comune ad esaminare la modifica delle clausole della convenzione) era impossibile da attuarsi, in quanto ciò avrebbe richiesto l’approvazione di una variante, non trovandosi al cospetto di modifiche “marginali” autorizzabili con variante semplificata ex artt. 1 e 2 della legge regionale del Lazio n. 36/1987.
Se tale dato è corretto, ne discende che:
a) l’inerzia del Comune relativa a “quel progetto” non ha inciso sulla realizzabilità del medesimo, che era preclusa per altre ragioni;
b) la predetta inerzia del Comune sull’istanza del 7 gennaio 2010 e sulla successiva diffida, non era quindi causalmente ricollegabile ad un danno discendente dalla omessa realizzazione della strada, (quantomeno nei termini ipotizzati dalla odierna appellante nella predetta istanza);
c) l’appellante aspirava ad ottenere una delibera consiliare che approvasse il detto progetto: ma tale evento (ammesso che si potesse considerare “atto dovuto” a fronte della precedente delibera dal 2009) era impossibile da ottenersi: e ciò, per ragioni giuridiche, e non fattuali.
1.4. Pare al Collegio che la stessa parte odierna appellante si sia resa conto di ciò, tanto da avere prospettato un petitum ridotto e parzialmente diverso, rispetto a quello ab initio ipotizzato, e concernente il rimborso delle spese sostenute per la progettazione della strada, etc.
1.5. Senonché, pare al Collegio che plurimi elementi si oppongano alla favorevole delibabilità anche di tale domanda, lato sensu assimilabile alla richiesta di corresponsione dell’indennizzo di cui al comma 1 bis dell’art 2 bis, della legge n. 241/1990 (“fatto salvo quanto previsto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 . In tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento”).
1.6. Si osserva, infatti, in proposito che, una volta rimasto accertato che “quel” progetto non era realizzabile, nessun risarcimento è dovuto per la condotta omissiva/silente.
Ciò che sostanzialmente si “imputa” al Comune (soprattutto nella memoria in ultimo depositata) tuttavia, non è in verità la condotta omissiva/silente, ma una condotta “attiva”, riposante nell’avere indicato un percorso amministrativo che – per la tipologia di opera che si voleva realizzare – era non corretto e non concretamente perseguibile (“fuorviante” viene definito nell’appello).
In sostanza, muovendo dal dato (incontestato) che l’approvazione ed attuazione del progetto di strada esterno alla lottizzazione (cui era legato l’impego del Comune ad esaminare la modifica delle clausole della convenzione) era impossibile da attuarsi, in quanto ciò avrebbe richiesto l’approvazione di una variante, non trovandosi al cospetto di modifiche “marginali” autorizzabili con variante semplificata ex artt. 1 e 2 della legge regionale del Lazio n. 36/1987, viene imputato al Comune di avere suggerito/praticato un percorso approvativo errato.
1.6.1. In disparte la sostanziale “novità” del titolo di responsabilità ipotizzato, e le perplessità che potrebbero avanzarsi, sotto il profilo procedurale, circa la incardinabilità di una simile domanda in seno al giudizio sul silenzio, il profilo sostanziale di infondatezza della domanda emerge con evidenza dalla considerazione che se anche fosse vero quanto sostenuto, in verità il Comune non è un consulente di parte cui possano addebitarsi i danni discendenti da una simile condotta.
1.6.2. Essa, a tutto concedere, andrebbe configurata inquadrandola sub art. 2043 c.c. (o 1337-1338 c.c.): ma francamente non si vede la fondatezza di una domanda risarcitoria che addebita all’Ente pubblico di avere ipotizzato che l’approvazione del progetto dovesse avvenire in una maniera in realtà non praticabile, quando la stessa parte odierna appellante non si è accorta della non fattibilità dell’azione amministrativa: né si era in presenza di alcuna “imposizione” di tale percorso approvativo.
2. Alla stregua delle superiori considerazioni, quindi:
a) il silenzio/inerzia del Comune non è causale rispetto alla perdita di alcun bene della vita, e non è quindi risarcibile;
b) l’indennizzo non può corrispondersi per le stesse ragioni prima chiarite;
c) la domanda risarcitoria, ove tesa a far constare la errata condotta attiva del Comune, che ipotizzò un percorso amministrativo non utile all’approvazione del progetto è “nuova”, non coltivabile in seno al giudizio sul silenzio ex artt. 31 e 117 del c.p.a., e comunque infondata, in quanto la stessa parte odierna appellante, a tutto concedere, non cogliendo la impossibilità del percorso amministrativo ipotizzato, diede causa ai danni subiti.
3. L’appello va quindi disatteso.
3.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).
3.2.Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
4.Quanto alle spese, del grado, esse possono essere integralmente compensate tra tutte le parti, a cagione della particolarità della questione ed alle pregresse oscillazioni giurisprudenziali in materia di liquidazione del c.d. “danno da ritardo”.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui alla motivazione.
Spese processuali del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco, Presidente FF
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere
Nicola D'Angelo, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Fabio Taormina | Raffaele Greco | |
IL SEGRETARIO
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