Wednesday 08 January 2014 14:00:19

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Ambiente: il Consiglio di Stato conferma gli indirizzi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria sul principio di precauzione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V

In linea generale la tutela dell’ambiente ha trovato anticipata applicazione rispetto all’evento dannoso con l’introduzione, nell’ordinamento, del principio di precauzione (art. 174, § 2, del Trattato CE, oggi art. 191, § 2 Trattato FUE, art. 301 codice dell’ambiente), in forza del quale per ogni attività che comporti pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione. Relativamente alla natura giuridica ed al modo con cui il principio di precauzione è stato nel tempo declinato, il collegio non intende decampare dai consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza, specie comunitaria (cfr., da ultimo, Cass., sez. un., 3 maggio 2013, n. 10303; Cons. Stato, sez. III, 4 marzo 2013, n. 1281; Corte giust., sez. II, 15 gennaio 2009, C-383/07; 13 dicembre 2007, C-418/04; 9 settembre 2003, C-236/01), secondo cui: a) il principio di precauzione costituisce uno dei fondamenti della politica dell’Unione europea e dello Stato italiano in materia ambientale accanto a quelli della precauzione, dell’azione preventiva, e della correzione in via prioritaria ed alla fonte dei danni causati all’ambiente; l’individuazione dei tratti giuridici del principio viene sviluppata lungo un percorso esegetico fondato sul binomio analisi dei rischi – carattere necessario delle misure adottate; le misure precauzionali, infatti, presuppongono che la valutazione dei rischi di cui dispongono le autorità riveli indizi specifici i quali, senza escludere l’incertezza scientifica, permettano ragionevolmente di concludere, sulla base dei dati disponibili che risultano maggiormente affidabili e dei risultati più recenti della ricerca internazionale, che l’attuazione di tali misure è necessaria al fine di evitare pregiudizi all’ambiente o alla salute; si rifiuta un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente; b) la giuridicizzazione e la conseguente giustiziabilità del principio di precauzione passano così attraverso la necessità di riconoscere canali istituzionali di coinvolgimento dei cittadini, delle loro formazioni sociali e delle loro comunità di riferimento, nell’esercizio della funzione (globalmente rilevante) di amministrazione del rischio, sia a livello comunitario che a livello nazionale; il ché contribuisce alla costruzione di un diritto «effettivo» del rischio, in linea con il modello della responsible governance; c) il principio presuppone che l’esistenza di un rischio specifico è tale solo quando l’intervento umano su un determinato sito, sulla base di elementi obbiettivi, non possa escludersi che pregiudichi il sito interessato in modo significativo; d) sul piano procedurale, l’adozione di misure fondate sul principio di precauzione è condizionata al preventivo svolgimento di una valutazione quanto più possibile completa dei rischi calata nella concretezza del contesto spazio temporale di riferimento, valutazione che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura; e) il principio in esame non può legittimare una interpretazione delle disposizioni normative, tecniche ed amministrative vigenti in un dato settore che ne dilati il senso fino a ricomprendervi vicende non significativamente pregiudizievoli dell’area interessata; la situazione di pericolo deve essere potenziale o latente ma non meramente ipotizzata e deve incidere significativamente sull’ambiente e la salute dell’uomo; sotto tale angolazione il principio di precauzione non consente ex se di attribuire ad un organo pubblico un potere di interdizione di un certo progetto o misura; in ogni caso il principio di precauzione affida alle autorità competenti il compito di prevenire il verificarsi o il ripetersi di danni ambientali ma lascia alle stesse ampi margini di discrezionalità in ordine all’individuazione delle misure ritenute più efficaci, economiche ed efficienti in relazione a tutte le circostanza del caso concreto.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale *** del 2013, proposto dalla Regione Puglia, in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Leonilde Francesconi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Anna Lagonegro in Roma, via Boezio n. 92;

contro

Comune di Gallipoli, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Bartolo Ravenna, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento n. 11; 

nei confronti di

 

Ministero per i beni e le attività culturali in persona del Ministro pro tempore, Ministero dell'economia e delle finanze in persona del Ministro pro tempore, Agenzia delle dogane in persona del legale rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

Autorità idrica pugliese, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Angelo Vantaggiato, con domicilio eletto presso lo studio Pecorilla in Roma, via della Scrofa n. 2;

Acquedotto Pugliese s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alessandro Amato, con domicilio eletto presso lo studio Placidi in Roma, via Cosseria n. 2;

Provincia di Lecce, Comune di Nardo', Comune di Porto Cesareo, A.r.p.a. Puglia, Autorità di Gestione del Programma Operativo Fesr 2007-2013 della Regione Puglia, non costituiti;

 

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Puglia – sede staccata di Lecce - Sezione II, n. 313 del 14 febbraio 2013.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Gallipoli, del Ministero per i beni e le attività culturali, del Ministero dell'economia e delle finanze, dell’Agenzia delle dogane, della società Acquedotto Pugliese s.p.a.;

Visto l'atto di costituzione in giudizio e contestuale appello incidentale proposto dall’Autorità idrica pugliese;

Viste le memorie difensive e di replica depositate dalla regione Puglia (in data 11 e 20 novembre 2013), dal comune di Gallipoli (in data 12 e 22 novembre 2013), dall’Autorità idrica pugliese (in data 12 novembre 2013), dalla società Acquedotto Pugliese (in data 14 maggio, 9 e 21 novembre 2013);

Visti i depositi documentali effettuati dalla regione Puglia (in sede di costituzione e in data 31 ottobre 2013), dal comune di Gallipoli (in sede di costituzione e in data 17 maggio e 18 ottobre 2013), dalla società Acquedotto Pugliese (in sede di costituzione e in data 13 maggio e 31 ottobre 2013),

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2013 il consigliere Vito Poli e uditi per le parti gli avvocati Francesconi, Ravenna, Vantaggiato, Amato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1. Il comune di Gallipoli, con un primo ricorso (sostenuto da motivi aggiunti), proposto davanti al T.a.r. per la Puglia, sede staccata di Lecce, allibrato al nrg. 814/2011:

a) ha impugnato la sequenza procedimentale (non ancora definita) inerente la progettazione, il finanziamento e la realizzazione delle condotte sottomarine a servizio degli impianti di depurazione dei comuni di Nardò e Porto San Cesareo;

b) ha proposto domanda di risarcimento del danno derivante dall’inerzia della regione Puglia nella realizzazione di una condotta sottomarina a servizio del depuratore consortile ubicato nel tenimento del medesimo comune, inerzia che avrebbe contribuito a far perdurare, contra ius, lo sversamento delle acque reflue della depurazione direttamente sulla battigia, in un tratto di costa di incomparabile bellezza con grave nocumento, specie nel periodo estivo, del pregio turistico dell’area.

1.1. Nel corso del giudizio, il comune di Gallipoli ha diffidato la regione Puglia, la provincia di Lecce e l’Autorità idrica pugliese (quale successore dell’A.t.o. Puglia, in prosieguo AIP), a porre in essere tutto quanto necessario per evitare lo scarico in battigia dei reflui del depuratore, realizzando tempestivamente la condotta sottomarina ovvero qualunque altra soluzione alternativa; la diffida è stata notificata anche alla società Acquedotto pugliese s.p.a. (in prosieguo AQP, cfr. diffida notifica in data 27 gennaio 2012).

1.2. La regione Puglia ha riscontrato prontamente la diffida con la nota 1° marzo 2012, prot. n. A0075/1061, da un lato, negando in radice che potesse configurarsi una situazione di illegalità, dall’altro, ricusando la possibilità di realizzare la condotta sottomarina, sulla scorta dei seguenti argomenti:

a) insussistenza dell’obbligo, a carico della regione, di realizzare una condotta sottomarina ai sensi dell’art. 10 del regolamento regionale n. 5 del 1989, trattandosi di norma venuta meno sin dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 1999; l’inesistenza di un obbligo di tal fatta è stata successivamente suffragata dal d.lgs. n. 152 del 2006 (codice dell’ambiente) che, nel settore della tutela delle acque, ha previsto come cardine della programmazione e pianificazione il Piano regionale di tutela delle acque (PTA), senza prevedere in alcun modo l’obbligo di realizzare condotte sotto marine;

b) il PTA della regione Puglia - approvato con delibera consiliare n. 230 del 20 ottobre 2009 rimasta inoppugnata –: I) prevede che l’impianto di depurazione consortile di Gallipoli è fornito di trattamento secondario delle acque e dunque è strutturato per rispettare i limiti previsti dalla Tabella 1 dell’Allegato 5 del codice dell’ambiente nel rispetto della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane; II) stabilisce che il recapito finale delle acque del depuratore è costituito dal mare; III) in ossequio alla direttiva 2000/60/CEE, che sollecita gli Stati membri a fissare obbiettivi di sempre maggiore qualità ambientale dei corpi idrici e le pertinenti misure attuative, impone, quale misura di tutela ulteriore, il riutilizzo in agricoltura delle acque reflue depurate (c.d. uso irriguo);

c) allo scopo di realizzare in concreto l’uso irriguo delle acque reflue provenienti dal depuratore, è stato progettato e realizzato dal comune di Gallipoli, in una con il Commissario delegato per l’emergenza ambientale in Puglia (cfr. decreti n. 314/CD/A del 13 dicembre 2003 e n. 205/CD/A/ dell’8 novembre 2004), apposito impianto di affinamento delle acque reflue provenienti dal depuratore; tale impianto prevede il trattamento terziario delle acque reflue, nel rispetto dei parametri imposti dal d.m. n. 185 del 2003; l’impianto di affinamento è stato finanziato con uno stanziamento di euro 3.200.000,00 (cfr. delibera CIPE n. 36/2002); la regione, con delibera giuntale prot. n. 258 del 2 febbraio 2010, ha approvato il protocollo d’intesa per l’avvio dell’esercizio e la gestione dell’impianto di affinamento;

d) è irrazionale, e foriera di danno erariale, la condotta del comune di Gallipoli che prima ha condiviso (ed attuato) le scelte programmatorie della regione e poi le ha contestate chiedendo la realizzazione di una misura non prevista dal PTA;

e) la soluzione prospettata dal comune di realizzare una condotta sottomarina a funzionamento intermittente (ovvero solo nei periodi dell’anno in cui l’uso irriguo è impedito dai ritmi dell’agricoltura), non è praticabile in quanto, allo stato delle conoscenze, tali condotte devono funzionare senza soluzione di continuità;

f) le attività di indagine dell’A.R.P.A., effettuate fra il 2010 e il 2011, evidenziano la buona qualità ambientale delle acque marine nel golfo di Gallipoli (relazione prot. n. 38453 del 29 luglio 2011).

1.3. A sua volta l’AIP ha avviato, in contraddittorio con tutti gli enti interessati (fra cui il comune di Gallipoli), un approfondito studio scientifico per stabilire quale soluzione, fra quelle in astratto teorizzabili, fosse in concreto praticabile in alternativa allo scarico diretto a mare delle acque reflue (cfr. nota 10 febbraio 2012, prot. n. 347), culminato nella determinazione del direttore generale dell’AIP prot. n. 4532 del 20 novembre 2011 (ed allegata relazione tecnica).

Tale studio, sulla scorta di una rigorosa metodologia scientifica che ha combinato molteplici criteri di analisi e verifica (gestionali, ambientali, finanziari, temporali ecc.), ha consentito di assodare che:

a) la soluzione migliore è quella consistente nel <<potenziamento del trattamento di affinamento per destinare al riuso irriguo fino all’intera portata di acque reflue, nel periodo estivo e di maggior fruizione turistico – residenziale e trattamento depurativo terziario per la portata di esubero, con scarico diretto a mare, nello stesso periodo; trattamento depurativo secondario, con scarico diretto a mare, nel restante periodo>>;

b) la soluzione imperniata sulla costruzione di una condotta sottomarina è collocata al secondo posto.

1.4. Le altre amministrazioni compulsate dalla diffida non hanno intrapreso attività provvedimentali degne di nota.

1.5. Avverso il diniego regionale e il silenzio inadempimento delle altre amministrazioni, il comune di Gallipoli ha proposto ricorso straordinario che, a seguito di opposizione, è stato trasposto in sede giurisdizionale, sempre davanti al T.a.r. per la Puglia, sede staccata di Lecce, assumendo il nrg. 1086/2012; anche in questo giudizio è stata formulata, mediante ricorso per motivi aggiunti, domanda di risarcimento del danno in forma specifica.

Questi i motivi posti a sostegno delle domande di annullamento, di accertamento del silenzio inadempimento (pagine 8 – 13 del ricorso notificato il 14 luglio 2012), e di risarcimento del danno (pagine 4 – 8 dell’atto di motivi aggiunti notificato in data 31 ottobre 2012):

a) l’impianto di affinamento non è funzionante e comunque sono in corso di approfondimento soluzioni tecniche che contemplano la realizzazione di una condotta sottomarina (come risulterebbe dalla nota 21 marzo 2012 della provincia di Lecce e dal verbale di riunione del 23 febbraio 2012), pertanto sarebbe falsa l’affermazione della regione che non è possibile allo stato realizzare la condotta in questione;

b) il PTA è uno strumento dinamico che ben può essere aggiornato con la previsione della costruzione di condotte sottomarine e l’elenco delle condotte sottomarine in esso contenuto non ha carattere esaustivo (cfr. pag. 257 della relazione al piano, pag. 6 della delibera approvativa);

c) la situazione di illegalità è confermata dalla nota dell’AIP dell’11 aprile 2012 ed è integrata dalla violazione dell’art. 4 della direttiva 91/271/CEE e del d.lgs. n. 152 del 1999 attuativo, che impone che le acque reflue urbane, prima dello scarico, siano sottoposte a trattamento secondario o equivalente;

d) vigenza dell’art. 10 del regolamento regionale n. 5 del 1989, mai formalmente abrogato, che stabilisce l’obbligo della realizzazione della condotta sottomarina, obbligo che sarebbe stato richiamato e posto a fondamento dell’autorizzazione provvisoria allo scarico rilasciata dalla provincia di Lecce il 29 luglio 2002 che, a sua volta, non può ritenersi superata dalla successiva approvazione del PTA;

e) l’impianto di affinamento è in ogni caso strutturalmente inadeguato a trattare tutte le acque reflue provenienti dal depuratore (cfr. verbale di accertamento 25 luglio 2011, diffida della provincia di Lecce del 26 luglio 2011, note del Consorzio di bonifica Ugento del 30 agosto e 7 ottobre 2011);

f) sul piano risarcitorio, si sottolinea l’obbligo del gestore dell’impianto di depurazione (AQP) di far cessare immediatamente gli scarichi contra legem; l’inidoneità dell’impianto di affinamento al trattamento di tutte le acque reflue stante l’assenza di una adeguata domanda agricola per uso irriguo (cfr. diffida della provincia di Lecce del 26 luglio 2011, note del Consorzio di bonifica Ugento del 30 agosto e 7 ottobre 2011); la miglior convenienza della soluzione incentrata sulla realizzazione della condotta sottomarina perché consentirebbe di evitare il divieto di balneazione in prossimità dello sbocco sulla battigia delle acque reflue non affinate; conseguentemente è stata espressamente chiesta la condanna, della società AQP a far cessare lo scarico in battigia, e delle altre amministrazioni all’eliminazione dell’attuale situazione di illegalità attraverso la realizzazione della condotta sottomarina o, in subordine, all’individuazione di misure alternative.

2. L’impugnata sentenza - T.a.r. per la Puglia – sede staccata di Lecce - Sezione II, n. 313 del 14 febbraio 2013 -:

a) previa riunione dei due ricorsi, ha respinto le eccezioni di carenza di interesse ad agire della parte ricorrente, di carenza di legittimazione passiva della regione Puglia e di omessa impugnativa del PTA (pagine 10 – 12, 23 e 24);

b) ha dichiarato l’improcedibilità del primo ricorso (e dei connessi motivi aggiunti), dando atto dell’avvenuta rinuncia alla domanda risarcitoria per equivalente monetario (pagine 12, 13 e 26); tale capo non è stato impugnato ed è coperto dalla forza del giudicato interno;

c) ha accertato l’inesistenza dell’obbligo di realizzare la condotta sottomarina ai sensi dell’art. 10 del regolamento regionale n. 5 del 1989, stante la sua intervenuta abrogazione a seguito dell’entrata in vigore del codice dell’ambiente (pagine 13 – 20); anche tale capo non è stato impugnato;

d) ha ritenuto insoddisfacente <<….allo stato dell’arte …>> la soluzione del potenziamento dell’impianto di affinamento e, conseguentemente, al dichiarato fine di conseguire più elevati livelli di protezione ambientale; ha accertato l’obbligo di costruzione della condotta sottomarina facendolo discendere dal principio generale di precauzione, di derivazione comunitaria, ritenuto applicabile ai sensi dell’art. 1, l. n. 241 del 1990 e comunque recepito dall’art. 301 del codice dell’ambiente (pagine 20 – 24);

e) nell’accogliere la domanda di risarcimento del danno in forma specifica, ne ha precisato i limiti, rimettendo alle amministrazioni intimate l’individuazione in concreto delle misure più appropriate per risolvere il problema, fermo restando il progressivo restringimento della discrezionalità tecnica di cui godono le amministrazioni a mente del combinato disposto degli artt. 30 c.p.a. e 2058 c.c.;

f) ha annullato la nota regionale 1° marzo 2012; ha accolto la domanda di risarcimento del danno in forma specifica nei riguardi della regione Puglia, della provincia di Lecce e dell’AIP onerandole di individuare ed attuare, entro 90 giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza, ogni soluzione atta a porre fine al problema dello sversamento dei reflui alla stregua di quanto espresso in motivazione; infine, ha compensato le spese di lite (pagine 26 e 27).

3. La regione Puglia ha interposto appello, ritualmente notificato e depositato, lamentando:

a) con il primo mezzo (pagine 6 – 8 dell’atto di gravame) l’erroneità della riunione dei due ricorsi di primo grado per violazione degli artt. 32 e 70 c.p.a.;

b) con il secondo mezzo (pagine 8 - 12), ha dedotto l’inammissibilità del cumulo oggettivo di domande proposte in primo grado e reiterato le eccezioni di carenza di interesse ad agire e legittimazione al ricorso;

c) con il terzo mezzo (pagine 12 – 13), ha nuovamente eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva;

d) con il quarto mezzo (pagine 13 – 20), ha illustrato le attribuzioni statali, regionali, dell’AIP e degli enti locali, in materia di tutela delle acque, la centralità del PTA e la sua conseguente vincolatività, fra l’altro, in ordine alle misure e infrastrutture ivi previste;

e) con il quinto mezzo (pagine 20 – 27), ha negato la propria responsabilità in ordine alla domanda di risarcimento del danno, illustrando, alla luce dei principi espressi dall’Adunanza plenaria n. 3 del 2011, le conseguenze della mancata impugnazione del PTA, inoltre evidenziando la carenza di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità civile della p.a. (invalidità degli atti o comportamenti posti in essere in concreto, danno, nesso di causalità, elemento soggettivo);

f) con il sesto mezzo (pagine 27 – 31), ha lamentato che il primo giudice ha esorbitato dall’ambito della propria giurisdizione sostituendosi all’Amministrazione;

g) con il settimo mezzo, infine (pagine 28 – 38), ha contestato la natura e la portata applicativa del principio di precauzione come ricostruiti dall’impugnata sentenza nonché la sua applicazione al caso concreto, caratterizzato dall’assenza di una situazione di pericolo o di danno; ha contestato, altresì, che la regione sia rimasta inerte e dunque la possibilità di applicazione dell’art. 2043 c.c.

4. Si sono costituiti in giudizio:

a) il comune di Gallipoli, che ha dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza dei gravami in fatto e diritto;

b) la società AQP, che ha aderito ai gravami;

c) il Ministero per i beni e le attività culturali, il Ministero dell'economia e delle finanze e l’Agenzia delle dogane, con comparsa di stile e senza prendere posizione;

d) l’AIP, che ha contestualmente articolato rituale appello incidentale lamentando (pagine 2 – 7): I) l’eccesso di potere giurisdizionale in cui è incorso il giudice di primo grado; II) l’ingiustizia della sentenza nella parte in cui ha accertato l’inerzia dell’ente che, invece, si è attivato nell’ambito delle proprie competenze per dare concreta soluzione al problema; III) l’irragionevolezza della condanna al risarcimento del danno in forma specifica stante l’invalicabilità del perimetro delle competenze spettanti in materia all’ente; IV) l’errata ricostruzione della natura del principio di precauzione e la sua conseguente errata applicazione al caso di specie.

5. Con ordinanza cautelare di questa sezione – n. 1806 del 17 maggio 2013 – è stata sospesa in parte l’efficacia dell’impugnata sentenza.

6. La causa è stata assunta in decisione alla pubblica udienza del 13 dicembre 2013.

7. Preliminarmente il collegio:

a) prende atto che l’impugnata sentenza ha omesso di pronunciare sulla domanda di condanna dell’AQP a cessare lo sversamento in battigia delle acque reflue e che il comune di Gallipoli ha rinunciato alla relativa azione non avendola riproposta espressamente e tempestivamente in sede di costituzione in giudizio, ai sensi dell’art. 101, co. 2, c.p.a. (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 25 febbraio 2013, n. 5);

b) prende atto che, oltre ai capi di sentenza coperti dal giudicato illustrati retro al precedente punto 2, anche le statuizioni di accertamento e di condanna nei confronti della provincia di Lecce non sono state impugnate e che pertanto le stesse sono passate in giudicato;

c) ritiene superfluo, attesa l’infondatezza nel merito dell’unico ricorso di primo grado accolto dal T.a.r., esaminare i primi tre mezzi dell’appello della regione - che pure introducono rilevanti questioni preliminari e pregiudiziali - ad eccezione del profilo inerente l’omessa impugnativa della delibera di approvazione del PTA (come meglio si dirà in prosieguo);

d) rileva che il thema decidendumvel probandum è circoscritto dalle domande e dai motivi articolati in prime cure, non potendosi esaminare nuove censure proposte in violazione del divieto dei nova sancito dall’art. 104, co. 1, c.p.a.; in applicazione del medesimo divieto sono inammissibili, a mente dell’art. 104, co. 2, c.p.a., le produzioni documentali effettuate per la prima volta in appello, in particolare quelle relative a circostanze di fatto sopravvenute rispetto alla data di emanazione dei provvedimenti impugnati (incluso il silenzio inadempimento) o all’introduzione del giudizio di primo grado.

8. Può scendersi all’esame, nel merito, dell’appello principale proposto dalla regione Puglia e di quello incidentale dell’AIP; tali ricorsi - in quanto conducono alla completa reiezione delle domande proposte in prime cure sulla scorta di argomenti analoghi, connessi e complementari - possono essere trattati congiuntamente. Entrambi gli appelli sono fondati e devono essere accolti.

9. Per comodità espositiva si prendono direttamente in esame le domande e i motivi articolati in prime cure dal comune di Gallipoli.

9.1. In ordine logico è prioritario stabilire la fondatezza delle censure che lamentano l’inerzia della regione e dell’AIP a fronte della diffida avanzata dal comune di Gallipoli in relazione all’asserita sussistenza dell’obbligo di realizzare la condotta sottomarina.

Le censure sono inammissibili e infondate e devono essere respinte nella loro globalità.

9.1.1. L’inammissibilità discende da un duplice autonomo ordine di ragioni.

9.1.2 La prima causa di inammissibilità è determinata dalla omessa impugnativa del PTA e dalla conseguente vincolatività delle scelte in esso racchiuse.

Per meglio chiarire il punto in esame, è utile soffermarsi sinteticamente sulla natura giuridica, il contenuto e gli effetti del PTA (art. 121 codice dell’ambiente).

Tale strumento - all’interno del micro ordinamento di settore relativo alla tutela delle acque dall’inquinamento i cui confini sono disegnati dai principi generali sanciti dagli artt. da 73 a 75 del codice dell’ambiente - assume un ruolo centrale non solo a livello di programmazione e pianificazione, sul territorio regionale, degli obbiettivi (e degli strumenti) di sempre maggior tutela dei corpi idrici nonché del relativo servizio idrico, ma anche in ordine alle attività conoscitive e di studio (preventive e successive anche per verificare l’efficacia degli interventi), alla puntuale individuazione di corpi idrici ed aree a specifica destinazione ovvero bisognevoli di specifiche misure di prevenzione o risanamento, all’indicazione delle cadenze temporali degli interventi ordinati secondo una scala di priorità, all’analisi economica dei costi del servizio idrico e di recupero, al reperimento delle risorse finanziarie, alla localizzazione delle infrastrutture.

Si tratta dunque di un piano di settore che ha natura giuridica mista nonché contenuti ed effetti molteplici: atto generale, in ordine ai profili pianificatori, programmatori, temporali, finanziari, ma anche provvedimento puntuale in relazione ad es. all’individuazione delle localizzazioni delle infrastrutture e delle migliori tecnologie compatibili con le risorse a disposizione.

La circostanza, poi, che il piano possa essere ciclicamente revisionato ed aggiornato (art. 121, co. 5, cit.), non riduce o attenua la portata direttamente vincolante delle misure puntuali in esso previste, fra cui la scelta delle tecnologie da impiegare per rispettare gli standard minimi di tutela (obbligatori ex lege)delle misure per incrementare la qualità ambientale dei corpi idrici, ovvero la localizzazione delle necessarie infrastrutture.

Pertanto, finché il piano non viene modificato, esso è vincolante nella parte in cui introduce effetti precettivi immediati e diretti e comunque impone la coerenza degli interventi previsti in materia di servizio idrico dagli altri attori istituzionali con gli obbiettivi del piano medesimo.

Come già statuito da questa Sezione (cfr. ordinanza 7 dicembre 2011, n. 5367), logico corollario di tali premesse è che l’omessa tempestiva impugnazione del piano preclude la successiva contestazione della localizzazione e della tipologia della infrastruttura destinata a realizzare gli obbiettivi ivi rappresentati.

9.1.3. La seconda autonoma ragione di inammissibilità si fonda sulla circostanza che le censure mirano, in concreto, a sollecitare l’esercizio, da parte del giudice amministrativo, di un sindacato di merito al di fuori dei tassativi ed eccezionali casi sanciti dall’art. 134 c.p.a.; il controllo sull’esercizio della discrezionalità tecnica ed amministrativa deve essere esercitato dal giudice amministrativo, in ossequio al principio di separazione dei poteri, ab externo, senza possibilità di sostituirsi alle valutazioni tecniche opinabili o alle scelte di opportunità politica ed amministrativa rimesse all’Amministrazione (cfr., fra le tante e da ultimo, Cons. St., sez. VI, 14 agosto 2013, n. 4174; Sez. V, 22 marzo 2012, n. 1640; Cass. sez. un., 17 febbraio 2012, n. 2312; Corte cost. 3 marzo 2011, n. 175).

9.1.4. Le doglianze in esame sono altresì infondate nel merito.

9.1.4.1. Sul piano formale è sufficiente osservare che sia la regione che l’AIP hanno prontamente riscontrato la diffida del comune senza adottare comportamenti elusivi (cfr. retro punti 1.2.e 1.3. ); tanto basta ad escludere qualsivoglia disfunzione nell’esercizio della funzione pubblica.

Ovviamente, come si evince nel caso di specie dalla ricca interlocuzione politica ed istruttoria intervenuta fra gli enti interessati, ogni utile azione intrapresa da questi ultimi nell’ambito delle proprie competenze per il continuo miglioramento degli obbiettivi di qualità ambientale, ben può essere posta a fondamento dell’aggiornamento del PTA a cura della regione ovvero, nell’ottica collaborativa che deve animare tutti i protagonisti della vicenda, per realizzare l’implementazione dell’impianto di affinamento sulla scorta dell’approfondito studio dell’AIP.

9.1.4.2. Sul piano sostanziale deve negarsi che l’autorizzazione allo scarico delle acque reflue in battigia, a suo tempo rilasciata dalla provincia di Lecce (cfr. determinazione n. 277 del 17 luglio 2002), sia stata subordinata alla realizzazione dell’obbligo di costruire una condotta sottomarina ovvero che tale obbligo sia stato imposto fra le prescrizioni di esercizio; tanto risulta dall’esame del tenore testuale delle clausole che compongono tale autorizzazione e dalla loro collocazione sistematica; in particolare, la disposizione che ha contemplato la condotta sottomarina (clausola 14: <<14) resta fermo l’obbligo per la società di intraprendere ogni opportuna azione per conformare al più presto lo scarico alle norme contenute nell’art. 10 del R.R. 5/89 (condotta sottomarina) e di informare periodicamente questa Provincia delle iniziative in corso>>), si è limitata a richiamare quello che, all’epoca, era un obbligo vigente ma che successivamente è venuto meno, per giunta affidandone l’adempimento all’iniziativa spontanea del gestore e senza prevedere alcuna conseguenza a suo carico.

Parimenti non è condivisibile quanto affermato dall’impugnata sentenza in relazione al fatto che dal principio di precauzione possa scaturire l’obbligo della realizzazione della condotta sottomarina.

Come è noto, in linea generale la tutela dell’ambiente ha trovato anticipata applicazione rispetto all’evento dannoso con l’introduzione, nell’ordinamento, del principio di precauzione (art. 174, § 2, del Trattato CE, oggi art. 191, § 2 Trattato FUE, art. 301 codice dell’ambiente), in forza del quale per ogni attività che comporti pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione.

Relativamente alla natura giuridica ed al modo con cui il principio di precauzione è stato nel tempo declinato, il collegio non intende decampare dai consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza, specie comunitaria (cfr., da ultimo, Cass., sez. un., 3 maggio 2013, n. 10303; Cons. Stato, sez. III, 4 marzo 2013, n. 1281; Corte giust., sez. II, 15 gennaio 2009, C-383/07; 13 dicembre 2007, C-418/04; 9 settembre 2003, C-236/01), secondo cui:

a) il principio di precauzione costituisce uno dei fondamenti della politica dell’Unione europea e dello Stato italiano in materia ambientale accanto a quelli della precauzione, dell’azione preventiva, e della correzione in via prioritaria ed alla fonte dei danni causati all’ambiente; l’individuazione dei tratti giuridici del principio viene sviluppata lungo un percorso esegetico fondato sul binomio analisi dei rischi – carattere necessario delle misure adottate; le misure precauzionali, infatti, presuppongono che la valutazione dei rischi di cui dispongono le autorità riveli indizi specifici i quali, senza escludere l’incertezza scientifica, permettano ragionevolmente di concludere, sulla base dei dati disponibili che risultano maggiormente affidabili e dei risultati più recenti della ricerca internazionale, che l’attuazione di tali misure è necessaria al fine di evitare pregiudizi all’ambiente o alla salute; si rifiuta un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente;

b) la giuridicizzazione e la conseguente giustiziabilità del principio di precauzione passano così attraverso la necessità di riconoscere canali istituzionali di coinvolgimento dei cittadini, delle loro formazioni sociali e delle loro comunità di riferimento, nell’esercizio della funzione (globalmente rilevante) di amministrazione del rischio, sia a livello comunitario che a livello nazionale; il ché contribuisce alla costruzione di un diritto «effettivo» del rischio, in linea con il modello della responsible governance;

c) il principio presuppone che l’esistenza di un rischio specifico è tale solo quando l’intervento umano su un determinato sito, sulla base di elementi obbiettivi, non possa escludersi che pregiudichi il sito interessato in modo significativo;

d) sul piano procedurale, l’adozione di misure fondate sul principio di precauzione è condizionata al preventivo svolgimento di una valutazione quanto più possibile completa dei rischi calata nella concretezza del contesto spazio temporale di riferimento, valutazione che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura;

e) il principio in esame non può legittimare una interpretazione delle disposizioni normative, tecniche ed amministrative vigenti in un dato settore che ne dilati il senso fino a ricomprendervi vicende non significativamente pregiudizievoli dell’area interessata; la situazione di pericolo deve essere potenziale o latente ma non meramente ipotizzata e deve incidere significativamente sull’ambiente e la salute dell’uomo; sotto tale angolazione il principio di precauzione non consente ex se di attribuire ad un organo pubblico un potere di interdizione di un certo progetto o misura; in ogni caso il principio di precauzione affida alle autorità competenti il compito di prevenire il verificarsi o il ripetersi di danni ambientali ma lascia alle stesse ampi margini di discrezionalità in ordine all’individuazione delle misure ritenute più efficaci, economiche ed efficienti in relazione a tutte le circostanza del caso concreto.

Facendo applicazione dei su esposti principi alla vicenda in trattazione emerge che:

f) il principio di precauzione è stato invocato essenzialmente per il miglioramento delle condizioni ambientali dei corpi idrici e non per l’esigenza della prevenzione di danni ambientali;

g) difetta il requisito della stretta necessità della misura agognata;

h) la costruzione della condotta marina era solo una delle opzioni possibili e neppure la migliore (come assodato dall’analisi scientifica compiuta dall’AIP a quanto risulta non specificamente contestata o impugnata in parte qua).

9.2. Dall’assodata legittimità dei provvedimenti e procedimenti posti in essere dalla regione e dall’AIP discende l’infondatezza della domanda risarcitoria in forma specifica proposta nei loro confronti.

La domanda risarcitoria non è accoglibile per le seguenti ulteriori considerazioni:

a) lo scarico diretto in battigia dei reflui provenienti dal depuratore, non è ex se vietato allorquando gli stessi subiscano un trattamento secondario conforme ai limiti previsti dalla Tabella 1 dell’Allegato 5 del codice dell’ambiente (come è pacifico nel caso di specie, dato che il depuratore è stato progettato, costruito e autorizzato proprio in questa prospettiva);

b) non è vero che lo scarico delle acque reflue in battigia si svolge in assenza di specifica autorizzazione; risulta per tabulas che la provincia di Lecce (cfr. determinazione n. 277 del 17 luglio 2002), ha autorizzato lo scarico diretto delle acque reflue per la durata di anni quattro prevedendo, altresì, un sistema di mantenimento provvisorio dello scarico (clausola 12 della autorizzazione), che dagli atti di causa non risulta con certezza essere stato superato;

c) ove si registri in concreto, nel corso dell’esercizio del depuratore, un contrasto fra i parametri legali e la situazione di fatto, la responsabilità, in astratto, si configura in capo al costruttore ed al gestore dell’impianto di depurazione (nella specie la AQP); in ogni caso, non è stata fornita la prova che alla data di emanazione dei provvedimenti impugnati (comprensivi del silenzio inadempimento) o al momento della proposizione della domanda sia stata registrata una diffusa e non saltuaria situazione di violazione dei valori limite;

d) per quanto concerne le criticità ricollegabili all’impianto di affinamento, quelle derivanti da un cattivo uso dell’impianto medesimo sono (in astratto) attribuibili al gestore (AQP), mentre quelle rivenienti da errori progettuali (inclusa l’inidoneità dell’impianto a convogliare tutte le acque reflue a uso irriguo) o costruttivi sono (sempre in astratto) addebitali al comune di Gallipoli ed al Commissario delegato per l’emergenza ambientale che hanno provveduto, a suo tempo, alla progettazione ed esecuzione dell’opera pubblica; risulta inoltre per tabulas che: I) lo scarico delle acque per il riuso irriguo è stato autorizzato dalla provincia di Lecce (cfr. determinazione n. 912 del 21 aprile 2010), il protocollo d’intesa per l’avvio dell’esercizio dell’impianto è stato approvato dalla giunta regionale (cfr. delibera n. 258 del 2 febbraio 2010), l’autorizzazione alla deroga sulla concentrazione dei cloruri ai sensi del d.m. n. 185 del 2003 è stata approvata dalla giunta regionale (cfr. delibera n. 1809 del 2 agosto 2011); II) tutti i sopra menzionati atti non risultano impugnati; III) l’impianto ha iniziato a funzionare regolarmente nel corso dell’estate del 2012.

In conclusione non è stata fornita la prova che il versamento diretto in battigia di reflui trattati a livello secondario integri ex se una situazione di illegalità tale da configurare il requisito dell’antigiuridicità della condotta e del danno ex art. 2043 c.c. (cfr. da ultimo, sulla necessità che l’attore fornisca la prova dell’antigiuridicità della condotta dell’Amministrazione sub specie di illegittimità del provvedimento o dell’inerzia nell’esercizio della funzione pubblica, Cons. St., sez. V, 31 ottobre 2013, n. 5247).

10. Dalla reiezione delle domande di annullamento, accertamento e risarcimento proposte nei confronti della regione Puglia e dell’AIP discende l’accoglimento dei relativi appelli proposti da tali enti, e la conseguente parziale riforma dell’impugnata sentenza che si conferma nel resto.

La provincia di Lecce e AQP, nell’eseguire il giudicato formatosi in parte qua sulla sentenza impugnata, avranno cura di collaborare fattivamente collocandosi nella prospettiva meglio illustrata al precedente punto 9.1.4.1.

11. Nella natura pubblica delle parti coinvolte, nella complessità e novità delle questioni trattate e nel peculiare andamento del processo, il collegio ravvisa le eccezionali ragioni che, a mente del combinato disposto degli artt. 96, co.2, c.p.c. e 26, co.1, c.p.a., consentono di compensare integralmente fra tutte le parti le spese di ambedue i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto:

a) accoglie l’appello principale della regione Puglia e quello incidentale dell’Autorità idrica pugliese e, per l'effetto, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, che conferma nel resto, respinge il ricorso di primo grado nrg. 1086/2012 e i connessi motivi aggiunti proposti nei confronti della regione Puglia e dell’Autorità idrica pugliese;

b) dichiara integralmente compensate fra tutte le parti costituite le spese di ambedue i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Mario Luigi Torsello, Presidente

Vito Poli, Consigliere, Estensore

Sabato Malinconico, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/12/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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